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Reddito di Cittadinanza: arriva il danno erariale?

29 Ott

Era il 2019 ed il Governo a Cinque Stelle voleva l’istituzione del Reddito di Cittadinanza a tutti i costi e di fretta e furia.
Lo scopo? Al popolo si raccontò che c’era da ‘abolire la povertà’, ma il risultato atteso era che innalzando artificialmente il PIL … poi si poteva sforare il Debito ancora di più.

Dunque, accadde che il RdC venne erogato senza controlli preventivi sul diritto effettivo di chi lo richiedeva: bastava una autocertificazione.
Eppure, lo Stato non dovrebbe poter erogare somme senza aver prima accertato l’esigenza e la sua legittimità.

Infatti, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di bilancio e uffici dell’Unione europea non avevano un parere positivo sul sistema dei controlli, che appariva rischioso per un sistema di incrocio elettronico dei dati tutto da definire e dei controlli che avrebbero individuato irregolarità con notevole ritardo a fronte dell’impossibilità di recuperare crediti da nullatenenti. (LINK)

Dunque, dopo tre anni continuano ad emergere casi eclatanti che lasciano intravedere un sommerso davvero indecente.

Infatti, tra gennaio 2021 e il 31 maggio 2022 gli uomini del comando generale della Guardia di Finanza hanno accertato (e denunciato) ben 29mila persone per truffa allo Stato con una perdita secca di 171 milioni, dato che sarà impossibile per l’Inps recuperare crediti da personaggi dichiaratamente nullatenenti.

Fortunatamente, l’Inps ha potuto recuperare 117 milioni richiesti “fraudolentemente” e non ancora riscossi. 
E se addirittura il 2% dei percettori di RdC al momento è indagato per truffa, dalla Sardegna arriva anche la notizia che i “furbetti del RdC” non sono solo un fenomeno “fai da te”, ma anche qualcosa di organizzato e su vasta scala.

Si tratta di almeno 300 extracomunitari (forse il doppio) venuti per pochi giorni in Italia per una vacanza in Sardegna durante la quale presentavano la autocertificazione di risiedere stabilmente e un numero di conto alle Poste per poi tornare al Paese di residenza (nord Africa, Africa sub-sahariana, Sud America e Paesi balcanici) e ricevere ogni mese per tre anni ben 600 euro spesati dai contribuenti italiani.

Il tutto avveniva esibendo un passaporto extraeuropeo, tanto né l’Inps, né i Centri di assistenza fiscale (Caf) avevano gli strumenti per controllare la validità del visto.
Si tratta della sola provincia di Cagliari e, per ora, il danno accertato sarebbe di ben 8 milioni di euro.

Pagherà qualcuno per questo disastro che incide sulle somme accantonate dagli italiani per le proprie pensioni: arriverà il danno erariale?

No.
Il decreto-legge ‘Semplificazioni’ del Governo Conte, ha apportato una modifica importante alla l. 20/1994 circa l’elemento soggettivo dei presunti responsabili ed, in particolare, si è limitata la responsabilità erariale ai soli casi di dolo, da riconoscersi in sede penale e non più assimilati al dolo civile. (LINK)

Giusto in tempo: ormai era trascorso oltre un anno senza particolari controlli sui Redditi di Cittadinanza e la ‘patata bollente’ passava inevitabilmente alla Guardia di Finanza … dimostrando come il Reddito di Cittadinanza sia davvero mal fatto, se sono serviti quasi due anni per intercettare le centinaia di stranieri che mai hanno risieduto in Italia.

Tanto paga il contribuente e, intanto, … la povertà è aumentata, come il Debito.

Demata

Australia: Djokovic fa notizia, ma agli arresti c’è l’ex primo ministro

14 Gen

Novak Djokovic anche oggi si era allenato, dopo che il Ministro dell’Immigrazione Alex Hawke gli ha di nuovo revocato il visto di ingresso in Australia per “motivi di salute e ordine pubblico”, dopo l’annullamento del precedente provvedimento da parte della magistratura.
Dunque, i suoi avvocati hanno chiesto alla giustizia australiana di bloccare la sua espulsione dal Paese ed è prevista per oggi un’udienza d’urgenza.

Ma, se parliamo di immigrazione irregolare in Australia, è uno scandalo ‘minore’ quello che sta avvenendo nel caso Djokovic con il governo e la magistratura australiani che finora sono stati di diverso avviso: il fatto eclatante è l’arresto – avvenuto il 17 novembre 2021 – di Craig Thomson ex primo ministro laburista e leader sindacale, che avrebbe “facilitato più di 130 domande di visto fraudolente in quattro anni, con conseguenti guadagni finanziari per oltre 2 milioni di dollari”, oltre a “cinque violazioni del divieto di chiedere o ricevere una tangente”, due per “aver ottenuto un vantaggio finanziario con l’inganno” e una “per aver gestito proventi di reato”.

Una storia non nuova quella di Craig Thomson, aveva iniziato la sua carriera come funzionario nell’Health and Research Employee Association (HREA), il sindacato dei lavoratori ospedalieri nel New South Wales, e – pur non essendo un sanitario – nel 2002 arrivò ad essere eletto segretario nazionale dell’Health Services Union (HSU).
Infatti, come accaduto tante altre volte nel mondo, la successiva segretaria generale della HSU, nel gennaio 2008, si ritrovò con importanti irregolarità finanziarie nei conti del sindacato e – a differenza di tanti – avviò immediatamente un’indagine interna.

.Craig Thomson non è nuovo a questo genere di scandali.
Tra il 2007 e il 2011, per quattro anni, Thomson fu indagato da Fair Work Australia con serie “preoccupazioni per le prove dell’uso improprio dei fondi sindacali da parte del signor Thomson” e, infatti, la sua successiva condanna per furto e fronde riguarda solo l’aver utilizzato la sua carta di credito sindacale dell’Health Services Union per pagare prestazioni sessuali e spese personali.

Il recupero delle ingenti somme provenienti dai contributi assicurativi dei lavoratori iscritti al sindacato -più di 458.000 dollari australiani, secondo sentenza – si è dimostrato particolarmente difficile, anche per le competenze legali di Thompson, al quale, nell’ottobre 2016, la Law Society del New South Wales ha revocato l’abilitazione come avvocato, ritenendo che “non sia una persona di buona fama e carattere”.

Riguardo il processo in corso, Chelsea Brain, procuratrice del pubblico ministero del Commonwealth, ha sottolineato che che Thomson era “un facilitatore” del regime dei visti e, sebbene non avesse presentato lui stesso le domande fraudolente, era il “filo comune” tra le oltre 130 domande oggetto del caso.

Una vicenda come tante, quella di frodare il sistema sanitario per appropriarsi dei contributi dei lavoratori, … mica fa notizia come Djokovic.

Demata

Riforma Irpef: perché tante polemiche?

29 Dic

I dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio parlano chiaro: la riforma dell’Irpef combinata con la revisione degli scaglioni e delle detrazioni garantisce il saldo zero per 14 milioni di italiani e porterà una piccola riduzione fiscale per circa 27,8 milioni di contribuenti.

Considerato che il Debito pubblico è sprofondato oltre i 2.700 miliardi di euro, mentre Lazio, Campania e Sicilia sono paralizzate da ingenti piani di rientro finanziario, c’è solo da parlare di ‘miracolo’: di norma in una situazione del genere le tasse aumentano e tanto.

Perché, allora, a cose fatte scoppiano le polemiche e leggiamo che “i maggiori vantaggi vanno ai redditi medio-alti”?

Perché, in realtà, Silvia Giannini e Simone Pellegrino, che avevano lanciato l’allarme per lavoce.info, si riferiscono ai lavoratori dipendenti e non agli autonomi quando scrivono che “come si osserva dalla Figura 3, … i benefici individuali sono concentrati sopra i 35 mila euro di reddito complessivo, dove ci sono solamente il 13,5 per cento dei contribuenti”. E’ sotto gli occhi di tutti, è un grafico.

E perché “il vincolo è stato quello politico di non aumentare l’aliquota marginale legale massima” e per questa scelta dei partiti “si è dato maggior peso all’efficienza rispetto all’equità”.

Infatti, Mario Draghi non mentiva, affermando che “i principali beneficiari della riforma fiscale sono lavoratori e pensionati a reddito medio basso”, cioè la razionalizzazione delle aliquote marginali effettive che nello studio di lavoce.info risulta:

  • no tax area (8.145 euro); 23% (-4,5%)
  • fascia 8.145-15.000; 31,5% (-2,6%)
  • fascia 15-28 mila euro; 43,7% (+1,3%)
  • fascia 28-45 mila euro; 61% (+19,4%)
  • oltre 45 mila euro; 43% (+1,4%)

Non sono certamente i redditi medio-bassi ad essere colpiti, come sentiamo dire, che alla peggio resteranno con il carico fiscale solito.

Anche lavoce.info confermava che le aliquote medie sarebbero rimaste invariate e che ad essere ‘colpiti’ – mentre il debito pubblico sprofonda – sono coloro che hanno un reddito superiore alla media, a partire da 28.000 euro annui, insomma.

Tenuto conto che oltre alle tasse ci sono anche i contributi statali per energia e gas, specie per chi non è benestante, siamo proprio sicuri che gli autonomi, gran parte dei pensionati e tutti i sottoccupati – di tutt’altra fascia reddituale – sono d’accordo con Sindacati e Confindustria e trovino la manovra fiscale del Governo Draghi svantaggiosa e iniqua?

Perché mettere in dubbio la credibilità di un candidato presidenziale, dimenticando che è la Politica che ha scelto in Parlamento e nei Partiti di “non aumentare l’aliquota marginale legale massima, neanche sotto forma di un temporaneo contributo di solidarietà”?

Demata

Sciopero e pandemia: una combinazione a rischio?

15 Dic

(tempo di lettura 1 minuto)

Giovedì 16 dicembre sarà sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma e altre manifestazioni si terranno a Bari, Cagliari, Milano e Palermo.
A queste manifestazioni perverranno con i consueti bus anche molti scioperanti che vivono in altre città o in provincia.

Centinaia di migliaia o solo decine di migliaia tutti insieme in piazza?

I sindacati hanno annunciato che sarà obbligatorio il Green Pass, ma sappiamo bene che è possibile averlo anche senza una terza dose, anzi proprio senza vaccino, ma solo con un tampone.

Gli effetti sulla diffusione del Covid che arriveranno da questa scelta di CGIL e UIL li scopriremo dopo una decina di giorni, da Natale in poi.
L’unica cosa certa è che l’Omicron ci va a nozze in un bus o in un bar o in una piazza affollati.

Dunque, se pensate di avere un ragionevole dubbio che da dopodomani la circolazione del virus possa iniziare a salire, sarà bene stare attenti a dove si va e chi si incontra, adottando le giuste cautele.

Demata

Sciopero generale e fake news: le risorse

14 Dic

(tempo di lettura 1 minuto)

CGIL e UIL hanno convocato lo sciopero generale contro il Governo Draghi perché “la manovra economica è insoddisfacente, tanto più alla luce delle risorse, disponibili in questa fase, che avrebbero consentito una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile”.

Risorse disponibili? Nuovi debiti magari …

Ma, a meno di non essere daltonici, è abbastanza facile rendersi conto dalla curva in colore rosso di quale sia la situazione delle ‘risorse disponibili’ in Italia.

Demata

Sciopero generale e fake news: la disoccupazione

14 Dic

(tempo di lettura 1 minuto)

Uno dei motivi per cui CGIL e UIL hanno convocato lo sciopero generale contro il Governo Draghi è che i “i Sindacati non hanno trovato risposte sufficienti” in particolare su Fisco, Pensioni, Scuola, Politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, Contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, Non autosufficienza.

L’Occupazione – o meglio la Disoccupazione – non rientra nell’elenco.
Eppure, non era Draghi il presidente del Consiglio e non c’era ancora il Covid quando l’Ansa annunciava nel 2019 un sensibile aumento dei senza lavoro.

Dunque, quando si parla di diseguaglianze, è bene non dimenticare che i Sindacati rappresentano solo i Lavoratori, non i disoccupati, non i giovani, non gli invalidi e neanche i pensionati.

Demata

Sciopero generale e fake news: il precariato

14 Dic

(tempo di lettura 1 minuto)

Uno dei motivi per cui CGIL e UIL hanno convocato lo sciopero generale contro il Governo Draghi è che in Italia ci sarebbe uno sfruttamento senza pudore del precariato, con una quota abnorme di lavoro a tempo determinato o di lavoro a somministrazione nelle imprese a tutti i livelli.

Eppure, i numeri di Eurostat raccolti da TrueNumbers raccontano che nel 2017 il Paese europeo con più precari era la Spagna: addirittura più di un quarto, il 26,8%, dei lavoratori, seguito dalla Polonia, con il 26,1%, e il Portogallo, con il 22%. In Italia i contratti a tempo determinato raggiungevano il 15,5% del totale, in la Francia erano al 16,8%, in Germania al 12,8% e nei Paesi Bassi al 21,5%.

Difficile credere che in soli 4 anni il precariato italiano si sia raddoppiato, superando quello spagnolo e diventando abnorme.

Demata

Pensionarsi a 70 anni è una bufala?

9 Dic

Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha fatto il punto sullo stato di salute dei sistemi pensionistici europei, nelle condizioni attuali di istruzione, occupazione e reddito, e su quale si prevede sarà lo sviluppo futuro dei sistemi previdenziali, se restano queste attuali condizioni.

Il risultato che ne viene è agghiacciante: in Italia si andrà in pensione a 71 anni.
O meglio ci sarà chi andrà in pensione entro i 63-67 anni d’età, avendo iniziato a contribuire già dai 18 anni ed avendo maturato oltre 45 anni di versamenti accantonati per la pensione.
E ci sarà chi ha iniziato a lavorare e contribuire tardi – magari a 30 anni inseguendo il sogno di una laurea senza sbocchi – che gioco forza non compirà i suoi 42 anni di versamenti prima dei 72 d’età …

Questo è nella sostanza ciò che focalizza il grafico dell’OCSE: lo sapevamo già, ma essendo interni i dati non facevano così paura, mentre la validazione internazionale fa notizia.

Dunque, riguardo il Lavoro (da cui si ottengono le pensioni) l’Italia ha importanti quanto ataviche urgenze:

1- elevare i redditi e il prodotto nazionale, cioè anche la contribuzione personale e l’integrazione statale, ma l’unico modo per ottenere questo risultato è prima di elevare il grado di istruzione generale, in particolare quella tecnica, e di innovazione infrastrutturale, specie nei servizi ai cittadini
2- garantire un inserimento rapido dei neodiplomati e neolaureati nel mondo del lavoro, cioè programmare part time e turn over per i sessantenni ed introdurre limiti per le iscrizioni alle Facoltà debordanti che inevitabilmente producono disoccupati e sottoccupati.
Quasi una missione impossibile.

Dunque, che si andrà a 71 anni in pensione è un fatto personale che dipende in gran parte dall’impegno e dal buon senso dimostrati tra i 16 e i 25 anni, iniziando a lavorare dalla ‘gavetta’.


Ma, certamente, è una prospettiva concreta per chi dei Millennials abbia creduto ad un’altra bufala: quella che si diventa adulti a 30 anni anzichè 18-20 anni, dato che l’aspettativa in vita è aumentata.
E diventerà rapidamente una realtà, se continueremo a credere che è meglio esser governati da chi afferma ciò che ci piace e non ciò che ci serve, cioè le soluzioni che furono indicate e perseguite alla fine degli Anni ’90, unitamente alle pensioni.

Demata

Scioperare per tornare alle pensioni retributive?

9 Dic

Da che mondo è mondo, i Sindacati dei lavoratori scioperano per ottenere più lavoro, più tutele sul lavoro, più reddito da lavoro. Non per le pensioni, che vengono maturate in base all’accantonamento contributivo e alla rivalutazione con gli interessi.

Ma non esattamente in Italia, dove la Costituzione ha – infatti – un articolo (38) specifico per i lavoratori che hanno diritto non solo alla Sanità Universale (le “cure gratuite agli indigenti” dell’art. 32), bensì “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. … Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.”

Dunque, la Carta costituzionale italiana sancisce il diritto che all’atto del pensionamento ogni lavoratore debba mantenere lo stesso tenore di vita e se i contributi non bastano ci pensa lo Stato?
Messa così è un’idea da Paese del Bengodi, quella del sistema pensionistico retributivo, che ci ha devastato i conti previdenziali per decenni, ma ancora oggi questa sarebbe la regola, secondo alcuni partiti e sindacati.

Eppure, nel 1992-1995 la salvaguardia del sistema pensionistico retributivo era prevista solo per chi avesse iniziato a contribuire prima del 1977 (nati prima del 1960) e questo aveva una logica, vista l’inflazione a due cifre di quell’epoca e visto il balzo positivo del PIL in quelli a seguire.

Nel 2011, visto l’andazzo verificatosi per 15 anni e lo sbilanciamento dei conti Inps, il computo è diventato contributivo per tutti i redditi e l’età pensionabile in anticipo fissata da un parametro (42 anni e tot mesi). Come è possibile che ancora si tenti di applicare una salvaguardia simile a quella che doveva cessare nel 1977?

E’ presto detto.
Molti over55 hanno titoli di studio relativamente bassi e/o hanno iniziato a contribuire dopo i 30 anni: una norma che abbassa l’età pensionabile di 67 anni, agevolando il pensionamento, non desta interesse, dato che la rendita pensionistica sarebbe molto bassa, senza una integrazione dello Stato. Pensionarsi per passare al 60% dell’ultima retribuzione, magari anche meno?

Se ci dicessero a chiare lettere questo, sarebbe evidente che lo strumento dello Sciopero Generale annunciato da CGIL e UIL è inappropriato, a meno che … non intendano tutelare il diritto per tutti (anche tra 30 o 50 anni) di andare in pensione a 62 con il 70% dell’ultimo stipendio (tipo Quota 100, insomma).
Ce lo diranno a chiare lettere, secondo voi?

Demata

Cambiare la Scuola per salvare il Pil (e l’Ambiente)

5 Dic

(tempo di lettura: 5-7 minuti)

In Italia il fabbisogno di energia elettrica lordo annuo è nell’ordine di 330mila GWh (“gigawattora”), che attualmente arrivano da:

  • 150 mila Gwh = centrali idroelettriche, eoliche, fotovoltaiche, a biomassa
  • 85mila Gwh = centrali a gas naturale acquistato in Russia, Algeria e Libia
  • 35mila Gwh = centrali a carbone acquistato in Russia
  • 24mila Gwh = acquistati dalla Svizzera
  • 16mila Gwh = acquistati dalla Francia
  • 10mila Gwh = centrali a petrolio acquistato in Libia
  • 5mila Gwh = acquistati da Austria e Croazia.

Dunque, oltre a 60mila Gwh da Svizzera, Francia eccetera, l’Italia acquista anche 21 miliardi di metri cubi di gas per produrre energia elettrica, oltre ai 31 miliardi di metri cubi che vanno acquistati per consentire a 24 milioni di famiglie di cucinare, lavare e riscaldarsi. E non solo: la produzione nazionale di gas, infatti, copre poco più della metà dei soli così detti “fabbisogni industriali”.

In altre parole, tra materie prime ed energia elettrica ‘già pronta’, l’Italia importa il 77% del suo fabbisogno energetico, equivalente a più di 2 tonnellate di petrolio per ciascun abitante ogni anno.

In termini di saldo negativo, la spesa annua italiana per l’energia è di:

  • petrolio e derivati = 28 miliardi €
  • gas naturale = 12 miliardi €
  • energia elettrica = 1,8 miliardi €
  • carbone = 1 miliardo €

In totale si tratta di 43 miliardi di euro che spendiamo all’estero ogni anno e che non producono occupazione né crescita in Italia.

Il punto è che ogni tre anni il debito pubblico italiano si affonda di altri 2-300 miliardi: viene spontaneo chiedersi se questo non dipenda ‘direttamente’ dal buco di 120 miliardi di euro in energia ogni tre anni, che – se speso in casa nostra – certamente produrrebbe un volume di Pil almeno raddoppiato o triplicato, cioè andremmo ad invertire la tendenza dell’indebitamento.

Specialmente se, a guardare i grafici, è dalla crisi del petrolio degli Anni ’70 che il debito italiano ha preso questo andamento, nonostante si cerchi di consumare sempre di meno.

Questa constatazione mette in luce un altro aspetto dell’Italia: per cambiare le cose nel corso degli ultimi 10 anni avremmo potuto impiantare turbine eoliche da 2.5-3 MW, pannelli fotovoltaici da 500 W e centrali a biomassa , almeno per eliminare le centrali a carbone e petrolio che pesano non solo sulla spesa ma anche sul bilancio delle emissioni.

Infatti,

  1. la Germania entro 10 anni conta di arrivare a produrre 10mila Gwh l’anno con le centrali eoliche offshore con soli 2.000 km di coste e non vi è motivo per cui non possa anche l’Italia che ne ha oltre 8.000 chilometri oltre ad un profilo montano lungo quasi 2.000 km
  2. non dovrebbe essere difficile produrre ben oltre i 10mila Gwh con una media di 3 pannelli fotovoltaici per ognuno dei 14 milioni di edifici censiti da Istat
  3. una centrale elettrica a biomassa da 100 kW (es. Colleferro – RM) produce 0,5 Gwh l’anno, smaltendo 1.050 tonnellate di biomassa ogni anno, tante quante i rifiuti organici differenziati che oggi riusciamo a raccogliere da 10mila abitanti

Cosa servirebbe per riportare in Italia 40 miliardi di euro in spesa energetica per “reinvestirla” affinché produca innovazione, industria, occupazione e reddito?

Qui viene in luce il secondo aspetto dell’Italia che è causa non solo di un gap tecnologico ed energetico diffuso, ma soprattutto di indebitamento, degrado e declino: le ormai scarse istruzione e formazione superiori – soprattutto scientifica – degli italiani.

Una dimensione ‘culturale’, una ‘mentalità’, che incide a vari livelli:

  1. popolare e tecnico, dove i non diplomati sono troppi,
  2. manageriale e decisionale, dove le competenze STEM sono rare,
  3. commerciale e finanziario, dove si preferisce la rendita all’investimento
  4. sociale, dato che così è impossibile sostenere i consumi di una nazione avanzata, mentre sono sempre di più quelli che restano indietro.

A dire il vero, di cause del disastro finanziario, tecnico-produttivo ed occupazionale dell’Italia ce ne sarebbe un’altra, prettamente politica, dato che è impossibile:

  • investire in energia, se gli Enti locali e territoriali si disinteressano
  • istruire maggiormente la popolazione, se la Scuola e l’Università mancano di uniformità e meritocrazia
  • dotarsi di una mentalità coesiva e pro-attiva, se i Media pubblici diventano un vettore commerciale e propagandistico.

Difficile credere che la maggioranza degli italiani decida di fare un passo indietro per affidarsi a quella che ormai è una minoranza, ma il senso di responsabilità verso le future generazioni potrebbe smuovere molte coscienze spingendole a rinnegare i tanti complottismi e negazionismi del Novecento, che affliggono l’Umanità da oltre 100 anni.

L’unica cosa certa è che se domattina l’Italia avviasse un piano per uscire dal gap e dall’indebitamento energetico, alla società (enti, media, università e scuola) serviranno non meno di 3-5 anni per ottenere amministratori, professionisti, maestranze e utilizzatori adeguatamente formati.

Dunque, l’importante è iniziare.

Dove?

Dalle scuole, in cui lo Stato ha ancora poteri decisivi, dove crescono le nuove generazioni e dove da molti anni si registrano carenze di istruzione tecnica-scientifica di base e di meritocrazia nell’avanzamento degli studi, anzi addirittura difficoltà diffuse ad assicurare per le diverse discipline il numero di ore minimo, che consentirebbe il riconoscimento del titolo da parte di altri stati UE e non.

Come?

Ritornando a formare annualmente i docenti riguardo i programmi, la didattica e la valutazione ed a valutare periodicamente gli alunni in base a delle prove di esame uguali per tutti con commissari diversi dai docenti della classe.

Perchè?

Perché l’apprendimento è sociale ed è incentrato sul processo di imitazione e perché necessita di un sistema di memoria strutturato e della abitudine di rivedere il proprio modo di pensare.
E i numeri dell’ultimo decennio sono decisamente al ribasso.

Tra Ambiente, Energia, Import-Export, Debito, Istruzione e (dis)Occupazione bisogna fare delle scelte: vogliamo ritornare al Bel Paese investendo sulle sue qualità oppure c’è solo da rassegnarsi al declino culturale pur di ‘valorizzare’ diseguaglianze?

A.G.
N.B. tutte le cifre sono arrotondate e variano in base ai consumi annui effettivi