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Governo Meloni: punti di forza e debolezza

22 Ott

Era dal 2011 che la democrazia italiana tirava avanti con premier nominati dal Presidente, di cui 3 su 4 (Monti, Conte e Draghi) neanche eletti.
Dunque, vedremo se “non è un governo conservatore, ma reazionario” – come titola Huffington Post – ma ad oggi quello di Giorgia Meloni è certamente un governo ‘politico’ e ‘democratico’.

Intanto, i nomi sono sul tavolo e, se qualche testata annuncia l’arrivo di “autarchia, sovranismo e nostalgia”, qualche altra reclama che Giorgia Meloni “aveva promesso un esecutivo di alto profilo e invece ha profili modesti in ambiti cruciali” e qualcuna ancora sottolinea che “cinque sono tecnici di area“.

Ma come stanno le cose?

Di sicuro, la cordiale stretta di mano tra Mattarella e Meloni sembra essere lontana dalla faziosa storia del nostro continente e- soprattutto – è notevole che una donna sia pervenuta all’apice della politica italiana, fatto che nelle grandi nazioni industrializzate è avvenuto solo in Germania e in Gran Bretagna.
D’altra parte, i neo Ministri dovranno essere visti alla prova dei risultati, anche se il livello dei curriculum professionali di tanti lascia ben sperare, specialmente rispetto alle due compagini governate da Giuseppe Conte, con non pochi ministri appena diplomati e non di rado carenti di esperienze professionali.

Fa scalpore il ‘Merito’ che andrà ad accompagnarsi all’Istruzione, ma è pur vero che la Scuola degli ultimi 50 anni non è che abbia granchè badato al merito.
Sono ormai due generazioni che mancano sistemi di verifica (esami) imparziali, le assunzioni non sono rigorose se si raschia puntualmente il fondo delle graduatorie, le carriere non possono essere dignitose se mancano progressioni e premialità, il buon esempio resta vano se sussidiamo i peggiori ma non i meritevoli, la qualità dell’edilizia e l’efficienza tecnica delle dotazioni sono sulle cronache a ciclo continuo, la visibilità e l’immagine della professione docente si scontrano con un burnout diffuso e un livello di contenzioso abnormi.

Inoltre, l’importanza data alla Famiglia e alla Natalità induce molti a prevedere che diritti e libertà civili non conosceranno una stagione felice.
Certamente, però, quel che è urgente è la carenza di politiche per la famiglia, per la natalità e la genitorialità, mentre abbiamo tassi povertà e abbandono scolastico sempre più eclatanti.

Se questi potrebbero essere dei punti di forza, certamente possono esserlo Adolfo UrsoGuido Crosetto, Antonio Tajani e tutti i tecnici messi a capo di alcuni ministeri strategici come non non si vedeva da tanti anni.

Piuttosto – in negativo, visti l’estremismo del passato e il possesso solo di un diploma liceale, Matteo Salvini alle Infrastrutture suscita perplessità, dato che anche questo è un ministero ‘tecnico’ e gli competeranno anche quei 3-4 tunnel in Liguria, i destini di Venezia, il salvataggio Alitalia o la siderurgia di Taranto e non solo le polemiche dell’ultimo mese contro il sindaco Beppe Sala per lo stop ai motori diesel dentro l’Area B di Milano.
Come se non fosse una questione di Salute, come lo era quando c’era da mettere in lockdown una parte della Lombardia.

Una prova non semplice anche per Nello Musumeci, che da giornalista si ritrova alle Politiche del mare a cui andranno i porti, a partire dall’hub di Gioia Tauro, come toccherà la lotta agli sbarchi illegali, a partire da ‘migliori’ accordi con i regimi libici e una maggiore ‘sovranità nel Mediterraneo’ rispetto all’Unione Europea, su cui ha fondato la sua campagna elettorale.
Speriamo solo che non finisca a litigare con gli altri paesi mediterranei, quelli che ci danno gas e petrolio, … perché fermino loro i migranti, dopo aver noi smantellato ripetutamente la nostra flotta.

Ma quel che fa arricciare il naso agli analisti (e farà dubitare le agenzie internazionali) è che di Coesione territoriale, Pnrr regionali, Transizione digitale e Transizione ecologica non c’è più traccia, cioè saranno spacchettati tra vari Ministeri, sia come spesa sia come rendiconto e – si spera almeno – non anche come progettualità.
In altre parole, sarà molto più complicato ricostruire la logica, gli interventi e i risultati in termini di resilienza, resistenza, innovazione, adeguamento eccetera … mentre il Digital Divide già mostra nei populismi i suoi letali effetti sociali e politici.

Infatti, il “Pnrr” diventa un mero piano di finanziamento negoziale e non prima di tutto un progetto di transizione nazionale, se dalle Infrastrutture e Finanze passa agli Affari Europei affidati all’esperto Raffaele Fitto.

Intanto, come per il Pnrr e le Politiche del Mare, dalle Infrastrutture s’è dovuta togliere anche la “Sicurezza energetica”, trasferita all’Ambiente affidato a Gilberto Pichetto Fratin, finora viceministro allo Sviluppo Economico con Mario Draghi. 

Un buon governo, almeno in termini di competenze ‘sulla carta’, ma vistosamente azzoppato da Salvini, che ha preteso un Ministero “tecnico”. Speriamo che non accada come l’altra volta, che dopo non essere andato in ufficio per giorni e settimane, s’è chiamato fuori dal governo con un tweet dalla spiaggia.

Demata

San Valentino di sangue per Matteo Renzi

14 Feb

san valentinoUna Camera dei Deputati semivuota ha ultimato questa notte il voto degli emendamenti al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione.
La notte di San Valentino sono stati introdotti o modificati ben quaranta articoli che riscrivono la Costituzione dopo una vera e propria zuffa – con ben due parlamentari in infermeria e diversi deputati espulsi – conclusasi con oltre 200 rappresentanti delle opposizioni (Forza Italia, M5S, Fratelli d’italia, Lega e Sel) fuori dall’Aula di Montecitorio, mentre a votare c’erano solo gli eletti del Partito Demoratico ed i micro-partiti collegati.
Il voto finale sarà a metà marzo, ma vediamo replicarsi la deriva autoritaria che ha portato all’elezione del Presidente della Repubblica in modo assolutamente non condiviso con le altre forze politiche che pur rappresentano il popolo italiano e l’interesse nazionale.

‘Deriva’ e ‘autoritaria’ possono sembrare parole grosse, ma è difficile trovare altri termini: deriva perchè non si sa dove stiamo andando, autoritaria perchè – bullismo o meno – c’è qualcuno che dice ‘qui comando io’.

Non è con un blitz notturno del Governo che si crea un Senato composto da 100 membri non eletti direttamente dai cittadini (selezionati tra sindaci e consiglieri regionali), che si eliminano le province e – soprattutto – cambiano le competenze di Stato e Regioni, come cambiano le regole per i referendum e il raggiungimento del quorum, come anche per l’elezione del presidente della Repubblica.
Sono modi che ricordano eventi simili accaduti in Georgia, Serbia, Macedonia ed altri paesi dell’Europa dell’Est, quando si trattò di riconvertire le oligarchie comuniste in ceto dominante di una società mercantile.
Un conto era superare ‘certi mal di pancia della sinistra italiana’, un altro è estromettere tutte le opposizioni.

Antonio Polito, autorevole voce ‘democratica’, scrive sul Corriere della Sera, che “si è prodotto il sonno della ragione … un tempo si sarebbe detto da Parlamento balcanico … la Costituzione andrebbe riscritta alla luce del sole … l’incursione notturna del premier è stata così tenebrosa che ora rischia di produrre effetti devastanti sul processo delle riforme.

Rosy Bindi, fondatrice del partito e presidente della Commissione Antimafia, con riferimento alla Camera dei deputati, che da sola e con la mera la maggioranza assoluta dei voti potrà riformare qualunque cosa, ricorda che «con una legge elettorale maggioritaria – che darà il 54-55% a chi vince – questo emendamento non è sufficiente a garantire che in futuro vi sia il rispetto della Costituzione».

Quel che ne viene è un gioco al massacro – Bloody Valentine – in cui Matteo Renzi, dopo aver tradito ogni patto ed alleanza, potrebbe cercare di restare in carica fino a fine mandato, con la sola Camera dei Deputati e rinnovando (ndr azzerando) il Senato non appena votata la Riforma … nella convinzione che i risultati politici gli daranno anche il consenso che non ha più.
Un gioco al massacro come tanti altri, ad esempio nel Lazio, dove le ‘liste civiche’ stanno traslocando in massa nel partito, svuotando direttivi accademici ed associativi di rappresentanza ed autorevolezza, nella mera speranza di convogliare nuove filiere di consenso ad un partito che a Roma sembra contare su meno di 7.000 iscritti e centomila votanti alle primarie …
Oppure, in Campania, con Raffaele Cantone –  magistrato e presidente dell’Autority nazionale anti-corruzione – che avrebbe rifiutato la candidatura renziana, perchè “non sarebbe serio mollare tutto adesso e cominciare un lavoro da governatore”. Promoveatur ut amoveatur?

Massacro come la stramba idea di isolare Alfano e i neopopolari o cannibalizzare Scelta Civica e le forze libdem.

Un San Valentino di sangue per la democrazia italiana, specialmente se le prossime elezioni – Renzi o altri che siano – dovessero consegnarci un Parlamento blindato con una maggioranza insormontabile, che legifera ‘dai corridoi della politica’ asservendo il voto parlamentare a mera ratifica.

E, comunque, non si può pensare di dare un futuro ad una nazione votando frettolosamente delle ‘toppe’ (tali sono gli emendamenti) per riformare una Costituzione con l’80% degli italiani che non fa riferimento a quel 60% di parlamentari eletti – come tutti gli altri – in base ad una legge elettorale incostituzionale, ma che sono oggi la maggioranza della Camera.

Non ne verrà nulla di buono, il vento genera tempesta.

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L’Italia e la ‘deriva non autoritaria’

9 Feb

Se il Nuovo Centro Democratico, buona parte di Scelta Civica ed un tot di Cinque Stelle con tanto di ministri, sottosegretari e presidenti di commissione passa ‘armi e bagagli’ con il Partito Democratico,  non c’è nulla da fare: si chiama inciucio.

Se, poi, passano armi e bagagli con il PD anche tanti componenti di liste civiche locali, decapitando de facto i vertici di importanti associazioni e onlus, siamo oltre l’inciucio ed entriamo nel campo della cospiracy, dato che ‘contestuaalmente’ si smantellano trasparenza e accesso.

Se, per caso, ci ritrovassimo alle prossime elezioni con l’ex DC, l’ex PCI e i sindacati in coalizione per l’ennesima ‘Grande Ammucchiata’, non c’è che dire: come la Germania di Adenauer – Kohl – Merkel, anche l’Italia non può essere governata se non da De Gasperi – Andreotti – Renzi.

Solo che ‘cristiano democratico’ o ‘cristiano sociale’ sono una cosa molto diversa da ‘cattocomunista’ …

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Chi sarà il Presidente secondo i numeri e … buon senso

25 Gen

L’elezione del Capo dello Stato richiede, dalla terza seduta in poi, 505 dei 1009 voti espressi da 630 deputati, 320 senatori (315 eletti, 5 a vita) e 58 delegati delle Regioni (art. 83 Costituzione).

I ‘numeri’  collocano il Gruppo Parlamentare del PD in testa (407) seguito dal Centrodestra (234), M5S (143), Autonomie (51), Lega (35), Scelta Civica (34) e SEL (33), in fine il Gruppo Misto (23).
In realtà, a causa della gravissima situazione interna e delle pressioni della CGIL, è difficile che il PD possa garantire molto più di 300 voti, in un senso o nell’altro, e senza i ‘numeri’ del secondo aggregato parlamentare, il Centro Destra ancora dominato da Berlusconi, diventerebbe possibile qualsiasi colpo di mano.

Se i ‘numeri’ sono la conditio sine qua non per qualsiasi elezione e determinano dei ‘eprcorsi obbligati’, i  fronti possono essere più variegati.
Il primo fronte è quello ‘nazionale’ dei ‘baby boomers’ – i nati tra il 1948 ed il 1955 – che gli italiani chiamano ‘ex sessantottini’ e che da una ventina d’anni fanno il bello e il cattivo tempo a nostre spese. Gente che era convinta di essere portatrice di in un futuro migliore e intende somministracene ulteriori dosi.
L’altro è quello ‘internazionale’ che ha già iniziato da tempo ad affidare il futuro ai cinquantenni di oggi, vedasi Merkel, Obama o John Ellis Bush, Valls, Cameron.  Una posizione che – destra o sinistra che sia – trova forte radicamento a livello popolare e tra i comparti tecnico-esecutivi, ma non offre figure gradite all’oligarchia cattocomunista italiota.

In pratica, l’Italia deve affrontare lo stesso bivio dinanzi al quale si trovò la CEI quando si trattò di eleggere Karol Woytila al papato, facendo un passo indietro rispetto alle secolari logiche romanocentriche, e dinanzi al quale si è trovato il Vaticano intero nello scegliere un gesuita cosmopolita come moralizzatore di Roma.

Lo ‘stato delle cose’ lascia pochi nomi alla ribalta, a meno che il PD scelga una via disastrosa, cedendo a chi vorrebbe uno dei ‘soliti noti’ a presiedere il Quirinale, magari sbarrando la strada ad innovazione, semplificazione ed equità generazionale per altri sette anni.

L’estremo tentativo di un mondo che si regge solo su proroghe dell’età pensionabile e mandati elettivi già esauriti, come sul consenso di alcune zone dello Stivale,  beneficiate dall’Unificazione italiana, è Sergio Chiamparino (Moncalieri, 1948), ex alpino, presidente della Regione Piemonte dal 9 giugno 2014, esperto di  ristrutturazioni industrial fin dal 1975 e responsabile del Dipartimento Economico del PCI di Torino dal 1982.
Contro di lui, per non chiariti motivi, la sinistra PD di cui Stefano Fassina ricorda che “il nuovo Presidente dovrebbe garantire autonomia, esperienza, conoscenza delle dinamiche parlamentari e autorevolezza”, ovvero non il ‘compagno’ Chiamparino che non è mai stato parlamentare. Idem Raffaele Fitto, di Forza Italia: “Puntiamo ad un capo dello Stato autonomo, autorevole, e che non sia necessariamente espressione della sinistra”.

L’uomo che meglio raccoglie ‘il nuovo che non avanza, ma doveva esser già qui’ è Paolo Gentiloni, ex editore di ‘Nuova Ecologia’ e per anni parlamentare europeo e compnente delle Commissioni Ambiente ed Esteri dell’Unione Europea. Poco conosciuto in Italia, fuori dalla sua città natale, Roma, è stato l’uomo che forse più di tutti ha tutelato gli interessi energetici dell’Italia ed il suo upgrade tecnologico.
Ed, infatti, Gianni Cuperlo, parlamentare ed ex presidente del Pd, ha dichiarato “mi auguro che ci sia una proposta unitaria, seria, autonoma” da parte del suo partito e Gentiloni è un liberale di nobile famiglia, esponente del ‘mondo laico’ a partire da Bonino e Rutelli.

Tra i due fronti va a comporsi il tezo nome: Dario Franceschini, cinquantenne, proveniente dall’esperienza giovanile dei Cristiani per il Socialismo e delle Acli, sempre ‘apart’ rispetto all’oligarchia sindacal-cooperativa e spesso dimenticato dalla stampa ‘amica’. Ottimo mediatore e persona di cultura, cattolico populista e non operaista, può essere il punto di incontro raggiungibile o … già raggiunto, visto che è l’unico che rientra nei ‘parametri di veto’ delle due componenti ‘old school’ del PD e del Centrodestra, salvo che non tirino fuori dal cappello al cilindro un settantenne as usual.

Aggiunto che Mario Draghi ha annunciato i ‘Bot europei’ prima e non dopo le elezioni greche ed italiane, potrebbe addirittura accadere qualcosa di sensato nel Paese degli Acchiappacitrulli, ovvero che PD (407) più Centrodestra (234), con Autonomie e Scelta Civica (85) riescano a convergere ed eleggere il Presidente entro le prime tre sedute.

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Pensioni d’oro: Matteo Renzi getta la maschera

26 Nov

Mettere un tetto alle pensioni d’oro dei funzionari pubblici, che si applicherà su tutti i trattamenti pensionistici, anche “quelli già liquidati” ma solo “a decorrere dal 2015” senza pensare di ridurle drasticamente è talmente poco – rispetto alle aspettative di milioni di invalidi e lavoratori anziani –  da rasentare il ridicolo.
Specialmente se si eliminano le penalizzazioni previste per chi va in pensione prima di 62 anni avendo comunque accumulato i requisiti richiesti, ma “limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017”.

Praticamente, significa annunciare al Paese che chi è nato più o meno prima del 1950 ha diritto a mantenere la propria rendita pensionistica a danno di chi è nato dopo, mentre restano a piede libero gli artefici di una sequel infinita di errori contabili e finanziari in circa vent’anni di ‘riforme pensionistiche’.

Peggio ancora se le donazioni liberali dei politici ai propri partiti (cioè a se stessi) vanno a sgravio – persino sulle pensioni – e tutte le altre no.

Certo, l’affluenza alle urne non interessa il nostro Premier, Matteo Renzi, tanto nessuno l’ha eletto per fare quel che fa oggi, come nessuno elesse Mario Monti, e può permettersi di strafregarsene dei su detti milioni di di invalidi e lavoratori anziani. Tanto il Patto del Nazareno è finito, l’eclisse del Centrodestra lo richiede, e l’attenzione dei nostri ‘rappresentanti del popolo’ è tutta rivolta all’irrisolta questione dell’enorme patrimonio immobiliare dell’ex Partito Comunista Italiano, di cui fruiscono anche i sindacati, tanto per dirla tutta.

Così andando le cose, in attesa che Alfano o Berlusconi stacchino la spina, il cattivo Matteo Renzi pensa a far cassa nel partito emanando un’indecente norma pensionistica che potrà essere gradita solo a chi nacque tra gli elettori pensionati e pensionandi.

Non venga più a parlarci di ‘nuovo’, di ‘giovani’, di ‘futuro’ eccetera eccetera.

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