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Sanità Lazio, Zingaretti va via: inizia la conta dei debiti

8 Ott

Potevano essere approvati 4 mesi fa i bilanci consuntivi della Sanità laziale, ma c’era in ballo la credibilità del “Campo Largo” di centrosinistra del duo Zingaretti (PD) – Lombardi (M5S).

Così è andata che solo ieri abbiamo scoperto che “sette aziende ospedaliere del Lazio l’anno scorso hanno accumulato perdite per quasi mezzo miliardo di euro” (Il Tempo) ed è solo la punta dell’iceberg.
Qualcosa di veramente incredibile, se si considera che nel 2021 i servizi (e la relativa spesa per prestazioni e consumi) erano calati “del 20,3% le prestazioni ambulatoriali e specialistiche; 2 milioni in meno di prestazioni indifferibili (-7%) rilevate dall’Istat; 1,3 milioni di ricoveri in meno (- 17%) denunciati dalla Corte dei Conti” (Sole24ore).

Nell’ordine, tra i sette “primatisti” dello sfondamento di bilancio abbiamo

  • Umberto I = 127 milioni di € (saranno 155 come da delibera apposita?)
  • San Camillo-Forlanini = 134 milioni
  • San Giovanni-Addolorata = 79 milioni di €
  • Sant’ Andrea = 49 milioni di €
  • Tor Vergata = 47 milioni di €
  • Ares = 31 milioni di €
  • Ifo-Regina Elena = 42 milioni di €
  • Poi c’è il resto, con debiti ad una cifra.

In questa follia regionale da mezzo miliardo di euro l’anno (almeno …), però, è possibile individuare dei fattori che possano indicarci una soluzione.

San Camillo-Forlanini e Umberto I sono dei policlinici come Sant’Andrea e Tor Vergata, ma sono esposti quasi del doppio.
La loro più vistosa differenza è nelle strutture: le prime vecchie oltre un secolo, le seconde costruite meno di 40 anni fa. Quanto costa la obsolescenza in termini di manutenzione, consumi e sprechi ? Ambedue i lotti erano cedibili, ma ci fu chi si oppose, ma oggi dobbiamo chiederci: con quelle perdite milionarie ogni anno quanti ospedali nuovi si costruiscono in dieci anni?

E se confrontiamo tutti e quattro i policlinici ‘pubblici’ in perdita sia tra di loro sia con il Gemelli e il Campus, come non notare che l’efficienza gestionale genera economie e qualità, come l’accettazione di solventi produce utili e sostiene l’eccellenza che servono a tutti?

Ares  è il servizio di soccorso e allarme sanitario in sede extra ospedaliera attivo in Italia e dunque è difficile comprendere come possa essere in rosso in alcune Regioni e per entità stratosferiche come nel Lazio.
A maggior ragione è poco comprensibile se Ares si basa quasi completamente sull’operato delle associazioni di volontariato, che forniscono i mezzi sanitari (ambulanza, automedica etc.) e il personale soccorritore, in convenzione con le locali centrali operative del 118. Associazioni che a loro volta possono percepire il 5xmille come fornire servizi di trasporto in ambulanza a privati.

Poi, c’è Ifo-Regina Elena con ‘soli’ 42 milioni di € di debito, che però sono un’enormità, considerate le dimensioni e soprattutto che si occupa solo e specificamente di dermatologia ed oncologia.
Infatti, a parte il potenziale originario della struttura rimasto inespresso già solo nel creare un parcheggio adeguato, l’aspetto disarmante è che queste due branche della medicina solitamente garantiscono utili aziendali, sia come cure palliative o estetiche sia come finanziamenti alla ricerca sia come gestione residenziale e solventi.

Nella sostanza, le voragini gestionali (e di bilancio) come quelle del San Camillo e Umberto I non si ristrutturano in un anno o due, come potrebbe avvenire per le altre strutture fortemente indebitate come Sant’Andrea e Tor Vergata, intervenendo sulla gestione del personale, sui contratti di prestazione e forniture esterni e sull’apertura a servizi pro soluto.

La domanda per i due policlinici centenari è un’altra: quanto si ricava a venderli tenuto conto del pregio architettonico, della logistica e della centralità e quanto costano due strutture equivalenti, moderne, funzionali, ergonomiche per sostituirli?


Come c’è la realtà degli Ifo, che avevano tutte le premesse per volare alto e diventare un polo attrattivo a livello internazionale, ma (come raccontano persino delle interrogazioni parlamentari di 20 anni fa) non c’è speranza finchè l’Ente preposto (la Regione) non interverrà sugli Statuti degli Irccs, ancora oggi modellati secondo la realtà esistente 40 anni fa.
Per gli Ifo è solo una questione di volontà politica, che evidentemente finora non c’è stata, non solo a Roma, ma per gli Irccs tutti che attendono una riforma dal Parlamento.

Risanare il debito regionale, sottoscrivendo un mutuo pesantissimo che ingessa bilanci ed organigrammi, ma in cambio lascia immutata lo status quo, … non porta agli stessi risultati positivi del lasciarsi anche l’ossigeno per poter ristrutturare o investire impedendo l’innovazione e lo sviluppo.
Quanto ad offrire servizi pro soluto anche nelle strutture pubbliche, oltre agli utili, c’è che sono il miglior antidoto per il degrado dei servizi ‘uguali per tutti’, ponendosi come termine di confronto internamente alla struttura ed attraendo eccellenze che servono a tutti gli assistiti.

Speriamo solo che la prossima Giunta regionale non abbia i soliti paraocchi.

A.G.

Cambiare la Scuola per salvare il Pil (e l’Ambiente)

5 Dic

(tempo di lettura: 5-7 minuti)

In Italia il fabbisogno di energia elettrica lordo annuo è nell’ordine di 330mila GWh (“gigawattora”), che attualmente arrivano da:

  • 150 mila Gwh = centrali idroelettriche, eoliche, fotovoltaiche, a biomassa
  • 85mila Gwh = centrali a gas naturale acquistato in Russia, Algeria e Libia
  • 35mila Gwh = centrali a carbone acquistato in Russia
  • 24mila Gwh = acquistati dalla Svizzera
  • 16mila Gwh = acquistati dalla Francia
  • 10mila Gwh = centrali a petrolio acquistato in Libia
  • 5mila Gwh = acquistati da Austria e Croazia.

Dunque, oltre a 60mila Gwh da Svizzera, Francia eccetera, l’Italia acquista anche 21 miliardi di metri cubi di gas per produrre energia elettrica, oltre ai 31 miliardi di metri cubi che vanno acquistati per consentire a 24 milioni di famiglie di cucinare, lavare e riscaldarsi. E non solo: la produzione nazionale di gas, infatti, copre poco più della metà dei soli così detti “fabbisogni industriali”.

In altre parole, tra materie prime ed energia elettrica ‘già pronta’, l’Italia importa il 77% del suo fabbisogno energetico, equivalente a più di 2 tonnellate di petrolio per ciascun abitante ogni anno.

In termini di saldo negativo, la spesa annua italiana per l’energia è di:

  • petrolio e derivati = 28 miliardi €
  • gas naturale = 12 miliardi €
  • energia elettrica = 1,8 miliardi €
  • carbone = 1 miliardo €

In totale si tratta di 43 miliardi di euro che spendiamo all’estero ogni anno e che non producono occupazione né crescita in Italia.

Il punto è che ogni tre anni il debito pubblico italiano si affonda di altri 2-300 miliardi: viene spontaneo chiedersi se questo non dipenda ‘direttamente’ dal buco di 120 miliardi di euro in energia ogni tre anni, che – se speso in casa nostra – certamente produrrebbe un volume di Pil almeno raddoppiato o triplicato, cioè andremmo ad invertire la tendenza dell’indebitamento.

Specialmente se, a guardare i grafici, è dalla crisi del petrolio degli Anni ’70 che il debito italiano ha preso questo andamento, nonostante si cerchi di consumare sempre di meno.

Questa constatazione mette in luce un altro aspetto dell’Italia: per cambiare le cose nel corso degli ultimi 10 anni avremmo potuto impiantare turbine eoliche da 2.5-3 MW, pannelli fotovoltaici da 500 W e centrali a biomassa , almeno per eliminare le centrali a carbone e petrolio che pesano non solo sulla spesa ma anche sul bilancio delle emissioni.

Infatti,

  1. la Germania entro 10 anni conta di arrivare a produrre 10mila Gwh l’anno con le centrali eoliche offshore con soli 2.000 km di coste e non vi è motivo per cui non possa anche l’Italia che ne ha oltre 8.000 chilometri oltre ad un profilo montano lungo quasi 2.000 km
  2. non dovrebbe essere difficile produrre ben oltre i 10mila Gwh con una media di 3 pannelli fotovoltaici per ognuno dei 14 milioni di edifici censiti da Istat
  3. una centrale elettrica a biomassa da 100 kW (es. Colleferro – RM) produce 0,5 Gwh l’anno, smaltendo 1.050 tonnellate di biomassa ogni anno, tante quante i rifiuti organici differenziati che oggi riusciamo a raccogliere da 10mila abitanti

Cosa servirebbe per riportare in Italia 40 miliardi di euro in spesa energetica per “reinvestirla” affinché produca innovazione, industria, occupazione e reddito?

Qui viene in luce il secondo aspetto dell’Italia che è causa non solo di un gap tecnologico ed energetico diffuso, ma soprattutto di indebitamento, degrado e declino: le ormai scarse istruzione e formazione superiori – soprattutto scientifica – degli italiani.

Una dimensione ‘culturale’, una ‘mentalità’, che incide a vari livelli:

  1. popolare e tecnico, dove i non diplomati sono troppi,
  2. manageriale e decisionale, dove le competenze STEM sono rare,
  3. commerciale e finanziario, dove si preferisce la rendita all’investimento
  4. sociale, dato che così è impossibile sostenere i consumi di una nazione avanzata, mentre sono sempre di più quelli che restano indietro.

A dire il vero, di cause del disastro finanziario, tecnico-produttivo ed occupazionale dell’Italia ce ne sarebbe un’altra, prettamente politica, dato che è impossibile:

  • investire in energia, se gli Enti locali e territoriali si disinteressano
  • istruire maggiormente la popolazione, se la Scuola e l’Università mancano di uniformità e meritocrazia
  • dotarsi di una mentalità coesiva e pro-attiva, se i Media pubblici diventano un vettore commerciale e propagandistico.

Difficile credere che la maggioranza degli italiani decida di fare un passo indietro per affidarsi a quella che ormai è una minoranza, ma il senso di responsabilità verso le future generazioni potrebbe smuovere molte coscienze spingendole a rinnegare i tanti complottismi e negazionismi del Novecento, che affliggono l’Umanità da oltre 100 anni.

L’unica cosa certa è che se domattina l’Italia avviasse un piano per uscire dal gap e dall’indebitamento energetico, alla società (enti, media, università e scuola) serviranno non meno di 3-5 anni per ottenere amministratori, professionisti, maestranze e utilizzatori adeguatamente formati.

Dunque, l’importante è iniziare.

Dove?

Dalle scuole, in cui lo Stato ha ancora poteri decisivi, dove crescono le nuove generazioni e dove da molti anni si registrano carenze di istruzione tecnica-scientifica di base e di meritocrazia nell’avanzamento degli studi, anzi addirittura difficoltà diffuse ad assicurare per le diverse discipline il numero di ore minimo, che consentirebbe il riconoscimento del titolo da parte di altri stati UE e non.

Come?

Ritornando a formare annualmente i docenti riguardo i programmi, la didattica e la valutazione ed a valutare periodicamente gli alunni in base a delle prove di esame uguali per tutti con commissari diversi dai docenti della classe.

Perchè?

Perché l’apprendimento è sociale ed è incentrato sul processo di imitazione e perché necessita di un sistema di memoria strutturato e della abitudine di rivedere il proprio modo di pensare.
E i numeri dell’ultimo decennio sono decisamente al ribasso.

Tra Ambiente, Energia, Import-Export, Debito, Istruzione e (dis)Occupazione bisogna fare delle scelte: vogliamo ritornare al Bel Paese investendo sulle sue qualità oppure c’è solo da rassegnarsi al declino culturale pur di ‘valorizzare’ diseguaglianze?

A.G.
N.B. tutte le cifre sono arrotondate e variano in base ai consumi annui effettivi

La responsabilità storica di Nicola Zingaretti

23 Ago

Sarebbe bastato sostenere un governo Conte bis, dando spazio a Matteo Renzi ed ai molti parlamentari che lo seguono e che hanno un dialogo con i Cinque Stelle, per riportare il Partito Democratico al governo in una fase determinante per il futuro dell’Italia.

zingaretti

Invece no, Zingaretti ha confermato che il PD che ‘decide’ è quello dei notabili ‘regionali’, cioè quello che ha scatenato il malcontento che da anni sostiene Cinque Stelle e Lega e che da sempre è diffidato dalle varie anime liberali.

Ed è spesso anche il PD di quelli che a fine mandato lasciano sempre più tasse, più tagli e più debiti: tutti ricordiamo il debito strutturale di Roma lasciato da Valter Veltroni ed oggi sulle spalle di Virginia Raggi. E, comunque, basta vedere la Regione Lazio di Nicola Zingaretti che ogni anno spende oltre metà del bilancio solo per coprire debiti e mutui, investimenti e innovazione poco e nulla, spese di personale elevate, qualità dei servizi tutta da capire, in alcuni casi addirittura a partire da quali prestazioni offrano …

Non è un caso che in questi giorni accanto a Nicola Zingaretti si sono visti Del Rio, Orlando e Gentiloni, ma non Matteo Renzi nè Serracchiani o Boschi, Giachetti o Martina, Calenda o Picierno o Pisapia.
Quale PD rappresenta Zingaretti nella trattativa con i Cinque Stelle: l’apparato o i parlamentari? I notabili o la base? 

La questione è di rilievo sia in un’alleanza con i Cinque Stelle sia per qualsiasi governo futuro: il PD di Zingaretti è per caso ancora quello del volontariato trasformato in business, della cultura ridotta a propaganda, dell’innovazione fine a se stessa, delle manutenzioni demandate ai posteri e della Sanità fai da te causa debiti ?

Se tale fosse il PD di Nicola Zingaretti – e sembra proprio che lo sia – è difficile che Di Maio e Casaleggio, seppur inesperti, vadano a replicare in segno opposto col  PD l’esperienza appena conclusa con la Lega.

Matteo Renzi ha raccolto molte antipatie e lo stesso vale per Elena Boschi, ma il percorso che avevano tentato andava nella stessa direzione dei Cinque Stelle: Zingaretti ed il suo PD sono proprio quello contro cui sono sorti i Cinque Stelle.

Non è la prima volta che i Democrats italiani arrivano al momento cruciale con il segretario sbagliato …

Già, perchè mentre tutti noi siamo preoccupati per i circa 28 miliardi di euro che vanno trovati per evitare l’ennesimo baratro, Nicola Zingaretti annuncia una ‘imposizione fiscale progressiva‘ … mica per risanare un tantinello il bilancio che fa acqua o per rilanciare l’occupazione eccetera … no, l’imposizione fiscale annunciata dal PD serve per “redistribuire il reddito e combattere le disuguaglianze”.

De Angelis per Huffington Post racconta che: “due ore per un segnale che non arriva, il volto scuro, le parole con cui certifica il doppio forno, il Capo dello Stato prende atto della crisi dentro i partiti. Entro mercoledì il nome di un premier o lo scioglimento“. 

Scioglimento del PD per salvare il Parlamento o scioglimento del Parlamento per salvare il PD in attesa che si divida secondo natura?
Questa è e sarà la responsabilità storica di Nicola Zingaretti.

Non è il solo: ci sono le responsabilità passate di Occhetto, Veltroni e D’Alema nelle fasi precedenti al PD e c’è ancora oggi il ruolo epocale di Berlusconi nel paralizzare tutto il Centrodestra.
Bisognerebbe ripartire dal 1946 e da De Gasperi, ma dove trovare i soldi del Piano Marshall per far ripartire l’Italia?

Demata

Quale PD e quale Italia con Zingaretti (+ Renzi + D’Alema)?

18 Dic

Dove vuole andare il nuovo PD che Renzi e D’Alema stanno costruendo “in nome di Zingaretti” non è difficile a prevedersi: basta consultare il sito della Regione Lazio e dare un’occhiata al Bilancio 2018, alla voce spese.

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Riassunto dati di Bilancio – Spese 2018 / Regione Lazio

E’ un bilancio semplice, potrebbe analizzarlo chiunque con un po’ di pazienza, non è mica quello della Lombardia che distribuisce il personale a seconda delle attività e spende per progetti ed obiettivi.

La prima somma che troviamo (Spese generali) sono i quasi 300 milioni annui per le Spese di personale, che dovrebbe consistere in 4.345 unità, secondo la Relazione Annuale sulla situazione del personale in ottica di genere, redatta dal Comitato Unico di
Garanzia della stessa Regione nel 2016: basta una divisione per sapere che parliamo di uno stipendio medio annuo di 68.944,73 euro.
Poi, ci sono le Spese per i consumi (beni e servizi per il funzionamento), cioè 96.936.368,17  euro per un anno, in affitti, noleggi e forniture necessari al servizio svolto dai 4.345 dipendenti, cioè 22.309,87 euro annui pro capite.
In totale sono quasi 400 milioni di euro, con una spesa di circa 90.000 euro annui per il funzionamento di una sola unità di personale.

Certamente molti dipendenti della Regione hanno stipendi bassi e lavorano in postazioni disagiate, ma i numeri dichiarati dalla stessa Regione sono quelli.

Poi, c’è il resto, a partire da rimborsi, restituzioni, interessi e crediti per un valore di 20.139.139.786,04 euro nel 2018, cioè il 54,82% della Spesa. Vogliamo parlare degli Investimenti? Solo 71.450.532,49 euro nel 2018 pari al 0,19% della Spesa.

Restano altri 15.438.274.128,01 euro (42,03% della Spesa) che … dopo aver scorporato i 11.894.893.791,41 euro (solo 9,65%) che vanno per Tutela della Salute … diventano soli 3.543.380.336,60 euro, che finiscono in Partita di giro a Comuni, Enti e Associazioni, secondo parametri euro-nazionali e secondo “volontà politica” locale.

Senza i debiti da sostenere ed anche riservando alla Tutela della Salute, ulteriori 3 miliardi di euro (cioè +15%), i finanziamenti per Comuni, Enti e Associazioni avrebbero potuto essere maggiori di 5-10 miliardi (cioè +2-300%), da spendersi stabilmente per Ordine pubblico, Istruzione e diritto allo studio, Beni e attività culturali, Politiche giovanili, sport e tempo libero, Turismo, Assetto del territorio ed edilizia abitativa, Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente, Trasporti, Soccorso Civile, Politiche sociali,  Sviluppo economico, Lavoro e formazione, Agricoltura, Energia e … sgravi fiscali e/o tributari, minori costi d’impresa, burocrazia semplificata, formazione permanente, innovazione eccetera.

E se questa è la Governance di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio (e la spiegazione del perchè Comuni e Territorio non riescono a tenere il passo del Settentrione, c’è quella nazionale del Centrosinistra (fonte Lettera34) fin da tempi lontani:

  • del 1983 il rapporto debito/Pil era del 69%, poi venne eletto Craxi e alla fine del mandato, nel 1987, era arrivato all’89%;
  • del 1991-1993, con i governi Amato, Ciampi e Dini (sponsorizzati da Massimo D’Alema) che nel liquidare la Prima Repubblica portarono il rapporto debito/Pil al 116%;
  • del 2013 quando Monti ci aveva lasciato con un rapporto debito/Pil era del 123% e che nel 2015 era arrivato al 132% con Matteo Renzi, che in 1000 giorni ha alzato il debito pubblico da 2.110 miliardi a 2.230 miliardi, quindi 2.617 euro a persona.

Una politica – nel PD di oggi e di ieri – che intende gli Eletti non come ‘rappresentati’ (del popolo o di parte di esso) e comunque focalizzati sul risultato generale, bensì  come ‘amministratori’ della ‘capillare’ distribuzione della spesa … in nome del partito e del consenso. L’ombra del ‘commissario politico’ tanto cara al Comunismo è ancora tra noi?

Il Bilancio di Spesa della Regione Lazio come quelli storici dei ‘socialdemocratici’ NON sono una bella prospettiva con un Cambiamento climatico, la Crisi finanziaria e la Decrescita italiana incombenti, che richiedono meno tasse, più occupazione e più investimenti.

E sappiamo tutti che se vogliamo alleggerire il rapporto debito/Pil andrebbero sistemati i pasticci dell’Inps e del Servizio Sanitario alla fine della Prima Repubblica che  fagocitarono il comparto assicurativo e che sono alla base del dissanguamento e del malcontento come degli sprechi e degli indebitamenti, oltre che di una perniciosa idea della Politica e della sua utilità sociale.

Allo stesso modo, possibile mai che proprio il Partito Democratico non riesca a chiedersi quanto e dove la riforma del Titolo V ha migliorato l’accesso democratico come quello al lavoro od ai servizi nelle Regioni italiane? E quanto è urgente, in alcune di queste regioni, il subentro dello Stato? E’ solo di ieri la notizia di ‘obbligo di dimora’ in relazione ad appalti mafiosi per un noto governatore regionale ec PCI ed oggi PD ….

Demata

Di seguito le pagine di bilancio regionale relative alla Spesa.

Roma spiegata al Sindaco Raggi

23 Set

Caro Sindaco,
partiamo dal fatto che non ci sono complotti e che vorremmo tutti aiutarla, visto come sta messa la nostra amata città.

Come sta scoprendo, c’è innanzitutto un problema di mentalità, che finora l’ha avvantaggiata e che – preso il potere – ritorna contro, per legge di azione e reazione.

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E’ difficile parlare della mentalità romana senza annotarne il polimorfismo dela morale cattolica, ovvero la capacità di modellarsi nel modo più utilitaristico possibile.

La vicenda di Callisto e Ippolito papi e il falso editto di Costantino ben chiariscono metodi e scopi della nascente organizzazione teocratica …
D’altra parte, eravamo nella Roma che usciva da mezzo secolo di bengodi e di complotti, sempre incapace ad autogovernarsi senza ricorrere a risorse altrui … da cui l’esigenza di espandere ad libitum l’Imperium.

In un contesto simile, con una tradizione ‘etica’ millenaria, la Politica romana dovrebbe ricordare la grande lezione repubblicana di Menemio Agrippa che se ‘semo solo noi’ si scompare dalla Storia.
Una delle frasi più famose di Giulio Andreotti è “quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro”: le fazioni – e solo dopo l’avidità – furono (e sono) la rovina di Roma dalla fondazione stessa.

Ne prenda atto ed inizi a governare, cioè ad esercitare l’arte del compromesso e della concertazione.

L’altro aspetto che lede dalle fondamenta la nostra capitale e la nostra società è l’idea che il mondo sia ingiusto perchè esistono persone più ricche di altre, che tramano contro la comunità, e che chi pensa a divertirsi sarà, nella sostanza, punito.
Tutti credono che sia colpa di Marx e Lenin, ma leggendo i versetti di Luca 6,24-26 troverete scritto “guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora siete potete divertirvi, perché sarete afflitti e piangerete.”
Prima di San Luca nessuno mai aveva affermato cose simili.

Se l’astio verso chi persegue il “diritto alla gioia” è il limes che separa i credenti di una qualche religione dagli integralisti, la diffidenza verso chi investe denaro e tempo in attività che portano lavoro e benessere a tutti è una follia distruttiva della coesione sociale di un popolo intero. Figuriamoci di una città.

Ne prenda atto ed inizi a governare, cioè a far capire che lei non è più la candidata dei Cinque Stelle, bensì il Sindaco di tutti i romani.

Infine, c’è da ricordare che Sant’Agostino scrisse che “il Signore conosce quelli che sono suoi e ciascuno di loro che chiede, riceve”.
Questo significa – innanzitutto – che se non è l’operosità, la ragione o la sorte a conferire il successo agli uomini, ma solo la loro ‘affiliazione a Dio’ a prescindere se l’intento sia santo o malvagio.
Una mentalità così può, forse, andare bene in una teocrazia od una monarchia assoluta, ma è del tutto inappropriata nel mondo moderno, dato che lascia la comunità sprotetta dagli speculatori e dai demagoghi.
Il tutto senza parlare del fatto che se sei malato e non arriva il miracolo che ti guarisce … sotto sotto te lo sei meritato. Sant’Agostino dixit.

Ne prenda atto ed inizi a governare, dimostrando che non sono un miracolo dei servizi comunali e sociosanitari almeno alla pari di quelli di Milano nel 1990.

Se, poi, la mentalità dei Cinque Stelle romani è ancora quella di credere che la volontà politica sia superiore alle leggi di mercato od a quelle della tecnica e della scienza,  che alla fin fine si rinvia tutto di cinque anni e qualche ulteriore debito per tutti, che magari dei bisogni dei cittadini e del funzionamento della città torna ad occuparsene qualcun altro (la Prefettura) mentre voi dibattete, … sarebbe il caso di spiegarlo almeno ai Grillini delle altre regioni.

Demata

P.S. Il gruppo Suez ha aumentato la sua partecipazione nella società capitolina dei servizi ambientali ACEA, passando dal 12,4 al 23%, grazie all’acquisto di azioni dal gruppo Caltagirone. L’affare proietta i francesi come primo socio privato di Acea, dietro al Comune che ha la maggioranza assoluta.
Che fa? Privatizza un po’ di Acea per trovare i quattrini per non privatizzare Atac e non mettere in riga AMA e i servizi diretti del Comune? Perdiamo entrate per sostenere sprechi? I Francesi entreranno anche in AMA?

 

Roma Capitale: la struttura del debito

13 Mag

I romani ed il loro futuro sindaco sono avvisati:la città ha contratto dal 2003 al 2008 un debito mostruoso, le cui somme (più i finanziamenti e contributi ordinari) sarebbero meritevoli di una puntata di Chi l’ha visto, per come sta ridotta la Capitale.

Il commissario straordinario per il piano di rientro del debito di Roma Capitale, Silvia Scozzese, ha reso nota l’effettiva situazione di bilancio del Comune di Roma:

  1. ad una valutazione al 30 settembre 2015 il passivo è salito a 32.369.019 euro
  2. il debito (anteriore al 2008) di Roma Capitale è di 13,6 miliardi di euro, due volte il bilancio del Campidoglio, ed oltre i tre quarti è riferito a mutui contratti dal Comune prima del 2008.
  3. di questi contratti solo due risultano ancora aperti, alla data del 30 settembre 2015, con la Banca Opere Pubbliche e alle Infrastrutture S.p.A. (OPI), nata quanto “Corrado Passera è stato scelto da Giovanni Bazoli come ad di Banca Intesa, nominando a sua volta Mario Ciaccia responsabile della Direzione Stato e Infrastrutture dell’istituto e poi numero uno di Biis (Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo), per finanziare opere pubbliche” (fonte Huffington Post)
  4. entrambi scadono il 31 dicembre 2030, con un valore mark-to-market negativo di circa 19 milioni di euro nel 2011 e furono stipulati il 24 luglio 2007, quando già un anno prima il viceministro dell’Economia Vincenzo Visco aveva lanciato l’allarme (inascoltato), auspicando  “la possibilità, anche per l’Italia, di poter aprire la procedura fallimentare per gli enti locali in dissesto finanziario. Una prospettiva che indurrebbe gli istituti di credito a una maggiore cautela nel ricorso ai sofisticati strumenti dei derivati finanziari per offrire risorse agli enti locali sulla base della garanzia delle delegazioni di pagamento” (fonte Sole24Ore)
  5. i crediti accumulati dal 2008 al 2014 consistono in 7,1 miliardi, tra tributi non pagati dagli evasori (Imu e Ici in testa), tariffe mai saldate (rette scolastiche, tariffe dei servizi sociali, affitti degli immobili di proprietà del Comune) e multe dei vigili non riscosse
  6. il valore attuale del debito finanziario fino al 2048  è di circa 9 miliardi di euro, cioè quanto previsto per i contributi futuri a Roma Capitale. La carenza di liquidità potrebbe determinare l’impossibilità di utilizzare i fondi stanziati per la copertura delle spese già programmate nonché obbligatorie
  7. riguardo i ‘derivati’ ed il debito che s’è creato sono state diverse le inchieste e le indagini per truffa ai danni del Comune.

Dunque, sarebbe bello che i candidati sindaco ci dicessero come vogliamo metterla, visto che neanche vendendo il Colosseo si copre un buco simile e visto che di sicuro non possiamo tenere la città in ginocchio a pagar debiti per i prossimi trent’anni come abbiamo arretrati ultradecennali nelle infrastrutture e nella manutenzione.

Demata

 

 

 

 

Borse giù: gli errori e le prospettive

9 Feb

Ormai è chiaro a tutti: il parlamento dei quarantenni – dal 2013 ad oggi – non è riuscito a portarci fuori dalla Crisi. Anzi, potrebbe averla aggravata.

Padoan, ministro dell’Economia e, soprattutto, delle Finanze, cerca di rassicurare mercati, famiglie ed investiri con il solito “quest’anno il debito calerà” … peccato che lo sentiamo dire dal giorno stesso dell’Unificazione italiana.

E se il debito cresce ogni anno, ormai sappiamo tutti che il problema sono quel 37% di spesa pubblica per rendite pensionistiche dei lavoratori che di norma non fanno bilancio pubblico e che anche questa legislatura non ha cessato decine di migliaia di aziende ed enti pubblici del tutto inutili od in folle perdita da decenni.

Dunque, i mercati e gli stati esteri sono vivamente preoccupati dall’estate scorsa nel constatare che è il 2016 e nulla si è fatto in Italia per riequilibrare il bilancio pubblico, mentre ripresa e crescita mondiale ritornano in stato comatoso.
Allo stesso modo, sono seri i dubbi che il già iniquo, sprecone e costoso Welfare italiano possa sostenere l’impatto (e la spesa) di milioni di nuovi arrivi.

Ma, per ridurci in queste condizioni, sono stati necessari alcuni gravi errori governativi nel settore finanziario:

  1. il crack di Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti è stato scaricato sul sistema bancario per quasi 4 miliardi di euro, di cui due erogati dal Fondo di risoluzione  e altri 2 miliardi arrivano da una linea di credito attivata da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi, nella speranza di riuscire a recuperare negli anni successivi almeno una parte dei fondi erogati attraverso la vendita delle aziende risanate o di parte dei loro asset.
    E, con un salasso del genere, tutto questo si traduce in minore disponibilità finanziaria per le aziende produttive che avranno bisogno di un fido e … per le politiche sociali e di crescita dal governo.
  2. negli stessi giorni, il Fondo strategico italiano (Cassa depositi e prestiti) rileva da ENI  il 12,5% del capitale di Saipem e sottoscrive l’aumento di capitale da 3,5 miliardi di euro, nell’ambito del nuovo piano strategico della società. Poi, salta fuori che Saipem attingerà dal sistema bancario finanziamenti per 4,7 miliardi di euro, di cui 3,2 miliardi serviranno a rimborsare i crediti residui verso Eni e che l’interruzione del progetto South Stream  ha comportato per Saipem un ‘danno’ corrispettivo di oltre 750 milioni.
    Intanto, con l’entrata di FSI (Cassa depositi e prestiti) e l’annuncio di aumento di capitale le azioni erano state collocate a 7 euro ed oggi valgono la decima parte se non meno.
  3. e più o meno contemporaneamente, Consob poneva paletti alla privatizzazione di Poste Italiane, che – con Enav e tant’altre ‘imprese pubbliche’ tra cui Inps e FS – attende la quotazione in borsa da anni ed anni.
  4. un paio di mesi dopo, Renzi annunciava che la diga di Mosul «è seriamente danneggiata e se crollasse Baghdad sarebbe distrutta. L’appalto è stato vinto da un’azienda italiana».
    Anche in questo caso il popolo dei risparmiatori /azionisti investiva sul titolo e le azioni di Trevi Group schizzavano da 1,075 € del 15 dicembre a 1,82 € del 30 dicembre; oggi sono intorno a 1,2 € pur avendo vinto la maxi commessa da 2 miliardi dollari.
  5. sempre sul finire del 2015, ENI presentava al Senato il piano di ENI riguardo lo sfruttamento dell’enorme  giacimento di gas scoperto alla fine di agosto di fronte alle coste egiziane. Grande entusiasmo finanziario e politico, siamo contenti per ENI, ma è ancora da capire quanto di quel gas arriverà davvero in Italia e in Europa visto che l’Egitto è un paese assetato di energia, senza parlare di contese territoriali (il giacimento è ‘quasi’ off shore) e di scombussolamenti politici in Egitto o (come nel presente) di crisi diplomatiche con l’Italia.

Intanto, quali siano i risultati di questa legislatura sono tutti in un grafico.

1_livelloPIL

L’Italia è ritornata ai livelli del 2000 ed è dal 2012 che non si vede ripresa del PIL, solo una frenata nella caduta. Intanto, rispetto al 2000 c’è l’euro anzichè la liretta ‘fai da te’, l’11 settembre neanche ptevamo immaginarcelo, c’è il 15% in più di pensionati e l’età media degli occupati in alcuni settori supera ormai i 50 anni.

Intanto, l’agenda politica è focalizzata sulla riforma del Senato, sulle nozze gay e sulle improponibili candidature di tanti aspiranti sindaco, mentre abbiamo bruciato non si sa quante risorse, che potevano andare a risanare bilanci pubblici anzichè privati.

E, se sei mesi fa l’agenzia internazionale Fitch confermava il rating dell’Italia a BBB+, avvertiva anche che “l’Italia altamente esposta a potenziali shock avversi” per il debito, per il rapporto deficit /Pil, per la “meno ambiziosa” riforma della spesa pubblica, per la solvibilità garantita solo grazie ai risparmi delle famiglie e ad “un sistema delle pensioni sostenibile” (sic !).

Come anche son quasi 3 anni che il secondo partito, i Cinque Stelle, non spinge per le riforme che servono e che languono nelle Commissioni, mentre Renzi riconferma l’antica regola (violata dal PSI di Bettino Craxi) che non si governa bene o affatto, se si è nella doppia veste di premier e segretario di partito.

Dunque, non sono le amministrative o il referendum costituzionale nè l’esigente Europa quello che deve preoccupare Renzi, il suo partito e la sua generazione: i prossimi bollettini di rating arriveranno prima delle elezioni.

Servirebbe che il governo mettesse in calendario le norme su pensioni e privatizzazioni che attendono nelle varie commissioni e che – emendate al meglio – fossero sostenute anche dalle opposizioni. La Grecia con i suoi quarantenni ‘soli al governo’ è finita con un indebitamento maggiore e condizioni peggiori: questo dovrebbe insegnarci qualcosa.

Demata

Roma, la black list degli ‘onesti’ e i 350 milioni che non tornano

1 Set

Roma Capitale da aprile 2014 ha avviato un piano di razionalizzazione e riorganizzazione dell’azienda controllata ATAC (tram e bus) tra cui la gestione dell’eccedenza di personale amministrativo, non direttamente coinvolto nell’erogazione del servizio.

Da oggi la ‘black list’ definitiva di chi andrà in esubero o cambierà ufficio è esecutiva, ma “il numero dei dipendenti che la compongono si riduce sempre più”, come denuncia il consigliere comunale Maria Gemma Azuni.

E, tanto per capire cosa sia accaduto Roma in questi anni ai dirigenti ed ai funzionari ‘utili ma scomodi’, Gemma Azuni denuncia che “continuano ad evidenziarsi forti contraddizioni circa i criteri e le motivazioni di inserimento nella black list di lavoratori che per anzianità, carichi familiari, tipologia lavorativa e caratteristiche prettamente operative ed influenti sul buon andamento del servizio sono finiti fra gli esuberi, mentre, coloro che proprio secondo l’Azienda dovevano esservi inseriti, sembra siano, magicamente scomparsi e, quindi, graziati.”
Per non parlare “delle circa 50 consulenze d’oro che appaiono di mera facciata e costano circa due milioni di euro, le gravi irregolarità sui contratti di fornitura e manutenzione, la “Parentopoli ATAC”, con l’assunzione di persone prive delle più elementari competenze necessarie per lavorare nel campo del trasporto pubblico, assunte, peraltro, con incarichi di prestigio e stipendi altrettanto prestigiosi.”

Se questa è una delle tante emergenze irrisolte da Ignazio Marino con cui devono confrontarsi l’assessore Esposito e il prefetto Gabrielli, ce ne è un’altra – molto ‘dolorosa’ che a andrà in scadenza con il nuovo anno.

Parliamo dei 350 milioni di fondi comunali andati in fumo per compensi non dovuti ai dipendenti comunali.
Una questione scabrosa che non riguarda l’operosità dei dipendenti in questione, ma scaturisce da accordi sindacali sugli straordinari arcaici o, talvolta, extra legem (come per le tutele della salute).

A maggio scorso, Renzi ha chiarito che il Mef – pur avendo notificato il ‘danno’, non può esigerli.
Resta, però, il Consiglio di Stato (Sez. VI, 2 marzo 2009 , n. 1164), che sancisce il diritto-dovere della Pubblica Amministrazione a recuperare le somme indebitamente erogate e che la buona fede del dipendente non è di ostacolo.

Dunque, salvo ripensamenti del Mef e dei suoi ispettori /revisori, i 350 milioni in questione dovranno essere in qualche modo iscritti al Bilancio di Roma Capitale entro la fine dell’anno.  Oppure, se Roma Capitale – tra farragini e distinguo – non provvederà all’iscrizione delle somme a residuo, anno per anno finirà tutto in prescrizione (vedi Sentenza TAR Lazio 1317 del 9 febbraio 2012).

Anche se siamo nell’Anno Santo della Misericordia, sarà da vedersi cosa deciderà di fare l’on. Marco Causi, nuovo vicesindaco ed anche assessore al Bilancio nella terza Giunta Marino da pochi giorni, come lo fu dal 2001 al 2008.
Non sarà facile: è sulle ex municipalizzate e sulla gestione /spesa per personale comunale che i suoi precedessori – Daniela Morgante e Silvia Scozzese al Bilancio, Luigi Nieri come vice di Marino – hanno trovato le maggiori difficoltà.

Intanto, speriamo che l’assessore Stefano Esposito voglia vederci chiaro nella ‘black list’ dell’Atac.

Demata

Grecia: le bugie e le gambe corte

7 Lug

La Grecia ha da giorni interrotto gli scambi finanziari con l’estero ed a causa di questo sta venendo meno la disponibilità di farmaci  nel paese al punto che la stessa Germania vuole attivare aiuti umanitari.

Ecco i risultati del dilettante allo sbaraglio Varoufakis, che voleva ritornare alla dracma e non saldare i debiti contratti.

Intanto, il ministro dell’economia Giorgos Stathakis ha annunciato che la Grecia ha ammorbidito le sue pretese e chiederà solo il taglio di 100 miliardi di debito, travestendolo da spalmatura per non falcidiare l’euro e le tasche degli europei. Magari …

In quali mani si siano messi i greci dovrebbe essere chiaro ormai a tutti e ancor più per noi italiani che ricordiamo ancora certi ‘partiti di lotta e di governo’, i ‘tesoretti’ poi dimostratisi voragini, la finanza ‘creativa’ che ha messo in ginocchio Roma molto prima che la Grecia.
E quale sia il carico di diffidenza che ormai grava sui greci è tutto nelle dichiarazioni di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogroup: “aspettiamo nuove proposte e vedremo se sono credibili” …

Sarcastico ma esplicito anche l’antipatico Juncker:: “Ci è stato detto che dobbiamo rispettare il voto del popolo e io non mancherò di farlo. I cittadini della Grecia hanno parlato e mi piacerebbe capire quello che dicevano. Ma la domanda che è stata posta al popolo greco (ndr. con il referendum) è qualcosa che non esiste.
Forse qualcuno dovrebbe spiegarmi in dettaglio cosa tratti la domanda che è stata posta popolo greco, ma forse ci sarebbe stata troppa carne da mettere al fuoco (it would be too much of a circus = sarebbe stato davvero un gran casino).”

In effetti il quesito posto ai greci era molto superficiale, ovvero se “deve essere accettato il progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi nell’Eurogruppo del 25 giugno 2015” ed i greci hanno risposto di ‘no’, ma … questo può significare l’insolvenza più caparbia od il desiderio di saldare prima possibile oppure cedere ad altri stati tot isole ed isolette o … chissà quante altre soluzioni più o meno incredibili … incluso il confondere una croce messa su una scheda di un referendum frettoloso e pauroso con una effettia base popolare per Syriza e Tsipras.

Più simpatico il nostro ministro degli esteri Gentiloni: “sappiamo bene che la Grecia è fuori dai parametri e non per colpa dei tedeschi cattivi, ma per responsabilità delle leadership che si sono succedute ad Atene negli ultimi 15/20 anni. La Bce ha preso le sue decisioni, che non sono di competenza della politica. Ma i governi non possono scaricare il peso delle scelte sulle spalle per quanto robuste del governatore. La politica non può rinunciare al suo ruolo.”

Morale della favola: i greci sono vessati  non dalle banche assassine, ma da se stessi e dai politici corrotti od incapaci che riescono  a scegliersi. Quanto alle “bugie dalle gambe corte”, come “le chiacchiere e i distintivi”, coloro che sono ‘pro Grecia, anti Banche’ dovrebbero informarsi meglio: Tsipras (ed il suo partito, Syriza, con il 60% dei greci per ora al seguito) non vogliono restituire centinaia di miliardi di  euro al Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) e al Meccanismo europeo di stabilità (Esm), oltre che alla BC … cioè a noi.

Demata

Grecia: vincono gli insolventi, ma i creditori sono i lavoratori e i pensionati d’Europa

6 Lug

La Grecia ‘prima dell’euro’ era un paese povero e sottosviluppato, che sopravviveva grazie ai transiti mercantili ed ai flussi turistici. Una nazione che emetteva la dracma ad un cambio ‘ufficiale’ e poi lasciava che venisse scambiata ovunque a 20 volte in meno. Un paese talmente privo di sviluppo culturale ed industriale che i suoi figli migliori dovevano studiare all’estero, se volevano diventare biologi  od ingegneri provetti.

Con l’avvento dell’Europa (ed il benessere che portò) la Grecia non fece altro che spendere e spandere in privilegi, corruzione e ‘sociale’, finendo per ritrovarsi con Atene – la capitale – a raccogliere quasi metà della popolazione, ma senza avere le potenzialità industriali per sostenere un tale addensamento (ndr. come ad esempio Roma).
Finchè, nel 2009, salta fuori che addirittura lo Stato greco aveva truccato i conti pubblici, onde succhiare risorse ai creditori.

Da allora la Grecia ricatta l’Europa, minacciando l’insolvenza (ndr. default), che colpirebbe duramente i creditori, e ricatta i propri cittadini, dato che per pagare gli interessi s’è tagliato e venduto di tutto, ma non s’è fatta una riforma.

Chi sostiene Tsipras dimentica, infatti, che:

  • 2010 la Grecia taglia la spesa pubblica di 30 miliardi e promette riforme, ricevendo un credito di 110 miliardi di euro
  • 2011 non avendo mantenuto le promesse di riforma, deve promettere di tagliare ulteriori 6 miliardi e garantire un rientro di  ulteriori 28 miliardi di euro entro il 2015. Intanto, essendo l’economia prevalentemente clientelare, il PIL crolla e la disoccupazione esplode
  • 2012 permamendo l’inerzia dei greci, arrivano nuovi aiuti per evitare il default: 130 miliardi e la riduzione del valore nominale del 50% dei titoli di Stato, con un allungamento della scadenza (ndr spalmatura)
  • 2013 il PIL è passato in pochi anni da oltre 350 miliardi o poco più di 200 miliardi di euro, mentre il debito pubblico è ben maggiore di quello descritto nei conti ‘truccati’, pari a 320 miliardi di euro, ovvero il 175,1% del PIL
  • 2014 l’economia riparte, ma dopo i tagli non arrivano le riforme. Intanto, il Pireo somiglia sempre più ad una filiale commerciale di Shangai e dei flussi turistici di una volta non v’è più traccia
  • 2015 i greci eleggono Tsipras che promette una politica ‘forte’ verso l’Europa e il FMI, riavviando il ricatto dell’insolvenza e dell’uscita dall’Eurozona.

Grazie alla preannunciata insolvenza (febbraio scorso), la Grecia si trova costretta a finanziarsi con la sola liquidita’ di emergenza della BCE (Ela). Ad aprile, durante la riunione apposita dell’Eurogruppo, il ministro dell’economia greco Varoufakis viene accusato di essere “un dilettante e un perditempo”.
A maggio – quattro mesi dopo le minacce di insolvenza e la prevedibile restrizione di liquidità, Eurostat certifica che il Paese è nuovamente in recessione, mentre i creditori chiedono tagli pari ad almeno tre miliardi entro l’anno.
A fine giugno, Tsipras e Varoufakis non saldano la rata di 16 miliardi, di cui avevano ottenuto la dilazione, e annunciano un referendum per la permanenza della Grecia nell’Eurozona, con il risultato di interrompere il flussi di liquidità.

Per comprendere come mai i greci non se la prendano con i propri politicanti o, meglio, emigrino in massa, è utile sapere che tutto questo accade in un paese dove l’informazione e i media hanno una ‘chiara’ fama (ndr. 69esimi nella classifica Reuters) e che il maggior sostegno arrivi  dall’Italia, pari ‘merito’ al 69° posto in classifica …

Infatti, mica ci raccontano che i creditori siamo noi, i lavoratori e i pensionati degli stati europei più svantaggiati.

Il debito greco non fa capo ad entità finanziarie astratte (o rapaci): è al 60% della Ue attraverso i suoi fondi Efsf – Esm, il 12% è del Fmi, l’8% è detenuto dalla Bce, 11% sono bond e il 4% sono bills (prestiti cedibili a breve termine), il 5% sono altri prestiti.

I lavoratori e i pensionati europei sono informati che Tsipras (e Syriza, il partito di sinistra greco) chiedono di ‘scalare’ quasi 200 miliardi di euro dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) e dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm), oltre che dalla BCE?

Le nostre agenzie ed i nostri talk show – con tutto il novero di noti opinionisti, sindacalisti, politici ed economisti – spiegano che sostenere Tsipras equivarrebbe a svalutare l’euro di un buon 5%, oltre che sottrarre miliardi su miliardi al welfare e alla ripresa italiani?

Demata