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Scuola: Italia e Germania, due scioperi a confronto

17 Giu

La scuola italiana va riformata profondamente se da decenni non riusciamo a superare il tetto del 20% di laureati, a fronte del monte ore di lezione più alto d’Europa, e se ci troviamo puntalmente con l’andirivieni di supplenti e le classi scoperte, mentre abbiamo il più elefantiaco apparato scolastico del mondo.

Con l’Europa che avrà di media il 40% della popolazione laureata entro il 2020, è abissale credere di poterci permettere ancora un congruo 35% di lavoratori con la sola licenza media, mentre meno del 10% è in possesso di lauree tecnico-scientifiche e non di rado scappa all’estero.

La situazione degli edifici scolastici è molto carente, ma gli Enti Locali continuano a fare orecchie da mercante. Per non parlare della dispersione scolastica da record che ci troviamo e che alimenta criminalità, degrado, esclusione sociale.

Questa è la situazione, Invalsi o non Invalsi che sia, che ci piaccia o meno: all’Italia serve una buona scuola, non c’è che dire.

Di cosa dovrebbe essere fatta una buona scuola?

Innanzitutto da buoni ed ottimi insegnanti, ma qui da noi – superato il concorso – non c’è più nessun filtro che ce lo garantisca ed, allo stesso modo, non v’è una retribuzione od una meritocrazia che lo riconosca. E se i governi hanno finora avanzato proposte molto vaghe e, comunque, timide, l’aspetto più preoccupante è che in decenni di proteste e rivendicazioni da parte dei docenti, la questione ‘merito/premialità’ (e più in generale quella della progressione stipendiale) non è mai stata oggetto di proposte ‘congrue’ da parte dei sindacati e/o del mondo della scuola.

In secondo luogo da programmi/piani/programmazioni didattici coerenti tra di loro e non largamente ‘adattati’ e/o ridotti a seconda delle scuole o delle classi, se vogliamo contenere l’abbandono scolastico e massimizzare l’accesso alle lauree. Questo è il frutto avvelenato delle indecisioni e delle forti resistenze all’attuazione dell’Autonomia Scolastica e la creazione di una dirigenza appositamente qualificata, come di un sistema di valutazione nazionale e di uno status del personale docente ancorato ancora a norme del 1976 e contratti del 1995 …

Potremmo continuare all’infinito, passando per il concetto che le scuole dovrebbero essere sempre luogo di ‘coesione’ e non di ‘antagonismo’, e troveremmo puntualmente ambedue queste carenze di metodo e di ruoli.

Infatti, anche la Buona Scuola del ministro Giannini sta mostrando la solita incertezza dell’azione politica come la puntuale resistenza al cambiamento da parte della base.
In mezzo le famiglie che troppo spesso non percepiscono la scuola come un riferimento per la genitorialità e come una centralità dei servizi sul territorio, bensì come mero ‘punto di erogazione di un servizio’ … e come dargli torto, se la dicitura è ‘ufficiale’ ed è condivisa da amministrazione e sindacati.

Intanto – mentre in Italia continuano le agitazioni nella scuola, senza però rivendicazioni ‘concrete’, a fronte di ‘scatti triennali’ di poche decine di euro per i nostri docenti – in Germania l’efficienza è un vanto come lo è il giusto trattamento di chi lavora, mentre il politico locale di turno ci mette la faccia se la scuola cade a pezzi ma anche le maestre dei kindergarten tedeschi sono in sciopero ormai da un mese perchè chiedono aumenti stipendiali ed … ecco quanto quadagnano oggi. Quanto ai programmi ed alla ‘gerarchia’ o la ‘burocrazia’ son tutti d’accordo che sia un compito e dovere del ‘datore di lavoro’ … che, come detto, rende conto in termini di consensi elettorali se le scuole funzionano bene o meno.

Stipendi maestre kindergarten Germania

Ore, stipendi, numero di alunni, pensioni … visto che un po’ dovunque i docenti possono pensionarsi prima dei 55 anni d’età, cosa che solo da noi è un miraggio.

Nel Paese delle Api Operose contano i fatti, in quello degli Acchiappacitrulli le parole, avrebbe commentato il buon Collodi …

Demata

La riforma Gentile era fascista? E, comunque, i presidi a cosa servono?

21 Mag

Francobollo_Giovanni_GentileAborrire la ‘scuola fascista’ è un conto, altro è non ammettere che il sistema d’istruzione congegnato da Giovanni Gentile ha dato all’Italia gli ingegneri, gli economisti, i medici, gli architetti e i magistrati che hanno costruito e poi ricostruito il Bel Paese dagli Anni ’20 fino agli inizi degli Anni ’60.

E, seppur con una certa meraviglia, dobbiamo prendere atto che dalla scuola di Giovanni Gentile sono usciti pressochè tutti i partigiani e gli antifascisti, i sindacalisti e i politici del dopoguerra, salvo una parte che aveva studiato in scuole cattoliche.

Ancor più stupefacente è lo scoprire che – quando c’era lui, Giovanni e non Benito – tutta la sede di Viale Trastevere funzionava con una cinquantina di addetti. Sarà una leggenda metropolitana, ma a contar le stanze non sembrerebbe che vi fossero più di un centinaio di addetti. Certo c’erano meno persone e meno scuole, ma cosa dire se – a far due conti della serva – gli attuali ministeriali avrebbero praticamente 3 scuola a testa di cui occuparsi …

A seguir le leggende ci sarebbe anche quella che gran parte di questi ministeriali fossero più di sponda socialista che fascisti, cosa che troverebbe diverse riprove a partire dall’incredibile la quantità di nozioni scientifiche che bisognava apprendere fin dai 12-14 anni. Non solo le ‘elite’, che avevano una competenze linguistiche e storiche alla stregua di una laurea brevis di oggi: fa davvero impressione scoprire, oggi, cosa e quanto avessero da studiare gli alunni delle cosiddette scuole di ‘avviamento al lavoro’, che coprivano le attuali ‘medie’ e parte dell’istituto professionale.

E libri ed esercizi erano più o meno uguali, così non si poteva sbagliare nel valutare la qualità di una classe od  un istituto.

C’era, poi, la retorica fascista – che imperava tramite le materie letterarie alle elementari e nei licei – con i suoi Balilla, i Saggi Ginnici e una marea di stupidaggini annesse e connesse, ma … spesso e volentieri destinate al sabato, immancabilmente ‘fascista’.
C’era Giovanni Gentile, che commise errori ingiustificabili, come quello di aver firmato il Manifesto sulla Razza pur non essendo notoriamente antisemita (fonte Radio Radicale), ma che ebbe certamente il pregio di inventare un sistema di istruzione, che molti gli copiarono, a partire da Stalin e Mao.

All’epoca – e fino agli Anni’60 – c’erano i ‘presidi’ che ‘delegavano’ proprie funzioni – cosa che tutti vorrebbero – a persone di propria fiducia, dato che è il requisito essenziale per una delega e costringe il delegante a rispondere di quanto fatto dal delegato.
Nulla di fascista, si chiama delega, è uno strumento giuridico atto a distribuire il potere. E’ il sistema attuale che prevede ‘un uomo solo al comando’: la riprova è nella norma attuale che escude la nomina dei famosi ‘vicari’  sempre esistiti, prevedendo addirittura che i dirigenti scolastici non vadano sostituiti se non si ammalano per più di sessanta giorni.

Tra l’altro, a chi aborrisce la ‘riforma Gentile perchè fascista’ andrebbe ricordato che le politiche fasciste verso i bambini e i giovani non passavano dal ministero dell’Istruzione di Giovanni Gentile, ma da quello dell’Educazione di Giuseppe Bottai: fu Giovanni Gentile a creare i primi organismi paritetici (Consigli di Classe) nel1922-23.

E fu grazie a Gentile che venne creato un ruolo nazionale degli insegnanti con accesso tramite concorso e trasferimento a domanda dell’interessato, mentre fino all’anno prima (1922) erano scelti dal preside come poi rimasto per i soli supplenti.

Quei presidi avevano anche il dovere di intervenire, se qualcuno era sempre in ritardo e la classe restava scoperta o se in una classe la didattica non raggiungeva i risultati aspettati.
Oppure se qualcuno degli alunni faceva benchè minimamente il bullo o se tra i docenti non c’era la collaborazione reciproca oppure se qualche famiglia trascurava i figli

Ma questo è normale in un ambiente di lavoro qualsiasi (orari, risultati, rispetto, regole), figuriamoci se parliamo di persone che hanno la responsabilità sociale di eduare bambini e adolescenti: cosa c’entra rievocare la scuola fascista?

Demata (since 2007)

Scuola: dieci domande per Renzi, Camusso & co.

6 Mag

Con uno sciopero così massiccio del personale scolastico, ci sono dieci domande alle quali i sindacati della scuola dovrebbero rispondere.

sciopero scuola

1- Se un medico di base, pagandosi studio e personale ma svolgendo non meno di  1.500 ore annue  con 1.500 assistiti, percepisce un reddito reale di poco  superiore ai 2.000 euro, vi sembra uno stipendio da fame percepire da laureati 1.200 – 1.700 euro al mese per 7-900 ore di lavoro annuo (18-24 ore setttimanali per 33 settimane + 80 ore funzionali) con circa tre mesi di ‘vacanze’, che potrebbero e dovrebbero essere destinati a turno a quel recupero degli alunni che le famiglie salatamente pagano?

2- Se le scuole ‘crollano’ perchè manifestare una tantum sotto il ministero e non everyday sotto il Comune o la Regione che ne sono responsabili?

3- Come si pensa di funzionare senza un dirigente, se il personale della Scuola risulta essere quello a maggiore conflittualità interna?

4- Quale è l’iter per diventare docenti dopo aver chiuso le SISS e scavalcato concorsi su concorsi: una laurea e tanto praticantato?

5- Cosa dovrebbe insegnare una ‘buona scuola’, se ancora oggi le ore di matematica o scienze sono in tutto 5-6, mentre arte, musica e presportiva sono un miraggio, specialmente se il docente non ha un tutor d’aula compresente?

6- Come valutare la qualità di docenti in un contesto di ‘posto fisso’, se gran parte dei libri di antropologia, sociologia e psicologia – su cui fondano saperi, competenze e convinzioni – si sono dimostrati errati secondo le scoperte ormai ventennali della genetica, dell’archeologia e della sistemica?

7- Come evitare sprechi e sovracosti alla popolazione se trovano le scuole aperte per 6-8 ore al giorno, mentre altrove funzionano (a carico degli enti locali) fino a sera inoltrata, per corsi, convegni e manifestazioni, come anche offrono on site i servizi di sportello comunali e di supporto sociale o genitoriale?

8- Quale turn over e quale innovazione se in Italia i docenti vanno per i cinquanta, ma hanno spesso solo una ventina d’anni di contribuzione, mentre nell’Ocse almeno un quarto sono under30 e vedranno la pensione prima dei 55 anni?

9- Quale Scuola e Amministrazione 2.0, se molti che scioperano sono quelli ‘contro’ il registro elettronico e le prove telematiche unificate?

10- Quale logica del servizio pubblico può animare una Scuola dove – se si tratta del personale – si torna indietro alla scuola fascista e statalista del Ventennio e degli Anni ’50 – ’60, mentre – se parliamo di programmi e valutazione – pare di stare ai tempi di ‘nessuno mi può giudicare’ della Beat Generation?

11- Se abbiamo docenti e dirigenti che hanno poca dimestichezza con una lingua straniera e/o con internet, perchè lasciamo correre se i nostri figli e nipoti aspettano ormai da un decennio il futuro che gli appartiene?

Demata (blogger since 2007)

La Buona Scuola e le contraddizioni del mondo della scuola

20 Apr

Tra pochi giorni, grazie al Jobs Act, qualunque famiglia – a prescindere dal reddito – potrà ottenere fino a 7.000 euro annui di voucher per pagare la  baby sitter.

Anche l’anno venturo, grazie al ‘veto’ di chi vuol ‘salvare la scuola italiana’, nessuna famglia riceverà un voucher per pagare l’istruzione dei figli, anche se basterebbero 2.500 euro ad alunno, che tanto è quanto spende lo Stato nelle proprie scuole.

A chi giovi una tale assurdità è davvero difficile da capire, ma è abbastanza evidente da dove derivi.

La chiave della questione è nel fatto che la nostra Costituzione fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, praticamente un anno prima del 10 dicembre 1948, data in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che all’art. 26 punto 3 precisa che, non gli Stati, ma “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.

L’Italia non votò a favore e la sottoscrisse solo il 14 dicembre 1955, il Vaticano mai.
L’Italia non ha mai abrogato, perchè in contrasto con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quella parte dell’art. 33 della Costituzione che prevede che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Niente paura, mica siamo i soli che hanno firmato e giurato, ma poi si son tenuti il ‘vecchio’.

Ma … settemila euro per la baby sitter, ma neanche un centesimo se vuoi esercitare il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire?

E come fa ad esistere una Buona Scuola, se la Dichiarazione Universale afferma che “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” e poi si nega la pari opportunità ad abbienti e meno abbienti di eseritare il diritto di priorità nella scelta?

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

 

Buona Scuola: i dettagli che NON vorremmo sapere

13 Mar
Buona Scuola, se ne parla tanto anche se il decreto in Gazzetta Ufficiale ancora non c’è, e – forse – sarebbe meglio attendere di conoscerne la versione definitiva.
Infatti, gli sgravi fiscali alle scuole non statali, come l’entità effettiva degli organici supplenze incluse oppure l’eliminazione delle ‘classi pollaio’ e tante altre belle cose dovranno passare al vaglio di molti ‘casellanti’, tra costituzionalità del finanziamento indiretto alle private, reale disponibilità di risorse per il Miur, aule ed edilizia accettabili che per ora non ci sono, enti ed imprenditori locali pronti a raccogliere la sfida’, cioè ad investirci di proprio, eccetera eccetera.
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Ma soprattutto l’ennesima riforma epocale della scuola (ne abbiamo di media una a governo) presenta tre elementi  che in prospettiva rappresentano ipotesi e risultati tutti da chiarire.
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old teacherInnazitutto, l’età media anagrafica di un docente, che spesso si avvicina o supera la cinquantina, ma con solo una ventina d’anni di servizio (ergo resteranno fino a 67 anni), mentre nell’Ocse gli over50 sono meno – spesso molto meno – del 30%. Evidentemente altrove li pensionano ben prima di noi.
Cosa accadrà nel periodo medio-lungo, allorchè è prevedibile – specie con una maggiore meritocrazia e controllo di gestione – che ci ritroveremo con decine (centinaia?) di migliaia di docenti over60 non pensionabili e più o meno invalidi o inidonei … tutti per strada esodati?
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Inoltre, a parte le ricadute sulla salute dei lavoratori e quelle sulla didattica, di cui parleremo dopo, sarebbe molto interessante sapere se i 100.000 incaricati e supplenti che saranno immessi in ruolo andranno a sbilanciare ulteriormente il sistema previdenziale rispetto all’assunzione degli idonei del concorso Profumo, mediamente più giovani di loro.
I dati Ocse dimostrano che che altrove i docenti li reclutano giovani (almeno il 10% ha meno di 30 anni) e noi per innovare il Paese andiamo ad assumere in blocco (100.000 sono oltre il 10% del totale) un esercito di quarantenni per tenerli fino a 67 e poi pagargli una pensione praticamente minima?
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don boscoInfine, la didattica, dato che una buona scuola la fanno i docenti e i libri. Riguardo i primi, arriva un voucher di 500 per libri e aggiornamento in proprio, mentre con tutto quel che cambia e con la meritocrazia che si reclama dovrebbe essere il datore di lavoro a definire percorsi e riferimenti per la formazione del personale.
Quanto ai libri, è difficile credere che un testo integrativo di una cinquantina di pagine pieno zeppo di figure possa invogliare lo studio e l’approfondimento, specie se ha un costo di produzione di qualche euro, ma al cittadino costa magari 20 euro e allo Stato che contribuisce pure … per non parlare di quanto poco costerebbe al Miur distribuire testi base per tutte le classi e tutte le discipline, come dovunque, anzichè ‘affidarci agli editori’ …
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Sullo sfondo, poi, la questione edilizia scolastica che mai si risolverà se non faciliteremo le demolizioni, visti i tanti edifici cotruiti con materiali di scarsa qualità e molto costosi da manutentare, ma soprattutto suddivisi in modo fortemente difforme dalle norme tecniche per l’edilizia scolastica ed oggi inservibili a causa di aule piccole, corridoi e androni enormi ed inutili, servizi sanitari mal dislocati, sicurezza ingestibile eccetera.
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Certamente, il ministro Stefania Giannini è animata da ottime intenzioni – come del resto lo furono i suoi predecessori e riformatori Fiorentino Sullo, Riccardo Misasi, Franco Maria Malfatti, Franca Falcucci, Giovanni Galloni, Rosa Russo Iervolino, Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Mariastella Gelmini, Francesco Profumo – ma questa è la quinta riforma ‘importante’ della scuola italiana dal 1996 ad oggi e sembra sia solo l’incipit, vista la delega al governo in materia di semplificazione del Testo Unico e degli organi collegiali della scuola, valutazione degli insegnanti e requisiti per l’abilitazione all’insegnamento, diritto allo studio ed alunni diversamente abili o con bisogni educativi speciali, sistema integrato 0-6 anni.
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Insomma, quel che conta del DDL Buona Scuola sono soprattutto le norme delegate al governo che dovranno arrivare che trasformeranno gli organi collegiali, il ruolo docente, l’accesso e i servizi complementari per gli svantaggiati.
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pazienza1Un bel trambusto, specie a voler ricordare che in una scuola per prima cosa va “garantito il sereno andamento delle lezioni”. Una gran bella somma da spendere per decenni, specie considerato che ci sarà – in un modo o nell’altro – da prepensionare … l’enorme massa di ‘giovani quarantenni’ che abbiamo assunto nell’ultimo trentennio che a breve inizieranno a compiere sessant’anni e che resteranno in servizio per almeno altri quindici anni …
Un bell’azzardo … a mettere nelle mani di un governo non eletto l’intero ‘pacchetto’ del diritto allo studio, della partecipazione e dell’accesso degli studenti eccetera eccetera … specie se consideriamo che sono diritti privati e doveri pubblici che dal 1968 ad oggi sono soltanto calati, visto il lento declino culturale del Bel Paese e il de profundis dei dati Pisa-Ocse sull’istruzione e di quelli Reuters sull’informazione.
Che la Santa Madre li (e ci) accompagni?

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San Valentino di sangue per Matteo Renzi

14 Feb

san valentinoUna Camera dei Deputati semivuota ha ultimato questa notte il voto degli emendamenti al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione.
La notte di San Valentino sono stati introdotti o modificati ben quaranta articoli che riscrivono la Costituzione dopo una vera e propria zuffa – con ben due parlamentari in infermeria e diversi deputati espulsi – conclusasi con oltre 200 rappresentanti delle opposizioni (Forza Italia, M5S, Fratelli d’italia, Lega e Sel) fuori dall’Aula di Montecitorio, mentre a votare c’erano solo gli eletti del Partito Demoratico ed i micro-partiti collegati.
Il voto finale sarà a metà marzo, ma vediamo replicarsi la deriva autoritaria che ha portato all’elezione del Presidente della Repubblica in modo assolutamente non condiviso con le altre forze politiche che pur rappresentano il popolo italiano e l’interesse nazionale.

‘Deriva’ e ‘autoritaria’ possono sembrare parole grosse, ma è difficile trovare altri termini: deriva perchè non si sa dove stiamo andando, autoritaria perchè – bullismo o meno – c’è qualcuno che dice ‘qui comando io’.

Non è con un blitz notturno del Governo che si crea un Senato composto da 100 membri non eletti direttamente dai cittadini (selezionati tra sindaci e consiglieri regionali), che si eliminano le province e – soprattutto – cambiano le competenze di Stato e Regioni, come cambiano le regole per i referendum e il raggiungimento del quorum, come anche per l’elezione del presidente della Repubblica.
Sono modi che ricordano eventi simili accaduti in Georgia, Serbia, Macedonia ed altri paesi dell’Europa dell’Est, quando si trattò di riconvertire le oligarchie comuniste in ceto dominante di una società mercantile.
Un conto era superare ‘certi mal di pancia della sinistra italiana’, un altro è estromettere tutte le opposizioni.

Antonio Polito, autorevole voce ‘democratica’, scrive sul Corriere della Sera, che “si è prodotto il sonno della ragione … un tempo si sarebbe detto da Parlamento balcanico … la Costituzione andrebbe riscritta alla luce del sole … l’incursione notturna del premier è stata così tenebrosa che ora rischia di produrre effetti devastanti sul processo delle riforme.

Rosy Bindi, fondatrice del partito e presidente della Commissione Antimafia, con riferimento alla Camera dei deputati, che da sola e con la mera la maggioranza assoluta dei voti potrà riformare qualunque cosa, ricorda che «con una legge elettorale maggioritaria – che darà il 54-55% a chi vince – questo emendamento non è sufficiente a garantire che in futuro vi sia il rispetto della Costituzione».

Quel che ne viene è un gioco al massacro – Bloody Valentine – in cui Matteo Renzi, dopo aver tradito ogni patto ed alleanza, potrebbe cercare di restare in carica fino a fine mandato, con la sola Camera dei Deputati e rinnovando (ndr azzerando) il Senato non appena votata la Riforma … nella convinzione che i risultati politici gli daranno anche il consenso che non ha più.
Un gioco al massacro come tanti altri, ad esempio nel Lazio, dove le ‘liste civiche’ stanno traslocando in massa nel partito, svuotando direttivi accademici ed associativi di rappresentanza ed autorevolezza, nella mera speranza di convogliare nuove filiere di consenso ad un partito che a Roma sembra contare su meno di 7.000 iscritti e centomila votanti alle primarie …
Oppure, in Campania, con Raffaele Cantone –  magistrato e presidente dell’Autority nazionale anti-corruzione – che avrebbe rifiutato la candidatura renziana, perchè “non sarebbe serio mollare tutto adesso e cominciare un lavoro da governatore”. Promoveatur ut amoveatur?

Massacro come la stramba idea di isolare Alfano e i neopopolari o cannibalizzare Scelta Civica e le forze libdem.

Un San Valentino di sangue per la democrazia italiana, specialmente se le prossime elezioni – Renzi o altri che siano – dovessero consegnarci un Parlamento blindato con una maggioranza insormontabile, che legifera ‘dai corridoi della politica’ asservendo il voto parlamentare a mera ratifica.

E, comunque, non si può pensare di dare un futuro ad una nazione votando frettolosamente delle ‘toppe’ (tali sono gli emendamenti) per riformare una Costituzione con l’80% degli italiani che non fa riferimento a quel 60% di parlamentari eletti – come tutti gli altri – in base ad una legge elettorale incostituzionale, ma che sono oggi la maggioranza della Camera.

Non ne verrà nulla di buono, il vento genera tempesta.

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Lavoro, salari e istruzione in … un paese di licenze medie

22 Set

In Italia gli scolari tra i 7 e i 14 anni passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, eppure le competenze da Firenze in giù sono anche fortemente inferiori alla media europea (circa 200/500), arrivati alle superiori il tasso di abbandono scolastico è al 17,6% (media UE  12,8%) , i diplomati 21,7% (media UE 35,8%)

Nell’Unione europea il 36% di giovani tra i 30 ed i 34 anni ha concluso con successo il percorso universitario (+8% rispetto al 2005 secondo Eurostat), l’Italia annovera un misero 21,7%, a fronte di un preciso obbiettivo UE di raggiungere il 40% di laureati entro il 2020. Inutile dire che attualmente l’Irlanda laurea il 51,1% dei suoi giovani, Gran Bretagna è al 47,1%, la Francia al 43,6% e la Spagna al43,1%, mentre la Polonia arriva al 39,1% e la Germania segue al 31,9%, come anche che … spesso e volentieri si tratta di lauree tecniche e scientifiche.

Andando alle politiche del lavoro e del welfare, è evidente che la questione ‘scolarità degli italiani’ è ragguardevole: siamo un paese di licenze medie dove solo un cittadino su cinque consegue un diploma, per altro di bassa qualità, e solo uno su venti ha una laurea.

Giocoforza va che i primi non possano generare redditi lordi mediamente superiori ai 16.000 euro annui, i secondi forse potrebbero attestarsi – a fine carriera – sotto  i 30.000 annui, i terzi oltre i 40.000 ed entro i 70-80.000: un paese povero di risorse umane qualificate non potrebbe permettersi di più con i propri lavoratori dipendenti.

Se andiamo a vedere i redditi e le pensioni, però, in Italia non va affatto così: gli stipendi di chi lavora sono più alti e ancor di più, in proporzione, lo sono le pensioni.
Difficile prevedere che tutto questo possa durare ancora per molto, mentre – dopo accorati e ventennali appelli – sembra che si appresti un’Europa non solo delle banche ma anche del lavoro, della PA e della previdenza/sanità, attraverso la prassi dei costi standard.
Trecento milioni di abitanti e centinaia di migliaia di imprese e amministrazioni bastano e avanzano per stimare quale sia il valore in euro del lavoro, delle pensioni, delle casse, dei servizi sanitari, delle scuole eccetera.

Dicevamo dei bambini italiani tra i 7 e i 14 anni che passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, mentre spendiamo solo il 4,2% del PIL nell’istruzione e obblighiamo il personale scolastico a lavorare a vita, con alunni e famiglie che progressivamente si ‘adeguano’ al clima ddi microillegalità diffusa.

Per far ripartire la scuola italiana basterebbe una sola annualità di quanto versiamo nel vaso di pandora della Sanità italiana.
Una spesa eccezionale inferiore ai 100 miliardi su cinque anni – molti meno di quanti abbiamo dissipato inutilmente finora – per creare scuole digitali (30 miliardi?), ripianare i buchi nell’ex Inpdap e ripristinare per i docenti un sistema di pensionamento anticipato (45 miliardi?), dotare le scuole di autonomia vera e dirigenti a pieno titolo, laureare tutti i docenti, informatizzarli per davvero e fargli imparare almeno una seconda lingua.

Abbiamo da raddoppiare il numero di laureati (e di diplomati) in sette anni …

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Lavoratori precoci: arriva lo sblocco definitivo?

10 Giu

Per lavoratore precoce si intende generalmente chi abbia corrisposto contributi previdenziali per almeno un anno prima del compimento del diciannovesimo.

Sostanzialmente, abbiamo tre grandi categorie: coloro che hanno iniziato presto per poca disposizione allo studio e hanno svolto lavori pesanti e umili, quelli che lo hanno fatto per problemi familiari e spesso sono riusciti a divenire quadri, quelli, infine, che precoci negli studi erano all’università a 17 anni e hanno trovato lavoro immediatamente.

Essendo una categoria da tutelare, persino la riforma Fornero ha dovuto tenerne conto, stabilendo che  l’obbligo di pensione a 62 anni non si applicherà per questi lavoratori fino al 31 dicembre 2017, onde evitare l’incostituzionalità manifesta tenuto conto che dopo il 40esimo anno di lavoro stipendi e pensioni non crescono più.
Per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni d’età per altri tre anni varrà solo il requisito di 40 anni contributivi e non quello dell’età, con pensione decurtata dell’1% se hanno 61 anni, del 2% se intendono andare in pensione a 60 anni, del 4% a 59, del 6% a 58, dell’8% a 57, del 10% a 56 anni).

Tutto bene? No.

Purtroppo, oltre a passare la patata bollente al governo a seguire ‘entro il 2016’, l’azione di Monti, Fornero e Mastapasqua ha  partorito la solita incongrua corsa ad ostacoli con ‘effetto tappo’ per gli italiani e per l’economia.

Infatti, ci sono voluti due anni e una legge (L.125/2013) per chiarire che ai benefici sono ammessi solo i periodi derivanti “da sola contribuzione effettiva da lavoro e da contribuzione figurativa derivanti da astensione obbligatoria per maternita’, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia, per cassa integrazione guadagni ordinaria, per donazione di sangue e di emocomponenti (legge n. 219/05), per congedi parentali di maternita’ e paternita’ (Dlgs. 151/2001) nonche’ per congedi e permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Rientrano, inoltre, nella valutazione: i periodi assicurativi derivanti da riscatto, secondo l’articolo 13 della legge 1338/1962 (contribuzione omessa e colpita dalla prescrizione): a)i periodi di effettiva contribuzione derivanti da totalizzazione estera; b) il congedo matrimoniale; c) le ferie; d) permessi retribuiti; e) i congedi e permessi per handicap (articolo 33 della legge 104/1992).

Non rilevano invece ai fini dell’esclusione delle penalità i periodi di cassa integrazione straordinaria e di mobilità, la maggiorazione da amianto, i contributi volontari, quelli per il riscatto del corso legale di laurea e i contributi figurativi per disoccupazione indennizzata.” (fonte Pensioni Oggi)

Una soluzione talmente iniqua, ma soprattutto traballante, che l’Inps, pur fornendo di solito informazioni chiare e ben raccolte, non riesce ad andare oltre le tre righe striminzite : “nel 2004 e nel 2005, l’età richiesta è di 56 anni per gli operai e i cosiddetti “precoci”, coloro cioè che possono vantare almeno un anno di contribuzione derivante da attività lavorativa prima del compimento del 19° anno di età. In alternativa, questi lavoratori possono ottenere la pensione di anzianità con 38 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età.”
Tutto qui.
Infatti, in un regime contributivo, non dovrebbe esserci motivo legittimo per escludere chi abbia versato, per ricongiugersi, dei contributi volontari o figurativi per disoccupazione indennizzata, come quelli (solitamente esosi) per il riscatto del corso legale di laurea.
Come anche, il Welfare e l’Inps dovrebbero trovare una soluzione allo strumento della cassa integrazione che è tutt’oggi in uso e non determina contributi, seppur figurativi, come l’indennità di disoccupazione.
Si parla di turn over e di equità, ma soprattutto di legittimità dato che i contributi furono versati.
Ecco qualcosa su cui il governo Renzi potrebbe subito mettere a posto le cose: i precoci, tutti, vanno a casa per anzianità contributiva, non anagrafica.

originale postato su demata

Scuola, sanità, pubblica amministrazione: niente innovazione senza turn over

1 Apr

Sui nostri Comuni e sui nostri Enti – come nei comparti Istruzione, Università e Sanità – grava sempre più l’effetto di un sistema pensionistico pernicioso per gli equilibri produttivi e sociali dell’Italia.

Se finora eravamo nel campo delle ipotesi e delle prospettive – tutte controverse o controvertibili e soprattutto non lusinghiere – sono trascorsi venti anni dal quel 1994 in cui Giuliano Amato avviò la ‘riforma delle pensioni’ e, neanche fosse un titolo che va a risccossione, è nel 2014 che va a verificarsi il ‘game over’ del sistema previdenziale italiano, per l’introduzione della Riforma Fornero e per l’emersione dello scellerato saccheggio dell’ex INPDAP.

Nel caso della Riforma Amato, possiamo affermare che il nodo viene al pettine proprio oggi, quando si tratta di iniziare a pensionare coloro che hanno effettivamente contribuito per almeno 20 anni. Come anche è ormai noto a tutti che meno di un milione di pensioni di fascia alta, ma incontribuite, ci costano quanto i milioni di pensionati con meno di mille euro al mese.

Parlando della Riforma Fornero, ricordiamoche ai tagli previdenziali e mezzo milione di esodati non sono coincisi altrettanti interventi assistenziali, nonostante queste persone avessero versato contributi per una vita. Inoltre, si bloccano in servizio ben oltre un milione di lavoratori pubblici, oggi ultra54enni e/o in salute non buona.

Andando all’INPDAP, sono i quotidiani che ci hanno informato dei 30-35 miliardi di buco ‘per anticipazioni’ al MEF o alla Sanità e per assorbimento di altre casse in perdita, come sono le  statistiche della stessa INPS che dimostrano lo squilibrio contributivo (e pensionistico) tra dipendenti pubblici  nati prima del 1950 e quelli nati dopo, mentre le statistiche Istat suggerirebbero che gran parte di quei stipendi da 100.000 euro annui e passa, che vorremmo tutti tagliare, rispettino la stessa ‘regola generazionale’.
Come anche dobbiamo annotare che – per stipendio e per pensioni – i soli magistrati sarebbero ‘giustificati’ a compensi così importanti, se facciamo il confronto con le pubbliche amministrazioni degli altri stati europei.

Le conseguenze per i bilanci di istituzioni, amministrazioni e enti è disastrosa.

Ad esempio, quel famigerato patto di stabilità che ingessa le iniziative locali da almeno dieci anni, mentre i bilanci comunali sono gravati da spese di personale per dipendenti assunti 30 anni fa, spesso demotivati da 20 anni di caos amministrativo e, secondo le statistiche, per almeno un terzo in condizioni di salute non buone (dati Istat 2013).
Cosa ne sarebbe dei problemi finanziari di Roma Capitale se il nostro sistema pensionistico permettesse una deregulation parametrata dell’esodo anticipato dopo 30 anni di lavoro, sul genere di quella tedesca?
Trasferendo all’INPS (od a una qualsiasi Versicherung) il costo per il Comune di Roma del 20% dei propri attuali occupati, esisterebbero tutte le premesse per innovare, ristrutturare, assumere e, perchè no, proteggere le aziende di Roma Capitale dalle speculazioni che il ‘mercato’ usualmente mette in atto, se ci sono ‘cadaerini’ da fagocitare.

Un esempio ancor più semplice?
Quanto ci costerebbero Sanità e Università, se pensionassimo buona parte di quegli stipendi da 100.000 euro annui e passa, che gravano sulle stabilizzazione dei giovani e che, soprattutto, ritardano la diffusione in Italia delle conoscenze e delle pratiche professionali introdottesi nell’ultimo trentennio (ndr. a partire da semplificazione, internet e networking).
E quanti giovani laureati potrebbero trovare posto prima dei trent’anni, come sarebbe d’obbligo, nel nostro comparto Istruzione, se permettessimo a chi ha più di 55 anni di pensionarsi con uno straccio di rendita mensile e, magari, dedicarsi alle lezioni ‘private’ o ad opere filantropiche, come da sempre ed ovunque è per i docenti?

Dove attingere per le risorse?
A leggere i giornali, specialmente il Sole24Ore, sembrerebbe che lo Stato Italiano sia in qualche modo debitore di una trentina di miliardi ai lavoratori pubblici che versavano contributi all’ex Inpdap, come è probabile che i conti fatti nel 1994 garantiscano – ancora dopo 20 anni – dei ‘diritti acquisiti’ del tutto arcaici e sostanzialmente iniqui.
Inutile dire che ci sarebbe probabilmente un plebiscito, se i leader sindacali si peritasssero di questionare i lavoratori pubblici sulla disponibilità di negoziare TFR e pensioni in cambio di ‘finestre pensionistiche’.
Del tutto ovvio che, in prospetttiva decennale, il rilancio del Paese sarebbe enorme con un turn over che ci permettesse di innovare (finalmente) tecnolgie e mansionari, oltre a togliere linfa vitale per tanti attempati ‘capibastone’.

Il governo?
Il ministro Maida ha 30 anni e arriva dal moderno mondo della ‘charity’ e dle ‘fund rising’. Renzi e Padoan sanno che le risorse ci sarebbero e che la questione ‘turn over’ andrebbe risolta prima di andare ad elezioni. Il ministro Giannini ne ha forse il doppio della collega Maida e arriva dalla torre d’avorio dell’Università per stranieri di Perugia, che tra i tanti vanti ha avuto quello di non offrire lauree tecniche o scientifiche …

Dunque, ‘yes we can’ … se solo i sindacati e la ‘vecchia guardia’ lo permettessero, dopo aver meditato, magari, sul fatto che la ‘tirata d’orecchie’ di Papa Francesco sul ‘desiderio di potere’ (ndr qualcuno direbbe smania) era tutta per loro.

originale postato su demata