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Ministeri e Disabilità: la Lega alla prova dei fatti

24 Ott

Il Ministero per la Disabilità è finito ancora una volta ad un esponente della Lega e sono cinque anni che va così: prima Lorenzo Fontana, poi Alessandra Locatelli, poi Erika Stefani, infine oggi di nuovo Locatelli.

Dunque, alla fine di questo post c’è l’elenco delle leggi proposte dai questi ministri, giusto per avere una misura di quali siano la sensibilità e l’impegno della Lega dimostrati in questi cinque anni per le Disabilità (e le Fragilità), che sappiamo tutti essere in condizioni molto allarmanti.

Ricordiamo che un ministero per la Disabilità … serve a poco perchè è scorporato da quello del Lavoro e politiche sociali (cioè anche l’Inps), è scollegato da quello per la Salute (cioè anche tutto il Servizio Sociosanitario regionale) e neanche ha la struttura per gestire l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
A parte logiche cencelliane non c’è ragione per istituirlo.

Ma allora perché la Disabilità è una poltrona così ambita dalla Lega?

Perché i ministri “senza portafoglio” non sono preposti ad alcun dicastero – cioè non hanno poteri o responsabilità specifici – ma che fanno comunque parte del Consiglio dei ministri. Solitamente, si tratta di ministeri dove la spesa è di tipo assistenziale sussidiaria su delega del Presidente del Consiglio. 

Nel caso del Ministero per la Disabilità, dovrebbero fare capo ad Alessandra Locatelli la vigilanza che siano rispettati i principi chiave fissati per il rispetto dei diritti delle persone con disabilità nella  realizzazione del PNRR e l’erogazione di alcuni finanziamenti come i seguenti:

  • 100 milioni di euro del Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità attraverso la realizzazione o la riqualificazione di infrastrutture, anche per le attività ludico-sportive, strutture semiresidenziali, servizi di sostegno, sulla base di un riparto tra le Regioni
  • 23 milioni di euro del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver per interventi di sollievo e sostegno destinati al caregiver familiare gestiti dalle singole Regioni
  • 8 milioni di euro del Fondo per l’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia per il finanziamento ordinario delle università statali e dei consorzi interuniversitari, per l’attivazione dei percorsi formativi per l’accesso alle professioni di interprete in Lingua dei segni italiana (LIS)
  • 100 milioni di euro del Fondo per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità per i comuni che esercitano le funzioni relative all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali
  • 40 milioni di euro del Fondo di sostegno per le strutture semiresidenziali per persone con disabilità

Dunque, se siete disabili o caregiver e tra qualche anno le cose stanno come prima o peggio ancora, almeno questa volta c’è un ministero e un ministro a pieno titolo e saprete … con quale partito prendervela.

Demata

nota bene: le due infografiche elaborate da altri autori e precedentemente pubblicate

sono state rimosse dopo una verifica della coerenza dei dati rappresentati e sostituite con le tre attuali



——- in sintesi, l’attività parlamentare (come primo firmatario di proposte di legge) dei tre ministri per la Disabilità avvicendatisi dal 2018 ad oggi.

Lorenzo Fontana è un deputato della Lega dal 23 marzo 2018 e ministro per la Disabilità dal1º giugno 2018 al 10 luglio 2019. E questa è stata l’unica sua proposta di legge come primo firmatario nell’arco degli ultimi 5 anni:

  • propaganda, istigazione a delinquere e incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull’odio verso la religione cristiana.

Alessandra Locatelli è una deputata della Lega dal 23 marzo 2018, ex Assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità della Regione Lombardia e ministro per la Disabilità dal 10 luglio 2019 al 5 settembre 2019 e nuovamente oggi. E queste sono state le sue proposte di legge come prima firmataria nell’arco degli ultimi 5 anni:

  • composizione della Commissione medico-ospedaliera per le cause di servizio
  • misure a sostegno della natalità e della famiglia
  • affidamento dei minori e comunità di tipo familiare
  • riconoscimento della lingua dei segni italiana.

Erika Stefani è una senatrice della Lega dal 15 marzo 2013, ministro per la Disabilità dal 13 febbraio 2021 al 19 ottobre 2022. E queste sono state le sue proposte di legge come prima firmataria nell’arco degli ultimi 5 anni:

  • terrorismo tramite la piazza
  • Giornata nazionale della legalità e in ricordo delle vittime del dovere
  • sottrazione o trattenimento anche all’estero di persone minori o incapaci
  • diminuzione di pena in relazione all’età del reo
  • devoluzione dell’eredità ai comuni
  • costrizione al matrimonio,
  • ludopatia,
  • aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali

Pensionarsi a 70 anni è una bufala?

9 Dic

Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha fatto il punto sullo stato di salute dei sistemi pensionistici europei, nelle condizioni attuali di istruzione, occupazione e reddito, e su quale si prevede sarà lo sviluppo futuro dei sistemi previdenziali, se restano queste attuali condizioni.

Il risultato che ne viene è agghiacciante: in Italia si andrà in pensione a 71 anni.
O meglio ci sarà chi andrà in pensione entro i 63-67 anni d’età, avendo iniziato a contribuire già dai 18 anni ed avendo maturato oltre 45 anni di versamenti accantonati per la pensione.
E ci sarà chi ha iniziato a lavorare e contribuire tardi – magari a 30 anni inseguendo il sogno di una laurea senza sbocchi – che gioco forza non compirà i suoi 42 anni di versamenti prima dei 72 d’età …

Questo è nella sostanza ciò che focalizza il grafico dell’OCSE: lo sapevamo già, ma essendo interni i dati non facevano così paura, mentre la validazione internazionale fa notizia.

Dunque, riguardo il Lavoro (da cui si ottengono le pensioni) l’Italia ha importanti quanto ataviche urgenze:

1- elevare i redditi e il prodotto nazionale, cioè anche la contribuzione personale e l’integrazione statale, ma l’unico modo per ottenere questo risultato è prima di elevare il grado di istruzione generale, in particolare quella tecnica, e di innovazione infrastrutturale, specie nei servizi ai cittadini
2- garantire un inserimento rapido dei neodiplomati e neolaureati nel mondo del lavoro, cioè programmare part time e turn over per i sessantenni ed introdurre limiti per le iscrizioni alle Facoltà debordanti che inevitabilmente producono disoccupati e sottoccupati.
Quasi una missione impossibile.

Dunque, che si andrà a 71 anni in pensione è un fatto personale che dipende in gran parte dall’impegno e dal buon senso dimostrati tra i 16 e i 25 anni, iniziando a lavorare dalla ‘gavetta’.


Ma, certamente, è una prospettiva concreta per chi dei Millennials abbia creduto ad un’altra bufala: quella che si diventa adulti a 30 anni anzichè 18-20 anni, dato che l’aspettativa in vita è aumentata.
E diventerà rapidamente una realtà, se continueremo a credere che è meglio esser governati da chi afferma ciò che ci piace e non ciò che ci serve, cioè le soluzioni che furono indicate e perseguite alla fine degli Anni ’90, unitamente alle pensioni.

Demata

Scioperare per tornare alle pensioni retributive?

9 Dic

Da che mondo è mondo, i Sindacati dei lavoratori scioperano per ottenere più lavoro, più tutele sul lavoro, più reddito da lavoro. Non per le pensioni, che vengono maturate in base all’accantonamento contributivo e alla rivalutazione con gli interessi.

Ma non esattamente in Italia, dove la Costituzione ha – infatti – un articolo (38) specifico per i lavoratori che hanno diritto non solo alla Sanità Universale (le “cure gratuite agli indigenti” dell’art. 32), bensì “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. … Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.”

Dunque, la Carta costituzionale italiana sancisce il diritto che all’atto del pensionamento ogni lavoratore debba mantenere lo stesso tenore di vita e se i contributi non bastano ci pensa lo Stato?
Messa così è un’idea da Paese del Bengodi, quella del sistema pensionistico retributivo, che ci ha devastato i conti previdenziali per decenni, ma ancora oggi questa sarebbe la regola, secondo alcuni partiti e sindacati.

Eppure, nel 1992-1995 la salvaguardia del sistema pensionistico retributivo era prevista solo per chi avesse iniziato a contribuire prima del 1977 (nati prima del 1960) e questo aveva una logica, vista l’inflazione a due cifre di quell’epoca e visto il balzo positivo del PIL in quelli a seguire.

Nel 2011, visto l’andazzo verificatosi per 15 anni e lo sbilanciamento dei conti Inps, il computo è diventato contributivo per tutti i redditi e l’età pensionabile in anticipo fissata da un parametro (42 anni e tot mesi). Come è possibile che ancora si tenti di applicare una salvaguardia simile a quella che doveva cessare nel 1977?

E’ presto detto.
Molti over55 hanno titoli di studio relativamente bassi e/o hanno iniziato a contribuire dopo i 30 anni: una norma che abbassa l’età pensionabile di 67 anni, agevolando il pensionamento, non desta interesse, dato che la rendita pensionistica sarebbe molto bassa, senza una integrazione dello Stato. Pensionarsi per passare al 60% dell’ultima retribuzione, magari anche meno?

Se ci dicessero a chiare lettere questo, sarebbe evidente che lo strumento dello Sciopero Generale annunciato da CGIL e UIL è inappropriato, a meno che … non intendano tutelare il diritto per tutti (anche tra 30 o 50 anni) di andare in pensione a 62 con il 70% dell’ultimo stipendio (tipo Quota 100, insomma).
Ce lo diranno a chiare lettere, secondo voi?

Demata

La Patrimoniale come (inevitabilmente) sarà

12 Giu

Giorno memoria: le celebrazioni al Quirinale

ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Cosa è una Imposta Patrimoniale? Dipende … da cosa offre il Paese e da quale ‘rientro’ dal debito si vuole raggiungere.

C’è la Patrimoniale sulle aziende, cioè i Mini-Bot che trasferiscono per tot anni il debito pubblico sui fornitori ed a catena sulle Utilities e le Banche. Dunque, a parte l’Europa che esclude una doppia valuta, inizia ad essere chiaro a tutti che i Mini-Bot portano rischi e incognite molto seri per la Finanza globale italiana. 

C’è la Patrimoniale con prelievo retroattivo sui conti correnti bancari del 6 per mille e l’imposta straordinaria immobiliare (Isi) con un’aliquota del 3 per mille, quella del Governo Amato nel 1992.
Non servirebbe: rese “solo” 11.500 miliardi di lire …

E c’è la Patrimoniale con imposta pari al 10% del reddito al vaglio degli esperti nazionali, tenuto conto che “con un’aliquota del 10 per cento si garantirebbe un gettito di 974,3 miliardi e il rapporto debito/Pil calerebbe subito”, superando – si spera – la fase recessiva conclamatasi a dicembre scorso.

Una eventuale Patrimoniale giallo-verde che l’Osservatorio Conti pubblici italiani diretto da Carlo Cottarelli ha già bocciato, segnalando cosa potrebbe renderla inefficace.

Infatti, la base imponibile che verrebbe individuata sui conti correnti sarebbe di gran lunga inferiore a quella teorica, perchè “buona parte dei patrimoni elevati o sono già all’estero o sono detenuti da residenti tramite società estere” e perchè “riguarderebbe i patrimoni delle persone meno abbienti e meno istruite, che hanno solitamente più difficoltà a gestire i propri risparmi”.
Una imposta particolarmente iniqua, insomma, oltre che di dubbia efficacia.

Altra cosa sarebbe, se si guarda alla base imponibile includendo anche gli immobili, con una Patrimoniale che di fatto esenta tutto il mondo degli assegnatari di case popolari e si amplia alle proprietà terriere, in linea con il Fiscal Monitor del Fondo Monetario internazionale di quest’anno: in Italia la ricchezza potrebbe essere tassata attraverso una moderna imposta patrimoniale sulla prima casa” e “molti paesi hanno spazio per incrementare le proprie entrate in modo significativo tassando eredità, terre e proprietà immobiliari”.

Ma se il target governativo fosse quello di recuperare ‘solo’ i 3-400 miliardi necessari per riavvicinarsi al pareggio del Rapporto Debito-Pil, cosa possiamo aspettarci?

Tenuto conto che “la cura non può ammazzare il cavallo”, la domanda è se possiamo aspettarci una Imposta Patrimoniale da 300 miliardi di euro effettivi, cioè:

  1. 10-15% sulla liquidità, eventualmente modulando l’aliquota a seconda del valore complessivo e/o del reddito annuo dichiarato. Un risparmiatore che abbia accantonato 50.000 euro dovrebbe all’Erario comunque meno di 10.000 euro.
  2. 5-15% sugli immobili, tenendo conto di cosa sia “prima casa” e di cosa è “attività produttiva”. Il proprietario o l’erede di una abitazione di pregio del valore di 500.000 euro potrebbe aver bisogno di diverse decine di migliaia di euro per far fronte al Fisco. Allo stesso modo, sarà da capire cosa avverrà in termini di concentrazione delle attuali piccole proprietà rurali.

Probabilmente si, possiamo aspettarci una Patrimoniale del genere: oltre sarebbe insostenibile, al di sotto si renderebbe inefficace.

Demata

Reddito di cittadinanza: il rinnovato ruolo di Inps e Sindacati

21 Feb

Ben venga il Reddito di Cittadinanza inteso come sostegno per chi si ritrova a vivere con quattro soldi, ma – arrivato al traguardo – il Decreto voluto dai Cinque Stelle mostra i medesimi limiti per cui era stato criticato fin dall’inizio.

800px_COLOURBOX4129607Per notarlo, basta leggere questa semplice storiella.

Luigi e Gino sono due lavoratori e dipendono dalla stessa ditta, sono ambedue sposati con un bambino, altro coniuge disoccupato, lavorano 36 ore alla settimana, hanno un reddito di circa 20.000 euro lordi all’anno (al netto quasi 1.200 euro al mese), pagano un affitto di 450 e niente risparmi in banca.

Da gennaio 2018, Gino ha optato spontaneamente per il part time con un reddito di circa 10.000 euro, cioè un Isee inferiore a 9.360 euro annui, cosa che permette a tutto il suo nucleo familiare già di avere l’esenzione da eventuali costi contribuiti e la precedenza nell’accesso a servizi pubblici.
Luigi no, resta full time e sopra la quota Isee e come lui anche i suoi familiari.

Arriva il Reddito di Cittadinanza e da marzo 2019 Gino a part time inizia a ricevere 780 euro al mese, che in un anno sono 9.360 euro, e dopo un anno (ma lavorando solo 20 ore alla settimana) avrà ricevuto un reddito più o meno identico Luigi che lavora full time: circa 20.000 euro annui, ma con esenzione da tutti i ticket per tutto il nucleo familiare.

Anzi,  a proposito di nucleo familiare, il coniuge disoccupato di Luigi non avrà diritto al Reddito di Cittadinanza, per via dell’Isee troppo alta, ma quello del lavoratore part timer probabilmente avrà diritto ad altri 500-780 euro al mese?

A proposito, Gino in part time sotto quota Isee va a “manifestare la propria disponibilità al lavoro“ per ottenere il Reddito, ma cosa accade se dovesse rinunciare perchè interferente con il lavoro ‘primario’?

Riepilogando, avremo due situazioni familiari e lavorative identiche, che diventano antitetiche, se il reddito complessivo del nucleo ‘part time’ diventa largamente superiore a quello del nucleo ‘full time’.

Figuriamoci, poi, se l’affitto di Gino fosse spese incluse e quello di Luigi al netto del condominio e se nel tempo restante al part time  Gino svolgesse lavoretti a nero … magari proprio nella ditta che ‘spontaneamente’ gli ha suggerito il part time. 

Nel 2018, prima del Reddito di Cittadinanza, Luigi e Gino erano amici per la pelle, nel 2020 probabilmente no.

Sarà l’Inps con le sue circolari a fare ordine e, si spera, equità? E come farlo, se non dipenderanno dall’Istituto tutti gli accertamenti che la norma prevede?
Sarà il redivivo Sindacato a vigilare nelle fabbriche, come una volta era per cottimisti e crumiri?

Demata

Milton Friedman, assistenza e previdenza: fu solo un problema di traduzione in italiano?

20 Feb

Forse, Milton Friedman avrebbe votato a favore del Reddito di cittadinanza e, chissà, contro la Quota 100, ma a condizione – assoluta e preliminare – di riformare l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

Ricordiamo che il famoso Nobel per l’Economia nei suoi interventi si riferisce sempre al sistema statunitense in cui Welfare e Social Security sono programmi diversi, ambedue finalizzati a fornire reddito a chi ne è bisognoso.

La Social Security equivale ai Contributi che tutti i lavoratori versano per tutta la vita alla Pubblica Amministrazione, in cambio della garanzia di sussidi di previdenza o ai superstiti.
Il Welfare, viceversa, è finanziato dalla leva fiscale (Tasse) e riguarda i residenti poveri, anziani o disabili, oltre ai lavoratori che non possono esercitare un proficuo lavoro per una malattia grave.

Semplificando, la Social Security equivale ad una Previdenza pubblica obbligatoria per i lavoratori e il Welfare ad una sorta di Assistenza pubblica universale. Vengono spesso confuse perchè non di rado la medesima Pubblica Amministrazione sovraintende ad ambedue i programmi.

Questa sovrapposizione (percepita o reale che sia non solo negli USA), ha causato quello che fin dagli Anni ’70 viene chiamato il ‘pasticcio del Welfare’ e che … noi italiani siamo riusciti dal 1974 e ad oggi a complicare in modo esemplare, viste le competenze dell’Inps, delle Regioni, del Ministero per la Salute e pure quello del Lavoro, senza dimenticare i Comuni e gli Enti o l’onnipresente Ministero dell’Economia e delle Finanze, che, in pratica, … attingono tutte al Debito Pubblico.
E non è che in Francia stiano messi molto meglio, in termini di competenze incerte e/o sovrapposte.

Infatti, Milton Friedman – nonostante sia stato il maggiore studioso di questa ‘dinamica’ etica, sociale e finanziaria, ricevendo un premio Nobel – non sembra sia stato tradotto in francese, mentre buona parte delle traduzioni italiane risalgono ad almeno quarant’anni fa, cioè a quando le sue idee vennero alla ribalta con l’avvento di Margaret Hilda Thatcher, mentre ancora c’era la Guerra Fredda.

Traduzioni, dunque, che sarebbe opportuno verificare oggi, senza lo ‘spirito di fazione’ e le ‘strilla’ di quell’epoca.

Ecco come potrebbe essere tradotto oggi Milton Friedman in lingua italiana, senza il rischio di generare gli equivoci che hanno condizionato l’Informazione e la Politica negli Anni ’70.

“Sono favorevole a tagliare le Tasse in qualsiasi circostanza e con qualsiasi pretesto, per qualsiasi motivo, ogni volta che è possibile. Il motivo è perché credo che il problema centrale non siano le Tasse, il grande problema è quanto si consuma (spending), cioè la Spesa.

La domanda è: “Come contenere i Consumi dell’Amministrazione (government)?”

I consumi dell’Amministrazione pubblica ora ammontano a quasi il 40% del reddito nazionale, senza contare le spese indirette mediante regolamenti e cose simili. Se le si includono, si arriva a circa la metà. Il vero pericolo da affrontare è che quella cifra aumenterà e aumenterà.

Io credo che l’unico modo efficace per contenere questa cifra è quello di contenere l’ammontare della rendita fiscale (income) che ha l’Amministrazione.
Il metodo per farlo è tagliare le Tasse.

La diffusa insoddisfazione nei confronti del programma di assistenza pubblica – con il cosiddetto “pasticcio del Welfare” – ha prodotto numerose proposte di riforma drastica, tra cui gli interventi presidenziali al Piano di Assistenza Familiare.
D’altra parte, l’attrazione acritica (complacency) per la sicurezza sociale si riflette nella pressione per estenderla ancora oltre.

Il mio atteggiamento nei confronti dei due programmi è quasi al rovescio (ndr. cioè possibilista verso il Welfare e antagonista verso la Previdenza obbligatoria).

Per quanto il pasticcio del Welfare sia nocivo, almeno l’assistenza pubblica va principalmente alle persone bisognose che hanno un reddito inferiore rispetto alle persone che pagano le tasse per finanziare i pagamenti.
Il Welfare (system) ha ampiamente (badly) bisogno di riforme, ma al momento esso assolve ad una funzione sociale essenziale. Sembra impossibile eliminarla subito, anche se la sua eliminazione dovrebbe essere il nostro obiettivo a lungo termine.
(ndr. Come vedremo più avanti lo scopo è sostenere il reddito (e il GDP cioè il PIL) per limitare la Povertà e per trasferire l’Assistenza fiscalmente detraibile alla Charity delle Fondazioni)

All’opposto, la Sicurezza Sociale (ndr. Previdenza obbligatoria) combina un Contributo altamente regressivo con benefici ampiamente indiscriminati e, nell’effetto generale, probabilmente ridistribuisce i redditi da persone a reddito inferiore o superiore. Credo che non assolva ad alcuna funzione sociale essenziale.
Gli impegni esistenti rendono impossibile eliminarla da un giorno all’altro, ma dovrebbero essere liquidati e risolti il prima possibile.

Io credo che un programma in grado di dare reddito alle persone, di finanziarle, dovrebbe avere la possibilità di essere testato. Un programma di questo tipo sarebbe molto meno costoso di quelli che abbiamo ora e potrebbe funzionare meglio nell’aiutare le persone.

Abbiamo una responsabilità verso il contribuente e non solo per le persone povere. La persona che paga le tasse ha tutto il diritto di richiedere, se paga le tasse per aiutare qualcuno, che ci sia qualche evidenza che quella persona ha bisogno di aiuto. 

Direi che la nazione non può essere generosa con nessuno. Solo le persone possono essere generose.
La generosità è un tratto umano, individuale, non un tratto collettivo.

Nessuna generosità (ndr. generosity = prodigalità) è implicita nell’imporre tasse a qualcuno, per aiutare qualcun altro.
Non è questa la generosità
(ndr. generosity = liberalità).”

Dunque, l’idea di Milton Friedman (se letto in lingua inglese e conoscendo il sistema statunitense) era quella di una società nel suo intimo attenta alla Coesione Sociale e sensibile all’Assistenza di chi ne ha bisogno, che interviene senza prodigalità, cioè la generosità acritica, ingiusta verso chi versa le risorse per l’Amministrazione, e che riconosce ed agevola la liberalità, cioè la vera solidarietà intesa come impegno individuale per uno scopo collettivo.

Soprattutto, per Milton Friedman l’Assistenza pubblica era – a chiare lettere – un esigenza intriseca alla Società umana e, comunque, da assolvere tramite il Pubblico, finchè necessario. Viceversa, non lo era la Previdenza obbligatoria, essendo tali “contributi previdenziali” una sorta di tassazione recessiva e potenzialmente iniqua, rispetto ai “versamenti al sistema assicurativo” ed alle ‘detraibilità fiscali’.

Noi, in Italia, tra Prima, Seconda e attuale Terza Repubblica abbiamo fatto e stiamo continuando a fare esattamente il contrario, vero? Anche adesso procedendo con la Quota 100 e il Reddito di cittadinanza senza ristrutturare l’Inps e con pochi poteri nazionali sulle Regioni, esattamente come nel 1974 con le Mutue e le Casse.
Sarà per questo che il Debito cresce, il Pubblico arranca e gli italiani in un modo o nell’altro sono insoddisfatti e preoccupati?

Demata

(Nota bene: è consentita Libertà di copiare, distribuire o trasmettere questa traduzione a condizione di menzionare il Traduttore. E’ negata la Libertà di riadattare questa traduzione)

—-

Testo originale in inglese

I am in favor of cutting taxes under any circumstances and for any excuse, for any reason, whenever it’s possible.

The reason I am is because I believe the big problem is not taxes, the big problem is spending.

The question is, “How do you hold down government spending?”
Government spending now amounts to close to 40% of national income not counting indirect spending through regulation and the like.

If you include that, you get up to roughly half. The real danger we face is that number will creep up and up and up.

The only effective way I think to hold it down, is to hold down the amount of income the government has.
The way to do that is to cut taxes.

Widespread dissatisfaction with the public assistance program — with the so-called welfare mess — has produced numerous proposals for drastic reform, including the President’s proposed Family Assistance Plan now before the Congress. On the other hand, general complacency about social security is reflected in pressure to expand it still farther.

My own attitude toward the two programs is almost the reverse. Bad as the welfare mess is, at least public assistance does go mainly to needy persons who are at lower income levels than the persons paying the taxes to finance the payments. The system badly needs reform but, at the moment, it serves an essential social function. It seems impossible to eliminate it promptly, even though its elimination should be our long-term objective.
On the other hand, social security combines a highly regressive tax with largely indiscriminate benefits and, in overall effect, probably redistributes income from lower to higher income persons. I believe that it serves no essential social function. Existing commitments make it impossible to eliminate it overnight, but it should be unwound and terminated as soon as possible.

I believe that a program which is going to give income to people, which is going to give funds to people, should have a means test. I believe we have a responsibility to the taxpayer and not only to poor people.

I believe that the person who pays taxes has every right to require that, if he pays the taxes in order to help somebody, there be some evidence that that person needs help.

A program of that kind would be vastly less expensive than the ones we’ve now got. It would do a better job of helping people. In my view, the task of people like Mr. Cohen and myself is not to speculate about what people will do if they don’t have leadership but to try to provide leadership in order to obtain the kind of good program that would achieve our objectives.

I would argue that the nation can’t be generous to anyone. Only people can be generous. Generosity is a human, individual trait, not a collective trait. There is no generosity involved in my imposing taxes on you to help him. That is not generosity.

Reddito di cittadinanza 2019 = IVA maggiorata 2020?

21 Gen

Il Minstero del Lavoro ha reso noto che il Reddito di Cittadinanza nel 2019 costerà 6,1 miliardi di euro, ma …  solo perché perchè il costo si spalma su 9 mesi rispetto ai 9 miliardi originari. Su dodici mesi restano 9 miliardi.
A questi “per ora 6,1 miliardi” va aggiunto un altro miliardo come start up per la riforma dei centri per l’impiego, di cui non è dato sapere quale sarà il costo a regime.

A parte ci sono i rischi di una misura di tale portata, che – creando un diritto pur essendo temporanea –  non potrà far altro che generare tensioni sociali e deroghe infinite, come già è accaduto per la Cassa Integrazione.
Luigi Di Maio è un trentenne, ma – se non a scuola o all’università – già in famiglia dovrebbero avergli raccontato qualcosa di quel disastro dis-occupazionale, essendo cresciuto proprio nel territorio della gloriosa quanto sfortunata Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco.

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Il “bello” è che questo  disavanzo non è soggetto ai paletti Ue, come festosamente annunciano i Cinque Stelle, ma … perchè – per un bug nei parametri internazionali –  più persone passano da inattivi a disoccupati più sale il Pil potenziale, per cui si apre uno spazio fiscale aggiuntivo.

Una norma sbilenca, quella del Reddito di Cittadinanza, e davvero poco opportuna, se in Italia il 14% dei ragazzi molla gli studi entro i 18 anni oppure se la maggior parte dei laureati a 28 anni non ha mai lavorato: così si finisce per rinviare il loro problema di qualche anno … a conferma la Quota 100 che manda in pensione chi ha iniziato a lavorare tardi e non chi ha lavorato tanto.

Sbilenca e inopportuna, se sappiamo già che, mentre uffici e ispettori del lavoro si organizzano, non saranno pochi coloro che abbineranno al reddito anche qualche lavoro in nero. E se – tra un anno o due al massimo – sarà da capire cosa ne sarà dei diritti assistenziali regionali e locali, se l’ISEE viene trasformato.

Purtroppo, se la possibilità di spendere in deficit senza rischiare sanzioni sembra una buona notizia, ricordiamo anche che automaticamente comporta che il debito complessivo aumenti come aumentano il deficit e gli interessi dell’Italia e dei contribuenti italiani.

Un peggioramento del debito/deficit/interessi/spread – oltre a gravare gli italiani presenti e futuri – comporta l’innesco delle clausole di salvaguardia … quelle che già attendono dal 2015 un incremento IVA dal 10% all’11,5% dell’aliquota ridotta e un passaggio dal 22% al 25% per l’aliquota ordinaria.
Figuriamoci nel 2020, a quando Di Maio ha rinviato proprio la questione dell’IVA ed a quando ci sarà da riconfermare il reddito di cittadinanza a 3-5 milioni di beneficiari.

In pratica, il Reddito di Cittadinanza 2019 lo pagheremo con l’IVA aumentata del 2020. Potremmo evitarlo solo riducendo la quota IVA che va alle Regioni, ma non se ne parla nemmeno con i debiti folli che il loro Governatori hanno sottoscritto.

Demata

Quanto costa la Quota 100?

21 Gen

Una valanga di nuove tasse, circa 73 miliardi di euro, per il triennio 2020/2022, questa è l’entità della spesa aggiuntiva per le casse pubbliche della Quota 100 e del Reddito di Cittadinanza, stimata da Claudio Romiti su L’Opinione (18 gennaio 2019). 

Una cifra attendibile, ma – come ricordava ieri Emma Bonino – nessuno sa ancora quanto costerà effettivamente ai contribuenti italiani la Legge di Bilancio, figuriamoci la Quota 100 e il Reddito di Cittadinanza. 

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Restando alle Pensioni e cercando di capire quanto saranno sostenibili per le Casse Pubbliche, cioè per pensionati, lavoratori e giovani, i dati dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (12 Novembre 2018) sono chiari e dicono che l’introduzione di quota 100 potrebbe costare allo Stato fino a 13 miliardi, ma a condizione che tutti i 437.000 contribuenti coinvolti scegliessero di andare in pensione nel 2019.

Tito Boeri, presidente dell’Inps, prospettava (11 ottobre 2018) «incremento del debito pensionistico destinato a gravare sulle generazioni future nell’ordine di 100 miliardi», cioè confermava che «ridurre i costi a 7 miliardi per il primo anno e a 13 miliardi a regime»  (23 maggio 2018).

Il Sottosegretario al Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ed esponente della Lega Claudio Durigon (18 settembre 2018) negava la stima di 13 miliardi, ma confermava Upb ed Inps: “Siamo intorno ai 6-8 miliardi per il primo anno. Questo è il costo effettivo di Quota 100.” 

Ma come c’è riuscito il Governo?

Innanzitutto, tagliando nelle previsioni il numero dei beneficiari di un quarto (portandoli a circa 340mila) … e potrebbero essere anche meno.

Infatti, con la Quota 100 un 63enne con contribuzione inferiore ai 35-25 anni si ritrova con un taglio 40-60% rispetto all’ultimo stipendio, con buona pace del suo reddito e del suo futuro da anziano.

Tagliando adeguatamente la rendita pensionistica della Quota 100 si ottiene che molti preferiranno andare via con APE Sociale (se hanno almeno 63 anni di età) o con la Fornero (se hanno almeno 43 anni di contributi).
E così accade che da 13-15 miliardi annui per pensionare quasi mezzo milione di persone, si prevede che se ne possano spendere la metà, cioè 6-8 miliardi di euro.
Per il primo anno …

Dunque, riguardo la Quota 100 voluta dalla Lega già in campagna elettorale:

  1. un esborso di circa 5 miliardi annui era già previsto dai governi precedenti per ‘aggiornare’ le norme Fornero ed entro tale somma si tratta solo di decisioni politiche su quali categorie vanno ‘anticipate’. C’era da scegliere tra lavori usuranti, gravi invalidità, settori in crisi o da rinnovare, contribuzione insufficiente;
  2. essendo in Italia, ci saranno poi le deroghe e i ricorsi, e per i prossimi 5-6 anni peserà sui conti Inps qualcosa in più delle previsioni del Governo (credibilmente 10-11 milioni l’anno), poi – a man mano che i “pensionati quota 100” diventano over 67enni – la spesa rientrerà in quella ‘di vecchiaia’. Dunque, niente panico per i giovani: chi va via prima ora paga pegno sulla rendita pensionistica e tra sei anni al massimo inciderà di meno sulla spesa totale;
  3. nel complesso parliamo di una somma pari a circa il 3-6% della spesa pensionistica italiana totale. Non un’inezia. E parliamo di circa mezzo milione di redditi dimezzati, con ricadute sul fisco e sul commercio locali tutte da capire. Non è un caso che si parli di cessare l’iniquo blocco dei TFR pubblici, che – almeno da principio – andrebbero a sostenere  la pensione ridotta;
  4. c’era da scegliere se riformare la Fornero, a partire dall’esodo dei lavoratori senior con malattie croniche invalidanti (con minori conti del lavoro e della spesa sanitaria e assistenziale) o favorire il turn over nella P.A. (cioè i ‘concorsi’) ed a raccogliere consensi quà e là, con la speranza che i nuovi assunti porteranno con se anche l’innovazione e la semplificazione che serve da 30 anni;
  5. mantenendo in vigore sia APE sia la Fornero e tentando di restare nei parametri prefissati, è evidente che la Quota 100 così com’è rinvia il problema complessivo delle pensioni agli anni a venire, quando sapremo quanti sono questi miliardi nei prossimi tre anni, da dove saranno presi e se potevano essere spesi meglio. 

Il vero enigma (sociale ed economico) è il Reddito di Cittadinanza, ma ne riparleremo.

Demata

Pensioni: i conti Inps e gli invalidi invisibili

3 Gen

Le pensioni per gli invalidi dovrebbero essere la prima ragione di esistenza di un Istituto pubblico di Previdenza Sociale, come è l’Inps fin dalle origini.

I dati dell’Inps 2017 riguardo i casi riconosciuti di invalidità civile e le prestazioni erogate sono, in sintesi, i seguenti:
– ciechi totali o parziali = 223.958 (7,3% della spesa);
– prestazioni a sordomuti = 61.001 (1,99% della spesa);
– prestazioni a invalidi totali = 2.281.116 (16,5% della spesa) 
– indennità di accompagnamento = 1.775.431 (58% della spesa) 
– invalidi parziali = 494.415 (16,2% della spesa).

Strano, vero? Come è possibile che gli invalidi totali sono oltre 2 milioni, ma quelli parziali solo mezzo? Semplice, le statistiche considerano come invalidi solo quelli a cui l’Inps eroga una prestazione.

Infatti, secondo OsservaSalute 2018, il 39% degli italiani ha almeno una malattia cronica, mentre il 23,7% è multi cronico e l’insorgere di malattie croniche ha una vera e propria impennata dopo i 44 anni.

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Molto semplicemente l’Inps, nel subentrare alle Casse previste dalla Costituzione, non si fa carico delle invalidità da lavoro se non gravissime o totali: non è un caso che le prestazioni destinate alle donne ultraottantenni siano quasi pari per numero a quelle per i maschi in età da lavoro (tra 20 e 65 anni) e maggiori per volume finanziario.

Ad ogni modo, di stranezze ce ne sono tante, ad esempio che per ogni milione speso l’Inps destina 32,60 € a testa per i ciechi totali o parziali ed i sordomuti, come per gli invalidi parziali, ma … per gli invalidi totali l’Inps non fa diversamente, dato che se i 32,60 € a testa sono per le indennità di accompagnamento … che andrebbero a chi assiste il malato … al quale così restano solo 7,23 euro “per se stesso”.

E c’è da restar perplessi se consultiamo le Disability statistics 2012 dell’Unione Europea e scopriamo che in Italia erano 6.991mila le persone disabili maggiori di 15 anni e”with long-standing health problems”, cioè note da vecchia data, mentre … l‘Inps – Statistiche in breve (marzo 2017) – invece – eroga solo 3.060.490 prestazioni agli invalidi civili (invalidi civili, ciechi civili, sordi civili).
E dove sono finiti gli altri quasi quattro milioni con long-standing health problems e che, magari vanno ormai per i 50, hanno 20-30 anni di contributi versati e che … più tempo li teniamo al lavoro e più ci costano e ci costeranno in Sanità?

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Il Ministro Di Maio come la sua collega Grillo terranno conto che è davvero impossibile che una nazione di 60 milioni di abitanti abbia solo 3 milioni di invalidi ‘a carico’, se la media  europea è del il 17% della popolazione, cioè da noi “dovrebbero essere” 10 milioni?
Sarebbe importante sia in termini di conti futuri dell’Inps sia di spesa sanitaria appropriata sia di ‘giustizia sociale’ sia di finanza, economie ed investimenti.

A dire il vero, dovrebbero essere Politica, Sindacati e Imprese a chiedersi che fine fa il consenso di questi 4-7 milioni di elettori / lavoratori / consumatori invalidi senza visibilità e prestazioni, senza possibilità di pensione, senza accesso ad un reddito/sussidio minimo, nonostante decenni di contributi versati.

Siamo sicuri che, superando la Fornero e garantendo il Reddito a chi non ha contribuzione, non finiranno esclusi ancora una volta proprio gli invalidi ‘parziali’ che, viceversa, hanno ormai versato tanto, ma “sempre non abbastanza”?

Su quali numeri sta lavorando la Politica, se ci sono milioni di italiani che scompaiono dalle statistiche della Previdenza ma esistono in quelle della Sanità?
Soprattutto, è ben informata che con pochi miliardi l’anno si risolverebbe un enorme problema di diritti, salute, turn over, innovazione, bilancio pubblico ed efficienza amministrativa, che coinvolge direttamente milioni di italiani?

Demata

Il vero problema delle pensioni d’oro

20 Dic

Il vero problema di quei 40 miliardi di euro annui che vanno in “pensioni d’oro” è che non si trasformano in occupazione, innovazione e crescita per l’Italia.

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Una fetta di questi 40 miliardi è spesa in Italia nei nostri Titoli di Stato. E’ dall’Ottocento che nel mondo questi ceti sostengono il debito pubblico: “stabilita”, peso politico e un percento d’interesse. Da un certo punto di vista somigliano a dei fondi speculativi, dato che finiscono per mantenere rendite di posizione e carriere nepotistiche.

Diverso sarebbe investire in produttività, anzichè sul debito, ma come fare se lo Stato iperfiscale razzola tutto il contante, se lo Stato statalista controlla tutti i giganti industriali , se lo Stato sociale ha cancellato il settore assicurativo e spezzetta le utilities?

Dunque, è inevitabile che un’altra abbondante fetta di quei 40 miliardi “d’oro” finisca in investimenti immobiliari o agroalimentari, cioè parcellizzazione del territorio e sfruttamento degli affittuari. Peggio va per quell’altra parte di ‘pensioni d’oro’ versata in ‘promettenti’ investimenti finanziari … non di rado finiti a rotoli.

Dulcis in fundo, a parte quello che va alla Sanità privata, non sappiamo quanta parte di queste pensioni d’oro finisca direttamente all’estero, perchè i figli sono lì o per investimenti come per l’acquisto di generi di lusso oppure come reddito e rimesse dei dipendenti stranieri che assistono questi anziani.

Dunque, quando parliamo delle “pensioni d’oro”, prendiamo atto che il vero ‘danno’ è che siano investite in Debito pubblico, in terreni e immobili messi a rendita, in beni e servizi che capitalizzano all’estero, in fondi speculativi e rischiosi.

Cioè se ne vanno largamente in fuffa, non generano molta occupazione interna, non finanziano l’innovazione, non creano reddito diffuso. Questo è il vero problema.

Ma … con la situazione attuale dell’impresa e del sostegno all’impresa in Italia, quali alternative avrebbero i nostri pensionati d’oro?

Demata