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Clima e Digitale: la Germania accelera e il Sud Europa no

4 Nov

La Germania – dopo le ‘difficoltà’ con Mosca – ha accelerato sulla via dell’autonomia energetica con fonti rinnovabili, contando di coprire l’intero fabbisogno industriale e – forse – residenziale tra pochi anni.
Quanto all’autotrazione, l’anno scorso è stato scoperto che la zona della valle dell’Alto Reno è abbastanza ricca di litio da poter supportare la produzione di batterie per oltre 400 milioni di veicoli elettrici.
Già nell’attuale il Climate Change sta permettendo di trasferire merci dall’Oriente all’Europa tramite la Rotta Artica anzichè tramite Suez e il Mediterraneo.

L’obiettivo malcelato? Rendere la Germania e la MittelEuropa del tutto autonome dal punto di vista energetico sia per i consumi residenziali sia per quelli industriali.
Come? Gestendo il Cambiamento ambientale in termini di mercato e consumi, come attuando la Trasformazione Digitale nell’ambito tecnico e diffondendola tra la popolazione.

Infatti, il Cancelliere tedesco Scholz è a Pechino, dopo aver approvato lo scorso 26 ottobre la cessione di una partecipazione del 24,9% di Hhla, società che controlla tre terminali del porto di Amburgo, al colosso navale cinese Cosco, nonostante una forte opposizione anche nel consiglio dei ministri.

Una scelta dei Socialdemocratici e dei Demoliberali che ha visto l’opposizione non solo della Cdu, ma anche dei Grunen al governo, che – come ha dichiarato il ministro degli Esteri Annalena Baerbock: “hanno invitato a non ripetere gli errori fatti in passato con la Russia, dal momento che una possibile escalation di tensione su Taiwan potrebbe mettere di nuovo Berlino di fronte a scelte molto difficili”.

Ma è pur vero che le ‘scelte molto difficili’ toccherebbero a tanti, se solo in Europa Cosco ha già in uso il porto del Pireo (Grecia), la gestione nel trasporto dei container per i porti spagnoli di Bilbao e di Valencia come di Zeebrugge (in Belgio) come controlla il 40% del porto di Vado Ligure , terminale nel trasporto di container.

Infatti, i Grünen al governo della città-Stato di Amburgo e l’attuale sindaco Peter Tschentscher, (socialdemocratico come Scholz) si sono espressi a favore dell’accordo con la Cina: “Ciò che è sensato dal punto di vista imprenditoriale deve anche essere possibile e realizzato nella pratica”.

In termini di impresa (e occupazione) c’è da sapere che il 70% delle importazioni cinesi dalla Germania appartengono a quattro macro-settori: AutomotiveMeccanica strumentaleElettrotecnica e elettronica e Farmaceutica.
Un export made in Germany da 95 milioni di euro, grazie alla forte differenziazione dei prodotti tedeschi, cioè rivolti sia alla crescente industrializzazione del mercato cinese (sviluppo) sia all’emergere di una nuova classe media (domanda). 

E se una escalation a Taiwan dovesse mettere Berlino di fronte a scelte molto difficili con Pechino?

Si vedrà … intanto la Germania punta a rendersi del tutto autosufficiente prima possibile.

Ben altro che governicchi di una nazione ricchissima ma all’inedia, che sanno solo sottoscrivere debiti per spostare un sussidio da destra a sinistra o viceversa pur di accontentare i clientes nullafacenti, come in Brasile ad esempio.

Venendo all’Italia, che non è il Brasile, l’imprenditoria subalpina manifatturiera che rifornisce direttamente l’industria tedesca sarà certamente avvantaggiata e la domanda da porsi è: cosa accadrà alla demografia delle regioni a nord del Po e cosa all’economia del resto dell’Italia, specialmente se le merci cinesi per arrivare in Germania passano dal Mare Artico e non da Suez?

Demata

Governo Meloni: punti di forza e debolezza

22 Ott

Era dal 2011 che la democrazia italiana tirava avanti con premier nominati dal Presidente, di cui 3 su 4 (Monti, Conte e Draghi) neanche eletti.
Dunque, vedremo se “non è un governo conservatore, ma reazionario” – come titola Huffington Post – ma ad oggi quello di Giorgia Meloni è certamente un governo ‘politico’ e ‘democratico’.

Intanto, i nomi sono sul tavolo e, se qualche testata annuncia l’arrivo di “autarchia, sovranismo e nostalgia”, qualche altra reclama che Giorgia Meloni “aveva promesso un esecutivo di alto profilo e invece ha profili modesti in ambiti cruciali” e qualcuna ancora sottolinea che “cinque sono tecnici di area“.

Ma come stanno le cose?

Di sicuro, la cordiale stretta di mano tra Mattarella e Meloni sembra essere lontana dalla faziosa storia del nostro continente e- soprattutto – è notevole che una donna sia pervenuta all’apice della politica italiana, fatto che nelle grandi nazioni industrializzate è avvenuto solo in Germania e in Gran Bretagna.
D’altra parte, i neo Ministri dovranno essere visti alla prova dei risultati, anche se il livello dei curriculum professionali di tanti lascia ben sperare, specialmente rispetto alle due compagini governate da Giuseppe Conte, con non pochi ministri appena diplomati e non di rado carenti di esperienze professionali.

Fa scalpore il ‘Merito’ che andrà ad accompagnarsi all’Istruzione, ma è pur vero che la Scuola degli ultimi 50 anni non è che abbia granchè badato al merito.
Sono ormai due generazioni che mancano sistemi di verifica (esami) imparziali, le assunzioni non sono rigorose se si raschia puntualmente il fondo delle graduatorie, le carriere non possono essere dignitose se mancano progressioni e premialità, il buon esempio resta vano se sussidiamo i peggiori ma non i meritevoli, la qualità dell’edilizia e l’efficienza tecnica delle dotazioni sono sulle cronache a ciclo continuo, la visibilità e l’immagine della professione docente si scontrano con un burnout diffuso e un livello di contenzioso abnormi.

Inoltre, l’importanza data alla Famiglia e alla Natalità induce molti a prevedere che diritti e libertà civili non conosceranno una stagione felice.
Certamente, però, quel che è urgente è la carenza di politiche per la famiglia, per la natalità e la genitorialità, mentre abbiamo tassi povertà e abbandono scolastico sempre più eclatanti.

Se questi potrebbero essere dei punti di forza, certamente possono esserlo Adolfo UrsoGuido Crosetto, Antonio Tajani e tutti i tecnici messi a capo di alcuni ministeri strategici come non non si vedeva da tanti anni.

Piuttosto – in negativo, visti l’estremismo del passato e il possesso solo di un diploma liceale, Matteo Salvini alle Infrastrutture suscita perplessità, dato che anche questo è un ministero ‘tecnico’ e gli competeranno anche quei 3-4 tunnel in Liguria, i destini di Venezia, il salvataggio Alitalia o la siderurgia di Taranto e non solo le polemiche dell’ultimo mese contro il sindaco Beppe Sala per lo stop ai motori diesel dentro l’Area B di Milano.
Come se non fosse una questione di Salute, come lo era quando c’era da mettere in lockdown una parte della Lombardia.

Una prova non semplice anche per Nello Musumeci, che da giornalista si ritrova alle Politiche del mare a cui andranno i porti, a partire dall’hub di Gioia Tauro, come toccherà la lotta agli sbarchi illegali, a partire da ‘migliori’ accordi con i regimi libici e una maggiore ‘sovranità nel Mediterraneo’ rispetto all’Unione Europea, su cui ha fondato la sua campagna elettorale.
Speriamo solo che non finisca a litigare con gli altri paesi mediterranei, quelli che ci danno gas e petrolio, … perché fermino loro i migranti, dopo aver noi smantellato ripetutamente la nostra flotta.

Ma quel che fa arricciare il naso agli analisti (e farà dubitare le agenzie internazionali) è che di Coesione territoriale, Pnrr regionali, Transizione digitale e Transizione ecologica non c’è più traccia, cioè saranno spacchettati tra vari Ministeri, sia come spesa sia come rendiconto e – si spera almeno – non anche come progettualità.
In altre parole, sarà molto più complicato ricostruire la logica, gli interventi e i risultati in termini di resilienza, resistenza, innovazione, adeguamento eccetera … mentre il Digital Divide già mostra nei populismi i suoi letali effetti sociali e politici.

Infatti, il “Pnrr” diventa un mero piano di finanziamento negoziale e non prima di tutto un progetto di transizione nazionale, se dalle Infrastrutture e Finanze passa agli Affari Europei affidati all’esperto Raffaele Fitto.

Intanto, come per il Pnrr e le Politiche del Mare, dalle Infrastrutture s’è dovuta togliere anche la “Sicurezza energetica”, trasferita all’Ambiente affidato a Gilberto Pichetto Fratin, finora viceministro allo Sviluppo Economico con Mario Draghi. 

Un buon governo, almeno in termini di competenze ‘sulla carta’, ma vistosamente azzoppato da Salvini, che ha preteso un Ministero “tecnico”. Speriamo che non accada come l’altra volta, che dopo non essere andato in ufficio per giorni e settimane, s’è chiamato fuori dal governo con un tweet dalla spiaggia.

Demata

Fotovoltaico: la burocrazia soffoca davvero il risparmio sulle bollette?

10 Ott

Il fotovoltaico sarebbe la soluzione ottimale per dare energia alle abitazioni dei centri urbani di un paese come l’Italia, specialmente da quando esistono i pannelli plug&play.

Si tratta di pannelli da collocare sui balconi con potenza inferiore a 350 W, che con la corretta esposizione solare e con la giusta inclinazione può produrre fino a 450 kWh di energia elettrica all’anno (+/- 10% tra sud e nord Italia), che corrispondono a circa il 25% dei consumi di una famiglia media.

In tutto un pannello plug&play completo di centralina inverter e batteria al litio (pronto per il balcone) costa intorno ai 2.000 € al netto dei bonus fiscali e dura una decina di anni.
Praticamente, produce corrente ad un costo superiore ai 0,277 €/kWh come è oggi e la convenienza (il risparmio) deriva dallo sconto fiscale del 50%.

In pratica, serve un pannello preconfezionato per i balconi, con due dispositivi (inverter e batteria) che vanno alla rete elettrica di casa. Basterebbe un tecnico autorizzato ed una registrazione dell’impianto, come per caldaie o condizionatori.
Ma in Italia non è così.

Innanzitutto, c’è che l’impianto elettrico deve essere a norma, ma in Italia molti impianti risultano obsoleti, cioè realizzati prima degli anni ’90, anche se un impianto elettrico generalmente dura dai 15 ai 20 anni, altrimenti aumentano i rischi per la sicurezza e gli incendi.
Non è la burocrazia delle carte in regola, ma quella del lasciar fare, ma sempre burocrazia è.

Poi, è necessario evitare che il contatore distingua la corrente che circola prodotta dal pannello rispetto ai consumi da pagare in bolletta. Si potrebbe ovviare con un semplice commutatore (switch), ma è una prassi non consentita, cioè serve un contatore abilitato per la bi-direzionalità dalla compagnia elettrica, che ha non solo un costo, ma anche lunghi tempi di attesa pur essendo attivabile dalla centrale.

Arrivati al contatore, si potrebbe credere che la corrente prodotta dal pannello e non consumata sul momento venga pagata dalla compagnia elettrica che la riceve, visto che il contatore è bidirezionale. No, niente da fare, se l’impianto è plug&play per legge viene regalata.

A questo punto, qualcuno potrebbe pensare di farsi installare una batteria ad accumulo, in modo da usare la sera la corrente che produce di giorno. Non sia mai.
Le Norme CEI 0-21 e 0-16, nell’attuale formulazione, considerano le ‘batterie’ ad accumulo (LFP) come fossero “generatori indirettamente connessi” (sic!) e non come “gruppo di continuità” (UPS) per un mero cavillo: a differenza delle LFP gli UPS si attivano nel solo caso di assenza o anomalia della rete stessa.

Ovviamente, come per la corrente regalata anche se si è obbligati al contatore bidirezionale, è difficile capire i motivi tecnici per cui pannelli plug&play siano autorizzati pur essendo per davvero dei generatori connessi, ma le ‘batterie’ ad accumulo no.

Qualche malizioso potrebbe trovare facile intuirne le cause: la politica che fa le leggi è anche quella che partecipa nei CdA delle compagnie del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica.
In effetti, con lo sconto fiscale sul fotovoltaico, metà bolletta la coprono i cittadini che pagano le tasse, anche i meno abbienti, e questo spiega le resistenze ad estendere i bonus.

Ma non c’è ragione di complicare quelle del comparto tecnico se parliamo di tecnologie ormai alla portata di tutti (link), già diffuse tra gli informatici e … i campeggiatori.

Demata



Donbass: una guerra per l’energia in 7 grafici (commentati)

3 Ott

Era il 9 dicembre 2019, quando si incontravano a Parigi Zelenski e Putin, per discutere di pace, con la mediazione del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel.
Si arrivava così al cessate il fuoco permanente, completamento dello scambio dei prigionieri, sminamento, apertura di nuovi varchi per i civili lungo la Linea di controllo, arretramento dei militari e dei loro armamenti da altre tre zone
È disgelo, ma non ancora pace”, titolava il giorno dopo Le Figaro, se Putin continuava a confermare tutta la sua arroganza e – dall’altro lato – “a Kiev i dimostranti in piazza lo tenevano d’occhio, per assicurarsi che non concedesse niente ai russi. E quando, qualche settimana prima del vertice, Zelenskiy ha accettato la cosiddetta Formula Steinmeier (una revisione degli Accordi di pace di Minsk, elenco dei passi da compiere per stabilizzare il Donbass), i nazionalisti radicali ucraini lo hanno chiamato traditore.” (fonte ISPI)

Veniva anche previsto un nuovo incontro – a Berlino in primavera – per i nodi più importanti da sciogliere: restituzione all’Ucraina del controllo dei confini, elezioni locali e status futuro delle regioni separatiste, i termini di una reintegrazione del Donbass in Ucraina. 
Poi la pandemia e non se ne è fatto più nulla.

Così la Russia restava convinta di una minaccia ai suoi confini (e stiamo toccando con mano l’efficienza delle forze ucraine), quando un anno fa – il 31 ottobre 2021 – si concludeva il G20 di Roma con l’accordo sulla decarbonizzazione e l’avvio della transizione ecologica con l’obiettivo emissioni zero “entro o intorno a metà secolo”.

Una pessima notizia per i produttori di petrolio, anche se alcuni (USA e Cina) hanno un forte mercato interno che avrebbe consentito una transizione ‘soft’ e altri tre (Russia, Arabia Saudita, EAU) che – essendone privi – si trovavano alle porte di una recessione ultradecennale, specialmente per la Russia che ha un esercito mastodontico e in territorio enorme con 170 milioni di persone, che i paesi arabi non hanno e non devono sostenere.

Per il gas, invece, c’è una situazione diversa, dato che c’è ha un impatto molto minore del petrolio o del carbone, le emissioni sono più controllabili e filtrabili, solo un produttore – le repubbliche ex sovietiche controllate dalla Russia – è egemone ma comunque non è monopolista e c’è chi ancora lo considera una forma di energia ‘rinnovabile’, come scopriremo alla fine del post.

Pochi lo ricordano, ma venti anni fa la contesa Ucraina-Russia iniziò con la questione dei gasdotti che proprio nel Donbass e dintorni smistano verso l’Europa il gas russo e per l’esercito sovradimensionato ex Patto di Varsavia, che era lì a protezione dei confini … russi verso la Nato.

E durante la pandemia e tutti i guai che ha portato, con Zelenski alle prese con le tensioni interne nazionali e vista la dipendenza europea dal gas russo, non è stato difficile per Putin immaginare di riprendersi gasdotti, porti e fabbriche di avionica tramite una ‘liberazione del Don orientale’, cioè aggiungendo il “Donbass Stream Hub” al Nord Stream 1-2 e South Stream, con l’intento di diventare monopolista energetico verso l’Unione Europea dopo esserlo già verso la Cina.

Una tendenza che gravava diversamente sulle nazioni europee, se prive o meno di grandi porti sull’Atlantico, come vediamo nella mappa, e che solo la Germania (da tempo) aveva sterilizzato portando i fabbisogni di gas per la produzione elettrica sotto il 10%.

La Germania, dunque, dipende da risorse estere solo per il 16% nel caso del gas per la produzione di energia elettrica. Naturalmente il bilancio è diverso nel caso del gas per uso domestico, ma tanto vale ancora di più per le altre nazioni europee.
Ma è anche una Germania che dipende per circa il 20% della produzione elettrica dalla Cina, dato che il fotovoltaico è per la maggior parte prodotto lì. Tanto per comprendere le profonde cause dell’attenzione statunitense verso … Formosa.

E, come vediamo dal grafico, il bilancio energetico italiano è drammaticamente diverso da quello tedesco (e francese o olandese): dipendiamo dalle importazioni per circa il 75% a causa della storica (fin dai Savoia) incapacità geopolitica a sfruttare i giacimenti condivisibili con nazioni partner nel Mediterraneo, oltre che nei ritardi nell’innovazione generale e nella diffusione del fotovoltaico.

Ritardi a loro volta dovuti sia alla limitata formazione e dotazione di personale tecnico che c’è in generale in Italia sia all’incapacità delle Amministrazioni competenti (Regioni) di programmare oltre la mera sussistenza sia per lo storico rapporto esistente tra una parte del panorama politico-culturale italiano e la Russia.

Dunque, finora i dati ci hanno raccontano quali interessi muovono le alleanze (o le crisi) tra i 5 principali attori energetici mondiali e quali sia il diverso impatto sulle economie europee delle contro-sanzioni russe.

E, forse, questo accade perchè – mentre trascorrevano anni per arrivare al Protocollo di Roma per la decarbonizzazione – l’astrofisica ha confermato che gli idrocarburi potrebbero essere inesauribili, se esistono non solo su Marte e gli altri pianeti esterni del sistema solare, ma anche sulle comete Halley e Hyakutake, nella polvere cosmica, nelle nebulose e nel gas interstellare.
Già nel 2004, la Missione Cassini-Huygens (NASA ed ESA) aveva confermato l’esistenza di abbondanti idrocarburi (metano ed etano) su Titano, un satellite (luna) di Saturno come precedentemente suggerito dall’astrofisico Thomas Gold.

In altre parole gli idrocarburi gassosi potrebbero avere ‘origine abiotica’ anche sulla Terra, cioè provenire dalle sue viscere contaminandosi con batteri nell’attraversare la crosta terrestre ed … essere inesauribili.

Intanto, l’impatto ambientale delle nuove tecnologie per arrivare alla decarbonizzazione è incalcolabile, ma certamente pesante, come lo sarà quello della transizione ‘elettrica’ su economia e consumi, cioè sicurezza, pace, povertà eccetera.
Viceversa, l’impatto ambientale, economico e sociale degli idrocarburi sono ben noti, sappiamo che sarebbero ancor più contenibili con tecnologie ibride e politiche ‘a chilometro zero’ e di gas ce ne è davvero tanto. Anche senza la Russia.

E siamo tutti in attesa della ‘fusione nucleare pulita’ in corso di sviluppo in Francia sulla base di scoperte italiane e che risolverebbe all’origine la fornitura di energia industriale e domestica.

E il petrolio?
Gli USA dipendono dall’Arabia Saudita, tanto quanto la Cina dipende dalla Russia e le ex repubbliche sovietiche.

E da questo derivano i rischi di una terza guerra mondiale.
Specialmente se l’Unione Europea non individuerà una road map ed un mediatore (Mario Draghi?) per convincere i due presidenti a sedersi ad un tavolo: prima della pace ci sono gli armistizi, che a loro volta vengono predisposti mentre la guerra è ancora in corso.

Dopo Sarajevo e Danzica, facciamo che la Storia europea non si ripeta nel Donbass.

Purtroppo, i referendum svoltisi in Donbass somigliano molto a tanti altri che hanno legittimato annessioni e unificazioni negli ultimi 180 anni, con corrispettiva nascita di forme di anti-Stato ancora oggi persistenti. Non vanno legittimati nè per quel che rappresentano oggi nè per quel che comporteranno in futuro.

Ma non perseguire almeno un armistizio, almeno per mettere in sicurezza le centrali nucleari e le popolazioni, come per consentire l’intervento internazionale ed accertare crimini e deportazioni, creando le premesse per una ‘restituzione’ dei territori, oltre ad essere poco giustificabile è proprio il fattore che fa espandere i conflitti.

Demata

Nord Stream: perché è un crimine contro l’Umanità

30 Set

Da alcuni giorni, ci ritroviamo con una enorme bolla di metano che sta iniziando ad alterare il clima a ridosso del Polo Nord, proprio all’inizio dell’inverno e proprio nell’area chiave per la Corrente del Golfo come per la nascita di super-cicloni.

Infatti, il metano, quello che fuoriesce dal Nord Stream, ha un capacità termica per u.m. (0,528 kcal/kg) più che doppia rispetto all’aria (0,24 kcal/kg).
E la capacità termica di un qualunque sistema è il rapporto fra il calore scambiato tra il corpo e l’ambiente rispetto alla variazione di temperatura che ne consegue.

In parole povere, parliamo di quanto calore serve per far salire la temperatura di un grado.
E il calore che serve al metano è oltre il doppio dell’aria.

Tra la superficie terrestre e la fonte di calore (Sole) c’è di mezzo l’atmosfera e, se maggiore è la capacità termica, allora meno salirà la temperatura con l’assorbimento del calore che arriva dal Sole.

Dunque, il Nord Atlantico si riscalderà di meno e questo accade proprio nell’area dove si attivano i super-cicloni e dove passa(va) quel che resta della Corrente del Golfo, che assicura(va) inverni temperati all’Europa.

Sarebbe già un disastro nel medio-lungo periodo ritrovarci con un’emissione di metano pari a quella delle “emissioni di 20 milioni auto” e/o “equivalente a 30 milioni di tonnellate di CO2”, come avverte Greenpeace.

Ma sarebbe ben peggio il subire già questo inverno ripercussioni climatiche sull’Europa (e su tutto l’Atlantico fino all’Equatore).
Se le ricadute di un inverno gelido con forti venti sono già immaginabili, peggio ancora sarebbe se quel metano agisse da ‘coperta termica’, regalandoci un clima temperato e … secco.

Chi ha sabotato il Nord Stream ha colpito l’intera Umanità.

A.G.

Superbonus facile: i responsabili politici

15 Feb

Erano i tempi del governo Conte quando venne stanziato il superbonus per ben 18 miliardi fino alla fine del 2022, favorendo una truffa «tra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto», perchè « si è voluto costruire un sistema che prevede pochi controlli». 

A dirlo non è un uomo qualunque, ma quel Mario Draghi che per decenni ha firmato i bilanci della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea: non un’opinione personale o un parere tecnico, ma un verdetto: “chi tuona sul Superbonus è chi ha scritto la legge e ha permesso di fare lavori senza controlli. Oggi il bonus rallenta per i sequestri e le frodi”.

Del resto, quel che è avvenuto è particolarmente grave: truffe per 4,4 miliardi, sequestro preventivo di 2,3 miliardi di crediti ceduti (e per 1,5 miliardi già incassati), Poste italiane e Cdp, che hanno sospeso le piattaforme di acquisto dei crediti.

Ma chi è stato il responsabile politico?


Il Superbonus fa capo al Decreto Bilancio (D.L. 19/05/2020, nr. 34) firmato “SU PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze”, cioè il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, e il sindaco PD di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, ed il Guardasigilli era il Ministro della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede.

Il motivo per cui quel Consiglio dei Ministri incluse quel Superbonus nel Decreto Bilancio fu “la straordinaria necessità ed urgenza di stabilire misure in materia sanitaria, di sostegno alle imprese, al lavoro ed all’economia, in materia di politiche sociali nonché misure finanziarie, fiscali e di sostegno a diversi settori in connessione all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Un anno dopo, il Governatore della Regione Lazio e leader del PD, Nicola Zingaretti, scriveva (link) che “sul superbonus si sta andando avanti e bene. Può essere una svolta vera” e che “è molto importante che il governo proroghi fino al 2023 uno strumento rivoluzionario”.
Ed era maggio 2021 quando al convegno del Consiglio Nazionale Ingegneri:

  • Enrico Letta si spendeva per l’estensione del Superbonus (link)  “E’ un impegno che ci prendiamo in modo significativo, è un bene per la ripartenza, è una misura fra le piu’ importanti. “E’ una questione di buon senso e di amore per il Paese”
  • Giuseppe Conte, non più premiere e non accora leader del M5S, assicurava che “la misura del Superbonus 110% ora viene studiata anche da altri paesi europei. Il M5S si farà garante della sua estensione fino al 2023. No a battute di arresto” 
  • Alberto Bagnai (Lega) si lagnava che “la complicazione delle procedure del Superbonus 110% è uno strumento inconsapevole di austerità”.

Ma non mancava qualche voce critica, come l’intervento alla Camera del 20 gennaio 2021 di Luca Squeri (deputato Forza Italia e dirigente Confcommercio), che sottolineava come “abbiamo un piano che manca di coerenza, disperde risorse importanti nella giungla degli incentivi e dei superbonus, fa finta di accontentare tutti ma non è altro che l’ennesima occasione mancata”.

“Però così lasciamo languire altri settori, più strategici per l’Italia”, mentre “dobbiamo sostenere le nostre filiere industriali”, come precisa oggi il vice-leader della Lega e Ministro delle Infrastrutture, Giancarlo Giorgetti. (link) “Stiamo drogando l’edilizia, un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è limitata”, mentre “ci sono da affrontare la rivoluzione digitale ed energetica, e lo choc dell’automotive che deve affrontare il passaggio all’elettrico. E invece diamo soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo”.
E aggiunge che il Parlamento (cioè anche la Lega) ha “allargato troppo le maglie” dopo che “il governo aveva cercato di limitarlo in legge di Bilancio”.

In effetti – nonostante le inchieste stavano facendo emergere un sistema di truffe per miliardi – il 22 dicembre 2022, la Camera dei Deputati approvava una serie di emendamenti al Bilancio:

  • estensione del superbonus per mini-condomini e villini presentato (link) dai deputati dei Cinque Stelle e PD on. Sut , Benamati, Moretto, Bersani, Nardi, Deiana, Pezzopane, Fregolent, Muroni, Rotta, Pastorino, Alemanno, Berardini, Carabetta, Chiazzese, Giarrizzo, Masi, Papiro, Paxia, Perconti, Scanu, Vallascas, Mor, Serracchiani , Fassino, Sensi, Pagano, Fragomeli, Piccoli, Quartapelle, Viscomi, Incerti, Carnevali, Borghi, Gribaudo, Bonomo, Manca, Soverini, Zardini, Braga, Berlinghieri, Bruno, Buratti, Cantini, Cantone, Cenni, Ciampi, Critelli, De Giorgi, De Menech, Frailis, Losacco, Madia, Miceli, Navarra, Pellicani, Prestipino, Romano, Rossi, Sani, Topo, Zan, Del Barba, De Maria , Spadoni, Gagnarli, Gallinella, Adelizzi, Buompane, Donno, Flati, Gallo, Gubitosa, Lorenzoni, Lovecchio, Manzo, Misiti Carmelo, Raduzzi, Sodano, Torto, Trizzino, Berti, Sarti, De Carlo, Romaniello, Olgiati, Cancelleri, Caso Andrea, Giuliodori, Scerra, Grimaldi, Maniero, Martinciglio, Migliorino, Ruocco, Troiano, Maglione, Zanichelli, Ascari, Saitta, Grippa, Dori, Terzoni, Serritella, Alaimo, Galizia, Barbuto, Villani
  • cessione del credito e sconto in fattura per tutti fino al 2025 – presentato (link) dai deputati della Lega on. Comaroli, Garavaglia, Bellachioma, Borghi, Cattoi , Cestari , Frassini, Gava, Paternoster e (link) di Forza Italia on. Mandelli, Squeri , Occhiuto, Prestigiacomo, Cannizzaro, D’Attis, Pella, Russo, Giacomoni
  • estensione dei benefici fiscali fino al 2024 – presentato (link) dai deputati della Lega on. Frassini, Garavaglia , Bellachioma, Borghi, Cattoi, Cestari, Comaroli, Gava, Paternoster, Guidesi, Piastra, Ribolla, Di Muro, Fogliani, Covolo, Patelli, Fiorini, Maggioni, Andreuzza, Murelli, Cecchetti, Cavandoli, Tombolato, Lucentini , Gusmeroli
  • agevolazioni per asseverazioni e visto di conformità (link) – presentato dai deputati di Forza Italia on. Mazzetti, Gelmini, Occhiuto , Prestigiacomo, Pella, Cortelazzo, Rosso, Ruffino, Fontana, Tartaglione, Cappellacci, Ripani.

Emendamenti che si sono aggiunti al testo già emendato in Commissione, proposti e votati dai partiti di governo eccetto Italia Viva e Fratelli d’Italia (che non è nel Governo).

Ma … da dove si prenderanno i soldi secondo gli emendamenti di PD, Cinque Stelle, Lega e Forza Italia?
Una bella fetta dovrebbe arrivare (secondo loro) dalle imposte derivanti da servizi digitali, da innanlzare al 15%. Eh già …

Se questo è quel che passa nella testa di chi fa politica … è ben chiaro a tutti perchè Mario Draghi deve restare a capo del Governo, rinunciando (per ora) al settennato?

Demata

La peste suina africana, l’embargo internazionale e … il dibattito politico romano

24 Gen

Non sorprende il blocco dell’export della carne dei maiali e derivati italiani alle frontiere di Svizzera, Kuwait, Cina, Giappone e Taiwan, dopo che nel dicembre 2021 sono state ritrovate diverse carcasse di cinghiali fra Liguria e Piemonte, risultate positive al virus della peste suina africana (ASF) una malattia infettiva veterinaria altamente contagiosa letale già pochi giorni dalla comparsa delle petecchie emorragiche.

I maggiori vettori di espansione del virus sono

  • la proliferazione di cinghiali e maiali inselvatichiti, ormai stanziali persino in alcune periferie metropolitane
  • la caccia al cinghiale, che immette nel mercato e sulle tavole carni suine potenzialmente infette
  • la distribuzione dei ‘prodotti dei suini infetti’ fuori dalle aree colpite (in quarantena e con blocchi commerciali), attraversando grandi distanze (migliaia di chilometri).

Dunque, dopo i danni dell’influenza aviaria che negli ultimi mesi ha già portato all’abbattimento di oltre 14 milioni di polli, tacchini e altri volatili in Italia, ci ritroviamo sull’orlo del medesimo disastro per quanto riguarda suini ed insaccati.

«Siamo costretti ad affrontare questa emergenza perché è mancata l’azione di prevenzione e contenimento come abbiamo ripetutamente denunciato in piazza e nelle sedi istituzionali di fronte alla moltiplicazione dei cinghiali che invadono città e campagne da nord a sud dell’Italia dove si contano ormai più di 2,3 milioni di esemplari». (Coldiretti)

Nel ricercare le cause di questa inerzia, è emblematica la grottesca vicenda tutta capitolina (degna del miglior Alberto Sordi) per l’abbattimento di sette cinghiali a due passi dal Vaticano [link] e delle azioni politiche che ne seguirono:

  • la senatrice di Leu Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto, presentò una interrogazione parlamentare per il gesto “gravissimo, di una vigliaccheria inaudita”;
  • la sindaca M5S Virginia Raggi denunciò che “il Protocollo sui Cinghiali, da noi sottoscritto insieme alla Regione, non è stato attuato dall’Ente competente, Regione Lazio”;
  • la Giunta comunale di Roma Capitale annunciò “la costituzione immediata di una commissione d’inchiesta amministrativa per fare luce sui fatti e valutare eventuali profili di responsabilità”;
  • l’ assessora regionale all’Ambiente Enrica Onorati (PD) precisava che “la decisione della telenarcosi e della eutanasia … spetta, è bene ricordarlo, al Sindaco della città” con “un protocollo di intesa voluto dal prefetto di Roma per sopperire alle inefficienze dell’amministrazione competente”.
  • l’opposizione di Centrodestra tacque, evitando di rimarcare “cinghiali, topi grandi come labrador, gabbiani assassini, abbiamo visto di tutto“, come poi fece Giorgia Meloni (FdI), ma … era in campagna elettorale.

Secondo un rapporto del 2013 dalla FAO, “prevenire la diffusione [della peste suina africana] è particolarmente necessario per l’intero settore produttivo dei suini in Europa. … gli Stati europei devono mantenere un alto livello di allerta. Devono essere pronti per prevenire e reagire effettivamente all’introduzione [della peste suina Africana] nei loro territori per molti anni a venire“.

Allerta, prevenzione e reazione che in base alla nostra Costituzione competono agli Enti Locali, non allo Stato.

Demata

Plastica monouso al bando? Quasi …

19 Gen

Da oggi in Italia mette al bando la plastica monouso e i molti prodotti progettati per essere utilizzati una sola volta.

E’ vietata non solo la produzione ma anche la vendita di piatti e posate in plastica, cannucce, cotton fioc, aste a sostegno dei palloncini, contenitori per alimenti e per bevande in polistirene espanso.


Esercenti e produttori potranno continuare a vendere le scorte presenti in magazzino fino al loro esaurimento. Sono previste delle agevolazioni per le aziende che utilizzavano plastica monouso, con un credito di imposta, nel limite massimo complessivo di 3 milioni di euro per gli anni 2022, 2023 e 2024. Stabilito infine l’avvio di campagne di sensibilizzazione. 

Saranno vietati anche i prodotti in plastica che si riduce in micro frammenti (oxo-degradabile), ma non le bottiglie in plastica PET, per le quali non solo l’Italia, ma la normativa europea è molto tollerante e concede dilazioni: entro il 2026 le bottiglie di plastica dovranno contenere almeno il 25% di Pet riciclato e il 77% dovrà essere raccolto e riciclato.

Ogni anno 570mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mediterraneo: come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto. (fonte WWF)
E solo in Italia più del 60% delle bottiglie immesse sul mercato ogni anno non viene riciclato. (fonte Greenpeace)

L’inquinamento causato dalla plastica consiste nella dispersione e nell’accumulo di materie plastiche nell’ambiente, il che causa problemi all’habitat di fauna e flora selvatica, oltre che a quello umano. Tale tipo di inquinamento può interessare l’aria, il suolo, i fiumi, i laghi e gli oceani.

Un recente studio del Biodesign Center for Environmental Health Engineering dell’Arizona State University (ASU) ha confermato che “frammenti microscopici di plastica si sono stabiliti in tutti i principali organi di filtraggio del nostro corpo”: iI ricercatori hanno trovato prove di contaminazione da plastica in campioni di tessuto prelevati da polmoni, fegato, milza e reni di cadaveri umani donati.
“Abbiamo rilevato queste sostanze chimiche della plastica in ogni singolo organo su cui abbiamo studiato“, ha affermato il ricercatore senior Rolf Halden, direttore del centro accademico. Da tempo si teme che le sostanze chimiche nella plastica possano avere una vasta gamma di effetti sulla salute che vanno dal diabete e obesità alla disfunzione sessuale e all’infertilità.

Demata

PNRR, isole ecologiche e trattamento rifiuti: Roma spende poco e attende

7 Gen

Era il 15 giugno 2016, quando Roma Capitale approvava la delibera per concedere in comodato d’uso ad Ama 32 aree per “un’adeguata dotazione delle strutture fisiche funzionali alla gestione del ciclo dei rifiuti (Centri di Raccolta Comunali, Aree Intermedie Attrezzate, Sedi di zona, Stabilimenti aziendali, ecc.). In particolare, il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata rende indispensabile, contestualmente all’attivazione di nuove modalità di raccolta, una capillare distribuzione delle strutture fisiche sul territorio a servizio del cittadino/utente (Centri di Raccolta), un’estensione degli attuali orari di apertura delle stesse, nonché l’utilizzo di personale formato sotto il profilo della accoglienza/informazione al cittadino utente”.

Finalmente, Roma iniziava a dotarsi delle ‘isole ecologiche’, cioè – come precisava AMA – di “nuovi Centri di Raccolta per rifiuti ingombranti, elettrici, elettronici e per quei materiali particolari (come materassi, suppellettili, batterie al piombo, pile, oli, ecc.) che non debbono essere conferiti nei normali contenitori per i rifiuti né, ovviamente, abbandonati sul suolo pubblico.”

Ma, terminato il mandato del Prefetto Francesco Paolo Tronca, nominato Commissario Straordinario per Roma Capitale, la delibera rimaneva sulla carta, nonostante fosse essenziale per gestire proprio quei rifiuti che erano stati il cavallo di battaglia in campagna elettorale.

Infatti, la Giunta Raggi si impantanava in cavilli burocratici come quelli dell’istruttoria sotto il profilo urbanistico e dei pareri tecnici allegati quello del Dipartimento di Attuazione Urbanistica, per quelli che in sostanza sono solo dei piazzali con i cassoni per la raccolta, ebbene si.
Dopo di che le varie conferenze di servizi per ‘la partecipazione e la comunicazione civica’, cioè la solita babele di opinioni e critiche, dall’ipotetico rischio idrogeologico alla destinazione per futura edilizia di residenza pubblica o anche solo per parcheggi, pur di bloccare la conformità urbanistica.


E restava tutto in stallo anche anche quando la situazione del TBM Salario diventava sempre più insostenibile – tra le proteste dei cittadini ma non del Municipio – fino al’11 dicembre del 2018, giorno dell’incendio che lo distrusse. Eppure, AMA stimava che, con 32 centri servizi, il tragitto dei mezzi Ama sarebbe ridotto di oltre 400mila km all’anno, con un abbattimento di circa 50 tonnellate di C02 immessa in atmosfera.

Solo il 19 marzo 2021, quattro anni e mezzo dopo la delibera commissariale, la Giunta Capitolina individuava i Centri di raccolta territoriali, ma non i 32 centri servizi concessi nel 2016 e neanche le 22 aree proposte dall’assessorato, bensì soltanto 17 siti “per la realizzazione dei centri servizi, che possono comprendere al loro interno i centri di raccolta.”

Ad oggi, il Comune di Roma Capitale parla di una “rete di 12 impianti attualmente in funzione, due dei quali riaperti dopo lunghi lavori di manutenzione straordinaria”, ma non è chiaro se fossero preesistenti o si tratti di quelli nuovi che il Commissariamento aveva tentato di istituire.
Ad ogni modo, le isole ecologiche di Roma sono solo 12 e i Municipi sono 15, di cui 4 grandi come Milano che però di ‘isole ecologiche’ ne ha ben 5 e da tanto tempo.

Eppure, Ama stimava che – con le 32 isole ecologiche previste inizialmente – “le distanze annue percorse dai romani potranno essere così ridotte di oltre 3 milioni di chilometri, con un conseguente abbattimento di 380 tonnellate di CO2” e tanto traffico e tempo sprecato in meno.

Fa, dunque, un po’ impressione che la Giunta Capitolina annunci trionfalmente che il 5 gennaio 2022 “ha approvato la delega ad AMA S.p.A. per la presentazione di proposte finalizzate al miglioramento della rete di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, da finanziare nell’ambito del PNRR (Linea di intervento A). Gli otto progetti porteranno alla realizzazione di impianti … per la raccolta di tutte quelle tipologie di rifiuto che normalmente non possono essere conferite nei cassonetti stradali”.

Se, per stessa ammissione della Giunta Capitolina, questi rifiuti giocoforza “spesso invece vengono abbandonati sui marciapiedi, lungo le strade e le aree verdi”, quanto tempo servirà al Sindaco per dotare di un centro di raccolta i 35 quartieri di Roma, che hanno una superficie totale dieci volte quella di Napoli, che a sua volta è già dotata di 10 isole ecologiche fisse e una dozzina di unità mobili?

Se l’assemblea dei soci di Ama S.p.A. ha approvato il bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2020 con un utile pari a euro 27.807.522, perchè Roma Capitale finanzia dei centri deliberati nel 2016 solo oggi e con risorse del PNRR?

Se le isole ecologiche di Roma saranno nel numero totale di venti – si spera tutte in funzione prima del 2026 visti i precedenti – la Commissione PNRR capitolina prevede ulteriori isole ecologiche, sapendo dal 2016 che ne servono di più per servire 1.285 km² di superficie , 2,873 milioni di residenti (2017) e 486.284 imprese inclusa la provincia (2016)?


Cosa prevederà la Commissione PNRR capitolina riguardo la ‘realizzazione nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti nel territorio comunale‘, affinché Roma Capitale smetta di arricchire le altre regioni?
Ad esempio nel 2018, quando “centocinquantamila tonnellate di combustibile da rifiuti sono state trasportate in Lombardia ed Emilia Romagna, mentre 200mila tonnellate di organici sono finite in Friuli Venezia Giulia, in Lombardia e in Veneto. Duecentocinquantamila tonnellate di rifiuti da interrare sono andate in Emilia Romagna, Toscana e Puglia”, e, poi, l’anno dopo leggiamo che “i maggiori 110 player operanti nella selezione di carta, plastica, metalli, legno, vetro, FORSU e RAEE, aventi volume d’affari superiore ai 5 milioni di euro, hanno registrato un valore della produzione di 2,3 miliardi di euro (+4% sul 2018)”?

Demata

Gas alle stelle: cosa fa l’Unione Europea

2 Gen

Il 14 dicembre scorso, l’Unione Europea trovato un accordo sul nuovo regolamento per le infrastrutture energetiche Ue (TEN-E).

L’accordo esclude dal sostegno i nuovi progetti di gas naturale e petrolio, che non saranno finanziati dalla Connecting Europe Facility, e mira ad «un futuro verde e climaticamente neutro che garantirà efficienza, competitività e sicurezza degli approvvigionamenti senza lasciare nessuno indietro».

Oltre ad accontentare le richeste delle nazioni più esposte (Italia e Spagna), che chiedono scorte comuni, la riforma del mercato del gas riguarda alla decarbonizzazione del settore e i consumatori.

Riguardo la decarbonizzazione, si prevede lo sviluppo delle tecnologie ad idrogeno e e dei gas rinnovabili , ma anche del diritto di consumare, immagazzinare e vendere gas rinnovabile autoprodotto.

Riguardo i consumatori, l’obiettivo è quello di riconoscere più trasparenza delle bollette e forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli, ma soprattutto la partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini.

Già, perché l’idrogeno quasi quasi si può produrre ‘stando a casa’ nel proprio condomino‘ …

L’idrogeno e i gas rinnovabili si ‘ricavano’ dall’acqua e dai rifiuti, il risparmio energetico lo ‘fanno’ l’efficienza delle reti e degli edifici, la “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” avviene tramite enti e società.

E l’Italia? Tutte questioni d’ordine ‘costituzionale’, visti i poteri e le esclusività che Stato, Regioni e Comuni si sono riservati verso il popolo sovrano.

Ma sapendo che l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”, sarà arrivata anche in Italia l’ora che la Politica restituisca al mercato (e agli ingegneri e ai cittadini) l’energia e i rifiuti, pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua) ed a tutelare chi si trova nel bisogno non solo con sussidi ma anche con opportunità?

Demata