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Cannabis: un referendum finito in … fumo

17 Feb

La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum per la Cannabis, come c’era da aspettarsi.

Il quesito – infatti – chiedeva che sia abrogato il DPR 309 del 9 ottobre 1990 all’Articolo 73, comma 1, limitatamente al termine “coltiva”, ma il comma 1 è riferito alle “sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III”, cioè vieta di coltivare oppio, coca, allucinogeni e varie sostanze chimiche tra cui i tetraidrocannabinoli.
Ma la coltivazione della cannabis (indica) è nella tabella II …

La cannabis indica per uso personale, poi, entra in ballo al comma 5: “per i mezzi, per la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da lire due milioni a lire venti milioni se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV”.

Non sappiamo quale fosse il motivo per cui si volesse legalizzare la coltivazione di oppio, coca e allucinogeni: confidiamo che si tratti di pressappochismo e non che fosse qualcosa di voluto.

Piuttosto, è abbastanza evidente che a voler legalizzare la cannabis indica per uso personale bastava chiedere di abrogare il comma 5 agli incisi “della reclusione da sei mesi a quattro anni” e “ a lire venti milioni“, lasciando la multa “da lire due milioni” (1.000 euro circa), visto che abrogando del tutto il comma 5 si abroga anche il concetto di lieve entità.

E la cannabis sativa?
Beh, resta il fatto che il DPR fu una norma scritta davvero male, sulla base di credenze e pregiudizi: in botanica la differenza tra cannabis indica e sativa è a livello esteriore. La distinzione fu introdotta dal biologo e botanico americano Richard Evans Schultes, padre della moderna etnobotanica, alla prima metà del secolo scorso: sativa, se la pianta è alta, con rami allungati e foglie strette, indica, se è più bassa, dalla forma conica e con foglie larghe.

Ma come insegna la Scienza odierna (e come sanno bene i narcos messicani che la producono) è impossibile distinguere geneticamente se una pianta di cannabis è Indica o Sativa: l’effetto dipende “oltre che dal tipo di coltura, anche dalle condizioni del suolo, dalla presenza di contaminanti e da molti altri fattori ambientali” (fonte Istituto Superiore Sanità) e dalle condizioni ambientali di raccolto, essiccazione e conservazione.

Dunque, ‘coltivare cannabis’ resta qualcosa di arbitrario secondo la legge italiana, dato che produttore e ispettore sanno se la piantina sia in tabella I o II solo a prodotto testato (o fumato).

Non sarebbe tutto più semplice, se il Parlamento ammettesse che i tetraidrocannabinoli – per effetti e soprattutto per eventuale dipendenza – sono molto molto diversi e lontani da eroina, cocaina, metanfetamina, fentanyl eccetera e che le sanzioni per il consumo di una canna sono veramente sproporzionate rispetto a quelle per abuso di alcolici.

E, sempre riguardo ai compiti del Parlamento, “in Italia ogni giorno in media sono 48 le persone che muoiono a causa dell’alcol, oltre 17.000 ogni anno” (fonte Istituto Superiore Sanità) e basta guardare cosa c’è sugli scaffali dei supermercati per saperlo.

Demata

Eutanasia : un quesito destinato al … suicidio

17 Feb

La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum per l’eutanasia, come c’era da aspettarsi.

Infatti, il quesito riguardava effettivamente l’art. 579 del Codice Penale (omicidio del consenziente) e chiedeva di abrogare la norma per cui “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni”.


Eppure, di eutanasia, di cure palliative di fine vita e di scelta del paziente non se ne è fatta parola sui Media durante la campagna referendaria, dato che … avevamo le rianimazioni piene di Novax e non era proprio il caso.

Il punto – però – è che l’eutanasia è riguarda le persone agonizzanti o incoscienti che – ricoverate – hanno lasciato scritta la loro scelta o hanno un tutore che decide per loto.

Viceversa, il pensiero di tanti era per coloro – come DJ Fabio – che si ritrovano a vivere in condizioni inumane, dopo essere stati dimessi dai sanitari, e non possono o non vogliono uccidersi da soli.

Ma l’art. 580 del C.P. non può abrogarsi, dato che l’agevolazione del suicidio può avvenire anche per omissione da parte di un familiare, di un sanitario, di un pubblico ufficiale, un religioso eccetera.

Così, in altre parole, gli italiani – ‘grazie’ al Mainstream e ai corrispettivi No-Vax – avrebbero votato per l’art. 579 del Codice Penale (omicidio del consenziente), “ma anche” per l’art. 580 del Codice Penale (Istigazione o aiuto al suicidio).

A tal punto, la Suprema Corte ha ben pensato di mettere uno stop, perché, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili“.


Non perché questa tutela manchi nell’art. 579 del Codice Penale, che già include il riferimento a minori, infermi, sprovveduti, ricattati, minacciati e ingannati, ma perchè tra “chiunque cagiona la morte di un uomo col suo consenso” c’è anche chi agevola un ‘presunto’ suicidio per omissione …

Insomma, serviva una campagna mediatica ‘a chiare lettere’, che affrontasse il tema della Morte.

Adesso, la parola passa al Parlamento: la questione di chi muore ‘attaccato a una macchina per mesi e anni’ tocca da vicino tutti gli anziani e i malati gravi. E passa alle Regioni: la questione di sopravvive nel dolore e senza assistenza domiciliare diventa cogente la mezza età, con i postumi di infortuni e le malattie ‘congenite’ prima latenti.

I nostri eletti se ne disinteresseranno come finora fatto?

Demata

Carfagna-Pittelli e l’obbligo di denuncia

13 Dic

Di nuovo in carcere Giancarlo Pittelli, avvocato penalista ed ex coordinatore regionale di Forza Italia in Calabria, ex deputato membro della commissione Giustizia alla Camera, per scelta personale sua e non per “colpa” di Mara Carfagna, come vedremo.

I pregressi sono importanti, dato che era il 9 dicembre 2019 quando veniva arrestato nell’ambito del blitz “Rinascita-Scott” (Fatto Quotidiano link), che ha portato a 334 arresti tra le organizzazioni di ‘ndrangheta della cosca Mancuso. L’accusa formulata dai magistrati per Pittelli era di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Per i giudici (Il Vibonese – link) si trattava di una “figura ancora utile alla cosca Mancuso di Limbadi, che viene definita dal Riesame come consorteria fra le più potenti dell’intera ‘ndrangheta calabrese “che ha dimostrato periodicamente una straordinaria resistenza e capacità a riorganizzarsi”.
Ad ogni modo, quasi un anno dopo, il 17 ottobre 2020, gli erano stati concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute.

Dopo ancora un anno, il 19 ottobre 2021, Giancarlo Pittelli, ritornava in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’Inchiesta Mala Pigna, avente per oggetto un traffico di rifiuti gestito dalla cosca ‘ndranghetista Piromalli.
Il Fatto Quotidiano (link) riporta che Giancarlo Pittelli viene indicato “quale risolutore dei più svariati problemi dei clan «sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni o della pubblica amministrazione, in particolare delle forze dell’ordine, e, quindi, dalle illimitate possibilità di accesso a notizie riservate” e “veicolava informazioni all’interno e all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti in regime carcerario ai sensi dell’articolo 41 bis”.

Il 12 novembre 2021 il Tribunale del Riesame concedeva i domiciliari anche per questa accusa, cioè di aver dato un contributo effettivo al perseguimento degli scopi illeciti di un’associazione di tipo mafioso senza però prender parte al sodalizio mafioso: l’imputato chiedeva il giudizio immediato e soffriva per motivi di salute.
Neanche un mese e di nuovo il carcere, per aver comunicato per iscritto con un ministro nella sua veste di pubblico ufficiale, anche se – per altro – l’On. Mara Carfagna non ha alcuna competenza nel caso Pittelli, dato che ha la delega per il Sud e la coesione territoriale.

Dunque, non c’è da stupirsi se è finito di nuovo in carcere e, soprattutto, non c’è da indignarsi: è stata una precisa e consapevole scelta dell’ex deputato quella di rivolgersi formalmente ad un pubblico ufficiale, obbligandola alla denuncia.

Infatti, non possiamo pensare che l’avvocato e deputato Pittelli non conosca i dispositivi sia dell’art. 264 e sia dell’art. 331 del Codice di procedura penale, dove il primo vieta a chi è agli arresti domiciliari di avere comunicazioni eccetto che con i congiunti e il secondo obbliga qualsia pubblico ufficiale a denunciarlo se ne viene a conoscenza.

Dispiace per Mara Carfagna, fatta bersaglio dai ‘soliti’ media a caccia di ‘strilla’, e dispiace per gli italiani, che degli scopi illeciti di un’associazione di tipo mafioso sono le vittime e che attendono che i colpevoli arrestati due anni fa con accuse (e si suppone prove) gravissime siano già in procinto della condanna, lasciando liberi coloro che fossero estranei.

Demata

Covid: il Metodo Italiano raccontato in dieci link

2 Mag

Metodo italiano … se volete sapere di cosa si tratta. … if you want to know what it is. … si vous voulez savoir ce que c’est.

Demata

Liberalizzare con meno tasse: bello, ma come?

7 Mar

Rimarcando gli slogan dei conservatori statunitensi e britannici, che a casa loro hanno tutt’altro sistema, ogni tanto capita di sentir parlare del “carrozzone statale”.

‘Carrozzone’ che è in larga parte composto da insegnanti, soldati, agenti, pompieri, università, giustizia (e carceri).
La così detta burocrazia ne è una minima parte (eccetto Roma dove ci sono i ministeri, ovviamente).

Difficile che queste infrastrutture nazionali di cui ogni nazione è dotata ‘servano solo a chi ci lavora dentro‘: ogni giorno sono tra la gente per la gente.
Funzionano male, spesso o talvolta, ma polizia, pompieri e giustizia languono di risorse. I militari pure.

Potremmo discutere se 1 milione e passa di docenti debbano dipendere dai comuni e dalle regioni, anzichè dal ministero, ma questo significa – poi – tributi locali e spesa privata.

Mantenere le scuole costa e comunque il costo ‘voucher’ per alunno non è che può andare fuori dagli standard Ocse, cioè quelli attuali del nostro Stato.
La transizione durerebbe 3-5 anni tra ‘smonta e rimonta’, cosa che ha un bel costo suo proprio.

Altro aspetto per la detassazione ‘statale’ può essere il rivedere i finanziamenti alle università, ma sarebbe un serpente che si morde la cosa, dato che parliamo di redditi da ‘libera professione’: l’antitesi del liberismo che vuole ridurre le tasse.

Ma allora come si fa?
Ricordiamo che le entrate non andrebbe così male senza interessi sul buco che ci hanno lasciato nel 1994 e senza misure di spesa ‘occupazionale’ come la Buona Scuola, il Reddito di Cittadinanza, la Quota 100, come senza … le mille proroghe che messe insieme diventano miliardi.

Il ‘buco’ del bilancio statale nasce nel 1974 con l’assorbimento delle Casse e delle Mutue, convinti che quelle attive perchè più contribuite potessero sanare quelle passive meno contribuite: così nacquero INPS e SSR odierni. Sappiamo come è finita.

La verità è semplice: tra debito e interessi sul debito siamo ingessati e il gap di investimenti istituzionali tra l’Italia e le altre nazioni europee (inclusa Romania, Estonia eccetera) è del 3% del GDP sulla media e di circa il 5% sulle nazioni di punta (Ungheria inclusa).

Investimenti pubblici Italia vs UE

Il GDP italiano del 2018 era di 2074 mld €: dunque ai nostri “investimenti per l’economia totale, il governo, le imprese e i settori domestici” mancano una 60ina di miliardi di euro l’anno da diversi anni.

Dunque, un’istanza condivisa di minore pressione fiscale e soprattutto di stabilità e semplificazione procedurale va a raccogliersi in un solo settore del valore forse di poco inferiore ai 500 miliardi annui (tra pubblico e privato, pensioni e salute): quello assicurativo previdenziale e assistenziale.

L’unica soluzione sono 500 miliardi annui che almeno per metà potrebbero divenire fluidità dalle assicurazioni alle banche e alle imprese, cioè per investimenti e innovazione: competitività.

Nessuno crede che i liberisti, conservatori e leghisti come del resto tutti gli altri partiti vogliano promuovere una patrimoniale da 100 miliardi (… da versarsi a rate vista la situazione, salvo attingere dai concessionari di Stato.
Ma anche tante partite iva dell’edilizia o della ristorazione o del turismo  sarebbero quelle maggiormente da riconvertirsi tra i privati con l’innovazione tecnologica, tra cui la sicurezza sul lavoro e le norme tecniche.

Se vogliamo promettere realisticamente meno tasse (a Destra) o più occupazione (a Sinistra) o più reddito per tutti (insomma), non c’è altra via che la privatizzazione del settore assicurativo, ‘cedendo’ l’Inps, ripristinando il sistema di convenzioni mutuate, garantendo il SSR come era l’Inam prima, mettendo in circolo fluidità finanziaria e … vinca il più bravo, se si controlla anche che nessuno rubi o sperperi.

Quanto al “popolo delle partite iva”, dipende … basterebbe la volontà (e i soldi) per ripristinare il degrado degli edifici e dei luoghi pubblici, magari ammodernarli, e l’economia ‘basic’ respirerebbe e con lei il resto. 

Demata

Carcere per gli evasori fiscali? Esiste già, come mai si vuol cambiare?

23 Ott

manetteIl carcere per gli evasori fiscali esiste già da quasi dieci anni.

Il decreto legislativo n. 74 del 2000, con le modifiche del Dl 138/2011, prevede – ad esempio – pene da 1,5 a 6 anni di reclusione per frode fiscale e da 1 a 3 anni per dichiarazione infedele “non fraudolenta”, con sanzioni pecuniarie dal 135 al 270 per cento per la frode fiscale e dal 90 al 180 per cento per la “semplice” dichiarazione infedele.

Perchè – dunque – Zingaretti e Di Maio hanno una tale fretta di modificare i reati in cui si può incorrere già da anni e che di recente hanno ricevuto tutta l’attenzione necessaria da parte della Corte di Cassazione? 
Infatti, parliamo di:

  • Dichiarazione fraudolenta (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni), se l’imposta evasa supera i 30 mila euro, grazie alla falsificazione della dichiarazione dei redditi o Iva, inserendo finti elementi passivi o alterando le scritture contabili;
  • Dichiarazione infedele (reclusione da 1 a 3 anni), se l’evasione è superiore a 150 mila euro, perchè il contribuente omette (in modo cosciente e volontario) alcuni redditi percepiti o aumenta le spese;
  • Dichiarazione omessa (reclusione da 1 a 3 anni), se per almeno 50 mila euro non viene presentata la dichiarazione dei redditi, dell’Iva e il modello 770 entro 90 giorni dalla scadenza;
  • Emissione di fatture false (reclusione da 1 anno a 6 mesi a 6 anni), a prescindere dall’importo se vengono emesse fatture false, cioè relative a operazioni inesistenti per consentire a terzi di evadere le tasse e l’Iva ed Occultamento e distruzione di documenti contabili (reclusione da 6 mesi a 5 anni) per i quali è obbligatoria la conservazione a prescindere dall’importo;
  • Omesso versamento di ritenute (reclusione da sei mesi a due anni) per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta (entro il termine di scadenza dell’invio del 770) oppure se trattasi di IVA con importo superiore a 250mila euro alla scadenza per il pagamento dell’acconto.

Dal 2011 al 2015, l’omesso versamento di ritenute ha incontrato diverse farragini procedurali, poi le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che, per gli illeciti consumati dal 21 ottobre 2015 in poi, per provare il reato di omesso versamento delle ritenute di acconto è solo necessario produrre le certificazioni rilasciate ai sostituiti non essendo sufficiente la sola dichiarazione 770.

Tre anni dopo, la Corte di Cassazione, sez. III Penale, con la sentenza del 25 marzo 2019, n. 12906, aveva sentenziato la non punibilità del reato per «particolare tenuità del fatto», se l’evasione dell’IVA era inferiore al 4%. Dunque, sarebbe solo necessario un intervento del Parlamento per depenalizzare queste casistiche in modo che i procedimenti non vadano ad ingolfare i tribunali.

Di pochi mesi fa la sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 27 giugno 2019, n. 28158, per la quale risponde di frode anche il commercialista, in quanto “è sufficiente il solo dolo eventuale laddove il professionista abbia accettato il rischio della condotta non limpida”.

Non appena la Corte Suprema ha reso chiara ed equa la procedura per condannare penalmente gli evasori … i Cinque Stelle ed il Partito Democratico hanno tanta fretta di cambiare? Perchè il 31 ottobre 2019 è il termine di scadenza dell’invio del 770 e il 27 dicembre, di solito, è la scadenza per il pagamento dell’acconto Iva?

Non è che – poi – a legge fatta diventano non punibili fino a 100.000 euro coloro che oggi lo sono a prescindere dall’importo o per somme inferiori?
E quali irrigidimenti sono previsti per ‘oltre i 100.000 euro’, se quella tenuità del reato sentenziata dalla Corte di Cassazione a marzo 2019 equivaleva a poco meno di euro 10.000?

Perchè il Governo Conte dichiara che quello dei grandi evasori è “un fenomeno che non può rimanere impunito. Governo e maggioranza compatti hanno dato un segnale chiarissimo e netto”, se pochi giorni fa la Sentenza della Corte di Cassazione 38467/19 del 17 settembre 2019 era addirittura ostativa alla commutazione della pena detentiva in pena pecuniaria?

Perchè il Daspo per i commercialisti ‘infedeli’ suscita tanta meraviglia – anzi ‘non esiste‘ – anche se la sospensione e l’espulsione dall’Ordine è prevista per statuto / regolamento per tutti i professionisti inclusi i commercialisti?

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. La facoltà di ingannare se stesso, questo è il requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri.” (Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa e Grande di Spagna)

Demata

Un omicidio umanamente non del tutto incomprensibile

13 Mar

Javier Gamboa nell’aprile del 2018 ha ucciso a coltellate la moglie Jenny ed ha agito «sotto la spinta di uno stato d’animo molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile» e «come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contraddittorio che lo ha illuso e disilluso allo stesso tempo», con riconoscimento delle attenuanti generiche e riduzione della condanna da 30 a 16 anni di carcere.

Motivazioni e riduzione della pena molto simili a quelle della sentenza di Bologna che ha riconosciuto a Michele Castaldo le attenuanti  perchè “in preda a tempesta emotiva” che lo avrebbe spinto a uccidere la ex moglie Olga Mattei.

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In ambedue i casi è conclamato che non si tratta di uno spintone finito in tragedia.
Non sono omicidi preterintenzionali, cioè di quelli in cui la morte della vittima è conseguenza di percosse o di lesioni personali, per i quali … la pena è la reclusione da dieci a diciotto anni. 

In ambedue i casi è stato giudicato anche il comportamento di una donna, la vittima, senza che lei potesse in qualche modo chiarire di persona, se, ad esempio,  non fosse l’assassino ad essere incoerente e contraddittorio e/o ad averla illusa e disillusa.
Peggio, senza poter chiarire alla Corte se la reazione dell’assassino al comportamento della donna fosse effetto di una volontà dettata da rancore, vendetta o risentimento.

In caso di azioni molto violente, gli “stati d’animo” o le ‘tempeste emotive” che in qualche modo possano ‘giustificarle’ sono inquadrati dalla psichiatria come disturbi associati a specifiche patologie, ma nessuno dei due assassini sembrerebbe esserne affetto.

Soprattutto, nessuno racconta di accertamenti tecnici a conferma di un ridotto “potere di controllare i propri impulsi ad agire” da parte dei due assassini, che – dunque – erano perfettamente capaci di volere.
Ma meritano tali e tante attenuanti.

Demata

Caso Diciotti: il responsabile (del procedimento) è sempre uno ed uno solo

29 Gen

I termini dell’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini sappiamo tutti che riguardano l’incredibile caso del pattugliatore della Guardia Costiera italiana che per giorni e giorni non ha potuto sbarcare gli oltre 100 naufraghi raccolti.

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E, stando alle voci che arrivano dal caotico universo a cinque stelle, sembra che l’intero Consiglio dei Ministri intenda rendersi corresponsabile («Processateci tutti»), anche se non è ancora chiaro se per chiedere di andare tutti a processo, di mandarci il solo Matteo Salvini oppure neanche lui.

La partita si gioca tutta su due articoli della Costituzione:

  1. l’articolo 92 che prevede che i Ministri sono responsabili, individualmente, degli atti dei loro dicasteri e, collegialmente, di quelli deliberati dal Consiglio dei Ministri”
  2. l’articolo 97 che ordina che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione

E le ‘disposizioni di legge’ consistono essenzialmente nell’unico comma dell’art.6 della Legge 241/90 che elenca i “ Compiti del responsabile del procedimento”.

In breve, già in fase istruttoria, chi ha la responsabilità dei procedimenti ha il dovere di garantire “i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti“, “accertare d’ufficio i fatti“, “adottare  il provvedimento finale” e “ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento“.

Pertanto, dato che la Magistratura non può e non deve intentare un ‘processo politico’, è norma che sia il singolo Ministro a dover rispondere in termini esecutivi – cioè di costi e conseguenze, ergo eventuali danni – degli atti emessi con la carta intestata del proprio Dicastero se recanti la propria firma.

Allo stesso modo, essendo responsabile degli accertamenti e dei requisiti “già in fase istruttoria”, anche nel caso di atti deliberati collegialmente dal Consiglio dei Ministri, la responsabilità del Ministro preposto è diretta, rendendo quella altrui indiretta.

Dunque, avendo i Cinque Stelle degli ottimi avvocati, è naturale il dubbio che il «Processateci tutti» serva solo a far bagarre e giustificare un voto negativo dei ‘cittadini’ in Senato non concedendo l’autorizzazione a procedere … come, intanto, ha iniziato a chiedere Salvini.

Bella idea: ci sarà solo da contare quanti altri voti perderanno i Cinque Stelle e quanti la primula rossa (anzi, nero-verde) Matteo Salvini ne raccoglierà

Demata

Lega morosa ed insolvente? Meglio pagare …

5 Lug

Un anno fa, Umberto Bossi, leader della Lega, veniva condannato a 2 anni e sei mesi per una truffa da 56 milioni ai danni dello Stato, perchè tra il 2008 e il 2010 il partito aveva presentato rendiconti irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici, che per l’accusa sarebbero stati usati, in gran parte, per spese personali.

Papania

E che la Lega fosse ben coinvolta è dato dalla condanna quasi doppia (4 anni e dieci mesi) appioppata all’ex tesoriere Francesco Belsito, oggetto anche di altre sentenze, dove è in compagnia degli ex revisori contabili del partito, Diego Sanavio, Antonio Turci e Stefano Aldovisi. (Fonte ANSA)

Dopo un anno, la Corte di Cassazione batte cassa e chiede il sequestro di quei 56 milioni sottratti agli italiani e il segretario attuale della Lega, Matteo Salvini, non ci sta: “Quei 49 milioni di euro non ci sono, posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di dieci anni fa su soldi che io non ho mai visto”. 

In pratica, Matteo Salvini afferma che i debiti con l’Erario, cioè con gli italiani, vadano prescritti dopo tot tempo dal fatto e che, se un Ente – fallimentare e/o fraudolento – cambia gestione, i buchi pregressi vanno in cavalleria e paga Pantalone. 

Libero di farlo come leghista, anche se tecnicamente la Lega è morosa e potenzialmente insolvente, ma Matteo Salvini oggi è prima di tutto il ministro degli Interni italiano: se vuole può portare a voto in Parlamento una norma che azzera i debiti dopo cinque anni, poi si vedrà chi gliela vota.

Di sicuro Salvini non può usare il proprio ruolo istituzionale per sollecitare un trattamento di favore da parte della Magistratura: fallisce la Lega? Per gli stessi motivi – leader avido e tesoriere furbo – sono già falliti fior di partiti, aziende, società sportive e persino … qualche Stato.

Morosi ed insolventi: c’è da chiedersi con quale faccia – ottenuto l’eventuale ‘sconto’ – Matteo Salvini e la Lega potranno presentarsi dai cittadini e dagli imprenditori che a decenni di distanza combattono ancora con il Fisco e l’Erario per pochi spiccioli?

Meglio pagare senza far troppe storie.
Demata

Armi: i dati europei e le ragioni della National Rifle Association

24 Feb

In Italia, secondo Wired.it, “una ricerca delle Nazioni Unite del 2008 aveva stabilito che il 12,9% dei cittadini possedeva un’arma in maniera legale” e che, nel mondo, “il tipico possessore di armi ne tiene in casa tre tra pistole e fucili”. Dunque, calcolando che all’epoca eravamo 60,5 milioni, questo potrebbe equivalere a circa 7 milioni di italiani ‘armati’ e a non meno di 10-15 milioni di armi semiautomatiche che potrebbero essere in legale possesso degli italiani.

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Le stime ufficiali (in Italia non esiste un registro delle armi) raccontano di ‘soli’ 7 milioni di armi circolanti, cioè la metà di quanto ragionevolmente possibile, se  Firearms in the European Union, un rapporto dell’ottobre 2013, riportava  25 milioni di armi regolarmente registrate da privati cittadini per la prima e  19 milioni per la seconda. Ad ogni modo, stando ai dati di Gunpolicy.org , non eravamo al 34% degli USA o al 37% della Finlandia e neanche al 6,1 di Inghilterra e Galles o al 4,8% dell’Olanda, ma più o meno in media con Germania, Svezia e Francia attestate intorno al 16%.

In Europa, le vittime per armi da fuoco sono circa 6.700 all’anno secondo uno studio del Flemish Peace Institute. Un numero molto più basso (nonostante l’Unione europea abbia 503 milioni di abitanti a fronte dei 302 milioni degli Stati Uniti) di quello che si registra negli Stati Uniti, dove nel 2014 pistole e fucili hanno provocato l’uccisione di 33.599 persone con un tasso di mortalità di 10,54 vittime su 100 mila abitanti..

I dati europei sono essenziali per capire perchè la National Firearms Association nega che la diffusione delle armi da fuoco abbia un nesso diretto con il numero di omicidi da arma da fuoco:

  • la Finlandia (37% cittadini armati) e la Svezia (16%) hanno la stessa quota di cittadini uccisi o suicidati con armi da fuoco (0,45 e 0,41 a testa ogni 100 mila residenti) 
  • la Francia (16% cittadini armati) e la Gran Bretagna (6%) che fanno segnare a testa (0,06 e 0,07) lo stessa media di cittadini uccisi o suicidati con armi da fuoco
  • l’Italia (12% cittadini armati) ha un tasso di omicidi da arma da fuoco (0,71) enorme rispetto a nazioni dove le armi sono diffuse in modo paragonabile come Francia, Germania e Svezia (16%).

In Europa, come confermato da un accurato studio pubblicato da Lettera43 , la Germania ha il numero di armi più alto e la Finlandia il numero maggiore di pistole e fucili per cittadino, ma proprio l’Italia, che è il principale produttore di armi da fuoco, ‘vanta’ anche il maggior numero di omicidi da armi da fuoco, la cui diffusione non è censita, ma solo stimata.

Inoltre, la NRA statunitense rivendica un nesso ‘positivo’ tra diffusione delle armi da fuoco e sicurezza dei cittadini ed anche in questo caso l’Italia ‘vanta’ numeri a favore degli armaioli.
Il nostro Bel Paese è primo al mondo nella classifica per il numero di agenti presenti sul territorio, se si vuole escludere Russia e Turchia, con 467 unità  ogni 100.000 abitanti, mentre negli Stati Uniti dove sono disponibili almeno 300 milioni di armi da fuoco ed il 34% ne possiede almeno una, di di ‘law enforcement’ ne bastano 230 ogni 100.000 persone, a parte il senso di sicurezza/insicurezza che appare essere ben diverso, almeno a leggere le cronache.

A monte dell’uso di armi da fuoco contro altri esseri umani inermi esistono solo scelte personali di chi si fa assassino, eventualmente facilitate da fattori socioculturali, come – ad esempio – quelli che connotano così particolarmente l’Italia (ad esempio il crimine organizzato e la lentezza della Giustizia) o che vedono la maggiore diffusione di armi negli USA proprio negli stati rurali che maggiormente soffersero la Guerra Civile e la Recessione oppure ne esige la ‘libera vendita’ come negli USA e non solo.

Ma questa è un’altra storia, quella dell’Homo Sapiens e non degli ‘attrezzi’ da lui creati.

A noi tutti interessa sapere che delle armi letali ed abbastanza semplici da usare non arrivino nelle mani sbagliate.
Censirle in un registro non sarebbe affatto male.

Demata