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Pro e contro della riforma pensionistica (in sintesi)

28 Set

La Repubblica riporta che “il verbale del governo” prevede di consentire:

  1. persone con disabilità = accesso alla pensione con 41 anni di contributi
  2. lavoratori precoci (con 12 mesi di contributi prima dei 19 anni di età) = eliminare le penalizzazioni sul trattamento pensionistico in caso di pensione anticipata prima dei 62 anni
  3. lavori gravosi (da definire con i sindacati) = accesso alla pensione con 41 anni di contributi
  4. lavori usuranti = anticipo pensionistico di 12 o 18 mesi rispetto alle attuali norme
  5. pensioni inferiori ai 1000 euro = quattordicesima
  6. pensioni anticipate (Ape) = tagli alle pensioni superiori ai 1500 euro fino al 25% sull’importo dei successivi vent’anni

In parole povere:

  1. bene per i disabili, ma sarebbe stato più equo fissare il limite a 35 anni contributivi
  2. bene per i lavoratori precoci, ma solo a condizione che valgano anche le ricongiuzioni – salatamente pagate – che adesso sono escluse dal computo
  3. male per i lavori gravosi = sarebbe stato più umano fissare il limite a 35 anni contributivi
  4. peggio per i lavori usuranti, = sarebbe stato più umano fissare il limite a 30 anni contributivi
  5. bene le pensioni più basse = è praticamente quanto serve a garantire l’alimentazione di una persona per due settimane / un mese
  6. malissimo le pensioni anticipate = chi mai vorrà lasciare il lavoro perdendo fino al 25% di un buon reddito – conquistato nell’arco di una vita – per anticipare di un anno o due?

C’è, dunque, da vigilare, perchè, tra il dire e il fare, la furbaggine dei nostri attuali governanti potrebbe -alla fine – risolversi con un fico secco, salvo i ‘pacchi alimentari’ per le semi-minime (3,3 milioni di italiani) e l’ennesima mattanza del ceto medio (tra i nati 1952-1963) … visto che “saranno previste misure ad hoc per le uscite dovute a crisi aziendali  con oneri a carico delle imprese”.

Fico secco utilissimo a raccattare voti tra i ‘poverelli’ come al solito ed a rinviare di altri due o tre anni il blocco delle pensioni attuato da Monti, Fornero e il Pd che li sosteneva nel silenzio assoluto dei sindacati.

Demata

 

 

Perchè Renzi ha perso la fiducia dell’Europa

27 Set

Il miglior risultato italiano nel 2014 annunciato dall’Istat (e parliamo di un quasi 50% in più, ebbene sì) dimostra che le misure introdotte tra il 2012 e il 2013 (Monti-Letta) avevano effettivamente rilanciato il Sistema Italia.

Il peggior risultato del 2015 certifica – fuori ogni dubbio – che le politiche di Renzi-Padoan-Poletti sono state fallimentari.

E’ forte il dubbio che Renzi o i suoi abbiano ‘frenato la registrazione di dati con il subentro al Governo, onde attribuirsi successi altrui ed avere campo libero sulla finanza pubblica.

Tra pochi mesi, inizierà una sequenza di aste di BTP e BOT iperbolica: sono le cartelle quinquennali delle emissioni di Mario Monti e sono oltre 300 miliardi di euro che dovremo saldare e vendere con il rating che avremo nel corso del primo semestre 2016.

La sicumera di Renzi – agli occhi dell’Eurozona – comporta un ulteriore dubbio: che in soccorso dei nostri BTP e BOT arrivino investitori extraeuropei o, peggio, riciclatori di denaro.
Potremmo anche vendere bene le nuove riemissioni, ma … Renzi che ripropone il Ponte sullo Stretto di Messina con questi chiari di luna è davvero un pessimo segnale.

Ai tedeschi i dubbi non piacciono affatto peggio ancora le bugie, mentre i francesi non possono permetterseli con i guai che hanno.

Mala tempora currunt?

Demata

1952-1963, la generazione che paga per tutti

22 Set

sisifo21Sono uno dei nati tra il 1952 e il 1963, a partire dai 17 anni di età verso contributi sul mio fondo pensione e, arrivato a 58 anni, mi ritrovo con oltre 40 anni di età contributiva, ma anche con un po’ di malattie croniche, di cui una congenita – riconosciuta solo nel 2009 – che mi obbliga da sette anni ed ogni settimana ad infondere in ospedale un farmaco salva vita.

Per ottenere un’invalidità superiore al 74% e la gravità ho impiegato cinque anni e ci sono riuscito solo citando in giudizio l’Inps.
Per dimostrare che i fattori d’aggravio certificatimi da esperti internazionali erano incompatibili con il mio lavoro ed essere protetto /ricollocato, ho impiegato sei anni, una dozzina di accessi in pronto soccorso e non so quante urgenze mediche, più due visite del medico competente di cui una durata otto mesi.

Intanto il tempo passava e i governi:

  • prima hanno innalzato l’età contributiva del 17% portandola da 35 anni a 42 e vari mesi,
  • poi hanno eroso i 5 anni di scivolo pensionistico per le malattie congenite, di cui avrei goduto se dichiarato invalido grave entro il 2011 …
  • infine, da anni Inps e ministero competente si astengono dal dare seguito a quesiti e accessi agli atti volti a conoscere la mia situazione previdenziale.

Infatti, molti anni prima (tra il 1992 e il 1995) due governi avevano trasformato i nostri fondi pensione in un sistema previdenziale universale, ma non è che qualcuno venne a chiederci il permesso, non almeno secondo quanto prevede l’art. 39 della Costituzione.

Aggiungiamo che – vinta la battaglia con il medico competente – la ripresa del lavoro in soli quattro mesi mi è già costata due pronti soccorsi e un notevole incremento di farmaci e … che io avevo chiesto il prepensionamento in base ad un decreto dello stesso Mario Monti (sic!).

Adesso, proprio mentre i nati tra il 1952 e il 1963 – cioè io – vanno ad approssimarsi ai fatidici 42 anni e vari mesi contributivi, il governo del Nazareno vuole incrementarci l’età pensionabile, rendendola obbligatoria a 65 anni dopo aver impennato quella contributiva ed ostacolato in ogni modo gli invalidi.

Morale della favola, una bella fetta di nati tra il 1952 e il 1963 (tra cui io) si ritroverà – da invalido grave – a lavorare per 45-47 anni, onde sostenere le pensioni di chi (70enne o 40enne) non ha od avrà lavorato neanche 30 anni in tutto.

Sullo sfondo l’inspiegabile silenzio dei sindacati (lo ha ammesso persino Mario Monti) dinanzi ad interventi draconiani sui Fondi Pensione di uno specifico gruppo anagrafico, già in larga parte contribuiti e già rinviati di un quinquennio, persino agli invalidi gravi.

A quando un ministro del lavoro e delle politiche sociali, che abbia come scopo verso i lavoratori di “prevedere ed assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”?

Visto che si parla tanto di Costituzione, quand’è che prendiamo atto c’è qualcosa di incostituzionale nel Fiscal Compact, almeno per quanto riguarda l’applicazione che ne danno Monti – Padoan e Fornero – Poletti?

E quando constateremo che l’Inps non ha più nulla a che vedere con il mandato costituzionale per cui nacque, nè con la previdenza universale e tanto meno con i fondi pensione, se non è prevista la possibilità di prepensionarsi per chi ha lavorato 30-35 anni e soffre di patologie croniche od oncologiche?

Qui non parliamo di ‘stato sociale’ o di ‘beneficenza’, ma di contributi effettivamente versati e non riscuotibili (con i relativi montanti previsti) neanche dopo 30 anni. E’ legale una roba così?

Demata

Pensioni: persino l’Inps ne denuncia l’iniquità

15 Mar

Tito Boeri, presidente dell’Inps, è intervenuto ad un convegno organizzato a Torino dai sindacati dei dirigenti pubblici, denunciando che

  • “c’è stato inizialmente, da parte del governo, un impegno a fare questa riforma nel 2015. Doveva essere inizialmente della legge di Stabilità per il 2016, poi si è detto ‘la si fa nel 2016’ e ora si parla di farla con la legge di Stabilità del 2017”
  • “il 70% degli italiani prende una pensione inferiore agli 800 euro. Bisogna inoltre intervenire sulla ricongiunzione dei diversi sistemi pensionistici”
  • certe pensioni sono “ancora troppo alte e ingiustificate rispetto ai contributi. Molti obiettano che non si possono toccare i diritti acquisiti, ma ogni volta che si fanno riforme si toccano i diritti, l’equità non può prescindere dalla contribuzione pur se occorre muoversi su questa delicata materia con grande attenzione”.

L’Inps, per voce del suo presidente, ha anche esortato il governo affinchè “vari al più presto norme che prevedano flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro, con conseguenti riduzioni della pensione. Così si sbloccherebbe il sistema pensionistico irrigidito dalla legge Fornero e si promuoverebbero le assunzioni di giovani”.

A margine di un convegno sulla contrattazione alla Camera, organizzato da Forza Italia, i segretari generali di Cgil e Uil Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo – dopo l’ulteriore ribadire di Boeri – hanno finalmente preso atto che  da ben cinque anni i lavoratori italiani sono trattati in modo particolarmente iniquo ed hanno promesso, rispettivamente, “abbiamo deciso di prevedere iniziative” e “a breve faremo una mobilitazione” …

Non sappiamo se i Sindacati abbiano anche recepito che esistono pensioni sopravvalutate e pensioni da miseria … inferiori persino ad un reddito di cittadinanza.

Ci saremmo aspettati qualcosa di più (dai sindacati, dai media, dai politici) se ormai è persino il presidente dell’Inps a dare l’allarme sull’iniquità sociale e sull’insostenibilità finanziaria delle norme pensionistiche varate dal Parlamento tra il 1994 e il 2002, prima, e, poi, nel 2011 … ma essendo stato, sempre e comunque, l’attuale Partito Democratico a promuoverle con l’appoggio della stampa pressochè tutta … non poteva essere altrimenti: attendere il 2017 … magari coprendo i TFR con titoli di Stato …

Speriamo solo che almeno un parlamentare, europeo o nazionale che sia, si prenda la briga di interpellare a riguardo ministri e commissioni – come sarebbe suo dovere visti i milioni di italiani che attendono –  riguardo al fatto che la Corte di Conti ha certificato un “buco” di 23 miliardi di euro, che l’Inps ha ereditato dall’Inpdap, per il mancato pagamento mensile dei contributi dei dipendenti pubblici da parte delle pubbliche amministrazioni …

Demata

Tariffe pubbliche, ancora in aumento

7 Mar

Il costo dei servizi pubblici continua ad aumentare non solo per le casse dello Stato ma anche per la spesa corrente dei cittadini.

Dai dati Osservatorio “Prezzi e mercati” di Unioncamere emerge un dato allarmante, se il carico sui cittadini continua ad aumentare, mentre l’inflazione è ferma e mentre i ‘costi vivi’ (energia e rifiuti) calano.

Eppure, il Partito Democratico … sembra quasi che tutto stia nell’affermarsi sulle fazioni di partito.

RISUS ABUNDAT 0

Ma i dati sono indicativi di un malgoverno e non di un risanamento, di una carenza di proposte e metodo e non di una ‘visione’ politica ed economica.

Costo al cittadino dei servizi gestiti dagli enti locali:

  • in media + 1,8%
  • tariffe idriche + 8,5%
  • prestazioni ambulatoriali + 2,8%
  • trasporti ferroviari regionali + 1,9%
  • istruzione secondaria e universitaria + 1,9%
  • rifiuti solidi urbani – 2,9%
  • servizi pubblici locali  + 5,0%

Costo al cittadino dei servizi a controllo nazionale

  • in media + 1,4%
  • tariffe postali + 12%
  • tariffe telefoniche +4,1%
  • energia – 2,5%

Tenuto conto che non solo i nostri portafogli, ma anche e soprattutto debito e deficit sono svuotati da ‘dette spese’ e che è dal 2011 che abbiamo premier non eletti ‘che loro sanno come mettere a posto il Belpaese’ … non resta che prendere atto del persistente insuccesso.

Demata

Foucault e le riforme che Italia e Francia attendono da decenni

2 Mar

Nel 2009, la casa editrice Sense Publishers di Rotterdam nei Paesi Bassi pubblicava un interessante saggio intitolato “Governmentality Studies in Education” ed ispirato al pensiero di Michel Focault.
Di seguito – tradotti in italiano – alcuni stralci significativi di una “raccolta che utilizza la nozione di ‘governatività’ di Foucault per identificare e analizzare i principali modelli e caratteristiche del liberismo economico”, che … sembra non sia ancora pervenuta a chi si occupa di servizi pubblici in Francia come in Italia, in particolare scuola, università e sanità.

“Il neoliberismo ha trionfato ed è diventato oggetto di studio, mentre in Francia , dato il relativo predominio del partito socialista, abbiamo dovuto lottare per venti anni per produrre una riflessione su un sociale ‘disaccoppiato’ dal socialismo e affrontata in termini di governabilità della democrazia.

Per quanto riguarda la prospettiva di Foucault, è con le sue lezioni del 1976 che inizia a prendere le distanze dal ideali militanti del tempo. La discussione in quelle lezioni di Sieyès e Terzo sembra già prefigurare le successive riflessioni sulle capacità formidabili del liberalismo come una razionalità politica.

Il recepimento dell’analisi di Foucault sul neoliberismo , purtroppo, spesso sembra essersi appiattito in una serie di generalità polemiche, ideologiche e globalizzanti, facendo a meno del tipo di indagine descrittiva che Foucault aveva intrapreso nel 1979 sui vari avatar del neoliberismo con la loro specificità nazionale, storica e teorica.

Michel Foucault aveva inventato un metodo unico per riconsiderare i nostri modi di pensare a tutti quegli oggetti apparentemente universali come la follia, delinquenza , sessualità e governo. Per lui non si trattava di mostrare la loro relatività storica , né rifiutare la loro validità, come spesso si sostiene, ma piuttosto, era proprio sostenendo a priori la loro inesistenza a disfare tutte le certezze di che essi sono oggetto, come ad esempio la loro ‘storicità’ pura . Questo gli ha permesso di chiedersi come ciò che non esisteva avrebbe potuto avvenire, come una serie di pratiche potrebbe essere strutturata per produrre, in relazione a ciascuno di detti oggetti , un regime di verità, un fatto di potere e di conoscenza combinata , che permetta di dire, finché il citato regime di verità ha imposto la sua efficacia , cosa fosse vero o falso in questioni di follia, delinquenza, sessualità e di governo.

La concorrenza non è un fenomeno naturale, ma un meccanismo formale, un modo di agire efficace sulle disuguaglianze, lasciando nessuno al sicuro nel dominio della propria posizione . Pertanto, il ruolo dello Stato è di non intervenire a causa del mercato, ma per il mercato, in modo che sia sempre mantenuto e che  il principio della parità diseguale sortisca il suo effetto. La concorrenza non è un fatto naturale.
Deve suoi effetti per l’essenza che detiene … La concorrenza è un eidos , un principio di formalizzazione … è in qualche misura un gioco formale tra le disuguaglianze .

Secondo questa dottrina (ndr. il neoliberismo), in ogni caso, lo Stato deve procedere per favorire la solidarietà della società, ma solo quella. Si deve sapere come compensare le carenze del mercato per la protezione della popolazione  ma anche come prevenire che essa vada al di là del sociale e diveniti culla di un socialismo inteso come alternativa al mercato.
In Francia , “l’arte del non troppo, né troppo poco” come forma di governamentalità nel nome dell’utilità ha trovato una formulazione più metodica che nella maggior parte degli altri paesi europei – Regno Unito incluso – poiché ha mobilitato una conoscenza diversa da quello dell’economia politica (vale a dire , la sociologia) e un’altra terminologia , quella della solidarietà.
E la via utilitaristica ha diffuso questa “arte” in tutta Europa , anche in Francia, seppur sia la patria della sovranità nazionale.
D’altra parte, si dovrebbe considerare che quest’ultima non è mai stata sconfessata nella sua preminenza ideologica. Nemmeno lo è stato il socialismo – almeno quello democratico –  considerato da molti come la principale forma di realizzazione della sovranità.

L’idea che un governamentalità socialista è incoerente e può solo portare ad un governo amministrativo – aggiornamento, per così dire , della ragion di Stato o vergognosamente analogo al liberalismo ( Guy Mollet ad esempio) – tiene in scarsa considerazione questa perennità della sovranità che viene solo in parte vissuta come alternativa contro gli “eccessi” del liberalismo . Nel suo corso , inoltre , Michel Foucault insistette fortemente sulla assenza di razionalità governativa nel socialismo.

Per l’economia politica, lo scopo della ragione governativa non è più lo Stato o la sua ricchezza, come nel modello della ragion di Stato, ma la società, il suo progresso economico. Il suo ruolo non è pi quellodi trattenere una libertà , espressione della fondamentale cattiva natura degli uomini, ma per controllarla, e per questo motivo, vietarla, se necessario, mediante restrizioni. È una libertà che viene prodotta e che è da costruire.
Questa costruzione avviene attraverso interventi di Stato, non dal suo puro esemplice ritiro. Ma fino a che punto può e deve andare in questo interventismo senza rischiare di diventare il suo contrario , un nascosto o dichiarato  anti- liberismo? Questa domanda è il punto di partenza della riflessione neoliberista, sulla cui origine  Mr. Foucault manifestò le proprie riflessioni nel successivo corso del 1979, dal titolo “La nascita della bio- politica”.

L’Homo economicus dei liberali tradizionali era l’uomo di scambio, considerato come partner di un altro uomo durante lo scambio. Viceversa, l’homo economicus del neoliberismo è un imprenditore di se stesso, ha solo concorrenti. 
Anche il consumo diventa un’attività di impresa in base alla quale il consumatore impegna la produzione della propria soddisfazione. Quindi, non ha senso la contrapposizione tra produzione e consumo, tra il carattere attivo del primo e di quello passivo o alienato di quest’ultimo.
Denunciare la società dei consumi o la società della spettacolo è un errore di questa epoca, come il far finta che l’uomo del neoliberismo è un uomo di scambio e di consumo se lui è prima di tutto un imprenditore. È il problema di redistribuzione e del divario redditi che crea uomini come consumatori. Viceversa, la “politica della società” trasforma un uomo in imprenditore, cioè qualcuno che si trova in un gioco e si da da fare per aumentare il suo successo in un sistema in cui le disuguaglianze sono necessarie perchè più efficaci e stimolanti  di quanto siano note le grandi lacune.

La questione del ruolo dello Stato è una dimensione che associa da vicino la terza via al neoliberismo. Per esempio, respinge chiaramente tutto ciò che la Sinistra francese continua a mantenere come un dominio dello stato: nazionalizzazioni , pubblici servizi strutturati come ‘clero’ dello Stato , ecc. Tuttavia , questo non significa voler ridurre lo Stato ad un ruolo figurativo. Esso assume un rulo di dichiarato sostenitore delle  “politiche della società”, secondo l’espressione neoliberista utilizzata per denominare l’interventismo destinato a portare qualsiasi attività sociale a regime di concorrenza.

Senza dubbio, i sostenitori della terza via (ndr. liberista) valorizzano autonomia e responsabilità individuale  come i neoliberisti. Li vedono come mezzi per contrastare l ‘aumento nel settore dei  servizi, che può aumentare  a dismisura se si rimane nella logica corrente di compensazione automatica per tutti i problemi reali per cui siamo portati a dispiacerci.
Per loro, però, essi (ndr.  autonomia e responsabilità individuale) sono solo uno (ndr. strumento) tra i tanti altri.

E, tra i tanti, ve ne è uno che caratterizza più direttamente questa politica corrente in quanto costituisce un’alternativa sia all’individualismo come al vecchia sinistra: è quello che sottolinea la dimensione collettiva e politica della prevenzione dei danni.
Vale a dire quella che sottolinea la nozione di azione comunitaria (in Francia si dovrebbe dire “collettiva” per evitare qualsiasi malinteso di questa espressione).

Ma, tanto come il neoliberismo si proponeva di portare “la politica della società”, la terza via si attrezza per ricostruire “una società politica”.

Demata

Gli autori della raccolta di saggi sono: Michael A. Peters (professore di Education presso the University of Waikato, New Zealand and Emeritus Professor in Educational Policy, Organization, and Leadership presso the University of Illinois at Urbana–Champaign), Mark Olssen (professore di Political Theory and Education Policy in the Department of Politics presso the University of Surrey), A.C. (Tina) Besley (direttore del Centre for Global Studies in Education Director e è professore al  Te Whiringa School of Educational Leadership and Policy, Waikato, New Zealand),  Susanne Maurer e Susanne Maria Weber  (rispettivamente professori di Erziehungswissenschaft/Sozialpädagogik e di Soziale, politische und kulturelle Rahmenbedingungen presso l’Institut für Erziehungswissenschaft der Philipps-Universität – Marburg).

Deficit regionale: per quasi la metà è del Lazio

29 Ago

Chissà cosa ne diranno gli elettori (e chi certifica la finanza) dei storia dei “fondi dello Stato che sembra siano serviti per pagare anche dei debiti fuori bilancio”, tra cui – sembra- ben 9 miliardi per la Sanità Regionale.
Il tutto nonostante il pareggio di bilancio introdotto nel 2012 dal Governo Letta per consentire allo Stato Italiano rispettare i vincoli costituzionali del Fiscal Compact.

Soprattutto se, invece di ‘condonare’ i debiti in base al numero di abitanti – magari elargendo qualcosa anche a chi in rosso non ci è andato – si pensa di fare di tutto un blocco con Toscana, Piemonte e Lazio che si sono indebitate rispettivamente, per il doppio, il triplo ed il quintuplo della media nazionale.

REGIONE DEBITO (milioni di Euro) ABITANTI (milioni) DEBITO per ABITANTE (Euro)
Lazio 8.700 5,9 1.470
Piemonte 3.050 4,4 690
Toscana 900 1,6 560
Campania 2.700 5,8 460
Veneto 1.550 4,9 310
ITALIA 2.308 29 300
Molise 70 0,3 230
Emilia Romagna 950 4,5 210
Liguria 260 1,6 160
Puglia 650 4 160
Abruzzo 170 1,3 130
Calabria 160 2 80
Umbria 29 0,9 32
Marche 19 3,8 5
Lombardia 0 10 0
Basilicata 0 0,6 0

A rigor di logica se lo Stato erogasse oltre 8 miliardi a copertura dei debiti maturati dalla Regione Lazio (tanto per parlare del caso più rilevante), dovrebbe erogare circa 14 miliardi ai cittadini della Regione Lombardia o circa 700 milioni per quelli in Basilicata, ambedue virtuose.

Tanti sono i cittadini e le imprese che in questi anni recenti si son trovati in situazioni anche drammatiche a causa di sprechi, ruberie, disservizi, impunità mentre piovevano tasse, multe e tagli dei servizi.
Cosa ne diranno gli amministratori ad ogni livello, che hanno tentato o sono riusciti nel rigore, dinanzi al colpo di spugna del disavanzo regionale, che consentirà ai tre governatori dei bastioni PD (Fassino in Piemonte, Zingaretti nel Lazio, Rossi in Toscana) di evitare interventi drastici sulla spesa degli apparati regionali.

E quanto effimero consenso al Partito Democratico  potrà portare questo ennesimo ‘salvataggio di Roma’ rispetto all’ennesima memoria che ‘fu messo tutto a posto’, mentre è sotto gli occhi di tutti che il solo Lazio rappresenta quasi la metà del debito accumulato da una dozzina di non virtuosissime regioni?

A proposito …. con otto miliardi – tanti quanti ne dovremmo dare al Lazio – le Regioni riuscirebbero a sistemare decentemente e per diversi anni  i licei e gli istituti dove vanno tutti i giorni i nostri figli …

Demata

Perchè Merkel ha ragione?

17 Lug

Chi pensa che i contabili europei siano degl aguzzini, mentre i populisti antieuro siano gli alfieri della democrazia si sbaglia. Anzi, peggio, è in malafede.

Infatti, qualcuno crede davvero che sia giusto promettere di pagare tot fatture o cambiali a 60 giorni e poi presentarsi al 91esimo senza un denaro e chiedendo anche lo sconto? Immagino che nessuno – neanche il ragazzino che attende la paghetta o il premio per la promozione – sia lontanamente disposto ad accettare ‘promesse a geometria variabile’ …

Eppure, c’è una certa parte della politica che si comporta così, allorchè si occupa dei nostri soldi, perchè succube – causa incompetenza propria – delle burocrazie ministeriali e locali, giustificandosi con gli elettori invocando insopportabili imposizioni e tagli, che in realtà sono piani finanziari pluriennali e limiti di budget, per i quali ci si poteva predisporre per tempo.

Ad esempio, ci  sono le regioni con le loro agenzie od enti e le loro forniture, le cui ditte preferiscono cedere i crediti ben prima deila scadenza della prima rata di pagamento, pur di esser certi di incassare repidamente, lasciando  il 10-15% alle finanziarie che rilevano il credito, le quali a loro volta dovranno attendere mesi  (o anni) per il saldo, lasciando sul tavolo sconti e crediti contestati (se va male) o incassando lauti interessi (se a bene). Morale della favola, la PA paga con molti mesi di ritardo e cerca puntualmente di sottrarsi o comunque di dilazionare; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo applicando tagli a casaccio  e riversandone la colpa su altri.

Altro esempio, ognuno di noi versa il 9,9% del proprio reddito per l’assistenza sanitaria che, in soldoni, equivale a quasi 300 euro mensili per chi ha uno stipendio netto di 1.600-1.800 euro. Beh, con 400 dollari al mese in USA vi pagate una copertura assicurativa di prima classe, con 200 $ (quel che versa chi guadagna 1000 euro netti) andate in qualunque clinica privata, qui da noi finite in barella per ore ed ore al pronto soccorso. Peggio ancora se invece di sanità parlassimo di previdenza. Morale della favola, i nostri sindacati non ci tutelano, avallando un sistema previdenziale e sanitario iniqui e spreconi; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo invocando un bengodi che non c’è e procastinando le soluzioni ad un futuro che non arriva mai.

Dovremmo riflettere prima di pensare che l’Europa pretenda da noi cose impossibili: la diretta conclusione che se ne trae è la conferma definitva di una ‘storia’ che gira da 2000 anni. I popoli latini sono culturalmente più corrotti o corruttibili di quelli centro-nordeuropei’? Sarebbe meglio fornire ampie e dimostrabili smentite, mantenendo gli  impegni presi  e non buttando in politica (in cavalleria) i guai e le soluzioni, se vogliamo convincere Europa e Germania ad adottare maggiore flessibilità finanziaria. O pensiamo che Normanni e Sassoni abbiano voglia di cambiare le proprie regole (vincenti) per dar seguito ai Celti imbelli od ai Cattolici furbetti?

Demata

Ballottaggi: le urne semivuote. Il PD sconfitto dagli scandali e dall’inerzia

15 Giu

Ballottaggi, come in Liguria, un elettore su due diserta le urne ed il Pd perde Venezia e Arezzo. Renzi precisa che “non è una mia sconfitta” e, paradossalmente, ha ragione come in parte avrebbe torto.

Innanzitutto, quello che balza all’occhio è l’assenza (sembra definitiva) di alternative ‘a sinistra’, siano SEL o PRC oppure i Verdi come l’Italia dei Valori.
Un bel 10% dell’elettorato non è rappresentato: è quello che va in piazza con la CGIL e che sostiene gli attuali dissidenti del PD, ma un partito da votare non ce l’ha.

Poi, c’è l’atteso effetto degli scandali del PD romani e delle cooperative dei servizi esternalizzati: rubare ai poveracci e favorire i raccomandati sono tabù per l’elettore di sinistra, convinto da sempre di essere superiore moralmente.
Non sappiamo quanti elettori vedano ormai con sospetto certi rapporti ‘storici’ del PD con il mondo cooperativo, ma Mafia Capitale ha cambiato totalmente la percezione solidaristica e positiva di prima. Intanto, accade che un uomo onesto come Casson sia stato sconfitto a Venezia, mentre un personaggio discusso come De Luca vinca in Campania grazie al sostegno dei vertici nazionali.

Infine, c’è il nodo lavoro-pensioni, che attanaglia tante famiglie con genitori anziani e figi disoccupati e che dura ormai da cinque anni.
Nessuno dimentica il totale silenzio del PD e della CGIL ad avallo delle disastrose ‘riforme’ di Mario Monti ed Elsa Fornero. Ed oggi che ci sarebbe l’urgenza di risolvere il pasticcio previdenza che blocca la crescita occupazionale … Damiano, Camusso, Padoan, Renzi, Poletti, Boeri e chi più ne ha più ne metta … potremmo arrivare a dicembre del 3015 continuando a discuterne.

Se alle prossime elezioni politiche, la Sinistra non vorrà trovarsi con un miserrimo 25% deve superare questo bivio: l’elettorato è deluso, disorientato, diffidente.

Si potrebbe almeno cauterizzare la ferita nel consenso elettorale che il  protrarsi delle indagini e degli scandali di  Mafia Capitale comporta, commissariando Roma e il Lazio e portandole a nuove elezioni con nuovi candidati.
In secondo luogo, è tempo che nasca un partito ‘a sinistra’ del PD: la CGIL ha sempre svolto un ruolo politico e non solo sindacale nel nostro Paese, al Senato i ‘dissidenti del PD’ sono abbastanza per formare un gruppo.

Ed è il momento che Renzi faccia breccia e porti ad attuazione almeno un tot delle tante cose che ha messo in campo. In alternativa, sarà molto difficile mantenere la sua immagine di ‘vincente’ su cui fonda buona parte della sua forza.

Demata

Pensioni: ritornano le Quote, ma il dettaglio è nelle contribuzioni figurative e nei riscatti

8 Giu

Saranno due i modelli di riferimento della riforma pensionistica che Tito Boeri potrebbe proporre a Matteo Renzi, avallando i lavori della Commissione presieduta da Damiano:

  • Quota 97, ad almeno 62 anni di età e 35 anni di versamenti all’Inps, con una penalizzazione massima del 12%
  • Quota 41, per i lavoratori precoci ad almeno 57 anni di età con almeno 41 anni di versamenti all’Inps (in pratica Quota 98)

Nell’ambito di questi modelli saranno da capire alcuni ‘dettagli’.

Innanzitutto, la Quota 41 che sembra davvero una ‘mission impossible’ da raggiungere per un lavoratore.

Infatti, per essere ‘precoci’ ed andar via prima dei 62 anni con una Quota 41 ‘secca’, bisognerebbe avere iniziato a lavorare almeno a 17 anni e mezzo di età, versando i contributi fin dal primo giorno e senza interruzioni per 41 anni consecutivi …

Dunque, a meno che non vengano considerati anche i contributi figurativi o di riscatto, stiamo parlando di poco o nulla.

C’è poi la questione degli over55 al lavoro in condizioni di salute non buone (circca il 30% del totale, dati Inps – Istat). E potrebbero restarci per molti anni ancora, se i malati gravi e/o con invalidità superiore al 74% non verrà trovato il modo per pensionarli da 57 anni in poi, come per i precoci.

Tra l’altro, basterebbe che Tito Boeri, motu propriu, modificasse la contestatissima circolare Inps del 2002 con cui venne de facto tagliato lo scivolo di cinque anni per gli invalidi gravi.

Dulcis in fundo, la Quota 97. Perchè 62 anni e 35 di contributi si e – ad esempio – 59 anni e 41 di contributi no?

Vedremo se di fatto si resterà ad una formuletta utile a mandare a casa un po’ di donne e di pubblici dipendenti (Quota 97), su cui c’è già l’accordo generale. Se, viceversa, si vuole risanare l’Inps e ringiovanire il Lavoro per davvero, sarà dai ‘dettagli’ che potremo capirlo.

La flessibilità è tutta nei dettagli, senza di loro ‘o mangi la minestra oppure salti la finestra’ …

Demata