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Napolitano lascia: i nomi dei papabili

1 Gen

Giorgio Napolitano lascia e le Camere riunite – le stesse che fallarono nel gennaio 2013 – dovranno eleggere un nuovo Presidente per l’Italia.

Per ccapire come andranno le cose e non farsi attrarre da ipotesi desuete, va innanzitutto precisato che, allo stato attuale, i Gruppi Parlamentari sono così divisi:

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Dunque, se l’obiettivo è superare la soglia dei 504 voti, le alleanze che potranno credibilmente sostenere un candidato sono le seguenti, con i colori dal rosso al verde che evidenziano quali candidature potrebbero essere indebolite da più o meno rilevanti fazioni, resistenze e defezioni interne dei partiti, in particolare nel PD.

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In parole povere, se il candidato stesse bene ad Alfano & co. ci sarebbero buone possibilità di essere eletto, mentre, se il Centro Destra fosse fuori dai giochi, PD e alleati dovrebbero essere assolutamente compatti, anzichè -come da tradizione – dibattersi tra mille anime e una dozzina di nomi per convergere su quello solitamente più sgradito alla restante parte degli italiani.

Detto questo, ci sono i nomi dei potenziali candidati, a seconda che del buon senso o dello spirito di fazione che ispirano chi li propone.
Alcuni sarebbero ‘impossibili’ in un paese normale per limiti di età o per conflitti di interessi – se non scandali in famiglia – come anche l’aver mai commesso gravi errori politici o emanato norme inique. Altri, invece, potrebbero avere le carte in regola e vedremo quali.

I FEDELI ALLA LINEA

Walter Veltroni, il sindaco che lasciò Roma con miliardi di debiti, migliaia di interventi manutentivi inevasi come di operatori dei servizi esternalizzati poi rimasti disoccupati, milioni di multe poi demandate ad Equitalia, decine e decine di norme o regolamenti nazionali ed europei inevasi … più qualche cooperativa e qualche okkupazione di troppo.

Romano Prodi, lo smantellatore dell’industria manifatturiera (IRI) che oggi rimpiangiamo e l’inventore della Cassa integrazione (Maserati) che oggi malediciamo, l’economista che  – tra il 2007 e il 2008 quando era al governo – incrementò ulteriormente la spesa pubblica narrando di un ‘tesoretto’ che ‘deficit’ era, il politico del ‘si può fare’, dell’Eurozona delle banche e della Costituzione europea che nessuno ha adottato, il premier che pretese la spedizione militare italiana in Libano

Giuliano Amato, ex  sottosegretario alla Presidenza del consiglio nei due governi Craxi I e Craxi II, ex presidente del Consiglio, che approvò, l’11 luglio 1992, un decreto legge da 30.000 miliardi di lire (retroattivo al 9 luglio) per il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari degli italiani, ex  ministro dell’Interno ha impartì per primo a tutti i prefetti e sindaci italiani la disposizione di non trascrivere i matrimoni gay celebrati all’estero, perché considerati contrari all’ordine pubblico, autore della riforma delle pensioni del 1992 che salvaguardò le pensioni d’oro, escluse i nati prima del 1950 dall’introduzione del regime contributivo, dimenticò milioni di invalidi

Piero Fassino, nipote di uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano, figlio del comandante della 41ª brigata partigiana Garibaldi, laureatosi a 49 anni in Scienze Politiche, del quale il 31 dicembre 2005 il Giornale pubblicava stralci di un’intercettazione telefonica – illegittima perchè coperta da segreto – in cui Fassino chiedeva a Giovanni Consorte, manager della Unipol e all’epoca coinvolto nello scandalo di Bancopoli: «E allora siamo padroni di una banca?»

Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte ed una vita nel PCI, stop. In un Partito Democratico che vola basso, la pertinacia è la prima dote necessaria a Torino, ma a Roma … non basta..

Graziano Del Rio, medico endocrinologo, cattolico praticante, nove figli, dal 2013 ai vertici dei governi Letta e Renzi, ex  consigliere regionale dell’Emilia-Romagna ed ex sindaco di Reggio Emilia (la patria della famiglia Prodi) eletto al primo turno con il 63,2% dei voti, ex presidente dell’Associazione dei Comuni. Potrebbe risultare l’esponente giusto per la ‘provincia profonda’ italiana largamente rappresentata in Parlamento.

GLI IMPROBABILI

Pier Carlo Padoan, ex direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale, ex vice segretario generale ed ex capo economista dell’OCSE, poco carismatico Ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Renzi. Rappresenterebbe una regressione del Paese all’esperienza della Presidenza Ciampi

Piero Grasso, presidente del Senato, ex magistrato, noto anche per le sue controverse frasi verso i magistrati antimafia Caselli, Falcone e Borsellino e Anna Finocchiaro, anche lei magistrato, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, il cui marito, Melchiorre Fidelbo, è stato rinviato a giudizio nel processo per l’affidamento senza gara dell’appalto per l’informatizzazione del Presidio territoriale di assistenza (Pta) di Giarre. Nel processo è stato coinvolto anche il  senatore PD Antonio Scavone, nominato – mesi fa – dal presidente del Senato Pietro Grasso come componente della commissione di vigilanza Rai, azienda partecipata dallo Stato, pur essendo rinviato a giudizio con l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato e abuso d’ufficio. Difficile che uno dei due pervenga ad una carica che gli faccia anche presiedere il CSM.

Pierferdinando Casini, ex presidente della Camera e attuale presidente della Commissione esteri del Senato, marito della ricchissima Azzurra Caltagirone, ex strenuo sostenitore di Mario Monti ed Elsa Fornero. Eterno ‘piano B’ del Centrismo italiano.

Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, ex governatore di Banca d’Italia, ex consulente di Goldman Sachs. L’unico che in questi ultimi dieci anni ha dimostrato di amare l’Italia e saper tenere la barra al centro, pecccato sia altrove impegnato.

I PAPABILI

Luigi Zanda, ex Margherita, capogruppo del Pd a Palazzo Madama, ex consigliere di amministrazione del gruppo editoriale L’Espresso con Eugenio Scalfari, ex segretario-portavoce di Francesco Cossiga al Ministero dell’Interno (1976-1978), ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per gli interventi di riequilibrio ambientale e di difesa di Venezia e della sua laguna, ex presidente di Lottomatica, ex presidente ed amministratore delegato dell’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo del 2000, ex Consigliere di amministrazione della RAI. Mai coivolto in scandali

Marta Cartabia (14 maggio 1963), autorevole docente e costituzionalista italiana, giudice costituzionale dal 2011. Esperta di diritto europeo, forse l’unica che potrebbe portare l’Italia alle riforme dell’infrastruttura normativa e della giustizia evitando lacci e lacciuoli

Dario Franceschini, ex Margherita, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, figlio di un partigiano cattolico poi deputato per la Democrazia Cristiana , è in politica dall’età di 16 anni. Una faccia pulita che potrebbe risultare gradita a gran parte dei partiti

Paolo Gentiloni, neoministro degli Affari Esteri, discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, ex direttore del mensile “La Nuova ecologia”, ex portavoce del sindaco di Roma Francesco Rutelli ed antagonista di Ignazio Marino alle scorse Primarie romane. Il volto dell’Italia che attende di cambiare da venti anni e passa

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Senato: la minoranza promette battaglia … agli italiani

1 Ott

Oggi, su La7, Cesare Damiano ha chiarito che “non credo che una situazione di tal genere possa essere recuperata con i palliativi”; “dipende molto da quello che offre l’Italia in termini di risorse e di ripresa … quello he conta è che si pone un problema di credibilità del Paese e di lanciare un paino di riforme” aggiungeva Irene Tinagni.

Sono trascorsi quattro anni da quando Mario Monti promise all’Europa un piano di rientro in quattro e quattr’otto, rifiutandosi di fare una Patrimonale, bloccando il Welfare e, in pratica, raddoppiando le tasse.
E son trascorsi quattro anni da quando si iniziò – questo blog tra i primi – a paventare la recessione, la stagnazione e la deflazione che ne vennero.

Intanto, mentre stanno per arrivare le prime sanzioni UE per infrazione del deficit, sentiamo ancora in televisione ‘autorevoli esperti’ che ci raccontano che si tratta di una ‘fase’ … mentre lo scenario è fosco.

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L’economia reale, però, racconta tutt’altro:

  • la disoccupazione e la povertà sono in aumento da cinque anni e – in un paio d’anni – avremo ‘bruciato’ la generazione degli attuali ventenni
  • la spesa pubblica è ancora in crescita e i turn over pubblici restano bloccati per almeno altri cinque anni, grazie alle norme di Elsa Fornero sulle pensioni e al MEF che non vuole ripristinare il buco da 45 miliardi che creò nell’ex Inpdap
  • l’Istat che annuncia nel 2012 come iniquamente stiamo trattenendo al lavoro – pur con 30 e passa anni di contribuzione – centinaia di migliaia di lavoratori senior (over55) che sono in ‘condizioni di salute non buone’ mentre gli invalidi che risultano all’Inps sono praticamente la metà (in media) di quelli che Francia o Germania riconoscono e mentre i nostri media scatenano selvagge campagne contro i ‘falsi invalidi’, ovvero i soliti tot truffatori del sistema previdenziale che esistono dovunque. Intanto, almeno due milioni – tanti sarebbero in base alle medie UE – di disabili ‘sommersi’ attendono …
  • il valore delle case degli italiani è crollato di 500 miliardi di euro in pochi anni e c’è chi ha visto l’unico proprio investimento (il ‘mattone’) anche del 40%
  • lo sbilanciamento commerciale e tecnologico con la Germania è tale che – ad esempio – una Opel GTC usata del 2008 oggi vale quasi il 10% in più rispetto ad un paio di anni fa, mentre una Opel Corsa nuova costa quasi il 30% in più di una Seat Ibiza o di una Fiat Punto, mentre anni fa erano nella stessa fascia di prezzo
  • ogni anno in Italia si diploma il 21% dei diciottenni, mentre in Polonia i laureati sono al 43% ed entro sette anni in tutta Europa (eccetto che da noi) sarà così, come in tutta Europa (eccetto che da noi) le scuole sono linde, ben organizzate e soprattutto finanziate
  • solo per i TFR teniamo bloccati almeno 25 miliardi di euro per dare liquidità alle imprese, mentre potrebbero /dovrebbero andare in busta paga ai lavoratori, ovvero genererebbero consumi, ma non possono essere toccati perchè i sindacati dell’industria li hanno fatti reinvestire in fondi vari
  • la sovraspesa ‘fiscale’ per gas e luce che le famiglie povere devono affrontare equivale a meno della metà del bonus energetico che gli offriamo, serve in discreta parte per finanziare il fotovoltaico e a causa di questi ‘balzelli’ – rispetto ad un britannico – gli vengono sottratti almeno un mese di consumi alimentari

D’altra parte siamo il Paese di Pinocchio, che ammazza a scarpate chi potrebbe insegnargli qualcosa, che si affida al duopolio del Gatto e della Volpe per rimediare fregature a giorni alterni, ove l’umiltà e la pazienza di Geppetto si antepongono al giusto esercizio dei propri diritti, dove le istituzioni giudicano distrattamente e curano ancor peggio e dove – puntualmente – c’è qualcuno che promette il Paese del Bengodi a dei ciuchini ignoranti pronti a seguirlo … e dove l’unica brava persona (oltre alla Madonna – Fata Turchina) è quel Mangiafuoco circense apolide e burattinaio di professione …

Acclarato il perchè NON si studia Collodi (Carlo Lorenzini, 24 novembre 1826 – 26 ottobre 1890) nelle scuole superiori, mentre Pinocchio è forse il primo ‘personaggio italiano’ nel mondo, sarebbe bello capire chi sono gli elettori che si sentono rappresentati dalla minoranza del PD che ha creato e vuol mantenere il ‘declino italiano’, rallentando da oltre un anno gli interventi che erano urgenti già 5 anni fa.

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F35, un flop annunciato: miliardi sprecati mentre si tagliavano pensioni e welfare

4 Lug

Era il 3 gennaio 2012 quando questo blog spiegava (link) perchè gli F35 erano un flop annunciato e perchè si ‘dovevano’ fare.

Tutta la storia inizia nel 1996, quando gli USA (e la NATO) avviarono il progetto di un caccia a lungo raggio con complete caratteristiche Stealth, tra cui la capacità di trasportare l’armamento in stive interne e sistemi elettronici capaci di inibire la difesa a terra: un nuovo velivolo “invisibile” da usare nella fase del “first strike”, quando le difese nemiche sono complete ed attive.
Nel 2001, il progetto Lockheed X-35 fu dichiarato vincitore e veniva avviato il programma definitivo con la sigla F-35 JSF (Joint Strike Fighter), con un costo di produzione per ciascun esemplare inizialmente valutato intorno ai 40 milioni di dollari.

Inizialmente, era prevista una produzione di circa 3.000 velivoli per USAF/US Navy/USMC e di altri 2.000 per i vari partner internazionali (fonte http://www.aereimilitari.org) tra cui l’Italia che doveva partecipare come “partner di secondo livello”, allestendo una linea di costruzione e assemblaggio, da cui sarebbe uscita buona parte degli F-35 destinati all’Europa e ad altre nazioni, come Turchia ed Israele, tra cui solo venti F35 destinati all’Italia.

Un piatto ricco e, così, accade che il 28 maggio 2007, presso il ministero della Difesa a Roma, con l’incontro tra il presidente della Provincia di Novara, Sergio Vedovato, e il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri, per determinare l’insediamento presso l’aeroporto militare di Cameri (NO) della linea di assemblaggio degli aerei F35 Joint Strike Fighter.

C’era il Governo Prodi, con i piemontesi Damiano, Livia Turco, Bertinotti e Ferrero ai massimi vertici del potere, e, dunque, non c’è davvero da chiedersi perchè andò a Novara quel progetto industriale in cui si investì un milione di euro di denari pubblici, poi lievitati, sembra, ad oltre cinque.
Una marea di soldi e di lavoro che deve andare a beneficare l’indotto piemontese, azzerato dalla crisi dell’auto e del tessile. Non a caso, Maria Luisa Crespi, il sindaco di Cameri, dichiarò «grazie all’iniziativa della Provincia, da oggi saremo in grado di dare risposte ai nostri cittadini» e, come confermò il sindaco di Bellinzago, Mariella Bovio, «sono importanti le garanzie occupazionali per un territorio come il nostro che vive una grave crisi nel settore tessile».

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I primi dubbi sul’aereo e sugli investimenti si palesarono nel 2009, quando i costi da 40 iniziali erano schizzati prima a 62 e poi oltre i 100 milioni di dollari di media per aereo.
Come riportato da Stato-Oggi, “il raddoppio dei costi, dagli originari 65 milioni di dollari ad esemplare, ha indotto alla prudenza il governo italiano” e “il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al salone aerospaziale di Farnborough, riferendosi al programma, ha aggiunto: “Siamo molto cauti, stiamo verificando”.

Cautela massima, se, agli inizi del 2011, il Washingon Post annunciava la necessità di ricapitalizzare del 20% (10 miliardi di dollari) sperimentazione e progettazione, di cui la metà “resasi necessaria per alleggerire l’aereo, dato che volare a pieno carico inficia le performance chiave del velivolo“. Per non parlare, sempre agli inizi del 2011, della conferenza stampa  tenuta dal segretario alla Difesa americano, Robert Gates, che precisava che, “se non riusciremo a mettere a posto questa variante (ndr. la versione a decollo corto e atterraggio verticale – STOVL) in questo arco di tempo e rimetterla in carreggiata in termini di prestazioni, costi e tempi, allora credo che dovrebbe essere cancellata.”

Infatti, le commesse per la fabbrica di Novara vennero progressivamente ritirate, prima quella dei 85 F-35A per la Koninklijke Luchtmacht olandese, poi si defilarono la Flyvevåbnet danese e la la Kongelige Norske Luftforsvaret norvegese,  poi addio a 116 F-35A per la Türk Hava Kuvvetleri ed a 150 F35B per la Royal Air Force britannica che preferì optare per gli F-35C con decollo a catapulta modificando le proprie portaerei.
Intanto, il governo Berlusconi non dava il placet per la sessantina di F35 previsti oltre la prima trance di 22 F-35B per l’Aviazione Navale italiana, già ordinati, e aveva tagliato una commessa di 2 miliardi di Euro per 25 Eurofighter (Aeritalia/Finmeccanica), azzerandone la terza trance.

Subito dopo, per altre congiunture, lo spread dei titoli di Stato salì a dismisura, la colpa venne addebitata al governo in carica e subito dopo Mario Monti – che aveva tagliato qualunque spesa pubblica e anche un tot di aspettativa in vita di qualcuno – trovò decine e decine di milardi per avviare le trance in sospeso degli  F35 per l’Aereonautica Militare e aggiungerne anche una quarantina in più, visto che i costi industriali a Novara sarebbero esplosi senza le commesse nordeuropee.

Fu così che da 22 caccia per la Marina arrivammo ad un programma di aerei da combattimento che trasformava l’Italia nella terza potenza NATO per quanto relativo i caccia d’attacco con copertura Stealth ed il quinto paese del mondo (dopo USA, Gran Bretagna, Russia ed Israele)  per capacità di “first strike”, mentre la Cina Popolare aveva davanti a se almeno altri 15-20 anni dal creare un’aviazione militare temibile.

”Joint Strike Fighter e’ il miglior velivolo areo-tattico in via di sviluppo. Un areo di avanzata tecnologia che e’ nei programmi di ben dieci Paesi. E’ una scelta che permette di ridurre da tre a una le linee aero-tattiche. Consentira’ una straordinaria semplificazione operativa dello strumento militare”. (Ministro della Difesa Amm. Di Paola – fonte Vita.it 28-02-2012)

Una scommessa risicata basata sulla capacità dei progettisti di pervenire ad un aereo affidabile ed efficace, dopo che, non appena realizzato il prototipo industriale nel 2009, ci si era resi conto che qualcosa era andato storto nel concept stesso del velivolo.

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Intanto, mentre in Italia la grande stampa eludeva la querelle, ma saggiamente qualcuno iniziava a sospendere le commesse, il Washington Post raccontava di diversi incidenti tra cui quello di una perdita d’olio in volo, fino al grave incidente dei giorni scorsi, con un aereo che ha preso fuoco e perso pezzi  durante il decollo dalla base di Eglin, in Florida, e il Pentagono che mette a terra tutti gli F-35.

 

E siccome al peggio non c’è mai fine vale la pena di chiarire qualcosa sulle commesse che Mario Monti volle a tutti costi con miliardi che ci avrebbero permesso di pensionare e rilanciare l’occupazione.

L’Italia ha in programma di acquistare fino a 60 esemplari del modello A a decollo da terra e 30 del modello B a decollo verticale, per la portaerei Cavour (fonte La Repubblica), visto che il Trattato di Armistizio – quello della II Guerra Mondiale – ancora oggi non ci consente di avere portaerei a catapulta.

Il ‘peggio’ è che la variante F-35B, quella a decollo verticale, fino all’anno scorso non c’era, non funzionavano i prototipi. Il primo test di decollo con successo è stato effettuato solo il 10 maggio del 2013 al NAS Patuxent River, nel Maryland.

Ebbene, quando nel 2011 e 2012 le Leggi finanziarie andarono a prevedere assegnazioni di miliardi per gli F35-B, i prototipi di quei velivoli neanche si alzavano da terra, pardòn dalla tolda.
Soldi spesi o tenuti fermi  mentre, in nome della lotta agli sprechi, un premier non eletto – Mario Monti – negava spietatamente diritti assistenziali e previdenziali a persone anziane e malate.

Sprechi.

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Si fosse pervenuti ad un investimento teconologico e occupazionale, parleremmo dei danni collaterali della ristrutturazione del capitale – e passi pure – ma non si può transigere su chi ha sprecato denari e angariato i deboli per un aereo che non ci sarà e uno stabilimento di Cameri che rischia di andare in cassa integrazione prima ancora di aver avviato per intero la linea di produzione.

Forse è per questo motivo che i nostri media hanno finora evitato di parlare del flop F35: sarebbero la prova conclusiva di un fallimento generale delle politiche attuate da Mario Monti, oltre che un ulteriore lato oscuro su come si sia pervenuti alla sua nomina a senatore a vita prima e a premier dopo.

Se i soldi impegnati per un aereo che non c’è – frutto della reverenza di Mario Monti verso ‘certa sinistra elettoralmente utile’ e del tutto scollegati sia dal salvataggio delle banche sia dalla questione Finmeccanica – fossero stati destinati al turn over generazionale e alle imprese, avremmo avuto la dura recessione italiana, il crollo del PIL e lo sbilanciamento dell’Eurozona?

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Lavoratori precoci: arriva lo sblocco definitivo?

10 Giu

Per lavoratore precoce si intende generalmente chi abbia corrisposto contributi previdenziali per almeno un anno prima del compimento del diciannovesimo.

Sostanzialmente, abbiamo tre grandi categorie: coloro che hanno iniziato presto per poca disposizione allo studio e hanno svolto lavori pesanti e umili, quelli che lo hanno fatto per problemi familiari e spesso sono riusciti a divenire quadri, quelli, infine, che precoci negli studi erano all’università a 17 anni e hanno trovato lavoro immediatamente.

Essendo una categoria da tutelare, persino la riforma Fornero ha dovuto tenerne conto, stabilendo che  l’obbligo di pensione a 62 anni non si applicherà per questi lavoratori fino al 31 dicembre 2017, onde evitare l’incostituzionalità manifesta tenuto conto che dopo il 40esimo anno di lavoro stipendi e pensioni non crescono più.
Per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni d’età per altri tre anni varrà solo il requisito di 40 anni contributivi e non quello dell’età, con pensione decurtata dell’1% se hanno 61 anni, del 2% se intendono andare in pensione a 60 anni, del 4% a 59, del 6% a 58, dell’8% a 57, del 10% a 56 anni).

Tutto bene? No.

Purtroppo, oltre a passare la patata bollente al governo a seguire ‘entro il 2016’, l’azione di Monti, Fornero e Mastapasqua ha  partorito la solita incongrua corsa ad ostacoli con ‘effetto tappo’ per gli italiani e per l’economia.

Infatti, ci sono voluti due anni e una legge (L.125/2013) per chiarire che ai benefici sono ammessi solo i periodi derivanti “da sola contribuzione effettiva da lavoro e da contribuzione figurativa derivanti da astensione obbligatoria per maternita’, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia, per cassa integrazione guadagni ordinaria, per donazione di sangue e di emocomponenti (legge n. 219/05), per congedi parentali di maternita’ e paternita’ (Dlgs. 151/2001) nonche’ per congedi e permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Rientrano, inoltre, nella valutazione: i periodi assicurativi derivanti da riscatto, secondo l’articolo 13 della legge 1338/1962 (contribuzione omessa e colpita dalla prescrizione): a)i periodi di effettiva contribuzione derivanti da totalizzazione estera; b) il congedo matrimoniale; c) le ferie; d) permessi retribuiti; e) i congedi e permessi per handicap (articolo 33 della legge 104/1992).

Non rilevano invece ai fini dell’esclusione delle penalità i periodi di cassa integrazione straordinaria e di mobilità, la maggiorazione da amianto, i contributi volontari, quelli per il riscatto del corso legale di laurea e i contributi figurativi per disoccupazione indennizzata.” (fonte Pensioni Oggi)

Una soluzione talmente iniqua, ma soprattutto traballante, che l’Inps, pur fornendo di solito informazioni chiare e ben raccolte, non riesce ad andare oltre le tre righe striminzite : “nel 2004 e nel 2005, l’età richiesta è di 56 anni per gli operai e i cosiddetti “precoci”, coloro cioè che possono vantare almeno un anno di contribuzione derivante da attività lavorativa prima del compimento del 19° anno di età. In alternativa, questi lavoratori possono ottenere la pensione di anzianità con 38 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età.”
Tutto qui.
Infatti, in un regime contributivo, non dovrebbe esserci motivo legittimo per escludere chi abbia versato, per ricongiugersi, dei contributi volontari o figurativi per disoccupazione indennizzata, come quelli (solitamente esosi) per il riscatto del corso legale di laurea.
Come anche, il Welfare e l’Inps dovrebbero trovare una soluzione allo strumento della cassa integrazione che è tutt’oggi in uso e non determina contributi, seppur figurativi, come l’indennità di disoccupazione.
Si parla di turn over e di equità, ma soprattutto di legittimità dato che i contributi furono versati.
Ecco qualcosa su cui il governo Renzi potrebbe subito mettere a posto le cose: i precoci, tutti, vanno a casa per anzianità contributiva, non anagrafica.

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Cinque Stelle sulle pensioni: un ingenuo copia&incolla di idee

4 Giu

La proposta sulle pensioni delle 5S è poco conosciuta, ma merita davvero qualche approfondimento.

Deve esserci un (1.000 euro?) e un tetto massimo per tutti gli altri e nessun innalzamento dell’età pensionabile. In pensione si può andare a 60 anni, non possono esistere in questo momento diritti acquisiti.  Mettiamo un tetto massimo pensionistico a ogni italiano, ad esempio 2.500 euro, vietiamo il cumulo di pensioni,  diamo a ogni pensionato una pensione commisurata a quello che ha realmente versato. (da La posizione del M5S sulle Pensioni)

Iniziamo col dire che dare al pensionato in proporzione a quanto ha realmente versato è antitetico sia all’idea di ‘tetto’ sia a quella di ‘minimo’, se parliamo di pensioni.
Come anche è in relazione agli stipendi, caso mai, e per la rivalutazione nel tempo che si impongono tetti, non sulle rendite di quanto versato.

La questione viene posta, più in esteso, sul post di Beppe Grillo ‘In pensione a 70 anni‘, con alcuni passaggi emblematici.

o-GRILLONOMICS-BEPPE-GRILLO-PENSIONI-570Ma se una persona versa 1800 euro annui su uno stipendio da 19.000 per avere dopo quarant’anni 1.200 euro di pensione, quanto dovremmo rendere nello stesso tempo e con la stessa proporzione per chi versa 7.500 con uno stipendio da 50.000? Non meno di 3.000, figuriamoci i medici e i dirigenti amministrativi o gli universitari che vanno per i centomila.

Inoltre, sussiste un errore di fondo: l’ex Inpdap (pensioni dipendenti statali) non era insostenibile, anzi, le sue entrate erano sufficienti se non abbondanti, visto che con la Riforma degli Anni 90, si passò da una vita lavorativa media di 27 annu a 40 come tutti.
Piuttosto, non si comprende perchè le 5S e i Sindacati non si sollevino per il buco di decine di miliardi è causato – così sembra – da mancati versamenti datoriali, da anticipazioni alla Sanità, da assorbimenti di casse dirigenziali in rosso.

 o-BEPPE-GRILLO-PROPOSTA-SHOCK-570In pratica, si chiede di riportare l’Inps alla sua funzione originaria di Previdenza Sociale, sottointendendo il ritorno alle Casse previdenziali di comparto. All’Inps competerebbe anche il reddito di cittadinanza, per anziani non pensionabili e per chi in età da lavoro.
Perfetto.
Prima delle 5S c’ erano, però, vari esperti di settore e blogger a scriverlo, da anni.

Perchè non far riferimento agli ‘originali’, autoattribuendosi il carisma dell’Innovatore, invece che portare avanti un discorso rabberciato come quello di Giulia Sarti, deputata del M5s, che raccontava di 5.000 euro per tutti (link) e ha scatenato l’ilarità della Rete?

Forse perchè ci sono da spiegare due ‘amare questioni’, che i blogger e gli  esperti segnalano, ma Grillo e le sue 5S no:

  • In primis, quale privatizzazione delle Casse di comparto può essere possibile se lo Stato non provvede a ‘restituire’ all’ex Inpdap tra i 35 e i 50 miliardi per coprire il buco che ha creato?
  • Last but not least, riportando a contributivo coloro che hanno versato, per gran parte o toto, prima del 1980, le pensioni che ne vengono diventerebbero inferiori o prossime alla minima per gran parte degli ultrasettantenni.

Ci vuole, dunque, una patrimoniale – per sbloccare le pensioni e il turn over e per far ripartire le infrastrutture alleggerendo il debito.
Ma la patrimoniale a Beppe non piace, forse perchè lui – ma non noi – dichiarava nel 2005 un reddito di ‘soli’ 4.272.591 euro, ma da quando è in politica – guarda caso – è diventato zero.
Anche se dichiara di possedere Porsche, Chevrolet Blazer, Maserati, Ferrari, più un piccolo impero immobiliare e un bel tot di attività con il fratello. Anche se il suo blog è valutato tra i 25 più influenti del globo e frutta talmente tanto che nel 2006, Beppe dichiarava entrate reddituali per 69.784 dalla Casaleggio associati, l’agenzia che gestisce il suo blog.

L’impressione che ne viene fuori, dalle proposte di Beppe Grillo e le 5S, è quella di un discreto, ma dilettantesco patchwork delle migliori idee che altri hanno pubblicato in Rete.
Su questo blog – ad esempio, ma non è il solo – si parla dal 2007 di prepensionamenti e turn over pubblico, di ripristino delle originarie funzioni dell’Inps e  delle Casse (privatizzazione assicurativa), di denuncia delle pensioni d’oro e della voragine Inpdap, eccetera.

Quanto alle soluzioni, mi dispiace per le 5S, ma è difficile che quelle non sconvenienti per un ricco multimilionario coincidano – quando c’è da mettere mano al portafogli – con quelle di ha poco e nulla o campa di stipendio.

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Esodati e invalidi: perchè la Fornero-Monti è incostituzionale. Perchè Renzi deve riformarla con urgenza?

3 Giu

Mancato intervento sulle ‘pensioni d’oro, a fronte di uno sbilanciamento dei ‘computi Inps’ in sede di riforme contributive degli Anni ’90, di adeguamento all’Euro dei contributi pre-1980.
Art. 2 – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Norme sugli esodati a fronte di dati oggettivi che dimostravano l’impossibilità di essere riassorbiti dal mercato del lavoro.
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Norme sul lavoro senza consultazione, di cui i singoli lavoratori ne accettano le modalità fissate tra associazioni datoriali e sindacali tramite un mero contratto individuale
Art. 24 – Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

Norme ministeriali penalizzanti per lavoratori senior esodati o licenziati, norme Inps (ministero delle infrastrutture) penalizzanti per invalidi e familiari dei portatori di handicap, a fronte del 30% di lavoratori over50 in ‘condizioni di salute non buone’ (dati Istat 2012)
Art. 97 -(Testo applicabile fino all’esercizio finanziario relativo all’anno 2013) – I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Art. 38 – Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

Non a caso, la riforma Fornero delle pensioni prevedeva (ndr. evocava …) come “Principi”:

  • a) equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;
  • b) flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;
  • c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

Parole rimaste del tutto vuote: nessuna “equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi”, niente clausole derogative per le categorie più deboli, a partire dagli invalidi. Zero flessibilità, zero semplificazione, zero armonizzazione ed economicità.

Nonostante la questione si trascini da anni, con centinaia di migliaia di anziani senza reddito e senza lavoro e con forse un milione di lavoratori senior in condizioni di salute ‘non buone’, la Corte Costuzionale è stata coinvolta solo sei mesi fa e per questioni inerenti la disparità procedurale tra regione e regione.
Non è una questione di ‘ostilità di casta’, visto che tra le pensioni d’oro ci sono anche quelle di tutti i soggetti che potrebbero intervenire. Il vero problema è che Mario Monti riuscè ad inserire in Costituzione che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”).
Il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione?
Demandate ai “pubblici uffici”: una questione di management e non di governance.
Per inciso, ecco uno dei risultati del Fiscal Compact ed ecco perchè serve un Senato con funzioni revisorie ‘rapide’ (e non legislative come oggi): la Corte Costituzionale va in stallo se le leggi ‘impeacciate’ assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico

Dunque, dovranno essere Matteo Renzi e il Parlamento a dover intervenire per gli esodati e per chi – spesso malato – non trova flessibilità pur avendo 35-40 anni di contribuzioni, per i disoccupati a 60 anni ma pensionabili a 67, per i giovani che non lavorano e per i meno giovani che non fanno mai carriera.
Specie se i ‘danni collaterali’ si estenderebbero almeno fino al 2017, se non si fa una correzione della ‘lotteria Inps’ ora, in sede di documento finanziario estivo.
Specialmente se basterebbe rivalutare le pensioni d’oro per quanto relativo il passaggio all’euro dei contributi pre-1980 e reintegrare il buco ex Inpdap di decine di miliardi, causato – così sembra – da mancati versamenti datoriali, da anticipazioni alla Sanità, da assobimenti di casse dirigenziali in rosso.

E’ un principio fondalmentale della Repubblica Italiana richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale: esattamente il contrario di quanto accaduto a esodati, licenziati, lavoratori seriamente malati e … pensionati d’oro.

L’unica cosa che serve all’Italia per ripartire dai giovani e meno giovani è porre nuove regole contrattuali e pensionistiche, funzionali all’economia e al lavoro, cioè sistemare i conti Inps, di cui a breve le inchieste dovrebbero depositare i primi dati e misfatti.
Un enorme piano triennale di prepensionamento per chi ha più di 60 anni o almeno 30 anni di contriuti e, invecchiando, ha sviluppato patologie disfunzionalizzanti. Oltre ad un tetto per le pensioni, che non possano almeno superare il reddito entry level di quella tipologia di lavoro, come spesso accade per le pensioni superiori ai 2000 euro lordi.

Servirebbe del conquibus. Una Patrimoniale?

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Ripresa: l’Italia arranca. Perchè?

16 Mag

Come volevasi dimostrare, l’Italia non s’è ripresa. Era facile prevederlo se i dati positivi enunciati dagli analisti si mantengono allo 0,1%, cioè ampiamente entro il margine di errore del metodo di calcolo.
E’ per questo che una parte degli analisti e dei politici si mostrano tranquilli ed è nella speranza di un ulteriore sbilanciamento che speculatori finanziari e opportunisti politici si agitano più del dovuto.

Quali le cause?

Al primo posto, c’è certamente la Politica, che non da alcuna garanzia essendo Matteo Renzi stretto tra Grillo e Berlusconi, due miliardari dello show business che guidano partiti con percentuali a due cifre.
Due ‘signor no’, che nell’ultimo anno sono riusciti almeno a raddoppiare l’iter di approvazione di leggi anche urgenti per motivi di lotta politica, se non ad personam.

All’estero se ne sono accorti, ma prima hanno fatto le nostre aziende sia delocalizzando sia perdendo mercati.

A pari merito con la Politica, abbiamo i Media che diffondono una debordante informazione pseudopolitica, fatta di notizie spot e di dibattiti, più tanta cronaca giudiziaria, ma raramente di approfondimenti e di indagini giornalistiche. Allo stesso tempo la RAI televisione ‘commerciale’ di Stato solo da qualche tempo si è resa conto di quali danni si arrechino al Paese – pur di fare share – andando avanti con i ‘comici’ a reti unificate per anni e anni.

Difficile legiferare in queste condizioni, con in Paese trasformato in un bar dello sport.

A stretto ridosso della Politica e dei Media, troviamo i Sindacati – in particolare quelli dei lavoratori publici – che in questi anni di crisi e sbandamento non hanno tirato fuori una proposta una da condividere. Anzi, si sono ben impegnati nel bloccare ogni innovazione nei contratti (il caso del Colosseo chiuso docet) e nel salvaguardare le insostenibili pensioni dei propri iscritti con esodati e giovani per strada.

Al di fuori del mattone (leggasi stadi di calcio) e delle speculazioni finanziarie (leggasi scandalo del fotovoltaico) chi mai verrebbe a metter soldi in un paese dove i sindacati sono così retrogradi?

E ben posizionata nel disastro c’è la nostra Capitale, che è lo specchio agli occhi del mondo. O, meglio, le nostre capitali, le nostre vetrine: la Milano ha l’Expo degli scandali e Napoli che pubblicizziamo con Gomorra, mentre Torino è nota per i NoTav e le nostalgie metalmeccaniche della Fiom.

Perchè mai dovrebbe andar bene il made in Italy se Roma è un suk dove si spara sempre più spesso, quando non è sede di ‘tensioni e scontri’ con strade dissestate e mezzi pubbblici traballanti?

Infine, solo alla fine, c’è la lentezza con cui i nostri anziani e giovani analisti stanno prendendo atto che è impossibile evitare il nodo del risanamento dell’ex Inpdap e della dismissione del settore prettamente assicurativo dell’Inps, come anche il nodo dei costi standard per sanità, istruzione e università è inderogabile, Fiscal Compact o meno che sia.
Non piace ai sindacati, che uscirebbero da tanti CdA di enti, e non piace a Roma che perderebbe lavoro e PIL a causa del decentramento e dei risparmi sulla spesa pubblica, non piace a chi si oppone al pareggio di bilancio che è dall’ex Inpdap che nei decenni sono usciti miliardi e miliardi per ‘risanare’ tante marachelle.

Come si esce da una stagnazione che più non è, visto che l’inflazione si sente e come ma la produttività cala? Non di certo risparmiando 10 milioni di compensi per i parlamentari o portando la leva fiscale al 44% o chissà dove per salvare le banche.

Dovremmo avviare gli Eurobond al più presto possibile, trasferendo all’Europa almeno metà dei nostri debiti, ed alleggerire drasticamente la spesa pubblica statale per sedi e personale, tanto – grazie ai sindacati del comparto – a gran parte di quello che arriva ai cittadini provvedono i servizi esternalizzati d’informatica, del sociale, di manutenzione, formazione tecnica e professionale, eccetera …

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Pensioni: i dati Istat e … le vergogne dell’Inps

3 Apr

Ieri, La Repubblica dava ‘finalmente’ risalto ai dati sulle pensioni italiane secondo l’Istat. Finalmente, perchè poteva farlo già due anni fa, in base ai dati del 2010 che erano sostanzialmente conformi a quelli recenti.

Pensioni: dati Istat per il 2010

 

Cosa raccontavano i dati?

Innanzitutto, che in Italia c’erano un paio di milioni di invalidi che se la passavano abbastanza male, visto che le ‘pensioni’ al di sotto dei 500 euro mensili riguardano prevalentemente loro. Persone bisognose che avrebbero diritto ad un ‘salario minimo’ e che vengono bistrattate in nome di quel 0,1% – od anche meno secondo i dati ufficiali dell’INPS – che i media chiamano ‘falsi invalidi’.
Due milioni di persone che si arrangiano con poche centinaia di euro e che non fanno notizia.

Altri sette milioni, praticamente la metà dei pensionati, viveva con un reddito netto inferiore ai 1.250 euro mensili, praticamente alle soglie di un ‘salario minimo’, ma evidentemente tanto è che ha versato e accantonato con un lavoro medio-basso.
Altri cinque milioni di italiani se la cavavano meglio, con pensioni che vanno dai 1250 ai 2500 mensili, e corrispondono più o meno esattaamente alle categorie che hanno versato notevoli oneri contributivi per via dei lavori e delle professioni svolte di livello medio-alto.

Infine, scopriamo che c’erano 776.609 italiani che vivono nel lusso, nonostante la Crisi, percependo pensioni di almeno 3.000 euro mensili, per le quali è abbastanza difficile supporre che siano stati versati gli stessi contributi che stanno versando le generazioni attualmente al lavoro.

I dati Istat 2012 – riportati ‘finalmente’ da La Repubblica, ma non ancora dal Corriere della Sera – confermano una situazione pressochè identica, se non ancor più grave visto che i neopensionati di quest’anno sono più anziani dei loro omologhi già a riposo, ma percepiranno pensioni più basse pur avendo versato per almeno 10 anni contributi in euro anzichè lire …

Dati Istat 2012 - Pensioni N.B. La spesa per pensioni di invalidità è di circa 11 mld annui, di cui tutta la fascia '< 500' e una piccola parte della fascia '500 - 1000'

Dati Istat 2012 – Pensioni
N.B. La spesa per pensioni di invalidità è di circa 11 mld annui, di cui tutta la fascia ‘< 500’ e una piccola parte della fascia ‘500 – 1000’

 

Dati Istat 2012 - Pensioni

Dati Istat 2012 – Pensioni

Cosa confermano i ‘nuovi’ dati Istat?

Che il sistema è squilibrato per diversi motivi:

  1. l’ampia presenza di pensionati – oltre la metà – che hanno versato  contributi esiziali in lire e che oggi – come da dieci anni – godono di pensioni rivaluate in euro;
  2. le due fasce pensionistiche apicali i cui benefit mensili – contribuiti in lire e percepiti in base all’ultima retribuzione, che superano addirittura i dorati vitalizi dei parlamentari;
  3. il costo sociale della ‘disabilità funzionale’ che dovrebbe essere la mission primaria dell’INPS e che viene scaricato sul mondo produttivo e sulle famiglie, visto che in Italia sono solo 3,5 i milioni di disabili in carico al sistema previdenziale, mentre in Germania sono ben otto milioni.
Fonte Messaggero Veneto - L'Espresso

Fonte Messaggero Veneto – L’Espresso

Le economie per l’INPS derivanti da un tetto per le pensioni apicali equivarrebbero all’intero importo speso per i disabili (circa 10 miliardi annui) e, se un tetto fosse stato applicato a partire dall’introduzione dell’Euro, l’Italia avrebbe potuto evitare la vergogna degli esodati e permettersi un sistema pensionistico ‘scalare’ dopo 35 anni di contribuzione, come in Germania, dove – è bene saperlo – ad opporsi sono stati proprio i senatori nominati tramite i Lander dai sindacati.
E, senza dimenticare i 30-35 miliardi di contributi dei lavoratori ex Inpdap ‘defluiti’ verso il sistema sanitario e il MEF senza ritorno, c’è (e c’era) da affrontare la questione di una rivalutazione un po’ più oculata delle pensioni in lire allorchè rivalutate in Euro, visto che l’aspettativa in vita mostra trend incrementali.

Non è un caso che da anni, sempre più spesso, qualche politico ci ricorda nei talk show che il vero problema non è nelle loro prebende, ma nella spesa di personale (e pensionistica) per le posizioni apicali della PA.

E’ costituzionale mettere un tetto o, almeno, ricomputare con un minimo di buon senso il passaggio da lire ad euro per chi era già in pensione dieci anni fa?
Non lo sappiamo.

Di sicuro, però, la questione non è irrilevante e c’è uno strumento che può darci un’idea indicativa delle cose: la ‘rivalutazione monetaria’, che obbedisce a parametri abbastanza precisi, come il ‘costo della vita’.

Rivalutazione monetaria 50mila lire annue 1964-2014

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 50.000 lire nel 1964

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 50.000 lire nel 1964

Rivalutazione monetaria al 2014 di versamenti annui di 500.000 lire nel 1980

In due parole, mentre quanto contribuito a partire dalla fine degli Anni ’70 da un lavoratore ‘diplomato’ in realtà corrisponde ad una ragionevole quota contributiva odierna, i versamenti antecedenti al boom dell’inflazione della stessa tipologia di lavoratori non sono neanche lontanamente paragonabili (e sostenibili) alla rivalutazione ottenuta.

Anche per questo tanta parte delle nostre pensioni somiglia ad un assegno sociale.
Ma se almeno 3,9 milioni di pensionati (24%) ha versato due terzi della propria contribuzione prima del 1975 ed un numero pressochè equivalente entro il 1980 … qualcosa da ‘rivedere’ c’è, specialmente se dovesse trattarsi di pensioni superiori ai 1.500 euro mensili.
E soprattutto se il problema viene scaricato su chi doveva andare in pensione adesso, avendo contribuito a sufficienza, e su chi doveva iniziare a contribuire già dieci anni fa, ma, pur avendo ormai prole, non ha ancora un posto ‘fisso’, affossando dalle fondamenta le tutele previdenziali di un futuro ormai fattosi presente.

Il tutto mentre tanti nostri disabili vivono in una situazione di ampio non riconoscimento, ovvero di abbandono, come comprovano sia i dati tedeschi su previdenza e disabili, con sussidi e tutele riconosciuti al 10%  della popolazione totale e non ad un mero 6% come da noi, sia i dati italiani sul disastro dei malati cronici, con stime di oltre un milione di malati rari addirittura non afferenti a strutture.

Perchè raccontare tutto questo?
Perchè adesso sappiamo di quali pensioni da tagliare e di quali da estendere stiamo parlando.
Specialmente, se proprio nel giorno in cui l’Istat ha comunicato i presenti dati sulla spesa pensionistica nel 2012, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dichiara che “le pensioni non si toccano. Lo ha già detto il premier Renzi” …

Leggi INPS, un colossale e iniquo colabrodo

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Porcellum incostituzionale. Quale parlamento con il proporzionale?

5 Dic

La Legge Calderoli, comunemente chiamata Porcellum, è incostituzionale.
“La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza”.

Camera 2013 Porcellum Camera 2013 Porcellum

Dal 2006 gli italiani (sempre meno a dire il vero) sono andati a votare con una legge che gli impediva di scegliere i candidati e che dava un notevole ‘premio’ di seggi a chi, per una spanna, superava gli altri.

Nel 2006 abbiamo avuto un’Unione (Prodi) con 67 seggi in più della Casa della Libertà (Berlusconi), ma il divario era di solo 150.000 voti (0,5%).
Nel 2008, al Senato, 1,5 milioni di voti ‘regalavano al Popolo della Libertà una superiorità di ben 25 seggi sul Partito Democratico, ma più o meno gli stessi voti – presi dall’Italia dei Valori – coincidevano a 14 seggi, mentre – se presi dal’Unione Democratica di Centro non coalizzata con nessuno – accadeva addirittura che 1,85 milioni di voti corrispondessero a soli 5 seggi.
Nel 2013, alla Camera, il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle raccolgono ambedue 8,6 milioni di voti, ma al primo vanno 292 seggi e al secondo solo 108.

Norma a dir poco bizarra, la legge Calderoli, ma quello che è davvero incredibile è che, con un sistema ‘secco’:

  • nel 2006, L’Ulivo (31,3%) alla Camera avrebbe ottenuto 190 seggi e non solo 220, mentre Forza Italia (23,7%) si sarebbe ritrovata con una dozzina di seggi in più;
  • nel 2008 Silvio Berlusconi (46,81%) alla Camera avrebbe ottenuto 290 seggi e non solo 272 come avvenuto con il Porcellum, mentre Walter Veltroni ne avrebbe ottenuti 248 anzichè 239 come accaduto;
  • nel 2013, al Senato, il M5S avrebbe ottenuto ben 20 seggi in più, mentre alla Camera SEL (3,2%) avrebbe occupato 20 seggi anzichè 37 che sono tanti quanti quelli di Scelta Civica (8,3), che però di voti ne ha raccolti quasi il triplo.

Per non parlare della Camera dei Deputati …

Camera 2013 Porcellum vs Proporzionale

Parliamo di circa 15 deputati che invece di SEL avrebbero rappresentato Rivoluzione Civile, l’UdC e Scelta Civica con 20 seggi in più, sette altri per Fermare il Declino con una cinquantina di eletti ulteriori per il Movimento Cinque Stelle e una quarantina per il Popolo della Libertà.
E parleremmo di 132 deputati del Partito Democratico in meno, praticamente la metà, con tanta provincia e bassa macelleria che sarebbe rimasta a casa. Magari, alla ricerca di un lavoro.

Un altro parlamento con una ‘reale’ rappresentatività, ma visibilmente ingovernabile.

Ingovernabile perchè l’Italia ed il sistema proporzionale lo sono ‘di per se’?
Od ingovernabile perchè il Porcellum – regalando maggioranze virtuali e impedendo di scegliere i candidati – ha allontanato dalle urne quasi venti dei 50 milioni di lettori italiani, alterando irrimediabilmente gli esiti elettorali e, soprattutto, la loro futura prevedibilità?

E quanto potrà andare avanti il governo Letta con una maggioranza alla Camera che non avrebbe luogo di essere, neanche con la ‘larga intesa’ con il PdL?

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Tassare le pensioni, un’idea britannica

3 Giu

La Fabian Society nasce nel 188, quando furono pubblicati i “Saggi Fabiani”, contenenti il programma dellassociazione ispirata al pragmatismo, al rifiuto delle idee utopiche, ad un’idea di socialismo finalizzata allo sviluppo e all’evoluzione democratica e partecipativa delle istituzioni esistenti e della società tutta.

Con l’avvento delle ideologie totalitarie, l’approccio razionalistico e moderato della Fabian Society, che fino ad allora aveva ispirato sia il partito laburista sia i lib-dem, fu travolto dalle turbolenze dell’epoca e molti sui aderenti confluirono nei movimenti bolscevichi o fascisti, ma non prima che il parlamento inglese con Lloyd George approvasse il welfare state concepito dai ‘fabiani’.

Tra i più eminenti membri della Fabian Society, fondata da Sidney Webb e sua moglie Beatrice Webb, vi furono gli scrittori George Bernard Shaw, Leonard Woolf e sua moglie Virginia Woolf,Charlotte Wilson ed Emmeline Pankhurst, Havelock EllisH. G. WellsEdward Carpenter, Annie Besant, Oliver Joseph Lodge, Ramsay MacDonald.

Acclarato che il Fabianesimo si fonda su principi di umana solidarietà e reciproca comprensione, è di poco tempo fa la pubblicazione di un report della Fabian Society – “Age UK” – dove si sostiene che gli anziani benestanti devono “condividere l’onere di ridurre il deficit pubblico”.

“Tutte le politiche che offrono particolari vantaggi per le persone anziane, individuate come categoria generale, dovrebbero essere riviste,” dice.

I ricercatori della-Fabian Society hanno analizzato i dati del Longitudinal Study of Ageing (Elsa), arrivando a dimostrare che la maggior parte delle persone anziane non è né un  “ricco baby-boomer con “un eccesso di ricchezza”, né un “pensionato sulla soglia della povertà coon seri problemi di isolamento o salute” .

“La verità è che la maggioranza delle persone anziane oggi sono una via di mezzo, né ricchi né poveri, ed i redditi medi sono in aumento a causa di recenti successi nel ridurre la povertà dei pensionati”, scrive l’autore Andrew Harrop, “Naturalmente questo è qualcosa di cui andare orgogliosi, come parte del costante declino della povertà dei pensionati, ma ha profonde implicazioni”.

Ad esempio, che  nel 2010-11 “i redditi reali dei ceti medi non erano superiori a quelli del 2003-04, ma i redditi medi dei pensionati erano 13% in più”  e “dall’inizio della crisi finanziaria questa disparità è diventata ancora più forte: i redditi medi reali sono diminuiti del 5% complessivo, ma sono aumentati del 5%  quelli dei pensionati.”

Il rapporto precisa, inoltre, che si tratta dei redditi disponibili dopo le spese di alloggio, tenuto conto che nel Regno Unito perché l’80% dei pensionati è proprietario di casa e che “l’aumento dei prezzi delle case hanno comportato una diminuzione della quota di persone di età inferiore ai 45 che sono proprietari”.

Se “può essere difficile per delle persone anziane cambiare i loro piani finanziari come che le loro opzioni siano molto limitate”, il documento evidenzia anche una “davvero significativa iniquità intergenerazionale” dal punto di vista fiscale, con i pensionati delle famiglie a medio reddito che pagano il 27% del loro reddito al lordo delle imposte, rispetto al 33% per le famiglie non in pensione con lo stesso reddito.

In base a questo documento, la Fabian Society invita il governo britannico a rivalutare gli indicatori in materia di sicurezza sociale, fiscalità e progettazione di servizi, come vanno limitati – se si vuole evitare evitare un brusco calo del tenore di vita già per gli attuali cinquantenni – i benefici universali ai pensionati, come indennità di carburante invernale, licenze TV bus navetta gratuiti, somme forfettarie esenti da imposte sulle pensioni private,  viaggiare.
Inoltre, si chiede di introdurre una tassa immobiliare proporzionata al valore del territorio.

A scanso equivoci, Michelle Mitchell, di Age UK, ha dichiarato: “La Fabian Society sottolinea che non ci sono stati progressi significativi nella lotta contro la povertà dei pensionati negli ultimi anni, visto che restano ancora 1,7 milioni di pensionati che vivono in povertà, mentre altri 1,1 milioni hanno. redditi appena sopra la soglia di povertà.
Molti, inoltre, hanno contribuito all’indennità di assicurazione nazionali in tutta la loro vita lavorativa per ricevere in cambio una pensione statale che garantisce una rete di sicurezza finanziaria, ma poco più “.

In Italia, secondo i dati ISTAT del 10 agosto 2012, le cose stanno molto peggio che in Gran Bretagna: i pensionati sono quasi 16 milioni, di cui circa la metà percepisce pensioni inferiori a mille euro mensili ed una spesa complessiva annua di circa 50 miliardi di euro, cioè dieci miliardi in meno di quanto costano all’INPS quel milione e passa di pensionati che percepiscono oltre 2.500 euro mensili, per altro mai contribuiti completamente.
C’è chi vive sotto la soglia di povertà e chi, ex lavoratore dipendente, può permettersi una pensione superiore, oggi, allo stipendio di un preside o di un medico di base.

pensioni 2010 Istat 2012

Un Paese dove, come spiega il professor Giovanni Perazzoli, autore per Micromega e direttore di Filosofia.it, mentre 776.609 italiani che vivono nel lusso, nonostante la Crisi, percependo pensioni spesso di gran lunga superiori ai 3.000 euro mensili, “ci scandalizziamo del fatto che negli Usa non esista una sanità pubblica: in Europa si scandalizzano per l’assenza in Italia di un reddito minimo garantito. Negli Stati Uniti Michael Moore però ha raccontato in un film che cosa significa non avere un sanità pubblica; in Italia nessuno tocca il tema del reddito minimo garantito”.

Un Paese dove contingentando o fiscalizzando le pensioni superiori ai 3.000 euro mensili si ricaverebbero circa 10 miliardi di economie e dove introducendo la negoziabilità del TFR e del prepensionamento, si darebbe spazio ai giovani, senza gravi danni per l’economia futura, visto che anche da noi gli over50 sono proprietari delle loro abitazioni.

Un’Italia dove “una somma di 850 euro è uno stipendio, da cui si deve anche cercare di far uscire l’affitto e tutto il resto”, mentre la vita “costa meno che nel nostro Paese” addirittura in Germania, dove una donna “disoccupata, sola, con tre figli e un affitto di 500 euro, riceve dallo stato 1850 euro al mese”.

“In Italia addirittura si afferma che il welfare sarebbe in realtà tramontato, finito, esaurito” mentre “la Corte Costituzionale tedesca ha giudicato come parzialmente incostituzionale la riforma restrittiva del cancelliere Schröder, dopo il ricorso di una famiglia – padre, madre e una figlia – perché doveva vivere con soli 850 euro al mese (e naturalmente affitto e riscaldamento a carico dello stato)” e mentre, in Europa, solo Italia, Grecia ed Ungheria non garantiscono un reddito di cittadinanza ai propri cittadini.

Un’Italia che difende i ‘diritti acquisiti’ da una generazione grazie al colpo di spugna della Riforma Amato, che cancella l’IMU sulle prime case a prescindere da reddito e collocazione, che non sa fare ‘finanza pubblica’ alleggerendosi dell’INPS e dell’INA, che ha preferito, finora, cassaintegrare buona parte della speculazione edilizia piuttosto che garantire lavoro e formazione ai giovani.

Intanto, persino la Fabian Society – proprio quella che condizionò la Labour’s policy agenda di Gordon Brown e la sua politica fiscale – va in tutt’altra direzione.

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