Ieri, La Repubblica dava ‘finalmente’ risalto ai dati sulle pensioni italiane secondo l’Istat. Finalmente, perchè poteva farlo già due anni fa, in base ai dati del 2010 che erano sostanzialmente conformi a quelli recenti.

Pensioni: dati Istat per il 2010
Cosa raccontavano i dati?
Innanzitutto, che in Italia c’erano un paio di milioni di invalidi che se la passavano abbastanza male, visto che le ‘pensioni’ al di sotto dei 500 euro mensili riguardano prevalentemente loro. Persone bisognose che avrebbero diritto ad un ‘salario minimo’ e che vengono bistrattate in nome di quel 0,1% – od anche meno secondo i dati ufficiali dell’INPS – che i media chiamano ‘falsi invalidi’.
Due milioni di persone che si arrangiano con poche centinaia di euro e che non fanno notizia.
Altri sette milioni, praticamente la metà dei pensionati, viveva con un reddito netto inferiore ai 1.250 euro mensili, praticamente alle soglie di un ‘salario minimo’, ma evidentemente tanto è che ha versato e accantonato con un lavoro medio-basso.
Altri cinque milioni di italiani se la cavavano meglio, con pensioni che vanno dai 1250 ai 2500 mensili, e corrispondono più o meno esattaamente alle categorie che hanno versato notevoli oneri contributivi per via dei lavori e delle professioni svolte di livello medio-alto.
Infine, scopriamo che c’erano 776.609 italiani che vivono nel lusso, nonostante la Crisi, percependo pensioni di almeno 3.000 euro mensili, per le quali è abbastanza difficile supporre che siano stati versati gli stessi contributi che stanno versando le generazioni attualmente al lavoro.
I dati Istat 2012 – riportati ‘finalmente’ da La Repubblica, ma non ancora dal Corriere della Sera – confermano una situazione pressochè identica, se non ancor più grave visto che i neopensionati di quest’anno sono più anziani dei loro omologhi già a riposo, ma percepiranno pensioni più basse pur avendo versato per almeno 10 anni contributi in euro anzichè lire …

Dati Istat 2012 – Pensioni
N.B. La spesa per pensioni di invalidità è di circa 11 mld annui, di cui tutta la fascia ‘< 500’ e una piccola parte della fascia ‘500 – 1000’
Cosa confermano i ‘nuovi’ dati Istat?
Che il sistema è squilibrato per diversi motivi:
- l’ampia presenza di pensionati – oltre la metà – che hanno versato contributi esiziali in lire e che oggi – come da dieci anni – godono di pensioni rivaluate in euro;
- le due fasce pensionistiche apicali i cui benefit mensili – contribuiti in lire e percepiti in base all’ultima retribuzione, che superano addirittura i dorati vitalizi dei parlamentari;
- il costo sociale della ‘disabilità funzionale’ che dovrebbe essere la mission primaria dell’INPS e che viene scaricato sul mondo produttivo e sulle famiglie, visto che in Italia sono solo 3,5 i milioni di disabili in carico al sistema previdenziale, mentre in Germania sono ben otto milioni.
Le economie per l’INPS derivanti da un tetto per le pensioni apicali equivarrebbero all’intero importo speso per i disabili (circa 10 miliardi annui) e, se un tetto fosse stato applicato a partire dall’introduzione dell’Euro, l’Italia avrebbe potuto evitare la vergogna degli esodati e permettersi un sistema pensionistico ‘scalare’ dopo 35 anni di contribuzione, come in Germania, dove – è bene saperlo – ad opporsi sono stati proprio i senatori nominati tramite i Lander dai sindacati.
E, senza dimenticare i 30-35 miliardi di contributi dei lavoratori ex Inpdap ‘defluiti’ verso il sistema sanitario e il MEF senza ritorno, c’è (e c’era) da affrontare la questione di una rivalutazione un po’ più oculata delle pensioni in lire allorchè rivalutate in Euro, visto che l’aspettativa in vita mostra trend incrementali.
Non è un caso che da anni, sempre più spesso, qualche politico ci ricorda nei talk show che il vero problema non è nelle loro prebende, ma nella spesa di personale (e pensionistica) per le posizioni apicali della PA.
E’ costituzionale mettere un tetto o, almeno, ricomputare con un minimo di buon senso il passaggio da lire ad euro per chi era già in pensione dieci anni fa?
Non lo sappiamo.
Di sicuro, però, la questione non è irrilevante e c’è uno strumento che può darci un’idea indicativa delle cose: la ‘rivalutazione monetaria’, che obbedisce a parametri abbastanza precisi, come il ‘costo della vita’.
In due parole, mentre quanto contribuito a partire dalla fine degli Anni ’70 da un lavoratore ‘diplomato’ in realtà corrisponde ad una ragionevole quota contributiva odierna, i versamenti antecedenti al boom dell’inflazione della stessa tipologia di lavoratori non sono neanche lontanamente paragonabili (e sostenibili) alla rivalutazione ottenuta.
Anche per questo tanta parte delle nostre pensioni somiglia ad un assegno sociale.
Ma se almeno 3,9 milioni di pensionati (24%) ha versato due terzi della propria contribuzione prima del 1975 ed un numero pressochè equivalente entro il 1980 … qualcosa da ‘rivedere’ c’è, specialmente se dovesse trattarsi di pensioni superiori ai 1.500 euro mensili.
E soprattutto se il problema viene scaricato su chi doveva andare in pensione adesso, avendo contribuito a sufficienza, e su chi doveva iniziare a contribuire già dieci anni fa, ma, pur avendo ormai prole, non ha ancora un posto ‘fisso’, affossando dalle fondamenta le tutele previdenziali di un futuro ormai fattosi presente.
Il tutto mentre tanti nostri disabili vivono in una situazione di ampio non riconoscimento, ovvero di abbandono, come comprovano sia i dati tedeschi su previdenza e disabili, con sussidi e tutele riconosciuti al 10% della popolazione totale e non ad un mero 6% come da noi, sia i dati italiani sul disastro dei malati cronici, con stime di oltre un milione di malati rari addirittura non afferenti a strutture.
Perchè raccontare tutto questo?
Perchè adesso sappiamo di quali pensioni da tagliare e di quali da estendere stiamo parlando.
Specialmente, se proprio nel giorno in cui l’Istat ha comunicato i presenti dati sulla spesa pensionistica nel 2012, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dichiara che “le pensioni non si toccano. Lo ha già detto il premier Renzi” …
Leggi INPS, un colossale e iniquo colabrodo
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originale postato su demata
non sono una pensionata di questo livello, ma se mi fosse calcolata con il contributo avrei percepito una pensione maggiore come sarebbe giusto.
ho subito una ingiustizia
Infatti, il post non fa di tutta un’erba un fascio.
Fino a 3000 euro – a mio avviso – siamo ancora nei termini di una dinamica contribuzione/rivalutazione accettabile e credibile. Il problema è quando andiamo oltre o se parliamo di persone pensionatesi prima del 1980/85.
NB i pensionati della sua fascia sarebbero 2.100.000,
Ti ho già detto una volta che non si deve fare di tutta un erba un fascio. Sono uno dei 2100 pensionati che guadagna quasi 3000 euro al mese e me li sono guadagnati tutti avendo pagato una barca di contributi al punto tale che non avrei paura a farmi ricalcolare la pensione con il metodo contributivo. E’ ora che si smetta di seminare odio sociale.
Ah ecco detto così ha proprio senso. Mo piace il tuo uso del termine ancient regime
Il problema non è arrivarci. Io nel 2005 avevo prefigurato che nel tra il 1010 e il 2012 andavamo a gambe per aria. Dal 2007 insisto con rivalutazione pensioni e turn over generazionale come exit strategy contro il ddeclino, oltre ad una previdenza decente per i disabili, invece di tenerli a forza al lavoro con mille intralci e balzelli.
Il problema era attendere che abbastanza lavoratori fossero coinvolti dal ‘salasso’, ovvero che gli ultimi ‘beneficiati dall’ancient regime’ fossero pensionati, e, adesso, è venuta l’ora di farlo capire alla gente.
Toh, ci siete arrivati…. Vedi il mio pezzo dell’agosto 2012 http://buseca.wordpress.com/2012/08/07/pensioni-doro-golden-pensions/ poi ribadito otto mesi dopo http://buseca.wordpress.com/2013/04/30/come-ti-trafiggo-limu-con-una-riga/
Basta una ipotetica legge di una riga a raddizzare la stortura:
Art. 1: Le pensioni sono soggette ad un contributo di solidarietà del 100% per la quota superiore a 3000€/mese.
Tah-dah! Dieci miliardi e quattrocento ottanta milioni di Euro l’anno risparmiati.