“Il programma di Nitti fu il solo programma conservatore serio della borghesia italiana.” (Piero Gobetti, da Scritti attuali, Capriotti Editore – Roma 1945)
Francesco Saverio Nitti fu il primo Presidente del Consiglio (1919-1920) proveniente dal Partito Radicale Storico e più volte ministro. Nonno carbonaro, padre mazziniano socialista, altri parenti esuli, economista di fama internazionale, meridionalista e repubblicano.
Il programma di governo di Nitti, cui si riferiva Piero Gobetti, doveva fronteggiare il Biennio Rosso, avviatosi con la nascita del Partito Comunista anche in Italia, e fu incentrato sulla cancellazione ed eliminazione delle vecchie clientele giolittiane, sull’introduzione del sistema elettorale proporzionale, su misure per favorire le esportazioni e i processi di riconversione dei settori produttivi, su una fiscalità severa verso le rendite agrarie e le immobilizzazioni, su pensioni ai mutilati ed agli invalidi di guerra, sulla concessione di terreni ai mezzadri e ai contadini.
Il 16 novembre 1922, quando Giolitti, Orlando, De Gasperi, Facta e Salandra diedero la fiducia a Mussolini, Nitti abbandonò l’aula per protesta. Il 5 maggio del 1925, Nitti scrisse una lettera al re Vittorio Emanuele III dove lo accusava di tradimento per via della connivenza con Mussolini, in quanto non prendeva provvedimenti contro un governo ormai dittatoriale.
La Storia e gli italiani gli diedero ragione, esiliando proprio i Reali Savoia.
Scriveva il giovane Piero Gobetti (Scritti attuali, op. cit.): “Combattevamo Mussolini come corruttore, prima che come tiranno; il fascismo come tutela paterna prima che come dittatura; non insistevamo sui lamenti per mancanza della libertà e per la violenza, ma rivolgemmo la nostra polemica contro gli italiani che non resistevano, che si lasciavano addomesticare.”
Per proteggere la propria famiglia dalle reiterate aggressioni squadristiche, Nitti si recò prima a Zurigo e poi a Parigi, dove fu il primo riferimento per il coordinamento di altri esiliati antifascisti, come – ad esempio – la “Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo” (LIDU), fondata da Luigia Nitti, Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris.
La Storia e le Nazioni Unite gli diedero ragione, proclamando la Carta dei Diritti Universali dell’Uomo.
Di sequito, alcuni stralci significativi delle riflessioni di Francesco Saverio Nitti sull’Italia, accompagnati da citazioni di Piero Gobetti.
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Piero Gobetti (1901 – 1926)
Nitti – “Prima del 1860 non era quasi traccia di grande industria in tutta la penisola. La Lombardia, ora così fiera delle sue industrie, non avea quasi che l’agricoltura; il Piemonte era un paese agricolo e parsimonioso, almeno nelle abitudini dei suoi cittadini. L’Italia centrale, l’Italia meridionale e la Sicilia erano in condizioni di sviluppo economico assai modesto. Intere provincie, intere regioni eran quasi chiuse ad ogni civiltà.” (Nord e sud -1900)
Nitti – “L’Italia, conquistatrice del mondo durante l’antichità romana, museo di tutte le arti del medio evo, mirabile nella civiltà moderna per i suoi sforzi di rinnovazione è, e rimane tuttavia, un paese molto povero: soprattutto essa soffre d’impécuniosité, deficienza di danaro, deficienza di capitali. (da La ricchezza dell’Italia, Napoli, 1904, p. 8)”
Piero Gobetti – “Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l’assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l’ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente.” (La Rivoluzione Liberale)
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Nitti – “Senza togliere nessuno dei grandi meriti che il Piemonte ebbe di fronte all’unità italiana, che è stata in grandissima parte opera sua, bisogna del pari riconoscere che senza l’unificazione dei varii Stati, il regno di Sardegna per lo abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il ’49 e il ’59 da un’enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinata una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro stato più grande. (Nord e sud -1900)
Piero Gobetti – “Il fascismo è il governo che si merita un’Italia di disoccupati e di parassiti ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali, e per combatterlo bisogna lavorare per una rivoluzione integrale, dell’economia come delle coscienze.” (La Rivoluzione Liberale)

Francesco Saverio Nitti (1868 – 1953)
Nitti – “Bisogna ricordare che nel 1860 il Piemonte avea grandissima rete stradale; numerose ferrovie e canali e opere pubbliche di molta importanza. Queste cause, estranee in gran parte alla guerra, erano i veri agenti della depressione finanziaria.” (Nord e sud -1900, p. 38).
Viceversa, “nel 1800, la situazione del Regno delle Due Sicilie, di fronte agli altri Stati della penisola, era la seguente, data la sua ricchezza e il numero dei suoi abitanti.
- Le imposte erano inferiori a quelle degli altri Stati;
- I beni demaniali e i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme e, nel loro insieme, superavano i beni della stessa natura posseduti dagli altri Stati;
- Il debito pubblico, tenutissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte e di molto inferiore a quello della Toscana;
- Il numero degli impiegati, calcolando sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna;
- La quantità di moneta metallica circolante (ndr. in oro), ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti assieme.
Il Mezzogiorno era dunque, nel 1860, un paese povero; ma avea accumulato molti risparmi, avea grandi beni collettivi, possedeva, tranne la educazione pubblica, tutti gli elementi per una trasformazione.” (Nord e sud -1900, p. 113)
Piero Gobetti – a differenza di Cavour e della sua visione ancora fortemente monarchica del Privato quale ‘concessionario dello Stato’ a sua volta perennemente in ‘rosso, “la civiltà capitalistica, preparata dai Comuni, sorta trionfalmente in Inghilterra e diffusa negli ultimi decenni, pur nonostante varie attenuazioni, in tutto il mondo civile, è la civiltà del risparmio.” (La Rivoluzione Liberale)
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Nitti – “Ora, ciò che noi abbiamo appreso dei Borboni non è sempre vero: e induce a grave errore attribuire ad essi colpe che non ebbero, ed è fiacchezza d’animo per noi tutti non riconoscere i lati manchevoli del nostro spirito e della nostra educazione, e voler attribuire ogni cosa a cause storiche.
Bisogna leggere le istruzioni agli intendenti delle province, ai commissari demaniali, agli agenti del fìsco per sentire che la monarchia (ndr. borbonica) cercava basarsi sull’amore delle classi popolari. Fra il 1848 e il 1860 si cercò di economizzare su tutto, pure di non mettere nuove imposte: si evitavano principalmente le imposte sui consumi popolari. Il Re dava il buon esempio, riducendo la sua lista civile spontaneamente di oltre il 10 per cento; fatto questo non comune nella storia dei principi europei, in regime assoluto o in regime costituzionale.
É un grave torto credere che il movimento unitario sia partito dalla coscienza popolare: è stata la conseguenza dei bisogni nuovi delle classi medie più colte; ed è stato più che altro la conseguenza di una grande tradizione artistica e letteraria.” (da L’Italia all’alba del secolo XX – 1901, p. 110-111)
Piero Gobetti – “La tribù preoccupa più del capo” e “nessun cambiamento può avvenire se non parte dal basso, mai concesso né elargito, se non nasce nelle coscienze come autonoma e creatrice volontà rinnovarsi e di rinnovare.” (La Rivoluzione Liberale)

Manifestazione di protesta – “Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra – 1919”
Nitti – “Pochi principi italiani fecero tra il ’30 e il ’48 il bene che egli (ndr. il re Borbone) fece. Mandò via dalla corte una turba infinita di parassiti e di intriganti: richiamò i generali migliori, anche di parte liberale, e licenziò gli inetti; ordinò le leve militari; fece costruire, primo in Italia, una strada ferrata, istituì il telegrafo, fece sorgere molte industrie, soprattutto quelle di rifornimento dell’esercito, che era numerosissimo; ridusse notevolmente la lista civile; mitigò le imposte più gravi.
Giovane, forte, scaltro, voleva fare da sé, ed era di una attività meravigliosa. Educato da preti e cattolicissimo egli stesso, osò, con grande ammirazione degli intelletti più liberi, resistere alle pretese del papato e abolire antichi usi, umilianti per la monarchia napoletana. (da Scritti sulla questione meridionale: Volume 1, Laterza, Bari, 1958, p. 41)
“Due cose sono oramai fuori di dubbio: la prima è che il regime unitario, il quale ha prodotto grandi benefizi, non li ha prodotti egualmente nel Nord e nel Sud d’Italia; la seconda è che lo sviluppo dell’Italia settentrionale non è dovuto solo alle sue forze, ma anche ai sacrifizi in grandissima misura sopportati dal Mezzogiorno. (da L’Italia all’alba del secolo XX – 1901. p. 108)
Piero Gobetti – “In pratica le cose in Italia non cambiano mai, cambiano i nomi e le occasioni della storia, ma, in definitiva, i nostri mali e i nostri vizi rimangono sempre desolatamente uguali.” (La Rivoluzione Liberale)

Ordine Nuovo – Giornale socialista – 1921
Nitti – “Dei Borbone di Napoli si può dare qualunque giudizio … Non furono dissimili dalla gran parte dei prìncipi della penisola, compreso il Pontefice. Ma qualunque giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona, e in generale, onesta.
Ed è costata assai più perdite di uomini e di danaro la repressione del brigantaggio di quel che non sia costata qualcuna delle nostre infelici guerre dopo il 1860.
L’ordinamento finanziario del Regno di Sardegna fu esteso a tutto il resto d’Italia. Fu il [Pietro] Bastogi, che fra il 1861 e il 1862, compì l’opera di trasformazione. Con cinque disegni di leggi, che furono la base delle leggi successive, il Bastogi estese il sistema fiscale piemontese a tutti i vecchi Stati che erano entrati a far parte del nuovo regno.
Avvenne così, per effetto del nuovo ordinamento, che il regno delle Due Sicilie si trovò a un tratto, senza che nessuna trasformazione economica fosse in esso avvenuta, anzi perdendo quasi tutto il suo esercito e molte sue istituzioni, a passare dalla categoria dei paesi a imposte lievi, nella categoria dei paesi a imposte gravissime. (Nord e sud -1900)
Piero Gobetti –“Senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico.” (La Rivoluzione Liberale)
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Nitti – Il governo delle province, prefetti, intendenti di finanza, generali, ecc., è ancora adesso in grandissima parte nelle mani di funzionari del Nord. Non vi è nessun senso d’invidia in quanto diciamo. Ma vogliamo solo dire che se i governi fossero stati più onesti e non avessero voluto lavorare il Mezzogiorno, cioè corromperne ancor più le classi medie a scopi elettorali, molto si sarebbe potuto fare.
Le loro amministrazioni locali vanno, d’ordinario, male; i loro uomini politici non si occupano, nel maggior numero, che di partiti locali. Un trattato di commercio ha quasi sempre per essi meno importanza che non la permanenza di un delegato di pubblica sicurezza. (Nord e sud -1900)
Piero Gobetti – a conferma dei danni fatti da cinquant’anni di “governo delle province, prefetti, intendenti di finanza, generali, ecc. in grandissima parte nelle mani di funzionari del Nord”, “l’eredità del Regno di Napoli pesava sul nuovo Stato, aumentando la corruzione e creando contro la vita agricola naturale una sovrastruttura di parassitismo burocratico ed elettorale. Non ci stupiremo che la lotta politica si confondesse in una caccia all’impiego.“ ((La rivoluzione liberale)

Piero Gobetti morì il 15 febbraio 1926 in una clinica di Neuilly-sur-Seine, per gli scompensi cardiaci, provocati dalle violenze subite dagli squadristi fascisti.
Al suo capezzale c’era l’amico Francesco Saverio Nitti.
Pochi giorni prima Gobetti gli aveva chiesto di dirigere un giornale “di pensiero liberale contro il fascismo che è la vergogna della civiltà”, con l’appoggio di Le Quotidien, il giornale democratico più diffuso di Parigi.
Gobetti e Nitti, di ‘figlio’ in ‘padre’, due storie inseparabili.
Demata
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