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La guerra del Senato spiegata for dummies

25 Lug

A leggere e ad ascoltare le News, sembrerebbe che in Italia vi sia una situazione inestricabile in Parlamento – e specialmente al Senato – riguardo le riforme costituzionali e la legge elettorale.

In realtà, di inestricabile c’è solo l’atteggiamento di tanti ‘eletti dal popolo’ che assolutamente non vogliono cambiamenti fin da quegli Anni ’70 dell’Ottocento, quando il Trasformismo (politico e finanziario) attecchì indelebilmente nel Parlamento italiano.

Vignatta di Simone Baldelli twitter.com/simonebaldelli/

Vignetta di Simone Baldelli
twitter.com/simonebaldelli/

“Conservazione della specie”, come spiegava Laura Ravetto di Forza Italia alla trasmissione Omnibus di stamane, rilanciando sulla reintroduzione di norme penali per il falso in bilancio.
Eh già, perchè – come oggi stiamo iniziando a comprendere – la depenalizzazione del falso in bilancio servì innanzitutto a cancellare parte di Tangentopoli ed a mantenere per quasi 20 anni il malgoverno di tante aziende a capitale pubblico e gli sprechi o le negligenze di  tante amministrazioni pubbliche finite sulle cronache.

Tempi che cambiano, mentre Milano prova a far pulizia con l’Expo 2015, ma Roma non si libera delle ‘sue aziende’, anche a costo di quasi azzerare i servizi pubblici.

Tempi che devono cambiare anche nelle aule del Parlamento italiano e, nel caso del Senato, le riflessioni dovrebbero essere ben poche:

  • 300 senatori equivalgono a un eletto ogni 115.000 elettori circa, su un quorum di quasi 34-35 milioni
  • salvo un sistema uniminale ‘secco’, un collegio elettorale ‘decente’ deve essere almeno composto da circa 400.000 elettori che votano per tre senatori
  • se i collegi non sono strettamente svicolati da quorum nazionali, è possibile diventare senatori con poche centinaia di preferenze personali, ovvero senza avere alcuna effettiva rappresentatività dell’elettorato
  • se il rapporto 300 / 34 milioni viene applicato in modo ‘secco’ la rappresentatività delle aree più popolate e produttive è compressa a favore di una miriade di piccole lobby locali

Il Servizio Studi del Senato, nel 2012, ha prodotto un documento apposito, che contiene una serie di tabelle ben rappresentative del problema.

Riformare il Senato (eletto o nominato che sia) significa, dunque:

  1. ridurre il potere di comitati, lobbies e interessi di campanile sulla politica nazionale. Non è un caso che i ‘mal di pancia’ nel PD arrivino dall’Italia del parastato, Rai in primis, Sanità e Università a seguire;
  2. riportare il peso dei sindacati, specialmente CGIL e Cobas, entro quello che realmente rappresentano (milioni di lavoratori e non decine di milioni di elettori). Da qui, l’assedio dei 6.000 emendamenti presentati proprio da SEL, che è a rischio di estinzione come già avvenne per PCI, Rifondazione Comunista e Verdi, Democrazia Proletaria, PSIUP e chi più ne ha più ne metta;
  3. obbligare i senatori ad una effettiva rappresentanza delle Regioni da cui provengono, legiferando sulle materie condivise. O per nomina del Consiglio regionale, come vuole Renzi, oppure con elezione uninominale ‘secca’, come assolutamente non vogliono gli oppositori di Renzi, a partire dai Cinque Stelle.

La Lega e Fratelli d’Italia? Dialogano con il governo e non sarà un caso che le loro basi elettorali sono nelle regioni più popolose e nelle aree suburbane.
Forza Italia e Nuovo Centrodestra? Un polo cristiano–democratico sarà sempre o il primo o il secondo partito … in Italia come ovunque in Europa. E Silvio Berlusconi che se ne impossessò vent’anni  fa va per gli ottanta ormai.

E, allora, che dire degli appelli per la democrazia violata o dei mille cavilli che – secondo alcuni – gioverebbero alla norma?

Anche in questo caso, posta la ‘domanda giusta’, arriva una risposta ‘facile’.
Infatti, se ci chiedessimo cosa ‘vuole l’opinione pubblica’, cosa vogliono gli italiani, la risposta sarebbe semplicissima: “fate presto”.

Non possiamo permetterci che la ‘crisi della Politica italiana’ continui a soffocare una Nazione che potrebbe ritornare ad un livello di produttività e di spesa pubblica accettabili. Questo è quello che vuole la gente, le imprese, gli investitori.

Fateci capire perchè i nostri media non hanno mai stigmatizzato l’atteggiamento di alcune forze e/o esponenti politici (del PD, dei 5S, di SEL) che non si sono seduti al tavolo con l’intenzione di dialogare, seguendo forse l’autolesionismo o i piccoli interessi di certi propri elettori, ma di sicuro non facendo l’interesse degli italiani che sono tenuti a rappresentare, visto che, se dialogano, i cavilli diventano regole semplici e condivise.

A proposito di media, sarà per questo che Del Rio è andato in visita da De Benedetti?

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Senato: perchè Renzi finirà per prevalere

7 Lug

Riguardo la riforma del Sentato siamo arrivati alle soglie delle ferie (e del mandato italiano in UE) con una gran confusione e tanti atteggiamenti del tutto inconcludenti.

A partire dal Movimento Cinque Stelle che si fa ‘beccare impreparato’ – senza compitini fatti all’interrogazione finale – visto che a poche ore dal ‘meeting in streaming’ (trad: PD e M5S si parlano) Matteo Renzi si ritrova a precisare “o documento scritto o niente incontro”.
Qualcosa in più di una bruttissima figura, per essere quelli che da anni strillano che tutti gli altri non sono capaci/onesti.

C’è poi il Partito Democratico con i suoi 18 ‘dissidenti’ e una cinquantina di ‘frondisti’, ma a questo siamo abituati, visto che a forza di ‘ma anche ‘ e di ‘vocazione maggioritaria’ si finisce per raccogliere il consenso di chi vuole tot e chi vuole il contrario di tot.
Serrare in ranghi in nome di elezioni e poltrone? Difficile crederci se il governo va a dimezzarle o, peggio, a cancellarle: meglio montar polemiche contro gli onnipresenti ‘fascisti’, stavolta nella Lega ma non nei M5S, mentre il ‘core’ riformista e populista cerca di andare avanti.

Poi, c’è il Centrodestra, che nella riduzione dei senatori e nella loro non eleggibilità vede una soluzione ai propri mali interni e un’assicurazione per il futuro, visto che nelle Regioni l’alternanza bipolare funziona. Anche in questo caso, riformismo e populismo fanno in modo che ci si renda conto che una riforma costituzionale richiede l’apporto flessibile di tutti e non mille distinguo e cento mal di pancia.

Arrivando all’opposizione con la Lega che vede nella riforma in corso una sua vittoria ‘a prescindere’ e SEL che sa bene che è destinata all’oblio se si riduce il numero dei senatori e si regionalizza il mandato, specialmente se il suo principale sponsor, la CGIL, è sul baratro di una ristrutturazione contrattuale, da decenni disattesa, per contratti territoriali e per comparti di settore ‘pesanti’ come metalmeccanica e manifattture, pubblica amministrazione, scuola ed enti locali.

Dicevamo della gran confusione e dei tanti atteggiamenti inconcludenti: non siamo più in campagna elettorale e le grandi riforme si fanno tra tutti e con tutti. Chi non si siede al tavolo, paga pegno.

Vincerà inevitabilmente Renzi e non a causa del suo ‘berlusconismo’, ma, viceversa, perchè la sua è l’unica proposta in campo grazie al fatto che la fronda interna del PD e/o il Movimento 5S e/o SEL non hanno neanche tentato di condividere e presentare un progetto alternativo a quello renziano che non fosse un maquillage del vecchio Mattarellum.

A volte a prevalere non è la squadra migliore: semplicemente vince l’unica pervenuta.

Leggi anche Renzi e Mineo o della repubblica del senato e del popolo

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Renzi e Mineo o della repubblica del senato e del popolo

14 Giu

Il senatore Corradino Mineo, dopo anni di direzione a Rainews24 e forti screzi con l’editore RAI, veniva indicato capolista per il Senato della coalizione “Italia Bene Comune” in Sicilia alle elezioni politiche italiane del 2013 e , risultato eletto, si iscrive  al Partito Democratico e aderisce al gruppo parlamentare.

Precisiamo che al Senato, in Sicilia, “Italia Bene Comune” comprende Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, +Centro Democratico e Moderati, più ‘indipendenti’ come Mineo. Coalizione dissoltasi poco dopo le elezioni, quando il leader di SEL Nichi Vendola annunciò che il suo partito non entrava nel governo di Enrico Letta. In parole povere, almeno per quanto riguarda gli eletti in Sicilia, la ‘quota’ SEL+indipendenti non corrisponde più alla compagine che ha raccolto i consensi.

 

voto sicilia 2013Ricordiamo, inoltre, che le ‘primarie’ che individuarono come capolista Corradino Mineo in Sicilia furono vessare da ombre e sospetti al punto che la Commissione nazionale di garanzia del PD  dovette accogliere i ricorsi di tra candidati (Bernardo Mattarella, Alessandra Siragusa e Antonino Russo) decretando che “l’anagrafe degli iscritti al Pd nella provincia di Palermo non è stata validata dalla Commissione provinciale di garanzia e che il relativo prospetto è stata trasmesso all’organizzazione nazionale soltanto in data 18 dicembre 2012”, “vista l’urgenza e la conseguente impossibilità di ulteriori approfondite verifiche sul  tesseramento 2011 per la provincia di Palermo” e “al fine di evitare contenziosi e turbative nella fase delle operazioni di voto”, “nella provincia di Palermo possono votare alle primarie del Pd per le candidature al Parlamento soltanto le elettrici e gli elettori compresi nell’albo delle primarie di Italia Bene Comune”.
Aggiungiamo che in Sicilia vota in pratica il 50% dell’elettorato, che la coalizione di centrosinistra ha raggiunto il 25% dei voti (12% degli elettori) solo in un paio di province siciliane, che nella provincia di Agrigento forse un cittadino su dieci ha votato ‘Mineo’.

Così andando le cose, il 12 giugno 2014 viene decisa a maggioranza da parte del gruppo PD al Senato la sua sostituzione da membro della Commissione Affari Costituzionali del Senato con il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda. La sostituzione di Mineo segue di pochi giorni il suo voto in Commissione a favore dell’ordine del giorno di Roberto Calderoli sulla elettività diretta dei senatori contro la proposta di Riforma del Senato presentata dal Ministro Maria Elena Boschi.

Essendo Corradino Mineo iscritto al PD solo dall’ottobre 2013 e votando contro su una questione così delicata, la decisione è praticamente irreprensibile, oltre che saggia, dato che se Mineo (con Vattimo e Mauro) si fosse tempestivamente spostato al Gruppo Misto, ci saremmo trovati in Commissione Affari Costituzionali con tre senatori che votano al contrario della volontà della base elettorale che li ha scelti.

Infatti, la principale preoccupazione del buon Corradino sembra essere: “La stragrande maggioranza dei senatori vuole un Senato elettivo. Come la mettiamo?” E, aggiungiamo, con gli elettori come la mettiamo?

Il compromesso sul sistema francese non le va bene? «Ma non c’entra nulla con l’architettura costituzionale italiana. Lì c’è un presidente eletto dal popolo che garantisce il bilanciamento dei poteri rispetto alla Camera. Allora molto meglio il sistema tedesco, proporzionale, di una Camera dei Lander. E’ più adeguato a noi».(Secolo XIX)

Eppure, il Bundesrat (trad. Consiglio federale) è un organo costituzionale legislativo, composto dai 69 delegati dei governi dei vari Länder. Ha funzioni di revisione costituzionale e di iniziativa legislativa in materia federale, proprio come propone il ministro Boschi, mentre la proposta votata da Corradino Mineo, quella del leghista Calderoli, somiglia davvero andar a cambiar tutto per non mutare nulla.
Forse, il noto corrispondente RAI da Parigi si confonde con il Bundestag (trad. Dieta federale), che è il parlamento federale tedesco composto da 630 deputati, eletti con un sistema misto.

“Ma una volta che mi sostituiscono, cosa risolvono? Se non fossi confermato in commissione Affari Costituzionali sarebbe un gravissimo errore politico. Andrebbe contro i principi che Renzi porta avanti da mesi. Era lui che diceva che le riforme costituzionali si fanno coinvolgendo le opposizioni, è lui che ha aperto a Berlusconi dopo aver bacchettato Grillo che aveva rifiutato ogni dialogo. E invece adesso che fa?” (Secolo XIX)

Fa che sarebbe un gravissimo errore politico non tenere conto che alle Europee gli elettori hanno consegnato più del 40% dei voti a Matteo Renzi e poco più o poco meno del 20% a Berlusconi e Grillo. Un giornalista navigato come Corradino Mineo, fosse solo per dovere di cronaca e in onore alla famiglia di matematici da cui proviene, avrebbe già dovuto accorgersene.

Come non stupirsi, inoltre, che un caporedattore politico noto fin dagli Anni ’90, con ampia esperienza inernazionale e candidatosi al Senato della Republica, non si sia reso conto – dal vaglio delle carte costituzionali dei vari stati europei che almeno dovrebbe conoscere –  che se il Senato ha gli stessi compiti e i medesimi poteri della Camera dei Deputati, invece di dedicarsi alla revisione di leggi e trattati, lo Stato non funziona bene: decide con lentezza, spende con dissolutezza.

Ancora più incredibile che, con la Corte Costituzionale che ha sancito l’incostituzionalità dei meccanismi  elettivi dell’attuale contesto di  senatori, mentre il governo cerca di  fare una legge che ci garantisca almeno il diritto di votare, si siano autosospesi dal PD Paolo Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Erica D’Adda, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, Walter Tocci, Lucrezia Ricchiuti, Renato Turano, Francesco Giacobbe, Mario Mauro, Corradino Mineo, Vannino Chiti.

Chissà se racconteranno agli elettori: di aver agito in nome dei senatori o del popolo sovrano?

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Lavoratori precoci: arriva lo sblocco definitivo?

10 Giu

Per lavoratore precoce si intende generalmente chi abbia corrisposto contributi previdenziali per almeno un anno prima del compimento del diciannovesimo.

Sostanzialmente, abbiamo tre grandi categorie: coloro che hanno iniziato presto per poca disposizione allo studio e hanno svolto lavori pesanti e umili, quelli che lo hanno fatto per problemi familiari e spesso sono riusciti a divenire quadri, quelli, infine, che precoci negli studi erano all’università a 17 anni e hanno trovato lavoro immediatamente.

Essendo una categoria da tutelare, persino la riforma Fornero ha dovuto tenerne conto, stabilendo che  l’obbligo di pensione a 62 anni non si applicherà per questi lavoratori fino al 31 dicembre 2017, onde evitare l’incostituzionalità manifesta tenuto conto che dopo il 40esimo anno di lavoro stipendi e pensioni non crescono più.
Per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni d’età per altri tre anni varrà solo il requisito di 40 anni contributivi e non quello dell’età, con pensione decurtata dell’1% se hanno 61 anni, del 2% se intendono andare in pensione a 60 anni, del 4% a 59, del 6% a 58, dell’8% a 57, del 10% a 56 anni).

Tutto bene? No.

Purtroppo, oltre a passare la patata bollente al governo a seguire ‘entro il 2016’, l’azione di Monti, Fornero e Mastapasqua ha  partorito la solita incongrua corsa ad ostacoli con ‘effetto tappo’ per gli italiani e per l’economia.

Infatti, ci sono voluti due anni e una legge (L.125/2013) per chiarire che ai benefici sono ammessi solo i periodi derivanti “da sola contribuzione effettiva da lavoro e da contribuzione figurativa derivanti da astensione obbligatoria per maternita’, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia, per cassa integrazione guadagni ordinaria, per donazione di sangue e di emocomponenti (legge n. 219/05), per congedi parentali di maternita’ e paternita’ (Dlgs. 151/2001) nonche’ per congedi e permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Rientrano, inoltre, nella valutazione: i periodi assicurativi derivanti da riscatto, secondo l’articolo 13 della legge 1338/1962 (contribuzione omessa e colpita dalla prescrizione): a)i periodi di effettiva contribuzione derivanti da totalizzazione estera; b) il congedo matrimoniale; c) le ferie; d) permessi retribuiti; e) i congedi e permessi per handicap (articolo 33 della legge 104/1992).

Non rilevano invece ai fini dell’esclusione delle penalità i periodi di cassa integrazione straordinaria e di mobilità, la maggiorazione da amianto, i contributi volontari, quelli per il riscatto del corso legale di laurea e i contributi figurativi per disoccupazione indennizzata.” (fonte Pensioni Oggi)

Una soluzione talmente iniqua, ma soprattutto traballante, che l’Inps, pur fornendo di solito informazioni chiare e ben raccolte, non riesce ad andare oltre le tre righe striminzite : “nel 2004 e nel 2005, l’età richiesta è di 56 anni per gli operai e i cosiddetti “precoci”, coloro cioè che possono vantare almeno un anno di contribuzione derivante da attività lavorativa prima del compimento del 19° anno di età. In alternativa, questi lavoratori possono ottenere la pensione di anzianità con 38 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età.”
Tutto qui.
Infatti, in un regime contributivo, non dovrebbe esserci motivo legittimo per escludere chi abbia versato, per ricongiugersi, dei contributi volontari o figurativi per disoccupazione indennizzata, come quelli (solitamente esosi) per il riscatto del corso legale di laurea.
Come anche, il Welfare e l’Inps dovrebbero trovare una soluzione allo strumento della cassa integrazione che è tutt’oggi in uso e non determina contributi, seppur figurativi, come l’indennità di disoccupazione.
Si parla di turn over e di equità, ma soprattutto di legittimità dato che i contributi furono versati.
Ecco qualcosa su cui il governo Renzi potrebbe subito mettere a posto le cose: i precoci, tutti, vanno a casa per anzianità contributiva, non anagrafica.

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Italicum: i punti a sfavore

22 Gen

La sentenza di incostituzionalità della (parzialmente) vigente legge elettorale verteva su cinque punti cardinali:

  1. “il risultato casuale di una somma di premi regionali (al Senato), che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale”
  2. il caso che alla Camera “una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi”
  3. “l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio”
  4. il premio di maggioranza su scala regionale “comprime la rappresentatività dell’assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura sproporzionata”
  5. la norma che “priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti”
  6. “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare”.

L’Italicum – proposto da Renzi e ‘benedetto’ da Berlusconi – soddisfa a pieno solo i primi quattro requisiti, mettendo fine sia alle maggioranze oceaniche della Camera sia alla roulette russa del Senato, che federale (ancora) non è. Riguardo gli ultimi due, sarà da vedere.

Negare agli elettori le ‘preferenze’ equivale a “privare l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti”. Un premio a chi si coalizza e supera il 35% dei voti potrebbe rivelarsi “una eccessiva compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare”.

Dunque, non c’è da meravigliarsi se l’accordo per la legge elettorale venga aggregato tra due leader di partito e non in Parlamento, ovvero dove dovuto, e on si pone rimedio a “l’incentivo implicito nel porcellum a dar vita a coalizioni disomogenee pur di vincere il premio e, passate le elezioni, alla frammentazione partitica”, come commenta Federico Punzi (blogger dal 2003).

Infatti, quello che preoccupa nell’Italicum – oltre all’esclusione delle preferenze e ad un Senato tutto da capire – è anche altro. L’esito di un ballottaggio dal quale esca una premiership forte senza una maggioranza almeno sufficiente, ad esempio.

Ma , soprattutto, preoccupa – in termini di compressione della rappresentatività – l’ipotesi che alla Camera vi sia una ‘circoscrizione locale’ (ndr. distretto elettorale) per ogni provincia, ‘equiparando’ quella che ha 200.000 residenti a quella che ne ha 400.000 o quasi un milione, mentre ve ne saranno di più – ma non quanto ‘di più’ – nelle aree metropolitane.

Buon senso e logica ci dicono che con una Camera di 630 eletti e 38 milioni di ammessi al voto, viene eletto un onorevole ogni 60.000  elettori. Dunque, chi vive in provincia di Fermo o di Rieti dovrebbe poter eleggere 2-3 deputati, chi è a Caserta o a Varese i suoi dieci-dodici e così via nelle grandi province urbane, dove gli eletti saranno tra i 35 ed i 50.
E, almeno, il buon senso ci dice anche che i candidati delle aree demograficamente più dense dovrebbero avere pari opportunità di raccogliere il consenso elettorale che gli serve per essere eletti.
Ma questo non si verifica se un candidato si rivolge a meno di centomila elettori competendo con meno concorrenti, mentre un altro deve convincere un elettorato di 3-400.000 persone con concorrenti agguerriti e sponsorizzati. Specialmente, poi,  se non gli elettori non potranno esprimere le preferenze …

L’impressione che l’Italicum serva solo a gestire una transizione interna alla Partitocrazia – come la denominò tanti anni fa Marco Pannella – che oggi chiamiamo Casta, come strilla Beppe Grillo, e che qualcuno – già nel Dopoguerra – denominò ‘Catto-comunismo’.

Scriveva Riccardo Lombardi, a nome del Partito d’Azione, su ‘L’Europeo’ del primo dicembre 1946: “vediamo cosa avviene nella Repubblica Presidenziale ove, e’ bene ricordarlo il Presidente della Repubblica e’ nello stesso tempo capo del governo e viene eletto a suffragio universale anziche’ eletto in secondo grado dalla Camera dei Deputati (cioe’ dai partiti): gia’ in sede di elezioni il candidato alla Presidenza della Repubblica, appunto perche’ sara’ anche capo di un governo, e’ costretto a presentarsi con un programma di governo: il compromesso programmatico non avverra’ tra i diversi candidati alla presidenza e dopo le elezioni […] dunque il compromesso avverra’ prima delle elezioni, fra alcuni partiti che […] si accorderanno per la candidatura di un uomo a cui sara’ affidato un programma concordato”.

Già … cambiar tutto per non cambiar niente … come parlare di legge elettorale senza parlare anche di repubblica presidenziale e … di par conditio mediatica sulle reti di Stato?

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Porcellum incostituzionale. Quale parlamento con il proporzionale?

5 Dic

La Legge Calderoli, comunemente chiamata Porcellum, è incostituzionale.
“La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza”.

Camera 2013 Porcellum Camera 2013 Porcellum

Dal 2006 gli italiani (sempre meno a dire il vero) sono andati a votare con una legge che gli impediva di scegliere i candidati e che dava un notevole ‘premio’ di seggi a chi, per una spanna, superava gli altri.

Nel 2006 abbiamo avuto un’Unione (Prodi) con 67 seggi in più della Casa della Libertà (Berlusconi), ma il divario era di solo 150.000 voti (0,5%).
Nel 2008, al Senato, 1,5 milioni di voti ‘regalavano al Popolo della Libertà una superiorità di ben 25 seggi sul Partito Democratico, ma più o meno gli stessi voti – presi dall’Italia dei Valori – coincidevano a 14 seggi, mentre – se presi dal’Unione Democratica di Centro non coalizzata con nessuno – accadeva addirittura che 1,85 milioni di voti corrispondessero a soli 5 seggi.
Nel 2013, alla Camera, il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle raccolgono ambedue 8,6 milioni di voti, ma al primo vanno 292 seggi e al secondo solo 108.

Norma a dir poco bizarra, la legge Calderoli, ma quello che è davvero incredibile è che, con un sistema ‘secco’:

  • nel 2006, L’Ulivo (31,3%) alla Camera avrebbe ottenuto 190 seggi e non solo 220, mentre Forza Italia (23,7%) si sarebbe ritrovata con una dozzina di seggi in più;
  • nel 2008 Silvio Berlusconi (46,81%) alla Camera avrebbe ottenuto 290 seggi e non solo 272 come avvenuto con il Porcellum, mentre Walter Veltroni ne avrebbe ottenuti 248 anzichè 239 come accaduto;
  • nel 2013, al Senato, il M5S avrebbe ottenuto ben 20 seggi in più, mentre alla Camera SEL (3,2%) avrebbe occupato 20 seggi anzichè 37 che sono tanti quanti quelli di Scelta Civica (8,3), che però di voti ne ha raccolti quasi il triplo.

Per non parlare della Camera dei Deputati …

Camera 2013 Porcellum vs Proporzionale

Parliamo di circa 15 deputati che invece di SEL avrebbero rappresentato Rivoluzione Civile, l’UdC e Scelta Civica con 20 seggi in più, sette altri per Fermare il Declino con una cinquantina di eletti ulteriori per il Movimento Cinque Stelle e una quarantina per il Popolo della Libertà.
E parleremmo di 132 deputati del Partito Democratico in meno, praticamente la metà, con tanta provincia e bassa macelleria che sarebbe rimasta a casa. Magari, alla ricerca di un lavoro.

Un altro parlamento con una ‘reale’ rappresentatività, ma visibilmente ingovernabile.

Ingovernabile perchè l’Italia ed il sistema proporzionale lo sono ‘di per se’?
Od ingovernabile perchè il Porcellum – regalando maggioranze virtuali e impedendo di scegliere i candidati – ha allontanato dalle urne quasi venti dei 50 milioni di lettori italiani, alterando irrimediabilmente gli esiti elettorali e, soprattutto, la loro futura prevedibilità?

E quanto potrà andare avanti il governo Letta con una maggioranza alla Camera che non avrebbe luogo di essere, neanche con la ‘larga intesa’ con il PdL?

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Crisi di governo? Paga l’Italia …

23 Ago

Il Pdl s’attacca a Napolitano, adesso Silvio crede nell’amnistia. L’apertura del guardasigilli Cancellieri Berlusconi: “La crisi colpa del Pd”. “Letta fa il duro per battere Renzi”.
Il Cavaliere: “Molte strade per salvarmi”. Alfano preme sul Pd per stop alla decadenza, sulla durata del governo cita Lucio Battisti (vd). Dai dem solo chiusure: “Legalità non si baratta”.

Pdl, l’idea di forzare subito per le urne. Letta al Colle: governo può farcela. Napolitano al premier: “Vai avanti”.
L’Anm insorge: “Linciaggio per neutralizzare la sentenza”.

Vauro da Presseeurop.eu

Il Cavaliere rifiuta il salvagente rinvio, l’idea è di fare dimettere i parlamentari. Governo in bilico, l’ex premier vuole far saltare il banco.
Alfano: il Pd voti contro la decadenza. Alt di Franceschini: nessun baratto sulla legalità.

Grillo: “Subito ad elezioni, con il Porcellum vinciamo noi”.
Silvio spinge per il voto. Sull’Imu nasce l’asse Pdl-M5S Grillo: “L’imposta non va pagata”. Gli azzurri: “Lui meglio del Pd”.

Questi gli strilli (le testate) on line di La Repubblica, La Stampa, il Corriere della Sera, Libero.


Uno scenario ben delinato da Virginia Piccolillo del Corsera (link), per quanto relativo gli aspetti ‘tecnici’,. Un contesto politico-istituzionale che si presta a poche, ma molto deludenti, riflessioni.

Innanzitutto, i nostri Potenti dovrebbero prendere atto che a seguire sempre e comunque la via del compromesso e del volemose bene si ottengono sempre e soltanto leggi a metà e risultati a metà. Nel primo caso, da ‘completarsi con una miriade di interpetazioni autentiche, regolamenti e mille proroghe, nel secondo con esiti bizantini ogni qual volta servirebbe una regoletta semplice e chiara.
In questo sta tutta la querelle inerente la decadenza, l’ineleggibilità o la incadidabilità che sia per Silvio Berlusconi.
Le norme introdotte per impulso del ministro Cancellieri sono applicabili a chi, all’epoca della loro introduzione, era già condannato in due gradi di giudizio ad una pena superiore ai due anni di reclusione? Evidentemente no, altrimenti la Giunta del Senato avrebbe dovuto convocarsi all’istante. Probabilmente, si, come buon senso e ragione vorrebbero.

In secondo luogo, quello che è evidente oltre ogni irragionevole dubbio e che l’Italia è al palo e rischia una profonda e lunga crisi politica ed istituzionale a causa di una vicenda privata di Silvio Berlusconi, il cui interesse prevale su qualsiasi altra esigenza o emergenza del Paese.
Lo Stato italiano ha necessità di profonde riforme, se si vuole rendere il bilancio che inviamo a Bruxelles e Francoforte ‘allineato’ con la fotografia di ‘photofinish’ che arriva dal Fiscal Compact e dagli obiettivi – scelti autonomamente dal Governo o imposti dall’Eurozona – che vanno perseguiti.

Chappatte su “Le Temps”, Ginevra

Non solo, dato che l’italia ha necessità – ormai catastroficamente sedimentate – di riformare le regole del Lavoro, della Sanità e della Giustizia, dei finanziamenti all’editoria ed al settore agroalimentare, se vogliamo tentare – in futuro – di governare la spesa pubblica e l’efficienza dei servizi. Molte università andrebbero rifondate, visto il dissesto finanziario in cui alcune sono riuscite, addirittura, ad espandersi, mentre la scuola dovrebbe riformare almeno le Medie – dove servirebbero psicologi e tempi prolungati, ma de facto ferme ai primi anni Settanta – e gli Istituti Tecnici, visto che sono anni che le nostre aziende devono ricorrere a tecnici e periti dell’Est Europa.

Tutto fermo o rinviato a migliore occasione per un uomo di 77 anni, che non rischia il carcere e la cui ineleggibilità era fuori discussione già venti anni fa, essendo proprietario di un impero mediatico? Tutto appeso in attesa che il Partito Democratico irrisolva le proprie beghe interne durante il solito grigio Congresso e che elegga il nuovo segretario e/o il nuovo leader elettorale da bruciare al rogo entro due anni dal mandato?
Tutto confuso, mentre Grillo arringa senza un programma di riforme e di alleanze, senza leader esperti e noti agli italiani da proporre in squadra di governo, senza chiarezza su come mettere mano a 2 miliardi di problemi, ovvero alla spesa pubblica.

Vignetta da The Times

Una situazione determinatasi grazie ad una sola norma, il Porcellum, che Beppe Grillo oggi esalta, mentre ieri era la madre di tutti i mali.
Una norma fatta in modo da garantire maggioranze bulgare alla Camera, per pesare oltre misura sull’elezione presidenziale e sulle autorizzazioni a procedere, ed un Senato minoritario … a meno di non venire a patti con la Lega, visto che il premio di maggioranza è su base regionale e che in Lombardia vive 1/6 degli italiani.

Tutto questo facendo i conti senza l’oste: il Porcellum è costituzionale o no?
E’ una buona idea far saltare un governo a settembre per votare di fretta e furia con il Porcellum (ammesso che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere) e per trovarsi con una sentenza di incostituzionalità?
E non è scandaloso che la Magistratura intervenga/venga coinvolta solo dopo un decennio per dare l’alto là ad una legge elettorale che consegna l’Italia alle nomenclature di partito ed al voto di protesta?

It is a bit crazy.

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C’è consenso e consenso

16 Feb

In tutte le televisioni, a qualunque ora, troviamo qualcuno che ci spiega che il “governo Monti ha un largo consenso”.

In effetti è vero, ma dovremmo, poi, chiedere se il consenso che Monti e Passera riscuotono è degli elettori italiani o di quei politici, seduti in Parlamento, di cui gli italiani, da anni, vorrebbero il ricambio.

Potremmo anche chiederci perchè, con tutti i talk show che ci sono, i nostri politici “consensienti” non vadano in trasmissione a spiegarci questo e quell’altro … ma sarebbe troppo.

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L’ottimismo viene dal consenso

15 Feb

L’Italia è ufficialmente in recessione, i dati di ottobre-dicembre 2011 sono carta stampata, ma questo è il passato, la scommessa è il futuro.

Ce lo racconta Corrado Passera, ministro dello sviluppo del governo Monti.

I dati «sono una conferma di quanto ampiamente previsto e del fatto che proprio da lì dovevamo partire, come abbiamo fatto, con riforme e interventi strutturali».

La recessione, annunciata da questo blog e non solo, ma snobbata dai nostri “professori”, secondo Passera «ci spinge ad andare avanti con grande determinazione: un’iniziativa al mese per rimettere il Paese in condizione di reagire».
«Un ottimismo che viene dal consenso del Parlamento e dell’opinione pubblica, questa è la grande spinta».

Ah, beh, … allora stiamo inguaiati, se la “grande spinta” arriva dal consenso dell’opinione pubblica.

Ma non solo …

«Messi i conti in sicurezza», va attuato «un’insieme di iniziative per la crescita. Infrastrutture, competitività e internazionalizzazione delle imprese, innovazione, costo e disponibilità del credito, costi dell’energia, semplificazione».
E per le opere già previste, il ministro annuncia 60 miliardi entro quest’anno: «Una messa in moto oltre le aspettative, un passaggio fondamentale per la competitività del Paese».

Male, peggio, malissimo, cosa dire?

Sostenere con 60 miliardi le opere già previste, senza entrare nel merito, significa, molto probabilmente, incrementare la cementificazione senza provvedere agli interventi urgentissimi per contrastare il dissesto idrogeologico, più volte richiesti da Giorgio Napolitano, invano, alla legislatura di Berlusconi.
Inoltre, senza intervenire sulle norme inerenti i subappalti, si rischia di consegnare all’Italia un ulteriore ammasso di sprechi, collusioni, infiltrazioni mafiose, clientela politica.

Quanto alla crescita ed all’ottimismo, le domande sono tante o tantissime.

  • Quali nuove infrastrutture, se l’Italia muore di scarsa o nulla manutenzione dell’ordinario?
    Internazionalizzazione delle imprese significa molte cose, incluso che arrivino i “russi” a comprarsi tutto o, peggio, che la Padania possa incrementare la spoliazione produttiva del paese, delocalizzando ancor più la produzione?
    Costo e disponibilità del credito è cosa corretta in un paese che, causa declassamento, paga caro il denaro e che ha bisogno di “inflazione” per superare la recessione? O, guardando alla demografia ed agli anziani che abbiamo, in un paese che non dovrebbe affatto invoglaire i giovani continuino ad indebitarsi “a vita” per un mutuo trentennale?
    Per non parlare dei costi dell’energia, che possono aprire la strada a maggiori privatizazioni, e della semplificazione, che finora ha comportato solo un aumento dei contenziosi, delle collusioni e delle corruttele, visto che tra farraggini, tributi e territorialità l’iter è solo peggiorato.

Domande non eccessive se ricordiamo che Corrado Passera si è finora distinto per la sua abilità nel far ricadere  i costi aziendali sullo Stato (Alitalia, Caboto-FinMek, Nextra-Parmalat …) e per la sua capacità di tagliare posti di lavoro a favore delle concentrazioni di capitale (Comit, Intesa San Paolo, Olivetti, Telecom …).

Un manager che della politica e della pubblica amministrazione conosce solo un aspetto riflesso, come Tremonti era esperto sono nella fiscalità e nella gestione di un bilancio.

Un uomo che muove i primi passi in politica e già gode dell’appoggio di Roberto Formigoni, governatore della Lombardia ininterrottamente dal 1995, e di Pier Ferdinando Casini, genero di Francesco Gaetano Caltagirone, undicesimo italiano più ricco al mondo, a capo di uno dei più importanti gruppi industriali italiani.

Un ministro che annuncia “un’iniziativa al mese per rimettere il Paese in condizione di reagire”, mentre la riforma delle pensioni non trova una forma regolativa, gli F-35 si son ridotti di un terzo, le liberalizzazioni raccolgono migliaia di emendamenti, la riforma del lavoro è deve essere recepita dai lavoratori e non semplicisticamente i sindacati con cui discute il governo.

Mala tempora currunt.

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Rating A3 per il governo Monti

14 Feb

Ieri, l’Ambasciata Italiana a Washington pubblicava sul proprio sito che “l’incontro con l’elite finanziaria, almeno stando a quanto riferisce lo stesso Monti, è più che positivo“.

Infatti, il Primo Ministro italiano aveva dichiarato: “Penso di aver convinto gli investitori, non lo dicono seduta stante, ma … c’é molto interesse per l’Italia e per il mercato italiano … ma già oggi … per il ruolo che si aspettano che l’Italia giochi.
A giudicare dall’andamento del mercato qualcuno deve aver già investito e penso che l’opinione dei mercati, così come gli altri governi, si stanno formando della serietà con cui l’Italia sta affrontando i suoi problemi, non possa che far aumentare l’atteggiamento positivo” verso le imprese italiane e i suoi titoli di Stato.

Il comunicato dell’Ambasciata italiana a Washington precisava che il governo Monti non è preoccupato per “il declassamento di 34 banche italiane da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s e si concentra sulle aspettative che si hanno nei confronti del suo esecutivo: i mercati ci chiedono “di continuare quello che abbiamo cominciato” e che viene molto apprezzato“.

Sarà un caso, ma, oggi, l’agenzia Moody’s ha ribassato ulteriormente il rating dell’Italia, da A2 ad A3, come per la Spagna, mentre il Portogallo è “crollato” al livello Ba3.
Risultato atteso dopo il BBB+ di Standard & Poor’s
oppure poteva e, soprattutto, doveva andare meglio?

Il premer aveva anche minimizzato, intervistato dall’emittente finanziaria Cnbc, l’ipotesi di uscita dell’Italia dall’euro, anche nel caso in cui la Grecia fallisca, dato che “non ci sarebbe un riflesso automatico sull’Italia ed ha assicurato che, quando “i partiti torneranno a costituire un governo da soli”, non si tornerà indietro dalle riforme intraprese dal governo tecnico.

La ragione perchè di queste riforme se ne è parlato molto ma senza che fossero introdotte era il costo politico. Ma il costo politico per noi non è questione rilevante, e quando i partiti torneranno a formare un governo da soli, non torneranno indietro dalle riforme, perchè il costo è iniziarle, ma una volta che sono lì“.

Sarà un caso, ma, sulle “modeste” liberalizzazioni del governo Monti – che non toccano banche, assicurazioni, sindacati, giornali e società cooperative – gli emendamenti presentati “dai partiti” sono circa 2.300. Figuriamoci cosa accadrà nell’arco di un triennio, a fronte di misure e norme che non hanno alcun sostegno da parte di tanti, tantissimi elettori.

Non è un caso che, da circa due mesi, questo blog sostenga che la manovra impostata dai “professori” potrebbe peggiorare le cose.
L’azione dell’attuale governo, infatti, lascia ampi spazi all’antipolitica ed alle mafie, che traggono linfa vitale dalla disoccupazione e dal rischio aziendale, non interviene sulla celerità, sull’economicità e sull’efficienza della governance pubblica, sistema giudiziario incluso, e, soprattutto, impedisce, con gli alti tassi dati dai titoli di Stato pur di mantenere un’elevata spesa pubblica, l’investimento di grandi capitali per il rilancio della produttività. Il tutto mentre gli investitori extra-europei sono alla finestra, dato che l’Euro, dopodomani mattina, potrebbe valere un terzo o non esistere proprio più.

Intanto, in Grecia va sempre peggio, grande è l’incognita del Portogallo e gli investimenti, per ora languono. D’altra parte, quale corporation o quale banca d’affari investirebbe in un paese dove un recupero crediti dura dieci anni e lo stesso accade per edificare l’impianto industriale?

Mario Monti sta rendendo più efficiente, celere, efficace, economica, la “macchina pubblica” italiana? No, almeno non ancora.

E dunque, a quanto i fatti dimostrano, “non siamo stati apprezzati”, neanche un tot, se in due mesi di governo Monti l’Italia ha perso due punti di rating.

Leggi anche Un programma per l’Italia, tutte le leggi che avremmo dovuto fare e non abbiamo ancora fatto.

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