Tag Archives: cleptocrazia

Senato: la minoranza promette battaglia … agli italiani

1 Ott

Oggi, su La7, Cesare Damiano ha chiarito che “non credo che una situazione di tal genere possa essere recuperata con i palliativi”; “dipende molto da quello che offre l’Italia in termini di risorse e di ripresa … quello he conta è che si pone un problema di credibilità del Paese e di lanciare un paino di riforme” aggiungeva Irene Tinagni.

Sono trascorsi quattro anni da quando Mario Monti promise all’Europa un piano di rientro in quattro e quattr’otto, rifiutandosi di fare una Patrimonale, bloccando il Welfare e, in pratica, raddoppiando le tasse.
E son trascorsi quattro anni da quando si iniziò – questo blog tra i primi – a paventare la recessione, la stagnazione e la deflazione che ne vennero.

Intanto, mentre stanno per arrivare le prime sanzioni UE per infrazione del deficit, sentiamo ancora in televisione ‘autorevoli esperti’ che ci raccontano che si tratta di una ‘fase’ … mentre lo scenario è fosco.

twitter_umori_italiani

L’economia reale, però, racconta tutt’altro:

  • la disoccupazione e la povertà sono in aumento da cinque anni e – in un paio d’anni – avremo ‘bruciato’ la generazione degli attuali ventenni
  • la spesa pubblica è ancora in crescita e i turn over pubblici restano bloccati per almeno altri cinque anni, grazie alle norme di Elsa Fornero sulle pensioni e al MEF che non vuole ripristinare il buco da 45 miliardi che creò nell’ex Inpdap
  • l’Istat che annuncia nel 2012 come iniquamente stiamo trattenendo al lavoro – pur con 30 e passa anni di contribuzione – centinaia di migliaia di lavoratori senior (over55) che sono in ‘condizioni di salute non buone’ mentre gli invalidi che risultano all’Inps sono praticamente la metà (in media) di quelli che Francia o Germania riconoscono e mentre i nostri media scatenano selvagge campagne contro i ‘falsi invalidi’, ovvero i soliti tot truffatori del sistema previdenziale che esistono dovunque. Intanto, almeno due milioni – tanti sarebbero in base alle medie UE – di disabili ‘sommersi’ attendono …
  • il valore delle case degli italiani è crollato di 500 miliardi di euro in pochi anni e c’è chi ha visto l’unico proprio investimento (il ‘mattone’) anche del 40%
  • lo sbilanciamento commerciale e tecnologico con la Germania è tale che – ad esempio – una Opel GTC usata del 2008 oggi vale quasi il 10% in più rispetto ad un paio di anni fa, mentre una Opel Corsa nuova costa quasi il 30% in più di una Seat Ibiza o di una Fiat Punto, mentre anni fa erano nella stessa fascia di prezzo
  • ogni anno in Italia si diploma il 21% dei diciottenni, mentre in Polonia i laureati sono al 43% ed entro sette anni in tutta Europa (eccetto che da noi) sarà così, come in tutta Europa (eccetto che da noi) le scuole sono linde, ben organizzate e soprattutto finanziate
  • solo per i TFR teniamo bloccati almeno 25 miliardi di euro per dare liquidità alle imprese, mentre potrebbero /dovrebbero andare in busta paga ai lavoratori, ovvero genererebbero consumi, ma non possono essere toccati perchè i sindacati dell’industria li hanno fatti reinvestire in fondi vari
  • la sovraspesa ‘fiscale’ per gas e luce che le famiglie povere devono affrontare equivale a meno della metà del bonus energetico che gli offriamo, serve in discreta parte per finanziare il fotovoltaico e a causa di questi ‘balzelli’ – rispetto ad un britannico – gli vengono sottratti almeno un mese di consumi alimentari

D’altra parte siamo il Paese di Pinocchio, che ammazza a scarpate chi potrebbe insegnargli qualcosa, che si affida al duopolio del Gatto e della Volpe per rimediare fregature a giorni alterni, ove l’umiltà e la pazienza di Geppetto si antepongono al giusto esercizio dei propri diritti, dove le istituzioni giudicano distrattamente e curano ancor peggio e dove – puntualmente – c’è qualcuno che promette il Paese del Bengodi a dei ciuchini ignoranti pronti a seguirlo … e dove l’unica brava persona (oltre alla Madonna – Fata Turchina) è quel Mangiafuoco circense apolide e burattinaio di professione …

Acclarato il perchè NON si studia Collodi (Carlo Lorenzini, 24 novembre 1826 – 26 ottobre 1890) nelle scuole superiori, mentre Pinocchio è forse il primo ‘personaggio italiano’ nel mondo, sarebbe bello capire chi sono gli elettori che si sentono rappresentati dalla minoranza del PD che ha creato e vuol mantenere il ‘declino italiano’, rallentando da oltre un anno gli interventi che erano urgenti già 5 anni fa.

Originally posted on Demata

Lavoratori precoci: arriva lo sblocco definitivo?

10 Giu

Per lavoratore precoce si intende generalmente chi abbia corrisposto contributi previdenziali per almeno un anno prima del compimento del diciannovesimo.

Sostanzialmente, abbiamo tre grandi categorie: coloro che hanno iniziato presto per poca disposizione allo studio e hanno svolto lavori pesanti e umili, quelli che lo hanno fatto per problemi familiari e spesso sono riusciti a divenire quadri, quelli, infine, che precoci negli studi erano all’università a 17 anni e hanno trovato lavoro immediatamente.

Essendo una categoria da tutelare, persino la riforma Fornero ha dovuto tenerne conto, stabilendo che  l’obbligo di pensione a 62 anni non si applicherà per questi lavoratori fino al 31 dicembre 2017, onde evitare l’incostituzionalità manifesta tenuto conto che dopo il 40esimo anno di lavoro stipendi e pensioni non crescono più.
Per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni d’età per altri tre anni varrà solo il requisito di 40 anni contributivi e non quello dell’età, con pensione decurtata dell’1% se hanno 61 anni, del 2% se intendono andare in pensione a 60 anni, del 4% a 59, del 6% a 58, dell’8% a 57, del 10% a 56 anni).

Tutto bene? No.

Purtroppo, oltre a passare la patata bollente al governo a seguire ‘entro il 2016’, l’azione di Monti, Fornero e Mastapasqua ha  partorito la solita incongrua corsa ad ostacoli con ‘effetto tappo’ per gli italiani e per l’economia.

Infatti, ci sono voluti due anni e una legge (L.125/2013) per chiarire che ai benefici sono ammessi solo i periodi derivanti “da sola contribuzione effettiva da lavoro e da contribuzione figurativa derivanti da astensione obbligatoria per maternita’, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia, per cassa integrazione guadagni ordinaria, per donazione di sangue e di emocomponenti (legge n. 219/05), per congedi parentali di maternita’ e paternita’ (Dlgs. 151/2001) nonche’ per congedi e permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Rientrano, inoltre, nella valutazione: i periodi assicurativi derivanti da riscatto, secondo l’articolo 13 della legge 1338/1962 (contribuzione omessa e colpita dalla prescrizione): a)i periodi di effettiva contribuzione derivanti da totalizzazione estera; b) il congedo matrimoniale; c) le ferie; d) permessi retribuiti; e) i congedi e permessi per handicap (articolo 33 della legge 104/1992).

Non rilevano invece ai fini dell’esclusione delle penalità i periodi di cassa integrazione straordinaria e di mobilità, la maggiorazione da amianto, i contributi volontari, quelli per il riscatto del corso legale di laurea e i contributi figurativi per disoccupazione indennizzata.” (fonte Pensioni Oggi)

Una soluzione talmente iniqua, ma soprattutto traballante, che l’Inps, pur fornendo di solito informazioni chiare e ben raccolte, non riesce ad andare oltre le tre righe striminzite : “nel 2004 e nel 2005, l’età richiesta è di 56 anni per gli operai e i cosiddetti “precoci”, coloro cioè che possono vantare almeno un anno di contribuzione derivante da attività lavorativa prima del compimento del 19° anno di età. In alternativa, questi lavoratori possono ottenere la pensione di anzianità con 38 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età.”
Tutto qui.
Infatti, in un regime contributivo, non dovrebbe esserci motivo legittimo per escludere chi abbia versato, per ricongiugersi, dei contributi volontari o figurativi per disoccupazione indennizzata, come quelli (solitamente esosi) per il riscatto del corso legale di laurea.
Come anche, il Welfare e l’Inps dovrebbero trovare una soluzione allo strumento della cassa integrazione che è tutt’oggi in uso e non determina contributi, seppur figurativi, come l’indennità di disoccupazione.
Si parla di turn over e di equità, ma soprattutto di legittimità dato che i contributi furono versati.
Ecco qualcosa su cui il governo Renzi potrebbe subito mettere a posto le cose: i precoci, tutti, vanno a casa per anzianità contributiva, non anagrafica.

originale postato su demata

Cinque Stelle sulle pensioni: un ingenuo copia&incolla di idee

4 Giu

La proposta sulle pensioni delle 5S è poco conosciuta, ma merita davvero qualche approfondimento.

Deve esserci un (1.000 euro?) e un tetto massimo per tutti gli altri e nessun innalzamento dell’età pensionabile. In pensione si può andare a 60 anni, non possono esistere in questo momento diritti acquisiti.  Mettiamo un tetto massimo pensionistico a ogni italiano, ad esempio 2.500 euro, vietiamo il cumulo di pensioni,  diamo a ogni pensionato una pensione commisurata a quello che ha realmente versato. (da La posizione del M5S sulle Pensioni)

Iniziamo col dire che dare al pensionato in proporzione a quanto ha realmente versato è antitetico sia all’idea di ‘tetto’ sia a quella di ‘minimo’, se parliamo di pensioni.
Come anche è in relazione agli stipendi, caso mai, e per la rivalutazione nel tempo che si impongono tetti, non sulle rendite di quanto versato.

La questione viene posta, più in esteso, sul post di Beppe Grillo ‘In pensione a 70 anni‘, con alcuni passaggi emblematici.

o-GRILLONOMICS-BEPPE-GRILLO-PENSIONI-570Ma se una persona versa 1800 euro annui su uno stipendio da 19.000 per avere dopo quarant’anni 1.200 euro di pensione, quanto dovremmo rendere nello stesso tempo e con la stessa proporzione per chi versa 7.500 con uno stipendio da 50.000? Non meno di 3.000, figuriamoci i medici e i dirigenti amministrativi o gli universitari che vanno per i centomila.

Inoltre, sussiste un errore di fondo: l’ex Inpdap (pensioni dipendenti statali) non era insostenibile, anzi, le sue entrate erano sufficienti se non abbondanti, visto che con la Riforma degli Anni 90, si passò da una vita lavorativa media di 27 annu a 40 come tutti.
Piuttosto, non si comprende perchè le 5S e i Sindacati non si sollevino per il buco di decine di miliardi è causato – così sembra – da mancati versamenti datoriali, da anticipazioni alla Sanità, da assorbimenti di casse dirigenziali in rosso.

 o-BEPPE-GRILLO-PROPOSTA-SHOCK-570In pratica, si chiede di riportare l’Inps alla sua funzione originaria di Previdenza Sociale, sottointendendo il ritorno alle Casse previdenziali di comparto. All’Inps competerebbe anche il reddito di cittadinanza, per anziani non pensionabili e per chi in età da lavoro.
Perfetto.
Prima delle 5S c’ erano, però, vari esperti di settore e blogger a scriverlo, da anni.

Perchè non far riferimento agli ‘originali’, autoattribuendosi il carisma dell’Innovatore, invece che portare avanti un discorso rabberciato come quello di Giulia Sarti, deputata del M5s, che raccontava di 5.000 euro per tutti (link) e ha scatenato l’ilarità della Rete?

Forse perchè ci sono da spiegare due ‘amare questioni’, che i blogger e gli  esperti segnalano, ma Grillo e le sue 5S no:

  • In primis, quale privatizzazione delle Casse di comparto può essere possibile se lo Stato non provvede a ‘restituire’ all’ex Inpdap tra i 35 e i 50 miliardi per coprire il buco che ha creato?
  • Last but not least, riportando a contributivo coloro che hanno versato, per gran parte o toto, prima del 1980, le pensioni che ne vengono diventerebbero inferiori o prossime alla minima per gran parte degli ultrasettantenni.

Ci vuole, dunque, una patrimoniale – per sbloccare le pensioni e il turn over e per far ripartire le infrastrutture alleggerendo il debito.
Ma la patrimoniale a Beppe non piace, forse perchè lui – ma non noi – dichiarava nel 2005 un reddito di ‘soli’ 4.272.591 euro, ma da quando è in politica – guarda caso – è diventato zero.
Anche se dichiara di possedere Porsche, Chevrolet Blazer, Maserati, Ferrari, più un piccolo impero immobiliare e un bel tot di attività con il fratello. Anche se il suo blog è valutato tra i 25 più influenti del globo e frutta talmente tanto che nel 2006, Beppe dichiarava entrate reddituali per 69.784 dalla Casaleggio associati, l’agenzia che gestisce il suo blog.

L’impressione che ne viene fuori, dalle proposte di Beppe Grillo e le 5S, è quella di un discreto, ma dilettantesco patchwork delle migliori idee che altri hanno pubblicato in Rete.
Su questo blog – ad esempio, ma non è il solo – si parla dal 2007 di prepensionamenti e turn over pubblico, di ripristino delle originarie funzioni dell’Inps e  delle Casse (privatizzazione assicurativa), di denuncia delle pensioni d’oro e della voragine Inpdap, eccetera.

Quanto alle soluzioni, mi dispiace per le 5S, ma è difficile che quelle non sconvenienti per un ricco multimilionario coincidano – quando c’è da mettere mano al portafogli – con quelle di ha poco e nulla o campa di stipendio.

originale postato su demata

 

 

 

Esodati e invalidi: perchè la Fornero-Monti è incostituzionale. Perchè Renzi deve riformarla con urgenza?

3 Giu

Mancato intervento sulle ‘pensioni d’oro, a fronte di uno sbilanciamento dei ‘computi Inps’ in sede di riforme contributive degli Anni ’90, di adeguamento all’Euro dei contributi pre-1980.
Art. 2 – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Norme sugli esodati a fronte di dati oggettivi che dimostravano l’impossibilità di essere riassorbiti dal mercato del lavoro.
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Norme sul lavoro senza consultazione, di cui i singoli lavoratori ne accettano le modalità fissate tra associazioni datoriali e sindacali tramite un mero contratto individuale
Art. 24 – Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

Norme ministeriali penalizzanti per lavoratori senior esodati o licenziati, norme Inps (ministero delle infrastrutture) penalizzanti per invalidi e familiari dei portatori di handicap, a fronte del 30% di lavoratori over50 in ‘condizioni di salute non buone’ (dati Istat 2012)
Art. 97 -(Testo applicabile fino all’esercizio finanziario relativo all’anno 2013) – I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Art. 38 – Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

Non a caso, la riforma Fornero delle pensioni prevedeva (ndr. evocava …) come “Principi”:

  • a) equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;
  • b) flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;
  • c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

Parole rimaste del tutto vuote: nessuna “equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi”, niente clausole derogative per le categorie più deboli, a partire dagli invalidi. Zero flessibilità, zero semplificazione, zero armonizzazione ed economicità.

Nonostante la questione si trascini da anni, con centinaia di migliaia di anziani senza reddito e senza lavoro e con forse un milione di lavoratori senior in condizioni di salute ‘non buone’, la Corte Costuzionale è stata coinvolta solo sei mesi fa e per questioni inerenti la disparità procedurale tra regione e regione.
Non è una questione di ‘ostilità di casta’, visto che tra le pensioni d’oro ci sono anche quelle di tutti i soggetti che potrebbero intervenire. Il vero problema è che Mario Monti riuscè ad inserire in Costituzione che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”).
Il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione?
Demandate ai “pubblici uffici”: una questione di management e non di governance.
Per inciso, ecco uno dei risultati del Fiscal Compact ed ecco perchè serve un Senato con funzioni revisorie ‘rapide’ (e non legislative come oggi): la Corte Costituzionale va in stallo se le leggi ‘impeacciate’ assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico

Dunque, dovranno essere Matteo Renzi e il Parlamento a dover intervenire per gli esodati e per chi – spesso malato – non trova flessibilità pur avendo 35-40 anni di contribuzioni, per i disoccupati a 60 anni ma pensionabili a 67, per i giovani che non lavorano e per i meno giovani che non fanno mai carriera.
Specie se i ‘danni collaterali’ si estenderebbero almeno fino al 2017, se non si fa una correzione della ‘lotteria Inps’ ora, in sede di documento finanziario estivo.
Specialmente se basterebbe rivalutare le pensioni d’oro per quanto relativo il passaggio all’euro dei contributi pre-1980 e reintegrare il buco ex Inpdap di decine di miliardi, causato – così sembra – da mancati versamenti datoriali, da anticipazioni alla Sanità, da assobimenti di casse dirigenziali in rosso.

E’ un principio fondalmentale della Repubblica Italiana richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale: esattamente il contrario di quanto accaduto a esodati, licenziati, lavoratori seriamente malati e … pensionati d’oro.

L’unica cosa che serve all’Italia per ripartire dai giovani e meno giovani è porre nuove regole contrattuali e pensionistiche, funzionali all’economia e al lavoro, cioè sistemare i conti Inps, di cui a breve le inchieste dovrebbero depositare i primi dati e misfatti.
Un enorme piano triennale di prepensionamento per chi ha più di 60 anni o almeno 30 anni di contriuti e, invecchiando, ha sviluppato patologie disfunzionalizzanti. Oltre ad un tetto per le pensioni, che non possano almeno superare il reddito entry level di quella tipologia di lavoro, come spesso accade per le pensioni superiori ai 2000 euro lordi.

Servirebbe del conquibus. Una Patrimoniale?

originale postato su demata

Ripresa: l’Italia arranca. Perchè?

16 Mag

Come volevasi dimostrare, l’Italia non s’è ripresa. Era facile prevederlo se i dati positivi enunciati dagli analisti si mantengono allo 0,1%, cioè ampiamente entro il margine di errore del metodo di calcolo.
E’ per questo che una parte degli analisti e dei politici si mostrano tranquilli ed è nella speranza di un ulteriore sbilanciamento che speculatori finanziari e opportunisti politici si agitano più del dovuto.

Quali le cause?

Al primo posto, c’è certamente la Politica, che non da alcuna garanzia essendo Matteo Renzi stretto tra Grillo e Berlusconi, due miliardari dello show business che guidano partiti con percentuali a due cifre.
Due ‘signor no’, che nell’ultimo anno sono riusciti almeno a raddoppiare l’iter di approvazione di leggi anche urgenti per motivi di lotta politica, se non ad personam.

All’estero se ne sono accorti, ma prima hanno fatto le nostre aziende sia delocalizzando sia perdendo mercati.

A pari merito con la Politica, abbiamo i Media che diffondono una debordante informazione pseudopolitica, fatta di notizie spot e di dibattiti, più tanta cronaca giudiziaria, ma raramente di approfondimenti e di indagini giornalistiche. Allo stesso tempo la RAI televisione ‘commerciale’ di Stato solo da qualche tempo si è resa conto di quali danni si arrechino al Paese – pur di fare share – andando avanti con i ‘comici’ a reti unificate per anni e anni.

Difficile legiferare in queste condizioni, con in Paese trasformato in un bar dello sport.

A stretto ridosso della Politica e dei Media, troviamo i Sindacati – in particolare quelli dei lavoratori publici – che in questi anni di crisi e sbandamento non hanno tirato fuori una proposta una da condividere. Anzi, si sono ben impegnati nel bloccare ogni innovazione nei contratti (il caso del Colosseo chiuso docet) e nel salvaguardare le insostenibili pensioni dei propri iscritti con esodati e giovani per strada.

Al di fuori del mattone (leggasi stadi di calcio) e delle speculazioni finanziarie (leggasi scandalo del fotovoltaico) chi mai verrebbe a metter soldi in un paese dove i sindacati sono così retrogradi?

E ben posizionata nel disastro c’è la nostra Capitale, che è lo specchio agli occhi del mondo. O, meglio, le nostre capitali, le nostre vetrine: la Milano ha l’Expo degli scandali e Napoli che pubblicizziamo con Gomorra, mentre Torino è nota per i NoTav e le nostalgie metalmeccaniche della Fiom.

Perchè mai dovrebbe andar bene il made in Italy se Roma è un suk dove si spara sempre più spesso, quando non è sede di ‘tensioni e scontri’ con strade dissestate e mezzi pubbblici traballanti?

Infine, solo alla fine, c’è la lentezza con cui i nostri anziani e giovani analisti stanno prendendo atto che è impossibile evitare il nodo del risanamento dell’ex Inpdap e della dismissione del settore prettamente assicurativo dell’Inps, come anche il nodo dei costi standard per sanità, istruzione e università è inderogabile, Fiscal Compact o meno che sia.
Non piace ai sindacati, che uscirebbero da tanti CdA di enti, e non piace a Roma che perderebbe lavoro e PIL a causa del decentramento e dei risparmi sulla spesa pubblica, non piace a chi si oppone al pareggio di bilancio che è dall’ex Inpdap che nei decenni sono usciti miliardi e miliardi per ‘risanare’ tante marachelle.

Come si esce da una stagnazione che più non è, visto che l’inflazione si sente e come ma la produttività cala? Non di certo risparmiando 10 milioni di compensi per i parlamentari o portando la leva fiscale al 44% o chissà dove per salvare le banche.

Dovremmo avviare gli Eurobond al più presto possibile, trasferendo all’Europa almeno metà dei nostri debiti, ed alleggerire drasticamente la spesa pubblica statale per sedi e personale, tanto – grazie ai sindacati del comparto – a gran parte di quello che arriva ai cittadini provvedono i servizi esternalizzati d’informatica, del sociale, di manutenzione, formazione tecnica e professionale, eccetera …

originale postato su demata

Falso in bilancio, la madre di tutte le iniquità e ruberie, come del disastro finanziario della spesa pubblica

18 Apr

Il falso in bilancio consiste in una rappresentazione dei dati contabili che persegua l’interesse di intervenire artatamente sulla reputazione dell’azienda, influendo quindi sul credito che potrebbe ottenere.
I tipi di falso sono diversi: quello ‘materiale’ vero e proprio e quello ‘in valutando’, ovvero quando si sotto-sovrastimano entrate, ammortamenti, costi, mentre si parla di  falso per induzione quando un bilancio altrimenti regolare viene reso non più veritiero dall’inclusione di dati mendaci provenienti da bilanci di altre società. Ma c’è anche  il falso ‘qualitativo’, che si esplica in alterazioni non incidenti sul risultato economico o sull’entità complessiva del capitale, ma solo sulla rappresentazione che ne viene fornita. (cfr. Ermanno Zigiotti, Il falso in bilancio nei suoi fondamenti di ragioneria, Cedam, Padova, 2000)

Dunque, il ‘falso in bilancio’ non è un delitto che riguardi solo le società commerciali, ma è un fenomeno che interessa ogni ‘azienda’ che compili un bilancio sia per rendere conto agli azionisti sia per ottenere finanziamenti sia per giustificare la stessa ragione di essere, se trattasi di settore pubblico o a progettazione pubblica. Come anche, è discutibile se la fornitura di servizi (vedi scuole e asl ad esempio) non sia essa stessa un’attività ‘commerciale’.

Tutto inizia con la Legge 3 ottobre 2001, n. 366,”Delega al Governo per la riforma del diritto societario”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 234 dell’8 ottobre 2001, in cui il Governo Amato veniva delegato “ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali”.

Una norma che – tra l’altro – intendeva:

  1. “favorire la partecipazione dei soci cooperatori alle deliberazioni assembleari e rafforzare gli strumenti di controllo interno sulla gestione”,
  2. “disciplinare la figura del gruppo cooperativo quale insieme formato da più società cooperative, anche appartenenti a differenti categorie”,
  3. “prevedere che alle società cooperative si applichino, in quanto compatibili con la disciplina loro specificamente dedicata, le norme dettate rispettivamente per la società per azioni e per la società a responsabilità limitata”,
  4. “prevedere che le norme dettate per le società per azioni si applichino, in quanto compatibili, alle società cooperative a cui partecipano soci finanziatori o che emettono obbligazioni”.

Erano escluse da questa norma le banche cooperative e le amministrazioni pubbliche, nonostante la nozione dei reati e degli illeciti amministrativi fosse ampiamente applicabile anche al settore pubblico, già segnato dagli sprechi e dalle corruttele della Prima Repubblica, visto che – in Europa e non solo – offrire servizi è un’attivittà d’impresa e spesso di ‘vendita’.
“La falsità in bilancio, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, (è) consistente nel fatto degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori i quali, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, idonei ad indurre in errore i destinatari sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico, ovvero omettono con la stessa intenzione informazioni sulla situazione medesima, la cui comunicazione è imposta dalla legge”.

Un anno dopo, il Decreto Legislativo 11 aprile 2002, n. 61 (Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le societa’ commerciali) derubricava il tutto a “false comunicazioni sociali”, depenalizzando la materia e portandola a livello di ‘sanzione’. E di regole per le cooperative, neanche l’ombra …

La punibilita’ e’ esclusa se le falsita’ o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della societa’ o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilita’ e’ comunque esclusa se le falsita’ o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non e’ punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.”

Anche un bambino si renderebbe conto che con una ‘non punibilità’ del genere è abbastanza facile scavare voragini nei conti delle aziende, come ad esempio accadde per la Parmalat.
Si disse che fu una legge ad personam, voluta da Silvio Berlusconi impegolato in uno dei suoi eterni processi, ma è evidente che a beneficiarne furono tante aziende (e tanti evasori), tanta e tantissima casta che iniziò ad operare tramite società a cui esternalizzare servizi e innovazione pubblici, le amministrazioni scolastica e sanitaria in toto, appena rese ‘autonome’ e potenzialmente operanti ‘conto terzi’ e anche con ‘attività commerciali’, l’arcipelago delle cooperative.
E, portando a livello di sanzione ‘amministrativa’ i falsi in bilancio (aka “false comunicazioni sociali”) del settore privato, di riflesso accadde che anche nel settore pubblico diventasse una ‘questione interna’: fu proprio in quegli anni che i poteri della Corte dei Conti furono ridotti al lumicino.

Da un mesetto circola la notizia che “serve un apparato penal-sanzionatorio «più rigoroso» per il contrasto alla criminalità organizzata. Introducendo, in primo luogo, i reati di autoriciclaggio e falso in bilancio. La proposta arriva dal comandante generale della Guardia di finanza, Saverio Capolupo, ascoltato in audizione alla commissione Antimafia.” (Sole24Ore)

Reati di autoriciclaggio e falso in bilancio, che colpirebbero caste ed evasori ben prima di incidere sulla criminalità organizzata e che, di riflesso, comporterebbero dei bilanci pubblici ben più rigorosi …

In che Italia vivremmo se – vista la difformità delle nostre leggi e dei notri bilanci dalle norme comunitarie – già negli Anni ’90 ci fossimo dotati di norme decenti sulle scritture contabili private e pubbliche, ovvero atte ad evitare che si “espongano fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, idonei ad indurre in errore i destinatari sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria”?

Nei fatti – con leggi diverse – non avremmo avuto la svendita IRI o il Lodo Mondadori, gli scandali Parmalat e Monte Paschi o quello del parco fotovoltaico in Sicilia, il proliferare della mafia e dell’evasione fiscale, le spese pazze dei politici e i super-stipendi dei privilegiati, le frodi europee e la vergognosa vicenda dei ‘precari’ dei servizi esternalizzati, l’istruzione che mette a bilancio debiti e la sanità che spreca senza un perchè … la voragine creata nell’ex Inpdap e i conti sballati dell’Inps e delle pensioni … le regioni e i grandi comuni da commissariare, eccetera.
Falso in bilancio, per i privati, equivale a ‘rigore e trasparenza’, per il pubblico. In ambedue i casi parliamo di ‘responsabilità’.

Dunque, riguardo ai ‘beneficiari’ di una tale carenza di norme fondamentali per una comunità, è del tutto superfluo limitarsi ai processi di Silvio Berlusconi come è del tutto inutile chiedersi il ‘chi e come’ dell’enorme schiera di co-interessati, prima e dopo il 2001 …

Basterebbe, però, che iniziassimo a chiederci tutti se, con un INPS che fosse sottoposto alle norme che regolano una qualsiasi compagnia di assicurazioni, avremmo abbandonati a se stessi gli esodati, i precari, i disoccupati, gli invalidi, le donne, i giovani e … le pensioni d’oro.

originale postato su demata

Pensioni: i dati Istat e … le vergogne dell’Inps

3 Apr

Ieri, La Repubblica dava ‘finalmente’ risalto ai dati sulle pensioni italiane secondo l’Istat. Finalmente, perchè poteva farlo già due anni fa, in base ai dati del 2010 che erano sostanzialmente conformi a quelli recenti.

Pensioni: dati Istat per il 2010

 

Cosa raccontavano i dati?

Innanzitutto, che in Italia c’erano un paio di milioni di invalidi che se la passavano abbastanza male, visto che le ‘pensioni’ al di sotto dei 500 euro mensili riguardano prevalentemente loro. Persone bisognose che avrebbero diritto ad un ‘salario minimo’ e che vengono bistrattate in nome di quel 0,1% – od anche meno secondo i dati ufficiali dell’INPS – che i media chiamano ‘falsi invalidi’.
Due milioni di persone che si arrangiano con poche centinaia di euro e che non fanno notizia.

Altri sette milioni, praticamente la metà dei pensionati, viveva con un reddito netto inferiore ai 1.250 euro mensili, praticamente alle soglie di un ‘salario minimo’, ma evidentemente tanto è che ha versato e accantonato con un lavoro medio-basso.
Altri cinque milioni di italiani se la cavavano meglio, con pensioni che vanno dai 1250 ai 2500 mensili, e corrispondono più o meno esattaamente alle categorie che hanno versato notevoli oneri contributivi per via dei lavori e delle professioni svolte di livello medio-alto.

Infine, scopriamo che c’erano 776.609 italiani che vivono nel lusso, nonostante la Crisi, percependo pensioni di almeno 3.000 euro mensili, per le quali è abbastanza difficile supporre che siano stati versati gli stessi contributi che stanno versando le generazioni attualmente al lavoro.

I dati Istat 2012 – riportati ‘finalmente’ da La Repubblica, ma non ancora dal Corriere della Sera – confermano una situazione pressochè identica, se non ancor più grave visto che i neopensionati di quest’anno sono più anziani dei loro omologhi già a riposo, ma percepiranno pensioni più basse pur avendo versato per almeno 10 anni contributi in euro anzichè lire …

Dati Istat 2012 - Pensioni N.B. La spesa per pensioni di invalidità è di circa 11 mld annui, di cui tutta la fascia '< 500' e una piccola parte della fascia '500 - 1000'

Dati Istat 2012 – Pensioni
N.B. La spesa per pensioni di invalidità è di circa 11 mld annui, di cui tutta la fascia ‘< 500’ e una piccola parte della fascia ‘500 – 1000’

 

Dati Istat 2012 - Pensioni

Dati Istat 2012 – Pensioni

Cosa confermano i ‘nuovi’ dati Istat?

Che il sistema è squilibrato per diversi motivi:

  1. l’ampia presenza di pensionati – oltre la metà – che hanno versato  contributi esiziali in lire e che oggi – come da dieci anni – godono di pensioni rivaluate in euro;
  2. le due fasce pensionistiche apicali i cui benefit mensili – contribuiti in lire e percepiti in base all’ultima retribuzione, che superano addirittura i dorati vitalizi dei parlamentari;
  3. il costo sociale della ‘disabilità funzionale’ che dovrebbe essere la mission primaria dell’INPS e che viene scaricato sul mondo produttivo e sulle famiglie, visto che in Italia sono solo 3,5 i milioni di disabili in carico al sistema previdenziale, mentre in Germania sono ben otto milioni.
Fonte Messaggero Veneto - L'Espresso

Fonte Messaggero Veneto – L’Espresso

Le economie per l’INPS derivanti da un tetto per le pensioni apicali equivarrebbero all’intero importo speso per i disabili (circa 10 miliardi annui) e, se un tetto fosse stato applicato a partire dall’introduzione dell’Euro, l’Italia avrebbe potuto evitare la vergogna degli esodati e permettersi un sistema pensionistico ‘scalare’ dopo 35 anni di contribuzione, come in Germania, dove – è bene saperlo – ad opporsi sono stati proprio i senatori nominati tramite i Lander dai sindacati.
E, senza dimenticare i 30-35 miliardi di contributi dei lavoratori ex Inpdap ‘defluiti’ verso il sistema sanitario e il MEF senza ritorno, c’è (e c’era) da affrontare la questione di una rivalutazione un po’ più oculata delle pensioni in lire allorchè rivalutate in Euro, visto che l’aspettativa in vita mostra trend incrementali.

Non è un caso che da anni, sempre più spesso, qualche politico ci ricorda nei talk show che il vero problema non è nelle loro prebende, ma nella spesa di personale (e pensionistica) per le posizioni apicali della PA.

E’ costituzionale mettere un tetto o, almeno, ricomputare con un minimo di buon senso il passaggio da lire ad euro per chi era già in pensione dieci anni fa?
Non lo sappiamo.

Di sicuro, però, la questione non è irrilevante e c’è uno strumento che può darci un’idea indicativa delle cose: la ‘rivalutazione monetaria’, che obbedisce a parametri abbastanza precisi, come il ‘costo della vita’.

Rivalutazione monetaria 50mila lire annue 1964-2014

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 50.000 lire nel 1964

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 50.000 lire nel 1964

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 500.000 lire nel 1980

In due parole, mentre quanto contribuito a partire dalla fine degli Anni ’70 da un lavoratore ‘diplomato’ in realtà corrisponde ad una ragionevole quota contributiva odierna, i versamenti antecedenti al boom dell’inflazione della stessa tipologia di lavoratori non sono neanche lontanamente paragonabili (e sostenibili) alla rivalutazione ottenuta.

Anche per questo tanta parte delle nostre pensioni somiglia ad un assegno sociale.
Ma se almeno 3,9 milioni di pensionati (24%) ha versato due terzi della propria contribuzione prima del 1975 ed un numero pressochè equivalente entro il 1980 … qualcosa da ‘rivedere’ c’è, specialmente se dovesse trattarsi di pensioni superiori ai 1.500 euro mensili.
E soprattutto se il problema viene scaricato su chi doveva andare in pensione adesso, avendo contribuito a sufficienza, e su chi doveva iniziare a contribuire già dieci anni fa, ma, pur avendo ormai prole, non ha ancora un posto ‘fisso’, affossando dalle fondamenta le tutele previdenziali di un futuro ormai fattosi presente.

Il tutto mentre tanti nostri disabili vivono in una situazione di ampio non riconoscimento, ovvero di abbandono, come comprovano sia i dati tedeschi su previdenza e disabili, con sussidi e tutele riconosciuti al 10%  della popolazione totale e non ad un mero 6% come da noi, sia i dati italiani sul disastro dei malati cronici, con stime di oltre un milione di malati rari addirittura non afferenti a strutture.

Perchè raccontare tutto questo?
Perchè adesso sappiamo di quali pensioni da tagliare e di quali da estendere stiamo parlando.
Specialmente, se proprio nel giorno in cui l’Istat ha comunicato i presenti dati sulla spesa pensionistica nel 2012, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dichiara che “le pensioni non si toccano. Lo ha già detto il premier Renzi” …

Leggi INPS, un colossale e iniquo colabrodo

Leggi

originale postato su demata

INPS, un colossale e iniquo colabrodo

28 Gen

L’INPS è (ormai) una holding poco trasparente e deregolata che ha in mano i destini di oltre 40,7 milioni di utenti – di cui 23,4 milioni di lavoratori (l’82% della popolazione occupata in Italia) e 16 milioni di pensionati – oltre a mezzo milione di invalidi civili e altri 4,4 milioni di persone che ricevono prestazioni a sostegno del reddito (ammortizzatori sociali).

Allo stesso tempo,  l’INPS ha speso  296 miliardi di euro (2012) in prestazioni pensionistiche, con un budget complessivo di 315 mld che lo colloca nell’olimpo delle compagnie assicuratrici (ndr. gestisce il bilancio più grande d’Europa per quanto riguarda gli enti previdenziali) senza dover adempiere alle minime regole di concorrenza in quanto esiste ‘ope legis’.

Un Leviatano.
E che l’INPS non sia più un ‘ente benefico di Stato’ è dimostrato dagli almeno 150.000 esodati rimasti per strada, dagli assegni di invalidità infimi e risibili (ndr. meno di 300 euro mensili per ciechi e invalidi totali), dal fenomeno delle pensioni d’oro che perdurano scandalosamente da decenni.
Inoltre, è sotto gli occhi di tutti (da anni se non da sempre) che l’INPS non abbia un bilancio trasparente, come – ad esempio – è dimostrato dagli effetti di una norma che prevede che le strutture sanitarie che operano in convenzione possano scaricare su quanto devono all’INPS il credito che vantano verso le ASL, lasciando spazio a truffe miliardarie e creando un circolo vizioso di overflow della spesa sanitaria e di sfondamento dei bilanci previdenziali incompatibile con una gestione finanziaria ‘sana’.

Ma non solo. L’INPS sembra un colabrodo, ma non per chissà quale esagerata elargizione agli ‘utenti’ (pensioni d’oro eslcuse), bensì per operazioni di maquillage finanziario che lo Stato e il MEF hanno messo in atto nel corso degli anni.

Ad esempio, nel 2011, l’INPS ha assorbito l’INPDAP che aveva accumulato un disavanzo di 31 miliardi a causa di «una norma maligna del 2007 che ha trasformato in anticipazioni di Tesoreria, e quindi in debiti dell’ente verso lo Stato, gli iniziali trasferimenti (e quindi crediti dell’Inpdap verso lo Stato) stanziati dalla legge Dini del 1995 a copertura dello stock delle pensioni degli statali, quando venne istituita la loro Cassa». (Giuliano Cazzola, responsabile Welfare di Scelta civica, membro del collegio dei sindaci Inpdap tra il 1994 e il 2002 e del collegio dei sindaci Inps dal 2002 al 2007)
E sempre l’INPDAP – tra il 2008 e il 2010 – ha assorbito gli enti previdenziali del comprarto ‘dirigenza’, assorbendo anche i circa 4 miliardi di debito accumulato e garantendo il prosieguo di pensioni, evidentemente, sovradimensionate.

E’ evidente che la responsabilità ‘a posteriori’ ricada anche e soprattutto sui vertici dell’istituto, che avrebbero dovuto opporsi ad un tale obbrobio. Specialmente, se l’INPS con i propri dati avesse alimentato una ‘caccia all’untore’ in direzione inversa, ovvero additando ‘gli utenti’ come causa del dissesto e non i ‘potenti’. Annotiamo l’ampio aiuto fornito dai media (salvo Sole24Ore e Fatto Quotidiano) ad un’opera di disinformazione capillare.

Da alcuni anni, l’INPS – con una mera circolare – ha stabilito forti limitazioni della libertà personale (residenza) per chi assiste parenti anziani o malati e, nonostante le diverse sentenze avverse, non ha particolarmente mutato le proprie pretese.
Sempre a mezzo circolare l’INPS ha determinato che i benefit per gli scivoli pensionistici sono computabili solo in base al tempo in cui l’INPS stessa (sic!) attribuisce l’80% di invalidità e non da quando la malattia si è manifestata.
Per non parlare della ‘burla agli utenti’ in cui si denomina ‘pensione anticipata’ la possibilità di lasciare il lavoro dopo ‘soli’ 42 anni e tre mesi. Chiunque conosca gli ‘orrendi’ sistemi previdenziali privatistici della Mitteleuropa o degli USA sa che la non negoziabilità dell’esodo è un abuso e che con le regole italiane si trasforma il mondo del lavoro in un gerontocomio …
.
Dunque, la questione non è Mastropasqua, ma l’INPS ed il sistema previdenziale e assistenziale italiano, che de facto risalgono ad un modello – all’avanguardia nel 1933 e migliorato nel 1952 – che avrebbe dovuto rimanere nel proprio ambito, ovvero quello di un istituto di previdenza e assistenza rivolto alle fasce sociali indigenti o svantaggiate senza fagocitare il sistema di ‘casse’ afferenti ai diversi comparti di lavoro.
.
Poi, solo poi, c’è la questione Mastropasqua, ovvero la possibilità che un solo uomo diventi presidente dell’Inps, presidente o vicepresidente di Equitalia, Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud; dirigente di Italia Previdente, di Eur Spa, di Eur Tel, di Eur Congressi Roma, di Coni servizi Spa, di Autostrade per l’Italia, di Fandango, di Telecom Italia Media; consigliere di amministrazione di Quadrifoglio, di Telenergia, di Loquendo, di Aquadrome e presidente onorario di Mediterranean Nautilus Italy, di ADR Engineering, di Consel, di Groma, di EMSA Servizi, di Telecontact Center, di Idea Fimit SGR.
A seguire la questione del reddito – prevalentemente ‘pubblico’ – del dottor Mastropasqua e di tanti altri come lui.
.
Una questione che si chiama ‘spoil system all’amatriciana’ e ‘conflitto di interessi’ riguardo le quali non sono le aule giudiziarie a poter porre (ritardato) rimedio, ma deve farlo la Politica. Prima o poi, forse mai.
.
Intanto, che i Partiti inizino a chiedersi con quale coraggio – dinanzi alla mattanza dello scandalo INPS e della Sanità romana – continuiamo a tartassare gli esodati (ma non i cassaintegrati) o a lesinare la Quota 96 a chi, dopo una vita di lavoro, si ritrova  seriamente malato e invalido.
E inizino a chiedersi, i Politici, se la riforma Damiano delle pensioni sia risultata  insufficiente a causa di limiti propri o – anche e soprattutto – a causa delle operazioni finanziarie che lo Stato ha svolto dal 2007 ad oggi sul patrimonio previdenziale accumulato dai lavoratori.
.
A proposito … Elsa Fornero reclama che le hanno impedito di limitare il potere di Mastropasqua, ma ci spieghi lei perchè un ministro del Welfare abbia preferito colpire milioni di lavoratori, anziani e malati, anzichè batter cassa da Mario Monti, che deteneva il dicastero dell’Economia e delle Finanze.
.

originale postato su demata

La sfida della riforma elettorale

16 Dic

qualunquemente_01Riguardo le future elezioni politiche italiane, allo stato attuale dei consensi espressi, una sola cosa è certa: nessuna coalizione può credibilmente sperare di ottenere una maggioranza atta a governare.

Peggio se si votasse con il Mattarellum, meglio forse con altre soluzioni.

Con il Mattarellum, a parte la quasi impossibilità ‘tecnica’ a dotare il Senato di una maggioranza stabile, accadrebbe di ritrovarsi senza governo, in una corsa tra tre coalizioni (Sinistra, Destra, M5S), salvo ‘ampie quanto inconsistenti’ intese, che non potranno che replicare le dinamiche e tensioni di questo 2013.
Renzi ‘a sinistra’ come Bersani a rincorrere inutilmente Beppe Grillo? Primo partito il M5S, ma senza alleati (e i numeri) per governare? Renzi e Casini come oggi Letta e Alfano?

Con un sistema a ballotaggio, in teoria, si garantirebbe una maggioranza legittima e ‘bloccata’. Peccato che il ‘sindaco d’Italia’ non sembra la migliore soluzione dopo la fulminante ascesa di Matteo Renzi. Specialmente se al ballottaggio dovesse pesare l’atavica diffidenza degli italiani verso i ‘Giacobini’, non più ammantata di Berlusconismo.

Meglio riformare tutto, se ve ne saranno il tempo e le buone intenzioni.

Intanto, con il “2 x mille” i partiti si raddoppiano la ‘cassa’, mentre si attende – ripresa o non ripresa – il partito che metta in programma un taglio della spesa della Pubblica Amministrazione per almeno 100 miliardi annui e che solo quest’anno è cresciuta di quasi sessanta.

originale postato su demata

Due per mille: ancora più soldi ai partiti

16 Dic

Il-gatto-e-la-volpe-guerra-geopoliticaNel 2013, l’8 per mille è consistito in 1,033 miliardi di euro e, di conseguenza, il 2 per mille da destinarsi ai partiti dovrebbe equivalere a circa 250 milioni.

La legge 96 del 6 luglio 2012 aveva ridotto a 91 milioni di euro l’ammontare del finanziamento pubblico, rispetto agli 182 milioni previsti.
Somme confermate dai 2,3 miliardi di euro incassati dalla ‘partitocrazia’ dal 1994 al 2012  – come denunciano da due generazioni di Radicali – a fronte di soli 580 milioni di euro di spese elettorali documentate.

Dunque, con l’introduzione del 2 per mille, i partiti riceveranno molto di più di quanto abbiano ricevuto finora per rimborsi e contributi elettorali.

originale postato su demata