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Gas alle stelle: cosa fa l’Unione Europea

2 Gen

Il 14 dicembre scorso, l’Unione Europea trovato un accordo sul nuovo regolamento per le infrastrutture energetiche Ue (TEN-E).

L’accordo esclude dal sostegno i nuovi progetti di gas naturale e petrolio, che non saranno finanziati dalla Connecting Europe Facility, e mira ad «un futuro verde e climaticamente neutro che garantirà efficienza, competitività e sicurezza degli approvvigionamenti senza lasciare nessuno indietro».

Oltre ad accontentare le richeste delle nazioni più esposte (Italia e Spagna), che chiedono scorte comuni, la riforma del mercato del gas riguarda alla decarbonizzazione del settore e i consumatori.

Riguardo la decarbonizzazione, si prevede lo sviluppo delle tecnologie ad idrogeno e e dei gas rinnovabili , ma anche del diritto di consumare, immagazzinare e vendere gas rinnovabile autoprodotto.

Riguardo i consumatori, l’obiettivo è quello di riconoscere più trasparenza delle bollette e forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli, ma soprattutto la partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini.

Già, perché l’idrogeno quasi quasi si può produrre ‘stando a casa’ nel proprio condomino‘ …

L’idrogeno e i gas rinnovabili si ‘ricavano’ dall’acqua e dai rifiuti, il risparmio energetico lo ‘fanno’ l’efficienza delle reti e degli edifici, la “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” avviene tramite enti e società.

E l’Italia? Tutte questioni d’ordine ‘costituzionale’, visti i poteri e le esclusività che Stato, Regioni e Comuni si sono riservati verso il popolo sovrano.

Ma sapendo che l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”, sarà arrivata anche in Italia l’ora che la Politica restituisca al mercato (e agli ingegneri e ai cittadini) l’energia e i rifiuti, pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua) ed a tutelare chi si trova nel bisogno non solo con sussidi ma anche con opportunità?

Demata

Come si produce l’idrogeno ‘stando a casa’?

1 Gen

La decarbonizzazione mira allo sviluppo delle tecnologie con gas rinnovabili, a partire dall’idrogeno, e muta radicalmente il mercato energetico, in quanto questa innovazione porta alla autoproduzione o autogestione, quanto meno come comunità di cittadini e come network di produttori.

Ma come si produce l’idrogeno? Ebbene, le possibilità sono tante: l’idrogeno può essere prodotto tramite diversi processi ed utilizzando anche apparati relativamente piccoli.

Ad esempio, si produce idrogeno (o gas rinnovabile) dai rifiuti organici tramite processi termochimici, come la gassificazione della biomassa, che è un percorso tecnologico ormai standardizzato per convertire la biomassa in idrogeno e altri prodotti, senza combustione, per poi ottenere energia elettrica. Interventi su vasta scala in Cina e nel Nord Europa dimostrano che l’uso dei generatori a biomassa consente il raggiungimento dell’autonomia energetica in comunità rurali anche di 10-15mila abitanti, oltre che qualche posticino in più di lavoro (qualificato e non). Ve ne sono anche versioni ‘condominiali’.

Ma – soprattutto – l’idrogeno viene prodotto dall’acqua tramite processi elettrolitici, come l’elettrolisi già ben sviluppata e disponibile commercialmente, tramite l’energia solare e i semiconduttori specializzati in via di sviluppo, e anche tramite processi biologici con batteri e alghe in sperimentazione. Oltre all’idrogeno, l’elettrolisi produce ossigeno e – tramite apposite celle per la CO2 – pietra calcarea da costruzione.

Il mercato è ormai pronto al salto tecnologico e l’Ansa già due anni fa ha annunciato che l’installazione a Yokohama (Giappone) di un sistema SimpleFuel per generare idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua, “in grado di produrre sino a 8,8 kg di combustibile ecologico al giorno che viene pressurizzato e stoccato in bombole alloggiate all’interno dello stesso distributore”, tramite l’energia generata dai pannelli fotovoltaici sistemati sul tetto. Nel 2020 ne è stata installato un altro a Washington DC; ambedue le stazioni sperimentali funzionano regolarmente.

Importando l’Italia una quantità spropositata di energia (tra gas, petrolio ed elettricità), che puntualmente grava sul nostro debito pubblico e privato, anziché sostenere impresa e occupazione, quanto sarebbe utile investire di più in ricerca, ingegneri e impiantistica e quanto farlo ora?

Inoltre, se i risultati della decarbonizzazione sono in prospettiva ben chiari, l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”: in Italia è arrivata l’ora che Stato, Regioni e Comuni ripensino il mercato di energia e rifiuti, che le nuove tecnologie ed un maggiore rispetto per l’ambiente restituiscono ai privati (es. agricoltori e installatori) e alle comunità (es. condomini e rioni), pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua e la sicurezza/salute) ed a tutelare chi ha bisogno di un sussidio?

Demata

Mercato immobiliare meno 11-16%: peggio di una patrimoniale all’anno

3 Ott

A partire dal 2010 fino a d oggi, in quattro anni, i prezzi delle case sono scesi dell’11,2%. Più esattamente potremmo dire che è crollato dell’11% il valore immobiliare italiano e – sapendo che la maggior parte delle famiglie investe i propri risparmi in case – hanno perso l’11% delle proprie proprietà tutti coloro che hanno una prima casa.
Undici per cento per modo di dire, dato che se valutiamo solo le case he già esistevano nel 2009, il deprezzamento è del 16%, praticamente un sesto del valore. E aggiungiamo che secondo Global Property Guide – l’Italia ha un rapporto tra ‘costo delle case’ e PIL del 22,17x a fronte di una Germania che è al 9,64x: a parità di stipendio le case qui da noi costano più del doppio e senza contare i mutui e gli interessi.

valore delle case 1995-2013

Famiglie, lavoratori, italiani che non sanno se sperare che risalga l’inflazione e con lei, però, le rate del mutuo oppure tener fermi gli interessi ma vedersi svalutare di altrettanto la casa.

Dunque, possiamo dirci che la Patrimoniale che Mario Monti non volle fare, s’aveva da fare: gli italiani ci avrebbero rimesso molto di meno del 10-15% in quattro anni, senza parlare delle tasse esose e taccagne che ci impongono da anni e anni.
E possiamo anche iniziare a prendere atto che con questa svalutazione immobiliare e con quelle tasse, arriviamo ad un’erosione superiore al 30% della ‘situazione patrimoniale effettiva’ delle famiglie e delle aziende.

Anzi, potremmo addirittura affermare che la ‘situazione patrimoniale effettiva’ delle imprese piccole e piccolissime è improponibile in termini di competitività: gli ammortamenti in immobili si svalutano, le tasse gravano molto di più che in Europa, l’energia costa un tot extra a causa delle imposte, la burocrazia incide sulla produttività a livelli devastanti, i servizi costano un occhio e la giustizia fa attendere anni, cioè tempo e denaro. Non è improbabile che tutto questo comporti un aggravio di bilancio non inferiore al 50%: come correre con una gamba legata.

Una vera follia gestionale della nostra Finanza Pubblica che dal 2010 ad oggi ha pensato a salvare la cassa – dopo averla svuotata – invece che salvare gli italiani, se le differenze di rendimento tra Immobili e BTP a 10 anni vedevano un stacco di un punto percentuale nel 2008, oggi in pratica sono al -4% annuo e il crollo era vistoso già nel 2011, quando i BTP a dieci anni iniziarono a rendere quasi il doppio delle abitazioni (Ufficio studi AITEC su dati Agenzia del Territorio e Banca d’Italia).

Rendimento Abitazioni BTP decennale AITEC

Resta solo una domanda: che facciamo se tra un paio di anni le nostre case saranno crollate di un altro 7-10%, con le famiglie che andranno a pagare mutui di un valore ormai doppio rispetto al reale?

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Europa 2020: nel Lazio c’è tanto da fare

20 Feb

1959842_10152168796154034_2121530092_nArriva Europa 2020 (PSR del Lazio 2014 – 2020), la strategia per la crescita economica e sociale dei Paesi dell’UE lanciata dalla Commissione europea nel 2010, che individua 3 priorità – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva – mira a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e competitività.

La Regione Lazio, nel corso del 2013, aveva avviato le attività finalizzate alla predisposizione degli strumenti operativi, in particolare l’analisi di contesto socio-economico dell’agricoltura regionale e la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PSR 2014-2020.
E, proprio in questi giorni, ha aperto un sito apposito (link) dove si legge “fino al 28 febbraio, grazie ad una pagina web dedicata, raccoglieremo le osservazioni di chi vuole contribuire. Quando aumenta la partecipazione e la condivisione, si prendono decisioni migliori“.

Beh, la pagina web dedicata è questa (link) e di spazio per la ‘consultazione on line’ proprio non ce n’è … ma si precisa che “la consultazione online è aperta sia ai componenti del Tavolo di Partenariato che a tutto il pubblico interessato“. A scartabellare un po’, si scopre un file excel destinato a soggetti che abbiano un “ruolo svolto in relazione allo sviluppo rurale” con tanto di Ente di appartenenza o qualifica professionale.

Peccato che l’agroalimentare sia quello che mangiamo e quello che spendiamo. Forse, tra ‘tutto il pubblico interessato’ ci sono anche i cittadini. O no?

Un disguido, una frase fraintendibile, ma, parlando di ‘crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’ dell’agricoltura nel Lazio, c’è ne sarebbe da discutere anche come cittadini /consumatori e non solo come operatori.

Come, ad esempio, per gli unici olii d’oliva DOP del Lazio, il Sabina e il Canino, noti per il loro pregio e coltivati su un’area equivalente almeno alla provincia di Siena. Prodotti eccellenti che trovano poca traccia come commercializzazione su internet, di sicuro non sono venduti nei supermercati laziali e, con tanti ulivi in bella vista, non sembrano contribuire particolarmente alla leva fiscale regionale …

Sempre in termini di ‘anomalie’ sarebbe da ricordare almeno quella dei tanti (troppi?) vini DOC del Lazio, quasi uno per campanile e di blasone diverso, come raccontano i nomi: Aleatico di Gradoli, Aprilia, Atina , Bianco Capena superiore, Castelli Romani , Cerveteri , Cesanese di Affile DOC , Cesanese di Olevano Romano DOC , Circeo , Colli Albani , Colli della Sabina , Colli Etruschi Viterbesi, Colli Lanuvini superiore, Cori , Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Frascati, Genazzano, Marino, Merlot di Aprilia, Montecompatri Colonna , Nettuno, Orvieto , Roma, Sangiovese di Aprilia, Tarquinia , Moscato di Terracina, Trebbiano di Aprilia, Velletri , Vignanello , Zagarolo superiore‏  

Quale possa essere la loro ascesa ed affermazione sui mercati è presto detto, se c’è da competere con intere province, come il Chianti o il Montalcino, od aree regionali, come per i vini californiani e spagnoli.
Intanto, i contributi (soldi pubblici) per questa bella lista di vini li spendiamo …

Il tutto senza tenere conto che esistono anche i costi sanitari non irrilevanti per le patologie da consumo alcolico, mentre il Ministero per le Politiche Agricole e l’Assessorato regionale del Lazio per  Agricoltura e Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca – sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica – non mancano di patrocinare eventi come “La cultura del vino in Italia” nel Complesso del Vittoriano, in un paese che evita di scrutare il fenomeno alcolismo, ma che nel 1965 vedeva oltre 120 litri di vino come consumo pro capite annuale tra i maschi (bambini inclusi) e che nel 1994 presentava percentuali allarmanti tra le donne di alcune regioni ed oggi conta nel Lazio il 22,1% di bevitori maschi ‘a rischio’  (Rapporto Istisan 2012).

E c’è la questione dei costi dei prodotti sui banchi dei supermercati, con una “filiera del commercio che finisce per avere sempre la stessa conseguenza: a rimetterci è il consumatore che va a comprare. «C’è un ricarico del 200% in media, ma con punte anche del 300%», affermano alla Coldiretti sulla base di un loro studio“, mentre ” il Mercato Ortofrutticolo di Fondi è molto più di un mercato. E’ una città, 335 ettari, 120 aziende, 2 mila produttori locali, 800 milioni di fatturato l’anno. E’ il più grande mercato italiano, il secondo in Europa dopo quello di Parigi.” (Flavia Amabile – La Stampa).

Ce ne sarebbero di cosa da ‘consultare’, visto che lo scopo di un governo regionale dovrebbe essere quello di garantire, innazitutto, che la merce che arriva ai cittadini sia di buona qualità ed a prezzi decenti.

Anche in questo caso, come per il frammentato e opaco mercato dell’olio e del vino laziali, Roma e il Lazio dovrebbero badare alla “competitività” che – guarda caso –  è tra le priorità  di Europa 2020.

Frammentato anche in Regione Lazio, dove la ‘Programmazione Comunitaria’ è affidata ad un ufficio (Dirigente Roberto Aleandri), le ‘Politiche di mercato e l’organizzazione delle filiere con progettazione integrata’ ad un altro ufficio (Dirigente Stefano Sbaffi), la ‘Promozione, comunicazione e servizi per lo sviluppo agricolo’ ad un altro ancora (Dirigente Cristiana Storti) …

Non è in discussione la professionalità dell’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Sonia Ricci, che è stata amministratrice e direttore generale di alcune aziende agricole fino alla nomina di Zingaretti, oltre a essere impegnata politicamente sin da giovanissima.

Ma la sfida di Europa 2020 passa una volta sola e troppi interessi localistici e micragnosi hanno pesantemente influenzato – finora – la nascita di un’immagine e la conseguente affermazione di un ‘prodotto laziale’, come viceversa avviene per tutte le regioni limitrofe. Persino nel piccolo Molise.

Cerchiamo, dunque, di scoprire su quali scaffali e quali tavole finisce l’olio sabino, dopo essere stato venduto (si spera). Proviamo a sviluppare due vini due che abbiano abbastanza ‘forza produttiva’ per sviluppare campagne di marketing massive.
Miglioriamo la filiera e facciamo in modo che i prezzi dell’ortofrutta a Roma siano più bassi per i consumatori e i ricavi più alti per i produttori … forse spenderemmo meno in Welfare e aiuti all’agricoltura, mentre la gente sarebbe più ottimista.

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Caro benzina, consumi in calo, il fisco perde oltre mezzo miliardo

30 Ago

Uno studio commissionato dal sito britannico Looking4Parking.com e pubblicato dal Daily Mail dimostra come i nostri automobilisti spendano mediamente ogni mese circa il 10,2% del proprio stipendio per rifornire di gasolio le proprie vetture.
Sulla base di un reddito medio degli italiani stimato in 19.655 euro annui, fanno circa 2.000 euro a testa in dodici mesi.

Il prezzo del diesel in Italia (1,71 euro al litro) è inferiore solo a quello della Norvegia (1,76 euro al litro), ma lì il reddito medio è di 37.920 euro annui e quella per il carburante rappresenta meno del 5% della spesa dei cittadini.

Tra crisi e lievitazione dei prezzi, calano sempre di più i consumi petroliferi italiani, con una diminuzione del 3,5% rispetto allo stesso mese del 2012, attestandosi a 2,8 milioni di tonnellate per quanto riguarda le benzine e il gasolio. (fonte Unione Petrolieri)

Una buona notizia, tenuto conto che l’Italia importa il 93,3% dei suoi consumi di petrolio e il 70% di quelli di gas naturale e che quei consumi dal 1973 al 2009 sono cresciuti del 359%. (dati 2009 – Sole24ore)
Un’ottima novità, risparmiare importazioni e consumi per 190.000 tonnellate di carburanti, mentre il saldo commerciale italiano ha registrato un surplus di 1,9 miliardi di euro, dopo un saldo negativo pari a 0,3 miliardi di euro lo scorso anno. Specialmente, tenendo conto che il surplus risulterebbe triplicato, se la nostra bilancia commerciale venisse calcolata al netto dell’energia.

E, invece, no. Non in Italia, affamata di risorse per sostenere una spesa pubblica eccessiva, disorganica e sprecona.

Tra gennaio e luglio, tenuto conto del calo registrato dai consumi, il gettito fiscale (accise + IVA) è risultato in diminuzione di circa 630 milioni.
E, così andando le cose, con redditi dimezzati rispetto al Nordeuropa, lo Stato continuerà a confidare nei nostri consumi d’importazione (sic!) e sulle tasse che può affibbiarci.

Intanto, le trombe di guerra che squillano in Siria stanno facendo lievitare il prezzo del greggio …

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