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Quanto costa la Quota 100?

21 Gen

Una valanga di nuove tasse, circa 73 miliardi di euro, per il triennio 2020/2022, questa è l’entità della spesa aggiuntiva per le casse pubbliche della Quota 100 e del Reddito di Cittadinanza, stimata da Claudio Romiti su L’Opinione (18 gennaio 2019). 

Una cifra attendibile, ma – come ricordava ieri Emma Bonino – nessuno sa ancora quanto costerà effettivamente ai contribuenti italiani la Legge di Bilancio, figuriamoci la Quota 100 e il Reddito di Cittadinanza. 

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Restando alle Pensioni e cercando di capire quanto saranno sostenibili per le Casse Pubbliche, cioè per pensionati, lavoratori e giovani, i dati dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (12 Novembre 2018) sono chiari e dicono che l’introduzione di quota 100 potrebbe costare allo Stato fino a 13 miliardi, ma a condizione che tutti i 437.000 contribuenti coinvolti scegliessero di andare in pensione nel 2019.

Tito Boeri, presidente dell’Inps, prospettava (11 ottobre 2018) «incremento del debito pensionistico destinato a gravare sulle generazioni future nell’ordine di 100 miliardi», cioè confermava che «ridurre i costi a 7 miliardi per il primo anno e a 13 miliardi a regime»  (23 maggio 2018).

Il Sottosegretario al Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ed esponente della Lega Claudio Durigon (18 settembre 2018) negava la stima di 13 miliardi, ma confermava Upb ed Inps: “Siamo intorno ai 6-8 miliardi per il primo anno. Questo è il costo effettivo di Quota 100.” 

Ma come c’è riuscito il Governo?

Innanzitutto, tagliando nelle previsioni il numero dei beneficiari di un quarto (portandoli a circa 340mila) … e potrebbero essere anche meno.

Infatti, con la Quota 100 un 63enne con contribuzione inferiore ai 35-25 anni si ritrova con un taglio 40-60% rispetto all’ultimo stipendio, con buona pace del suo reddito e del suo futuro da anziano.

Tagliando adeguatamente la rendita pensionistica della Quota 100 si ottiene che molti preferiranno andare via con APE Sociale (se hanno almeno 63 anni di età) o con la Fornero (se hanno almeno 43 anni di contributi).
E così accade che da 13-15 miliardi annui per pensionare quasi mezzo milione di persone, si prevede che se ne possano spendere la metà, cioè 6-8 miliardi di euro.
Per il primo anno …

Dunque, riguardo la Quota 100 voluta dalla Lega già in campagna elettorale:

  1. un esborso di circa 5 miliardi annui era già previsto dai governi precedenti per ‘aggiornare’ le norme Fornero ed entro tale somma si tratta solo di decisioni politiche su quali categorie vanno ‘anticipate’. C’era da scegliere tra lavori usuranti, gravi invalidità, settori in crisi o da rinnovare, contribuzione insufficiente;
  2. essendo in Italia, ci saranno poi le deroghe e i ricorsi, e per i prossimi 5-6 anni peserà sui conti Inps qualcosa in più delle previsioni del Governo (credibilmente 10-11 milioni l’anno), poi – a man mano che i “pensionati quota 100” diventano over 67enni – la spesa rientrerà in quella ‘di vecchiaia’. Dunque, niente panico per i giovani: chi va via prima ora paga pegno sulla rendita pensionistica e tra sei anni al massimo inciderà di meno sulla spesa totale;
  3. nel complesso parliamo di una somma pari a circa il 3-6% della spesa pensionistica italiana totale. Non un’inezia. E parliamo di circa mezzo milione di redditi dimezzati, con ricadute sul fisco e sul commercio locali tutte da capire. Non è un caso che si parli di cessare l’iniquo blocco dei TFR pubblici, che – almeno da principio – andrebbero a sostenere  la pensione ridotta;
  4. c’era da scegliere se riformare la Fornero, a partire dall’esodo dei lavoratori senior con malattie croniche invalidanti (con minori conti del lavoro e della spesa sanitaria e assistenziale) o favorire il turn over nella P.A. (cioè i ‘concorsi’) ed a raccogliere consensi quà e là, con la speranza che i nuovi assunti porteranno con se anche l’innovazione e la semplificazione che serve da 30 anni;
  5. mantenendo in vigore sia APE sia la Fornero e tentando di restare nei parametri prefissati, è evidente che la Quota 100 così com’è rinvia il problema complessivo delle pensioni agli anni a venire, quando sapremo quanti sono questi miliardi nei prossimi tre anni, da dove saranno presi e se potevano essere spesi meglio. 

Il vero enigma (sociale ed economico) è il Reddito di Cittadinanza, ma ne riparleremo.

Demata

Il 2019 del premier Giuseppe Conte

28 Dic

Il Governo presieduto dall’avvocato Giuseppe Conte è in carica a partire dal 1 giugno 2018, sono trascorsi sette mesi  ed una Legge Finanziaria: è il momento di una valutazione di cosa abbia prodotto il nostro Presidente del Consiglio. 

Quota 100, ma quale? Quella che blocca la pensione del 60enne che ha già 43 anni e di contributi e lascia andar via il 62enne con soli 38 anni di contributi oppure tutte e due e, comunque, taglia qui e lì, con un importo pari al 60% dell’ultimo stipendio?
Un conto è ‘superare la Legge Fornero’ – come chiedeva Salvini e come ormai è tempo che sia – un altro è aprire il vaso di Pandora, come vorrebbero i Cinque Stelle ed una bella fetta del Centrosinistra.

Reddito di cittadinanza, ma senza lavorare? Gli occupati sono circa 22 milioni, di cui circa 3 milioni con contratti a termine, e i disoccupati sono circa 2 milioni. Ma se dobbiamo ricorrere a manodopera straniera per circa 5 milioni di lavoratori, il lavoro in Italia c’è o non c’è?
Piuttosto, cosa ne è rimasto degli ‘aiuti’ che alla famiglia, ai giovani in cerca di prima occupazione, alle madri lavoratrici, agli invalidi parziali eccetera? Questi sì che erano nel ‘contratto’ ed il Decreto Dignità farà forse più danni che benefici.

Immigrazione e Sicurezza, ma come? Dal 2006 al 2014 sono stati archiviati ben 370.953 procedimenti per un reato minore come la “minaccia” ed altri 424.122 sono pervenuti ad azione penale, con una percentuale di italiani doppia rispetto agli stranieri e con un sommerso rilevante, visto che il procedimento si avvia su querela di parte.
Gli italiani ritengono che servano più sgomberi, meno protezione umanitaria e più centri per il rimpatrio, almeno così dicono le statistiche del consenso. Ma i numeri dei ‘fatti’ raccontano anche che i problemi di sicurezza sono altri.

Sanità universale ma anche privata? Quella delle liste d’attesa di mesi e mesi, nonostante il sistema unico di prenotazione che mette in rete tutta l’offerta ed i pazienti ormai abituati a rinunciare ad eseguire una visita o un esame presso la struttura di cui si fida e/o più vicina? 
Non se ne verrà mai capo senza riformare i rapporti Stato-Regioni, ma – anche se la questione non è nel ‘contratto’ Di Maio – Salvini – non si può continuare a togliere soldi alla salute dei cittadini per pagare i debiti accumulati dalla Sanità stessa, senza riformarla profondamente. O l’una o l’altra od ambedue. 

Spesa pubblica in aumento, ma con quali Entrate? Il 2017 ha comportato circa 472 miliardi di entrate fiscali allo Stato e alle Regioni, che – però – nel 2018 hanno previsto una spesa per circa 850 miliardi, ma è chiaro a tutti che lo 0,1% sul Debito pubblico (il “decimale”) significa 1,69 miliardi di euro in più od in meno da dover ripagare in qualche modo, oltre ai circa 2.227 miliardi di euro che già abbiamo … da elidere dalle somme disponibili per l’Italia e gli Italiani?
Non a caso, riguardo la manovra finanziaria, Carlo Cottarelli ha evidenziato che “è oscura. Il vero rischio è la recessione”. 

Appalti e Forniture facilitati, ma per chi? Con la nuova normativa la Pubblica amministrazione potrà affidare lavori senza gara d’appalto nelle opere di importo compreso tra 40 mila e 150 mila euro e – come ha dichiarato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione – “questa norma non aiuterà i funzionari morosi, mentre consentirà a quelli disonesti di fare il buono e il cattivo tempo. Basti ricordare che tutto il sistema di Mafia Capitale si reggeva sugli affidamenti diretti“.

Forse, qualcuno non ricorda che il 27 maggio 2018 Giuseppe Conte rimetteva l’incarico come presidente del Consiglio dei ministri, ricevuto dal Presidente della Repubblica solo quattro giorni prima, il 23 maggio 2018, per poi riaccettarlo il 31 maggio, onde evitare la formazione di un governo tecnico provvisorio guidato da Carlo Cottarelli, visto che l’Italia era senza una guida da quasi 90 giorni, cioè dalle elezioni del 4 marzo 2018.

Dunque, anche se in prima pagina troviamo puntualmente Salvini & Di Maio con la loro antitesi manifesta, di norma sarebbe ed è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad essere il primo responsabile dei danni o benefici che arriveranno nel 2019 con la Quota 100, il Reddito di cittadinanza, il Decreto Dignità ed il Decreto Sicurezza, gli Appalti e le Forniture facilitati, la Spesa pubblica incrementale, la Sanità a progetto.

In parole povere, il 2019 porterà a tutti noi l’evidenza che, specie con le norme volute o promesse da Salvini & Di Maio,  il compito del premier Conte non può restare solo quello di ‘presiedere’ le attività del governo od esserne il portavoce: ormai sono dieci mesi che l’Italia ha solo un tot di ministri che vanno per conto loro.

Demata

Scuola, servizi pubblici, pensioni: dove sono il Governo e le Opposizioni?

1 Set

E’ il 1° settembre, riaprono le scuole e – dalle notizie del Fatto Quotidiano – dovrebbero ancora esserci migliaia di dipendenti che hanno richiesto la pensione anticipata e sono con la pratica ancora in lavorazione o soggetta a chiaro ricorso.
Intanto, CGIL Scuola annuncia che  “manca un preside su 4, servono segretari e bidelli. In cattedra ottantamila precari. Avvio delle lezioni a rischio caos nonostante i 57mila contratti a tempo indeterminato. E resta il rebus delle maestre diplomate“.

Parallelamente, a dimostrazione che il meccanismo del turn over della Pubblica Amministrazione si sia inceppato (e che le problematiche ex Inpdap non erano limitate a ‘soli’ 10 miliardi di deficit), basta andare su un sito o un forum dei lavoratori della Difesa o della Sicurezza per rendersi conto che decine di migliaia di loro attendono una pensione e spesso sono invalidi. E gli organigrammi degli Uffici pubblici consultabili su internet sono pieni di posizioni in reggenza o utilizzazioni, ergo privi di personale.
Anche nella Sanità, se la Legge 161-2017 modifica la turnazione ospedaliera, questo non corrisponde la possibilità di nuove assunzioni per garantire il servizio.

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Nel privato, il fenomeno ricomprende i lavoratori divenuti invalidi con 400 euro di pensione al mese anche se hanno 30 anni di contributi, gli esodati e le ricongiunzioni negate, i ricomputi retroattivi dopo aver dilazionato per anni, cioè … i 60enni in cerca di lavoro dopo 30 anni di attività disastrosamente sotto gli occhi di tutti da un decennio.

Una diffusa flessione nei diritti dei lavoratori (cioè degli assicurati), che diventa sempre più debordante grazie alle facili e fuorvianti promesse di Salvini di ‘abolizione della Legge #Fornero “, fondate a loro volta su una serie di luoghi comuni.

E’ una bufala che alla pensione di pervenga non prima dei 65/67 anni: il requisito ‘minimo’ della Fornero è l’età contributiva e non anagrafica, potrebbe trattarsi di un lavoratore precoce oppure mansioni usuranti o semplicemente un grave invalido.

E’ una bufala che le generazioni ‘anziane’ non abbiano contribuito a sufficienza: può essere vero per le contribuzioni fino alla fine degli Anni ’70, ma  chi ha iniziato a lavorare negli Anni ’80 rientra più o meno nel sistema contributivo odierno, perchè era cessata la spinta inflazionistica degli Anni ’70 ed avviata l’unificazione finanziaria europea.

E’ una bufala che l’Italia sia afflitta dalla piaga delle frodi assicurative: quello dei falsi invalidi è un fenomeno specifico locale, ma non sono chissà quanti rispetto alle medie europee o statunitensi, specie se parliamo di infortuni sul lavoro. Viceversa, le sentenze del Tribunale del Lavoro favorevoli agli assicurati/assistiti sono tantissime ed anche i morti sul lavoro o i riconoscimenti postumi di danno alla salute rappresentano in Italia un dato rilevante, se parliamo di Vigilanza Sanitaria, prevenzione e sicurezza.

E’ una bufala che dare una rendita agli invalidi sia un costo pubblico non prioritario: era una spesa ben definita fino al 1976 e da decenni inglobata nella massa delle pensioni complessive, senza un bilancio di quanto il Sistema Italia spenda di più, lesinando e rinviando, per minore produttività al lavoro, come per sicurezza sociale (assistenza) e per maggiore accesso alle cure (sanità). Persino negli USA, dove sono attenti al ricavo, gli invalidi hanno chiari diritti, assistenza e sussidi.

E’ una bufala che la Sanità – indispensabile se si vogliono tenere al lavoro degli over55 – sia in Italia “universale”: in realtà è un sistema neanche nazionale, bensì regionale o, peggio, ‘locale’ a seconda della ASL. Infatti, in molte Regioni i Livelli Essenziali Assistenziali e i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali non sono di fatto attuati , gran parte delle strutture non ha la cartella elettronica, le prenotazioni sono mesi di distanza, le prescrizioni di altre regioni non vengono attuate.

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Queste cose dovrebbero far riflettere, perchè stiamo parlando dei risultati di una ‘nazionalizzazione’, quella avvenuta dal 1974 delle Casse e delle Mutue, già concessionarie ai sensi dell’art. 38 della Costituzione.

A proposito, è una bufala che non vi siano i soldi per le pensioni:  chi versa contributi per oltre 38-43 anni, a seconda degli Stati e degli istituti, è nel dovuto e dovrebbe essere solo una questione di aspettativa in vita individuale e di rendita.
Il problema reale è che il declino italiano, smantellando il settore industriale e manifatturiero, ha già prodotto milioni di sottoccupati con scarsa contribuzione.

Inoltre, sappiamo che c’è un certo numero di rendite ‘eccezionali’ rispetto all’effettiva contribuzione che fa a contraltare con la pochezza dei sussidi ai lavoratori invalidi. Ma non dovremmo fare altro che separare le spese sociali di uno Stato o una Regione (100-150 mld annui) da quelle contributive tra lavoratore ed assicuratore pubblico o privato che sia (3-400 mld annui).
Quanto all’istruzione, un conto è finanziare solo scuole statali, un altro è garantire gli studi gratuiti (entro dei parametri) a chi sceglie le scuole private.

Doveva essere così fin dal 1948. Noi italiani l’avevamo promesso nel 1994. Lo ribadimmo nel 2011 … evidentemente l’Italia può aspettare.

Demata

Pensioni, addio diritti per gli invalidi?

21 Giu

Lega e Cinque Stelle vogliono l’età minima pensionabile a 64 anni per tutti, anche gli invalidi gravi: lo ‘scivolo’ pensionistico per invalidità > 74% che hanno gli invalidi gravi va a levare sull’età contributiva, non su quella anagrafica.

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Non possiamo pensare che Conte, Di Maio e Salvini ignorino gli elementi basilari di un sistema previdenziale, figuriamoci quello italiano, di cui Lega e Cinque Stelle parlano fin dal 2011, opponendosi alla Legge Fornero, che tra l’altro era ‘scaduta’ quando loro, mesi fa, ne chiedevano l’abolizione.

Non è un’iperbole: alcuni Sindacati stanno già allertando i propri iscritti per la delirante idea dei 64 anni anagrafici come requisito minimo per la pensione:

  • “a) Si parla di quota 100 i cui paletti minimi imposti dovrebbero essere 64 anni di età e 36 di anzianità contributiva. Quindi non sarà possibile accedere alla pensione con 67 anni di età e 33 anni di contributi o con 60 anni di età e 40 di contributi.
    È necessario raggiungere ambedue i paletti imposti, 64 anni di età e 36 di contributi.
  • b) In alternativa a quota 100 sarà possibile andare in pensione con 41 anni di servizio “effettivo”. Effettivo dovrebbe escludere i periodi di maggiorazioni, riscatti ecc. ecc.” Per un laureato magistrale o un medico sarebbe, ad esempio, un requisito impossibile da raggiungere prima dei 64 anni, come per chiunque iniziasse a lavorare dopo i 25 anni.

Dunque, non potendo credere che chi si accinge a governare ignori ‘dettagli’ così importanti per milioni di italiani (gli invalidi), c’è da chiedersi se Lega e Cinque Stelle non intendano vessare lavoratori anziani e malati con il plauso del loro elettorato, che in buona parte aveva già lasciato correre sugli esodati in mezzo ad una strada,  votando PD e Forza Italia.

Meglio colpire i deboli che scontrarsi con i Poteri Forti e riformare il Comparto Previdenza e Salute o no?

Se siete d’accordo anche voi sull’idea di mandare in pensione gli invalidi alla stessa età di chi in salute … vale la pena di ricordare ai più giovani che – dopo i 55 anni – un lavoratore su tre si trova con almeno due patologie croniche da sopportare (dati Inps-Istat).
Uno su tre, il rischio vale la scommessa?

Demata

Pensioni? Non cambia nulla, forse va peggio

6 Giu

Sulle Pensioni sono poche le cose da sapere, ma pochi le ricordano. Facciamo dei casi concreti della “Quota 100”.

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Nell’ipotesi di pensionarsi con 36 anni di contribuzione e 64 anni di lavoro, ricordando che non si prevedono grandi incrementi stipendiali per il prossimo decennio:

  1. una persona nata nel 1959, ha iniziato a lavorare nel 1982 e oggi percepisce uno stipendio (al netto di tasse, ma anche dei premi) di 2.000 euro. Nel 2018 compie 36 anni contributivi, ma ha solo 59 anni anagrafici: dovrà comunque attendere il 2024 per andarsene con 64 anni d’età e oltre 42 anni di contributi, che saranno circa il 40% dell’ultimo stipendio. Tale e quale ad oggi.
  2. una persona nata nel 1955, optò per il lavoro autonomo o artigiano ed ha pochi contributi ed oggi  percepisce uno reddito dichiarato (al netto di tasse) di 1.500 euro. Nel 2019 compie 31 anni contributivi ed avrà 64 anni anagrafici: può andare in pensione, ma dovrà campare con poco più di una pensione minima e molto meno di un reddito di cittadinanza. Finirà per mettersi a lavorare in nero, togliendo lavoro ai giovani ed evadendo le tasse,  tale e quale ad oggi.
  3. una persona nata nel 1963, ha iniziato a lavorare nel 1993 e oggi percepisce uno stipendio (al netto di tasse, ma anche dei premi) di 2.000 euro. Nel 2019 compie 26 anni contributivi ed avrà 57 anni anagrafici: dovrà attendere il 2029 per i 36 anni contributivi, quando però avrà 66 anni minimi, e la rendita sarà circa il 40% dell’ultimo stipendio. Tale e quale ad oggi.

Come siamo arrivati a questo? Complicato se non si conosce tutta la storia, semplice, se si è abbastanza vecchi da ricordarselo:

  1. in base alla Costituzione ogni italiano con reddito dovrebbe versare una quota allo Stato per la previdenza pubblica di indigenti od invalidi e una rata assicurativa ad un Ente o Assicurazione per la propria pensione
  2. fino alla metà degli Anni ’70, esistevano l’Inps e le Casse previdenziali, come esistevano l’Inam e le Mutue sanitarie. Poi, l’Inps e l’Inam fallirono a causa dell’assistenzialismo populista e la soluzione fu quella di “risanarli” come fosse una bad bank pubblica ed assorbendo progressivamente nella ‘good company’ Casse e Mutue sane
  3. la voragine creata da chi a Bankitalia doveva dare l’allarme fin dalla metà degli Anni ’60 non era finita, però, e negli Anni ’90 arrivò la riforma delle pensioni Amato-Dini, quella che garantiva l’ultimo stipendio per intero ai pensionati con sistema retributivo, ma prospettava una pensione al 40% dello stipendio base per i contributivi
  4. la norma era ‘pesante’, colpiva chiunque non avesse contribuzione almeno di quindici anni: c’era un esercito di pensionandi con pochi contributi (la generazione del ’68) e una massa di giovani disoccupati (la generazione degli ’80) a causa della voragine nei bilanci e la svalutazione della Lira rispetto al petrolio.
  5. dunque, venne previsto un quinquennio di transizione, durante il quale le pensioni contributive sarebbero state adeguate a quelle retributive, e venne introdotta la possibilità di integrare la pensione consentendo – tra l’altro – ai Sindacati di ricostituire come Fondi assicurativi quel che prima erano le Casse e le Mutue
  6. invece accadde che le perequazioni sulle pensioni contributive continuarono fin al 2011, i Sindacati si batterono non per le Mutue, ma per una ‘salute uguale per tutti’ e quando si parla di ‘abolire Fornero’ è di questo che si tratta, non solo l’età e l’aspettativa in vita: il primo problema è quanto si è contribuito, quale è il capitale a monte accumulato e se c’è da compensare una pensione infima
  7. nel 2011 Elsa Fornero pose un tetto sull’età contributiva, pervenuto a 42 anni e 10 mesi, e sull’età anagrafica a 67 anni, ma – lo scrive uno che è stato pesantemente danneggiato da quelle scelte – sono  restava da chiarire cosa succede ai pensionandi contributivi, specie se vogliono anticipare. ed avrebbero dovuto farlo il parlamento ed i sindacati nel 2011
  8. arrivati al 2017, ci ritroviamo che la norma Fornero diventa una norma di diritto (nessuno può farmi lavorare più di 42 anni e 10 mesi od oltre i 67 anni. Chi ha iniziato giovanissimo e chi è troppo anziano per lavorare sono tutelati) ed un meccanismo trappola, dato che da quest’anno chi non avesse ambedue i requisiti rischia di finire in un meccanismo-trappola.  Il Partito Democratico non fa nulla
  9. forse lo farà questo governo Lega-Cinque Stelle. Ma per ricreare la previdenza sociale, che è spesa pubblica da tasse versate, e ripristinare gli Enti Assicurativi, che restituiscono come rendite i contributi versati, serve che per alcuni anni l’Italia sfori il proprio debito di tantissimi miliardi, per rimediare a pasticci fiscali, assistenziali e previdenziali dell’epoca di Prodi, Carli e Savona
  10. per farlo è necessario attingere alla Cassa Depositi e Prestiti, dovevamo farlo con  Renzi, non badando solo alle banche ed agli investitori/risparmiatori, con Gentiloni era troppo tardi. Il problema è che CDP non è Pantalone, bensì raccoglie anche i depositi postali degli italiani e ‘garantisce’ la liquidità di Bankitalia. Da qui l’interesse diretto e legittimo dell’Eurozona: non a caso per ora esultano sterlina e rublo, mentre il dollaro ci da embargo …

Meglio girare intorno al problema, mentre i lavoratori invecchiano comunque ed i giovani pure, e promettere una Quota 100 che è tale e quale alla situazione lasciata da Elsa Fornero ?

E, per lo meno, è possibile (Di Maio, Conte, Salvini eccetera) rassicurare gli italiani che la Quota 100 non danneggi chi ha lavorato fin da ragazzo e che anche in futuro sarà possibile pensionarsi con 42 anni e 10 mesi a prescindere dall’età oppure gli eletti dal Popolo vorranno penalizzare proprio chi appena maggiorenne si cercò un’occupazione?

Demata

Addendum:
Focalizzandosi su “in base alla Costituzione ogni italiano con reddito dovrebbe versare una quota allo Stato per la previdenza pubblica di indigenti od invalidi e una rata assicurativa ad un Ente o Assicurazione per la propria pensione”, c’è la soluzione e se na parlava già 15 anni fa.

Il dettame costituzionale nel III Millennio può significare diverse cose:
– una ‘bad bank’ per smaltire il retributivo e le pensioni d’annata
– un sistema di Enti assicurativi (sanità, previdenza, assistenza, vita) per tutti i lavoratori, vigilato (ergo garantito) dallo Stato
– un Inps che torna alle origini e bada alla previdenza pubblica sociale, in base a parametri internazionali, ma anche per scelte politiche sociali temporanee può far leva sulla tassazione (apposita)

A parte che questo è il sistema nel resto d’Europa e pure in USA (+ o -), è anche l’unica via per risolvere il problema più immediato è che i più giovani si troveranno a vivere in un paese senza consumi, se tra 5-10 anni la maggior parte dei residenti saranno pensionati sotto i 1.000 euro al mese o disoccupati?
Come sostenere con la previdenza sociale pubblica questi futuri indigenti ex lavoratori per 40 anni, se non almeno con esenzioni ed accessi? … e cioè facendo leva fiscale sociale (c’è sempre l’articolo delle pari opportunità …) su alcune tipologie di redditi, tra cui le pensioni apicali – ad esempio – ed il cerchio si chiude.

P.S. ci si lamenta dei populismi, ma sono stati i partiti a mettere un eletto dal popolo (governatore regionale) a capo di un ente assicurativo come il Servizio Sanitario Regionale, sorto dalle ceneri delle Mutue.

 

Pensioni: il dopo Fornero

15 Feb

Per le pensioni, arrivati al 2018, l’Era Fornero volge alla fine: è inevitabile che sia così, dato che la stessa norma era parte di un piano pluriennale di rientro finanziario.
Ed era invevitabile che così fosse, dato che – dovendosi contenere e dilazionare la problematica di liquidità di Cassa Depositi e Prestiti – lo scopo essenziale era quello di ‘rinviare’ di un lustro tutte o quasi le pensioni correnti, cioè i quasi Quota95 che oggi sono Quota ‘ultra100’ …

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Ciò che è singolare è che solo Salvini si è ‘speso’ per raccogliere il voto di tanti elettori senior, preoccupati per il loro futuro, ma non i raggruppamenti di Berlusconi e Renzi, che già con Mario Monti avevano avuto l’occasione di far qualcosa in più.

Salvate le banche, c’è il settore assicurativo, cioè le pensioni (e la Sanità): cosa porta il futuro ai quasi anziani di ceto medio-basso? 

Riguardo alle pensioni, accadrà che per qualche anno (2-4) saranno in uscita gli ultimi del sistema retributivo, cioè i pre1960, che prima dei vent’anni avevano iniziato a versare contributi e che intorno ai 62 anni raggiungeranno una pensione più o meno pari all’ultimo stipendio. Non sono pochi, dato che parliamo dei tanti arrivati a circa Quota95 e ‘bloccati’ anche da 6-7 anni, con l’avvento delle norme Fornero.

Dunque, la Politica potrebbe essere tentata dal prendere tempo, se non fosse che – intanto – tante donne che potevano pensionarsi a sessant’anni non potranno più farlo e tanti sessantenni decideranno di attendere i 67 anni comunque, dato che in pensione si troveranno una rendita del 5-60% dell’ultimo stipendio.
Un diluvio annunciatosi fin dalle Riforme Amato-Dini del 1992-95: in poche parole, per un impiegato che oggi guadagna 1.600 euro netti, era già noto che si sarebbe trovato a dover vivere con meno di 1.000 euro.

All’epoca si confidava nella ‘crescita e nell’Europa, ma c’è poco da fare se alla base c’è il tardivo ingresso nel mondo del lavoro che affligge i nostri giovani da sempre. Tra l’altro, Amato e Dini avevano ben chiarito che quelle misure andavano accompagnate da stipendi iniziali più robusti, in modo da innanzare il valore contributivo e la pensione stessa, e da pensioni integrative, che – salvo qualche iniziativa aziendale – non hanno mai attecchito proprio tra i lavoratori più esposti.

Purtroppo, i vari governi – invece di intervenire su stipendi iniziali, progressioni di carriera e assicurazioni integrative – misero la cenere sotto il tappeto estendendo fino all’avvento di Elsa Fornero il sistema retributivo limitato, all’origine, a chi aveva 18 anni contributivi nel 1995.

‘Abolire la Fornero’ per ritornare al sistema retributivo o alla Quota95 ‘secca’ significherebbe solo peggiorare ulteriormente la situazione di chi ha oggi meno di 50 anni. Allo stesso modo, è impensabile che un’intera generazione di lavoratori ormai quasi sessantenni sia alle soglie di una vecchiaia ai limiti della povertà e nessuno se ne faccia carico.

E’ vero che viviamo in una nazione tanto produttiva quanto iperfiscale che avrebbe già potuto permettersi qualcosa di più per la pochezza delle pensioni sociali degli invalidi inabili al lavoro o per farsi carico degli lavoratori esodati o invalidi gravi rimasti nel limbo dal 2011 al 2018.
Ma è anche vero che se nessun parlamento vorrà farsi carico di rifinanziare l’Inps – fosse solo perchè ha assorbito non poche situazioni in perdita – l’Italia è destinata ad essere un paese di anziani impoveriti e di giovani senza futuro.

Sta ai nostri legislatori scegliere, poi, se i rifinanziamenti saranno dello Stato (primo debitore di tanti istituti cessati perchè in perdita) o se l’Inps diventerà una società per azioni con una quota  privata.
La questione delle pensioni da fame per chi ha lavorato una vita è ormai in drittura d’arrivo: difficilmente potrà essere rinviata di un’altra legislatura senza serie ripercussioni sulla coesione sociale.

Demata

1952-1963, la generazione che paga per tutti

22 Set

sisifo21Sono uno dei nati tra il 1952 e il 1963, a partire dai 17 anni di età verso contributi sul mio fondo pensione e, arrivato a 58 anni, mi ritrovo con oltre 40 anni di età contributiva, ma anche con un po’ di malattie croniche, di cui una congenita – riconosciuta solo nel 2009 – che mi obbliga da sette anni ed ogni settimana ad infondere in ospedale un farmaco salva vita.

Per ottenere un’invalidità superiore al 74% e la gravità ho impiegato cinque anni e ci sono riuscito solo citando in giudizio l’Inps.
Per dimostrare che i fattori d’aggravio certificatimi da esperti internazionali erano incompatibili con il mio lavoro ed essere protetto /ricollocato, ho impiegato sei anni, una dozzina di accessi in pronto soccorso e non so quante urgenze mediche, più due visite del medico competente di cui una durata otto mesi.

Intanto il tempo passava e i governi:

  • prima hanno innalzato l’età contributiva del 17% portandola da 35 anni a 42 e vari mesi,
  • poi hanno eroso i 5 anni di scivolo pensionistico per le malattie congenite, di cui avrei goduto se dichiarato invalido grave entro il 2011 …
  • infine, da anni Inps e ministero competente si astengono dal dare seguito a quesiti e accessi agli atti volti a conoscere la mia situazione previdenziale.

Infatti, molti anni prima (tra il 1992 e il 1995) due governi avevano trasformato i nostri fondi pensione in un sistema previdenziale universale, ma non è che qualcuno venne a chiederci il permesso, non almeno secondo quanto prevede l’art. 39 della Costituzione.

Aggiungiamo che – vinta la battaglia con il medico competente – la ripresa del lavoro in soli quattro mesi mi è già costata due pronti soccorsi e un notevole incremento di farmaci e … che io avevo chiesto il prepensionamento in base ad un decreto dello stesso Mario Monti (sic!).

Adesso, proprio mentre i nati tra il 1952 e il 1963 – cioè io – vanno ad approssimarsi ai fatidici 42 anni e vari mesi contributivi, il governo del Nazareno vuole incrementarci l’età pensionabile, rendendola obbligatoria a 65 anni dopo aver impennato quella contributiva ed ostacolato in ogni modo gli invalidi.

Morale della favola, una bella fetta di nati tra il 1952 e il 1963 (tra cui io) si ritroverà – da invalido grave – a lavorare per 45-47 anni, onde sostenere le pensioni di chi (70enne o 40enne) non ha od avrà lavorato neanche 30 anni in tutto.

Sullo sfondo l’inspiegabile silenzio dei sindacati (lo ha ammesso persino Mario Monti) dinanzi ad interventi draconiani sui Fondi Pensione di uno specifico gruppo anagrafico, già in larga parte contribuiti e già rinviati di un quinquennio, persino agli invalidi gravi.

A quando un ministro del lavoro e delle politiche sociali, che abbia come scopo verso i lavoratori di “prevedere ed assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”?

Visto che si parla tanto di Costituzione, quand’è che prendiamo atto c’è qualcosa di incostituzionale nel Fiscal Compact, almeno per quanto riguarda l’applicazione che ne danno Monti – Padoan e Fornero – Poletti?

E quando constateremo che l’Inps non ha più nulla a che vedere con il mandato costituzionale per cui nacque, nè con la previdenza universale e tanto meno con i fondi pensione, se non è prevista la possibilità di prepensionarsi per chi ha lavorato 30-35 anni e soffre di patologie croniche od oncologiche?

Qui non parliamo di ‘stato sociale’ o di ‘beneficenza’, ma di contributi effettivamente versati e non riscuotibili (con i relativi montanti previsti) neanche dopo 30 anni. E’ legale una roba così?

Demata

Pensioni, precari e movida, Jovanotti: il nesso c’è

21 Mar

Jovanotti HLorenzo Jovanotti è nato nel 1966, ha iniziato a lavorare a 17 anni e, secondo le leggi italiane, non andrà in pensione prima dell’aprile del 2026 dopo 44 anni ed 1 mese di contribuzione con un assegno pari all’80% dell’ultimo stipendio, se fosse un lavoratore dipendente. Un suo coetaneo che avesse iniziato a lavorare a 30 anni, potrà andare a riposo cinque anni dopo, nel 2032, ma con una pensione inferiore al 60% dell’ultimo stipendio, cioè di poco superiore ai mille euro al mese.

Strano, vero? Infatti, Lorenzo sembra stia cambiando.

Forse, invecchiando, ha scoperto che, spulciando i dati di La Repubblica, c’è davvero qualcosa che non va, se:

  1. i nati del 1983 che hanno iniziato a lavorare a 19 anni andranno in pensione non prima di 46 anni e due mesi di lavoro, i loro coetanei che avessero iniziato a 24 anni potranno farlo con soli 42 e 11 mesi ed una pensione leggermente superiore. Inoltre, tra chi avesse iniziato a lavorare a 24 anni o chi a 32, l’uscita dal lavoro è sempre la stessa (2050) e la rendita (meno di 200 euro mensili di differenza)
  2. i nati nel 1972, a pensione più o meno pari (meno di 200 euro mensili di differenza), si trovano che, se l’avvio al lavoro fu a 19 anni, si va in pensione con 45 anni e due mesi di contributi, mentre, se si iniziò a 24 anni, si può lasciare con soli 40 anni ed 11 mesi. Inoltre, tra chi avesse iniziato a lavorare a 19 anni o chi a 30, l’uscita dal lavoro è praticamente la stessa (2036-2038).

Dunque, se questo è il ‘giusto’ effetto del sistema previdenziale contributivo, certamente non può dirsi equo, se finisce che chi ha iniziato a lavorare prima si ritrova a pensionarsi dopo e se chi – disoccupato o precarizzato da giovane – vivrà al limite anche da anziano.

Addirittura, per i nati nel 1988 che avessero in Italia la malaugurata idea di “lavorare subito” la pensione è prevista nel 2053 dopo 46 anni ed 8 mesi di lavoro quotidiano, mentre per i loro coetanei disoccupati, precarizzati, studenti o ‘semplicemente’ mamme casalinghe che dovessero iniziare a lavorare domani – cioè quasi 10 anni dopo di loro – andranno a riposo solo 18 mesi dopo con praticamente la stessa pensione.

La riforma Monti-Fornero fu un intervento d’emergenza con effetti micidiali e ben lo sanno i lavoratori over50 penalizzati, se precoci, ad attendere all’infinito, e, se tardivi, a vivere in miseria quando saranno ‘dismessi’ … ma dovrebbe preoccuparci ancora di più quello che le norme pensionistiche hanno già causato e che poi provocheranno tra i giovani attuali.

Infatti, il Governo Renzi sta mettendo da parte, pur promettendo ogni sei mesi che si sarebbe legiferato, diverse questioni aperte da prima che Monti-Fornero intervenissero con il placet dell’intero PD in Parlamento:

  1. cosa aspetta lo Stato a saldare l’enorme debito (almeno 14 miliardi di euro) accumulato dalle P.A. verso l’ex Inpdap a causa dei contributi non versati e mai recuperati dall’Inps pur essendo state le somme accertate dalla Corte dei Conti e il direttore dell’Inps indagato
  2. quale è il diritto acquisito che ha impedito l’adeguamento delle pensioni all’Euro evitando che le minime divenissero infime e che quelle d’annata, viceversa, restassero nei limiti formulati da Amato e Dini perchè – già con la Lira – non erano coperte da una contribuzione adeguata
  3. quale vantaggio hanno i giovani ad iniziare a lavorare prime dei 25-30 anni se alla fine si va in pensione con gli stessi anni e gli stessi soldi.

In una situazione del genere, la politica italiana si è spesso dimostrata attenta solo al contingente e mai ai danni collaterali, puntando ad arrivare alla alla prossima legislatura / segreteria di partito o sindacato e demandando ai posteri (ndr. gli occupati e sottoccupati di oggi) l’onere di risolvere il garbuglio … si tira avanti così dal Dopoguerra, quando l’Inps invece di rientrare nelle proprie funzioni ‘sociali’ progressivamente fagocitò Casse ed Istituti a gestione privatistica.

Dunque, buona Pasqua con l’augurio che i quarantenni di oggi inizino davvero ad occuparsi del loro futuro …

Demata

 

Foucault e le riforme che Italia e Francia attendono da decenni

2 Mar

Nel 2009, la casa editrice Sense Publishers di Rotterdam nei Paesi Bassi pubblicava un interessante saggio intitolato “Governmentality Studies in Education” ed ispirato al pensiero di Michel Focault.
Di seguito – tradotti in italiano – alcuni stralci significativi di una “raccolta che utilizza la nozione di ‘governatività’ di Foucault per identificare e analizzare i principali modelli e caratteristiche del liberismo economico”, che … sembra non sia ancora pervenuta a chi si occupa di servizi pubblici in Francia come in Italia, in particolare scuola, università e sanità.

“Il neoliberismo ha trionfato ed è diventato oggetto di studio, mentre in Francia , dato il relativo predominio del partito socialista, abbiamo dovuto lottare per venti anni per produrre una riflessione su un sociale ‘disaccoppiato’ dal socialismo e affrontata in termini di governabilità della democrazia.

Per quanto riguarda la prospettiva di Foucault, è con le sue lezioni del 1976 che inizia a prendere le distanze dal ideali militanti del tempo. La discussione in quelle lezioni di Sieyès e Terzo sembra già prefigurare le successive riflessioni sulle capacità formidabili del liberalismo come una razionalità politica.

Il recepimento dell’analisi di Foucault sul neoliberismo , purtroppo, spesso sembra essersi appiattito in una serie di generalità polemiche, ideologiche e globalizzanti, facendo a meno del tipo di indagine descrittiva che Foucault aveva intrapreso nel 1979 sui vari avatar del neoliberismo con la loro specificità nazionale, storica e teorica.

Michel Foucault aveva inventato un metodo unico per riconsiderare i nostri modi di pensare a tutti quegli oggetti apparentemente universali come la follia, delinquenza , sessualità e governo. Per lui non si trattava di mostrare la loro relatività storica , né rifiutare la loro validità, come spesso si sostiene, ma piuttosto, era proprio sostenendo a priori la loro inesistenza a disfare tutte le certezze di che essi sono oggetto, come ad esempio la loro ‘storicità’ pura . Questo gli ha permesso di chiedersi come ciò che non esisteva avrebbe potuto avvenire, come una serie di pratiche potrebbe essere strutturata per produrre, in relazione a ciascuno di detti oggetti , un regime di verità, un fatto di potere e di conoscenza combinata , che permetta di dire, finché il citato regime di verità ha imposto la sua efficacia , cosa fosse vero o falso in questioni di follia, delinquenza, sessualità e di governo.

La concorrenza non è un fenomeno naturale, ma un meccanismo formale, un modo di agire efficace sulle disuguaglianze, lasciando nessuno al sicuro nel dominio della propria posizione . Pertanto, il ruolo dello Stato è di non intervenire a causa del mercato, ma per il mercato, in modo che sia sempre mantenuto e che  il principio della parità diseguale sortisca il suo effetto. La concorrenza non è un fatto naturale.
Deve suoi effetti per l’essenza che detiene … La concorrenza è un eidos , un principio di formalizzazione … è in qualche misura un gioco formale tra le disuguaglianze .

Secondo questa dottrina (ndr. il neoliberismo), in ogni caso, lo Stato deve procedere per favorire la solidarietà della società, ma solo quella. Si deve sapere come compensare le carenze del mercato per la protezione della popolazione  ma anche come prevenire che essa vada al di là del sociale e diveniti culla di un socialismo inteso come alternativa al mercato.
In Francia , “l’arte del non troppo, né troppo poco” come forma di governamentalità nel nome dell’utilità ha trovato una formulazione più metodica che nella maggior parte degli altri paesi europei – Regno Unito incluso – poiché ha mobilitato una conoscenza diversa da quello dell’economia politica (vale a dire , la sociologia) e un’altra terminologia , quella della solidarietà.
E la via utilitaristica ha diffuso questa “arte” in tutta Europa , anche in Francia, seppur sia la patria della sovranità nazionale.
D’altra parte, si dovrebbe considerare che quest’ultima non è mai stata sconfessata nella sua preminenza ideologica. Nemmeno lo è stato il socialismo – almeno quello democratico –  considerato da molti come la principale forma di realizzazione della sovranità.

L’idea che un governamentalità socialista è incoerente e può solo portare ad un governo amministrativo – aggiornamento, per così dire , della ragion di Stato o vergognosamente analogo al liberalismo ( Guy Mollet ad esempio) – tiene in scarsa considerazione questa perennità della sovranità che viene solo in parte vissuta come alternativa contro gli “eccessi” del liberalismo . Nel suo corso , inoltre , Michel Foucault insistette fortemente sulla assenza di razionalità governativa nel socialismo.

Per l’economia politica, lo scopo della ragione governativa non è più lo Stato o la sua ricchezza, come nel modello della ragion di Stato, ma la società, il suo progresso economico. Il suo ruolo non è pi quellodi trattenere una libertà , espressione della fondamentale cattiva natura degli uomini, ma per controllarla, e per questo motivo, vietarla, se necessario, mediante restrizioni. È una libertà che viene prodotta e che è da costruire.
Questa costruzione avviene attraverso interventi di Stato, non dal suo puro esemplice ritiro. Ma fino a che punto può e deve andare in questo interventismo senza rischiare di diventare il suo contrario , un nascosto o dichiarato  anti- liberismo? Questa domanda è il punto di partenza della riflessione neoliberista, sulla cui origine  Mr. Foucault manifestò le proprie riflessioni nel successivo corso del 1979, dal titolo “La nascita della bio- politica”.

L’Homo economicus dei liberali tradizionali era l’uomo di scambio, considerato come partner di un altro uomo durante lo scambio. Viceversa, l’homo economicus del neoliberismo è un imprenditore di se stesso, ha solo concorrenti. 
Anche il consumo diventa un’attività di impresa in base alla quale il consumatore impegna la produzione della propria soddisfazione. Quindi, non ha senso la contrapposizione tra produzione e consumo, tra il carattere attivo del primo e di quello passivo o alienato di quest’ultimo.
Denunciare la società dei consumi o la società della spettacolo è un errore di questa epoca, come il far finta che l’uomo del neoliberismo è un uomo di scambio e di consumo se lui è prima di tutto un imprenditore. È il problema di redistribuzione e del divario redditi che crea uomini come consumatori. Viceversa, la “politica della società” trasforma un uomo in imprenditore, cioè qualcuno che si trova in un gioco e si da da fare per aumentare il suo successo in un sistema in cui le disuguaglianze sono necessarie perchè più efficaci e stimolanti  di quanto siano note le grandi lacune.

La questione del ruolo dello Stato è una dimensione che associa da vicino la terza via al neoliberismo. Per esempio, respinge chiaramente tutto ciò che la Sinistra francese continua a mantenere come un dominio dello stato: nazionalizzazioni , pubblici servizi strutturati come ‘clero’ dello Stato , ecc. Tuttavia , questo non significa voler ridurre lo Stato ad un ruolo figurativo. Esso assume un rulo di dichiarato sostenitore delle  “politiche della società”, secondo l’espressione neoliberista utilizzata per denominare l’interventismo destinato a portare qualsiasi attività sociale a regime di concorrenza.

Senza dubbio, i sostenitori della terza via (ndr. liberista) valorizzano autonomia e responsabilità individuale  come i neoliberisti. Li vedono come mezzi per contrastare l ‘aumento nel settore dei  servizi, che può aumentare  a dismisura se si rimane nella logica corrente di compensazione automatica per tutti i problemi reali per cui siamo portati a dispiacerci.
Per loro, però, essi (ndr.  autonomia e responsabilità individuale) sono solo uno (ndr. strumento) tra i tanti altri.

E, tra i tanti, ve ne è uno che caratterizza più direttamente questa politica corrente in quanto costituisce un’alternativa sia all’individualismo come al vecchia sinistra: è quello che sottolinea la dimensione collettiva e politica della prevenzione dei danni.
Vale a dire quella che sottolinea la nozione di azione comunitaria (in Francia si dovrebbe dire “collettiva” per evitare qualsiasi malinteso di questa espressione).

Ma, tanto come il neoliberismo si proponeva di portare “la politica della società”, la terza via si attrezza per ricostruire “una società politica”.

Demata

Gli autori della raccolta di saggi sono: Michael A. Peters (professore di Education presso the University of Waikato, New Zealand and Emeritus Professor in Educational Policy, Organization, and Leadership presso the University of Illinois at Urbana–Champaign), Mark Olssen (professore di Political Theory and Education Policy in the Department of Politics presso the University of Surrey), A.C. (Tina) Besley (direttore del Centre for Global Studies in Education Director e è professore al  Te Whiringa School of Educational Leadership and Policy, Waikato, New Zealand),  Susanne Maurer e Susanne Maria Weber  (rispettivamente professori di Erziehungswissenschaft/Sozialpädagogik e di Soziale, politische und kulturelle Rahmenbedingungen presso l’Institut für Erziehungswissenschaft der Philipps-Universität – Marburg).

Il vero conflitto di interessi del PD e … l’olio extravergine

21 Dic

La ‘legge finanziaria’ è fatta ed ancora una volta l’onere ricade quasi interamente sui residenti e sui piccoli imprenditori delle aree urbane, visto che l’agricoltura e la grande distribuzione sono talmente sussidiate da non render nulla dal punto di vista fiscale, mentre eludono lo scopo primario di dar lavoro agli italiani e preferendo lavoranti stranieri e non di rado irregolari.
Agricoltura e distribuzione che – come abbiamo scoperto di recente in Toscana e non solo – arricchiscono le banche  di tanta provincia benestante, la quale ama collocare in città i propri pargoli proiettati verso posizioni apicali della politica o della cultua o di qualche amministrazione.

Questo è  il vero conflitto di interessi che attanaglia l’attuale governo e le forze (o meglio i territori e le famiglie) che lo sostengono.

Potremmo parlare del ruolo dell’ex Coop Poletti al ministero del Lavoro o della sudditanza alla CGIL riguardo le pensioni d’oro, ma la migliore riprova degli interessi settoriali intrinsechi al Partito Democratico che confliggono con quello generale è proprio nel prodotto ‘appenninico’ più pregiato e sussidiato che abbiamo: l’olio.

E’ a dir poco strano che il nostro parlamento stia per emanare un provvedimento che rende irrisorie le pene e le sanzioni pecuniarie per le contraffazioni alimentari  proprio mentre le provincie di Firenze, Genova, Spoleto e Velletri sono sotto i riflettori dei NAS e dell’Antitrust a seguito dello scandalo dell’olio ‘non extravergine’ dei marchi Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia, con il conivolgimento di noti marchi della ‘grande disribuzione’.
Una questione a dir poco allarmante se i dati confermano che l’Italia importa tanto quanto olio esporta ma ‘consumerebbe’ solo olio italiano ed extravergine, mentre solo lo scorso anno abbiamo perso almeno 50mila tonnellate a causa di un batterio – secondo l’UE – che secondo la Puglia non c’è …

Ci sarebbe da proteggere produttori e consumatori.
Ancora peggio se dovesse venirci il dubbio che tanti ‘risparmiatori’ di provincia preferiscono affidare i propri soldi ad una speculazione finanziaria piuttosto che reinvestirli in loco e, magari, dando lavoro ad altri italiani.
Oppure potremmo immaginare che non introduciamo norme più severe in materia di espulsione o di identificazione di stranieri … perchè poi servono nelle campagne, nelle fabbrichette e nei magazzini.
Ancora di più se qualcosa di più equo sulle pensioni e sul reddito di cittadinanza non dovesse mai arrivare … tenuto conto – come fecero Monti e Fornero – che gli elettori tra i 52 e i 62 anni ed i loro figli tra i 15 ed i 25 anni sono forse 15 milioni, mentre gli attuali pensionati e i loro figli tra i 35 e i 45 anni sono ben oltre 25 milioni … mentre dell’iter giudiziario per le irregolarità finanziarie nella gestione Inps sotto Mastrapasqua non se ne sa più nulla.

Dubbi che lo scandalo Etruria come le vicende del babbo di Matteo Renzi e del ‘cerchio magico renziano’ oppure l’inerzia sulle proposte di Boeri o Damiano non possono che alimentare. Sempre sperando che i suoi battibecchi sterili con la Merkel non servano soltanto a cambiare qualche quota agroalimentare o commerciale o qualche sconto bancario …

Intanto, il conflitto d’interessi dell’agroalimentare, delle Coop o delle Onlus, come quello dato dal peso di tanti ‘percettori di una pensione od un vitalizio’ nei partiti, nei sindacati ed in alcune alte istituzioni od amministrazioni proseguono, mentre continua la mattanza sociale dei più deboli e il degrado della qualità di vita delle città, che i nostri Bertoldi vedono solo come conglomerati di consumatori e come ribalta del proprio successo.

Demata