Dalla Germania arriva la notizia (LINK) che la vodka di Vladimir Putin regalata a Silvio Berlusconi violerebbe le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia.
Infatti, nell’aprile 2022 è stato deciso di estendere il divieto di importazione di merci dalla Russia all’UE per includere gli alcolici, compresa la vodka, senza prevedere eccezioni per i regali.
La notizia è stata confermata da un portavoce della Commissione europea, che – però – non esamina i singoli casi e sarebbero le autorità in Italia devono determinare chi è responsabile della presunta violazione delle sanzioni, dopo l’audio in cui Berlusconi avrebbe detto che Putin gli ha inviato 20 bottiglie di vodka per il suo compleanno.
“In una registrazione di un discorso segretamente registrato da Berlusconi, il politico, che ha compiuto 86 anni il 29 settembre, ha affermato di essere stato nuovamente in contatto con il boss del Cremlino e di averlo descritto come uno dei suoi cinque migliori amici.
Nella registrazione audio, l’ex presidente del Consiglio, di cui Forza Italia vuole formare il futuro governo come piccolo partner di una coalizione di destra, ha detto: “Ho ripreso un po’, un po’ tanto i rapporti con il presidente Putin, quindi ha mi ha regalato 20 bottiglie di vodka per il mio compleanno e una dolcissima lettera”.
Gli Stati membri sono responsabili dell’attuazione delle sanzioni dell’UE.
Si è conclusa stanotte (ore italiana) l’Assemblea Generale dell’ONU, convocata con urgenza a tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dopo l’annessione del Donbass e dopo il veto russo nel consiglio di sicurezza.
La risoluzione ONU condanna i “cosiddetti” referendum russi e l’annessione di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia, e afferma che la pretesa di Mosca non ha validità nel diritto internazionale e costituisce la base per alterare lo status di “queste regioni dell’Ucraina”. La nuova risoluzione – soprattutto – invita la Russia a ritirare “immediatamente, completamente e incondizionatamente” tutte le sue forze dal territorio ucraino.
La risoluzione era stata presentata all’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) dopo il veto russo per un testo simile da approvare nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
143 stati hanno votato a favore, mentre 35 si sono astenuti, tra cui Cuba, Iran, Cina, India, Sri Lanka, Pakistan, Kazakistan, Kyrgyzistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Sudafrica, Etiopia, Eritrea ed altre 16 nazioni africane. Corea del Nord, Siria, Nicaragua e Bielorussia sono stati gli unici quattro paesi a votare contro la risoluzione insieme alla Russia.
La risoluzione non è vincolante, essendo solo una “raccomandazione” – ai sensi degli articoli 10 e 11 dello Statuto delle Nazioni Unite – e la sua forza si fonda sul numero e il peso delle nazioni favorevoli.
Val bene sapere che le risoluzioni per il ritiro di un esercito invasore hanno raramente ottenuto successo, dato che è un fattore che l’aggressore mette in conto già nel progettare l’attacco, ma le risoluzioni hanno un notevole peso nell’import ed export di risorse, beni e valute.
In questo senso, registriamo il voto favorevole di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che fanno parte dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, e del Brasile, che fa parte del blocco BRICS con Russia, India, Cina e Sud Africa.
In termini strategici, a parte il peso commerciale e industriale di Cina e India, va registrato che non hanno aderito alla risoluzione, astenendosi o votando contro, la gran parte delle nazioni che controllano le rotte commerciali che portano petrolio, minerali e merci dall’Oriente verso l’Europa e il Giappone .
Non è irrilevante il fattore che la risoluzione chieda il ritiro delle truppe russe (non il cessate il fuoco e l’intervento di Forze di Pace), con Cina, India e Pakistan in ‘conflitto di interessi’, essendo a loro volta oggetto di moratorie per territori contesi.
Tre persone sono morte a causa dell’attentato al ponte stradale e ferroviario di Kerch che collega Russia e Ucraina: dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale.
I tre morti sono il conducente del camion esploso mentre sulla piattaforma ferroviaria era in transito un treno carico di combustibile e due persone a bordo di un’autovettura che lo stava sorpassando,
L’esplosione del camion di per se avrebbe causato danni modesti al piano stradale del ponte: è stata la sincronizzazione con il transito del treno (a sua volta esploso) a causare il collasso parziale della struttura.
Il camion trasportava pellet, proveniva dal territorio russo (Krasnodar), sarebbe stato ispezionato almeno in un check point russo e si ritiene che il conducente non fosse consapevole di cosa trasportasse effettivamente.
Se le fonti ucraine della prima ora (Ukrainska Pravda, Unian) riportano l’attentato ad un’operazione speciale dei servizi segreti di Kiev (Sbu), Mykhailo Podoliak – Capo di Gabinetto di Zelenski – punta il dito verso un “conflitto fra forze di sicurezza russe” che “si sta intensificando” e sta andando “fuori dal controllo del Cremlino”.
Fatto sta che l’Ucraina garantiva i collegamenti con la Crimea solamente via traghetto, prima della costruzione del Ponte di Kerck da parte della Russia, come fosse un’isola e non una penisola.
Dunque, sarebbe davvero paradossale che proprio l’Ucraina vada a far saltare quel ponte, se poi vuol chiedere la restituzione di quel che c’è dall’altro lato.
Intanto, a prescindere da chi ne sia il mandante, l’attentato al ponte di Kerch è un duro colpo per tutti e non solo per la macchina bellica di Putin o per la restituzione della Crimea all’Ucraina.
Dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari, dopo la giornalista Darya Dugina uccisa per colpire il padre e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale: oggi in Crimea e domani dove?
Questo è il livello di conflitto raggiunto tra Ucraina e Russia, senza parlare dell’incubo nucleare. Serve una moratoria per un armistizio.
Demata
If it was the truck that exploded, then it is interesting to note that it originated from the Russian side and not the Crimean side of the bridge.
I do not know if security is as strict on this side of the bridge or they mainly focus on vehicles leaving Crimea. pic.twitter.com/92yRkHXlj9
Da alcuni giorni, ci ritroviamo con una enorme bolla di metano che sta iniziando ad alterare il clima a ridosso del Polo Nord, proprio all’inizio dell’inverno e proprio nell’area chiave per la Corrente del Golfo come per la nascita di super-cicloni.
Infatti, il metano, quello che fuoriesce dal Nord Stream, ha un capacità termica per u.m. (0,528 kcal/kg) più che doppia rispetto all’aria (0,24 kcal/kg). E la capacità termica di un qualunque sistema è il rapporto fra il calore scambiato tra il corpo e l’ambiente rispetto alla variazione di temperatura che ne consegue.
In parole povere, parliamo di quanto calore serve per far salire la temperatura di un grado. E il calore che serve al metano è oltre il doppio dell’aria.
Tra la superficie terrestre e la fonte di calore (Sole) c’è di mezzo l’atmosfera e, se maggiore è la capacità termica, allora meno salirà la temperatura con l’assorbimento del calore che arriva dal Sole.
Dunque, il Nord Atlantico si riscalderà di meno e questo accade proprio nell’area dove si attivano i super-cicloni e dove passa(va) quel che resta della Corrente del Golfo, che assicura(va) inverni temperati all’Europa.
Sarebbe già un disastro nel medio-lungo periodo ritrovarci con un’emissione di metano pari a quella delle “emissioni di 20 milioni auto” e/o “equivalente a 30 milioni di tonnellate di CO2”, come avverte Greenpeace.
Ma sarebbe ben peggio il subire già questo inverno ripercussioni climatiche sull’Europa (e su tutto l’Atlantico fino all’Equatore). Se le ricadute di un inverno gelido con forti venti sono già immaginabili, peggio ancora sarebbe se quel metano agisse da ‘coperta termica’, regalandoci un clima temperato e … secco.
Chi ha sabotato il Nord Stream ha colpito l’intera Umanità.
Sulla campagna elettorale italiana – fulmine a ciel sereno – arriva Ursula Albrecht Von der Leyen a gamba tesa sul voto in Italia: “Aspettiamo le elezioni. Se la situazione sarà difficile, abbiamo gli strumenti”, facendo riferimento alle sanzioni per Ungheria e Polonia.
L’intento era di favorire la ‘coalizione democratica’, contrastando l’avanzata populista, ma l’effetto è facile da prevedere, se la minaccia arriva da una tedesca di origini statunitensi, “a titolo personale”, ma in nome dell’Europa se non dell’intero mondo civilizzato.
Il messaggio, infatti, non riguarda i tempi e gli accordi UE da rispettare per ottenere le prossime tranche del Pnrr, mai messi in discussione dalla coalizione di Centrodestra. L’oggetto del contendere sul Pnrr – finora e da parte di tutti i partiti – sono state le questioni di regolarità contabile che regioni e comuni vorrebbero ‘alleggerire’ ed alcune misure occupazionali che enti e sindacati vorrebbero ‘allargare’. Questo è stato il ‘peccato mortale’ di Mario Draghi e Von der Leyen di sicuro deve averlo saputo.
Dunque, la minaccia di Ursula Albrecht in Von der Leyen suona a tanti italiani come un “attenzione a come vi muoverete nelle riforme istituzionali e politiche, dato che i cordoni della borsa sono in mano a Bruxelles”.
Non stiamo qui a commentare la gravità dell’episodio, ci ha già pensato Salvini chiedendone a muso duro le “dimissioni” e Letta improvvisando un salvataggio con la promessa di un “chiarirà”.
La domanda è cosa penserà la gente in Europa dopo l’outing di Von der Leyen sull’Italia, che fa seguito a quelli su Ungheria, Polonia o … Ucraina, con le drammatiche escalation che vediamo?
A proposito, l’Unione Europea conferisce poteri e prerogative così assoluti a chi ne presiede la Commissione?
Le armi nucleari tattiche (TNW) sono una sottocategoria di armi nucleari non strategiche, che si distinguono per:
una portata limitata, cioè colpiscono entro un raggio di 500 km
una potenza limitata (kilotoni, kt), cioè pari o inferiori a quella di Hiroshima (15 kt) e Nagasaki 21 kt)
una capacità di devastare n’area specifica senza causare ricadute radioattive estese.
Una bomba nucleare tattica da 6 kilotoni (come quelle sperimentate dalla Corea del Nord nel 2009) causa:
una ‘palla di fuoco’ (fireball) larga 120-150 metri
radiazioni letali nel raggio di circa un chilometro
ustioni di 3 grado, radiazioni e distruzione in un diametro di 3-4 chilometri
In caso di vento la ricaduta radioattiva si estenderebbe di 2-5 volte nella sua direzione. Facendole esplodere sul fondale di un porto o di una baia o un fiume, si scatenerebbe un mini-tsunami, distruggendo tutto nel raggio di circa un chilometro.
In altre parole, un’arma tattica nucleare è pensata per distruggere una fortezza o una colonna militare, come anche può devastare un porto o una diga o una centrale idroelettrica. In termini ‘difensivi’ può creare (con vento favorevole) una striscia lunga decine di chilometri di territorio radioattivo, pressoché inattraversabile.
Come esempio nelle due immagini che seguono è descritto l’effetto di una arma nucleare tattica russa da 6kt su un immaginario obiettivo militare ucraino a nord di Poltava.
La Russia ha un vantaggio di quasi 10:1 sugli Stati Uniti e sulla NATO nelle armi nucleari (NSNW) non strategiche (cioè a basso rendimento e a corto raggio).
Le valutazioni basate su fonti aperte stimano che la Russia abbia circa 2.000 NSNW. Allo stesso modo si valuta che gli Stati Uniti e la NATO abbiano circa 200 NSNW nel loro arsenale. Si ipotizza che metà di queste armi USA si trovino in Europa come parte delle forze nucleari della NATO.
I trattati che hanno posto fine alla Guerra Fredda non ricomprendono le armi nucleari tattiche.
Nel 2011, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Islanda, Lussemburgo e Slovenia hanno chiesto alla NATO “maggiore trasparenza e più sforzi volti a creare fiducia riguardo alle armi nucleari tattiche in Europa” a partire dallo “scambio di informazioni sulle armi nucleari tattiche statunitensi e russe, inclusi numeri, posizioni, stato operativo e disposizioni di comando, nonché livello di sicurezza dello stoccaggio delle testate”.
Gira una bizzarra ipotesi sulla crisi energetica, riferendosi ai 2,1 miliardi di utili da Eni in quota allo Stato, come fossero chissà quale somma e che andrebbero redistribuiti socialmente, anche se non bastano a pagare un solo mese di disavanzo energetico nazionale e … come se non fosse prevedibile che il PNRR sia già andato eroso, tra inflazione nell’Eurozona e svalutazione dell’Euro. Ebbene sì.
In grassetto, la bufala; in corsivo, quel che c’è da sapere.
A MEMORIA(ad memoriam …)
« Eni ha bloccato il prezzo del gas con la Russia 10 anni fa con un contratto. E continua a pagarlo a quel prezzo.
Infatti, è normale che le risorse da sfruttamento minerario siano apprezzate come se si trattasse di una convenzione ventennale.
Però vi applica il prezzo determinato dalla borsa di Amsterdam.
Come per tutte le merci tra produttori e distributori c’è un libero mercato che si svolge in una Borsa.
Quindi lo compra a 2 (come da contratto) e ve lo rivende a 300 (grazie alla borsa che è pura speculazione). Viste le controsanzioni da parte della Russia, pur avendolo comprato a 2 si ritrova a rivenderlo a 300, per non fallire dato che tanto lo sta pagando e di più lo pagherà. (Se non ci fossero le Borse con i listini in tempo reale, come farebbero investitori, istituzioni e cittadini a monitorare quel che vale e quel che è spreco?)
Eni con questo meccanismo ha avuto un utile di 7 miliardi nei primi 6 mesi di quest’anno.
Eni – per buona norma di bilancio – deve accantonare gli utili per far fronte all’impennata di prezzi, valute e inflazione.
Eni casualmente ha spostato la sede legale in Olanda.
Eni come (ex)-Fiat e tanto altro ha spostato la sede legale in Olanda innanzitutto perchè contrattare ‘ogni stato per se’ comporta squilibri, corruttela e sovraspese, mentre per un Mercato Comune e trasparente serve una Borsa, cioè un luogo pubblico dove si svolgono le contrattazioni.
L’Eni è una compartecipata statale al 30,62% (4 e rotti% ministero dell’economia e finanze e 26 e rotti% Cassa Depositi e Prestiti).
Dunque, se Eni andasse in passivo, dovremmo coprirla con nuove tasse come Alitalia o le varie Regioni e Comuni.
Quindi parte di quell’utile (circa 2,14 MILIARDI) è dello stato italiano, che non vuole ridarlo ai clienti (Cittadini e Imprese).
Una parte dell’utile è e resta utile d’impresa, che doverosamente e cautamente va reinvestito nell’impresa. La principale fonte di raccolta delle risorse finanziarie di Cassa Depositi e Prestiti è costituita da tutto il risparmio postale italiano: se CDP va sotto, vanno sotto i risparmiatori.
Altro che sforamento di bilancio e PNNR.
Lo Debito Pubblico italiano è di 1.000 volte i 2,14 miliardi di temporaneo utile da plusvalenza, con buona pace del Bilancio, cioè il PNRR serve per ripartire e non per tappare i buchi.
Non è finita qui. La società che in borsa contratta il gas, fatalità è americana.
Beh … si sa che gli USA dopo la WWII hanno ereditato il monopolio britannico sulle risorse.E se il gas non è russo, o è americano o è arabo, lo sanno tutti.
Paga il 3% di tasse in Olanda e il resto lo porta chissà dove.
Come è prassi comune nel settore minerario dove il carico fiscale si distribuisce tra paesi produttori, distributori e consumatori.
Nel contempo però sta alzando artificiosamente il prezzo del gas, in modo che i paesi europei siano costretti a comprare (al triplo del prezzo) il gas americano (bontà loro, che mossi da humana pietas ce lo vendono).
Nel frattempo, anzi prima di tutto, le sanzioni Nato alle forniture di gas russe sono ricadute anche sull’Europa, con il risultato che andremo a comprare a caro prezzo il gas rigassificato dagli arabi e si riaprono le centrali a carbone anche se il Clima da i numeri.
Come vedete Putin non c’entra un tubo (scusate la battuta). Il vero nemico è in Italia.»
Come al solito, in guerra come in politica, … dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.
Biden (e BoJo) certamente non si aspettavano che, inviate le armi in Ucraina, USA (e UK) rimanessero a secco come ci racconta il Financial Times (link).
Infatti, è il produttore Thales UK che ha annunciato che “il Regno Unito ha esaurito le scorte” di missili anticarro NLAW e sono gli inglesi ad essere rimasti senza obici semoventi M109 ed a doverli comprare da privati.
Come è la Raytheon Technologies USA che ha confermato che “alcuni dei componenti elettronici dei missili Stinger, prodotti per l’ultima volta su larga scala venti anni fa, non sono più disponibili in commercio”, cioè non può rimpiazzare i 1.300 inviati all’Ucraina.
E se gli Stati Uniti hanno spedito circa un terzo delle scorte di missili Javelin in Ucraina, alla Lockheed Martin servono 4 anni per produrli e ripristinarli. Intanto, la Francia ha inviato a Zelenski un quarto del suo arsenale di artiglieria high tech, che richiederà quasi due anni per essere ripristinato dalla Nexter, ex Giat Industries.
Quanto ai proietti di artiglieria, la produzione dei 155mm della General Dynamics Ordnance and Tactical Systems US statunitense a stento basterebbe per due settimane di combattimento in Ucraina. E tanto vale per il resto del munizionamento.
Da parte sua la Russia – in pochi mesi di combattimento – ha sparato tra 1.100 e 2.100 missili che equivarrebbero a quattro volte la produzione annuale degli Stati Uniti e anche gli arsenali russi non sono il Pozzo di San Patrizio, anzi mancano pezzi di ricambio e risorse per la produzione.
Ma le sanzioni hanno impattato sull’interdipendenza globale al punto chese in Russia la PJSC Sberbank ha iniziato a rimuovere i piccoli chip di metallo dalle carte bancarie non attivate per superare la carenza … in USA la crisi dei chip vede stime di produzione che addirittura arrivano al 2026.
E se il BRICS (con o senza Russia) rischia di diventare l’arbitro della situazione, c’è che ripristinare la nostra industria bellica come era nella Guerra Fredda comporta sì benefici occupazionali e speculativi, ma pone due problemi di fondo che già sono visibili in Ucraina e Russia.
Cosa ne sarebbe della Democrazia, se i cittadini sono tutti militarizzati nell’esercito o nella produzione?
Cosa succederebbe, se finisce la Guerra e chiudono le fabbriche di armi e munizioni, cioè come si arriva ad una riconversione, senza distruzione?
Soprattutto, Biden (e BoJo) conoscevano la situazione dei nostri arsenali, quando hanno promesso il loro pieno sostegno a Zelenski?
E sapevano che il tasso di inflazione annuo poteva schizzare alle stelle? Ad esempio, negli Stati Uniti è accelerato all’8,6% nel maggio del 2022, il più alto da dicembre del 1981. I prezzi dell’energia sono aumentati del 34,6%, a causa della benzina (48,7%), dell’olio combustibile (106,7%), dell’elettricità e del gas naturale (30,2% ). I costi del cibo in USA sono aumentati del 10,1%.
Macron vincerà se riuscirà ad attrarre il consenso degli elettori ‘antifascisti’, ma a quanto pare scettici o ‘divergenti’?
Infatti, il dibattito mediatico francese sulla guerra in Ucraina è stato ampio e aperto, vista la coincidenza con le elezioni presidenziali, e vede il Centrosinistra (LFI) su posizioni simili a quelle di Lepen e Zemmour.
L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio ha inciso profondamente sulla corsa presidenziale francese, che, a differenza delle campagne precedenti, ha dato priorità alla politica estera, creando un chiaro divario tra i candidati. Con l’escalation del conflitto tutti i candidati condannano all’unanimità l’invasione, anche se sono in disaccordo su chi ne è responsabile e su quali siano le soluzioni.
In questo post, due dati a confronto: i risultati al primo turno elettorale dei vari candidati e le loro posizioni verso la guerra in Ucraina, rilevate dall’autorevole European Council on Foreign Relations (ecfr.eu). (LINK)
ECFR annovera tra i suoi presidenti ‘emeriti’ Emma Bonino, (ex Ministro degli Affari Esteri d’Italia), e Joschka Fischer (ex ministro degli affari esteri della Germania), quelli attuali sono Carl Bildt (ex primo ministro svedese) e Norbert Röttgen (Membro del Bundestag). Tra gli attuali Garanti, ci sono anche Franziska Brantner, Segretario di Stato parlamentare, Ministero federale tedesco dell’economia e dell’azione per il clima, Teresa Gouveia, ex ministro degli Esteri del Portogallo, Alexander Stubb, ex primo ministro finlandese.
Il dato che ne viene dalla integrazione tra le due tabelle mostra quale sia l’orientamento dei francesi a riguardo i candidati e le loro proposte verso la guerra russo-ucraina.
E il risultato è sorprendente.
Gli elettori di Melenchon (LFI) e della galassia antagonista potrebbero astenersi, vista la scelta tra liberali “pro-Nato” e nazionalisti “no-Nato”. E dove possa virare l’elettorato populista è puntualmente un mistero.
Probabilmente, Macron ce la farà a riconfermarsi presidente, ma il dato di questa prima tornata elettorale europea a guerra in corso indica un gap significativo per tutti i partiti europei: l’opinione pubblica. Sopportare scandali, ruberie e incapaci in cambio di stabilità è accettabile, ma anche qualcosa che si infrange se il sistema perviene a una crisi o ad una guerra. Specialmente, se nell’immaginario collettivo l’Ucraina è il luogo dove furono annientati tutti gli eserciti europei, dai Greci fino ad oggi.
Infatti, in un articolo di un mese fa gli analisti dell’ECFR (LINK) sottolineavano come gli europei :
sono disillusi dal sistema globale di cooperazione internazionale
credono (71%) che il sistema non stia lavorando sui cambiamenti climatici
ritengono necessaria la cooperazione europea per garantire la sicurezza alle frontiere e della salute
sono a proprio agio con l’idea di una leadership francese
vogliono un’Unione Europea impegnata con russi e cinesi per rimodellare l’ordine internazionale.
Ursula von der Leyen e Josep Borrell sono rispettivamente la Presidente della Commissione UE e l’Alto Commissario per la sicurezza comune UE e se la prima sollecita l’entrata dell’Ucraina nell’Unione, il secondo era fortemente contrario, almeno un mese fa. Il punto è che ambedue non hanno i poteri per decidere e forse anche di proporre, oltre al fatto che – come vedremo – vennero scelti per un ruolo di ‘speaker’ in un mondo in pace.
Ma se quella di Josep Borrell è una storia che possiamo ritrovare anche nelle cronache demotiche di Atene o Roma, quella di Ursula von der Leyen e dei legami familiari con la Russia, l’Ucraina, gli USA e il Regno Unito è una lunga storia che inizia nel 1700, agli albori dell’industrialesimo, del colonialismo e del capitalismo. E merita di essere conosciuta, dato che è ben nota in Russia e in Cina.
Infatti, parliamo del cotone – l’oro bianco, quello degli schiavi nei campi o in fabbrica – che arrivò in Europa per la prima volta poco prima dell’Anno Mille grazie ai Saraceni che ne sfruttavano la coltivazione nell’Alto Egitto e per molti secoli fu considerato un prodotto di lusso importato dall’India, al pari della seta importata dalla Cina.
Le cose cambiarono a partire dal 1733 quando John Kay inventò la ‘spoletta volante’, un congegno per la tessitura automatica, e soprattutto nel 1769, quando l’inventore britannico Sir Richard Arkwright ideò un sistema meccanizzato per la filatura del cotone in filato, utilizzando più fusi, azionato dall’energia idraulica. I telai erano collegati da pulegge e ingranaggi a una grande ruota di legno, che veniva fatta girare dall’acqua che scorreva attraverso un canale.
A stretto giro, intravista la possibilità di produzione di massa a costi infimi, il Parlamento inglese nel 1774 abrogò l’editto protezionistico del 1700 che vietava l’uso di tutte le stoffe di cotone colorate e venne autorizzata in Inghilterra la stampa su tessuti di cotone.
Nel 1784, l’Indian Act britannico concedeva ai governatori generali della Compagnia delle Indie la facoltà di agire in nome del governo di Londra nella loro espansione in India, dove il cotone era autoctono. Contestualmente, il 1792 fu l’anno di massima espansione delle piantagioni nelle colonie americane dove si coltivava un cotone locale.
Così nacquero in un colpo solo l’industrialesimo, il capitalismo e il colonialismo.
Giusto un paio di generazioni e nasceva anche il consumismo: nel 1858, quando Sir William Henry Perkin, direttore del Royal College of Chemistry di Londra, brevettò il primo colorante sintetico tessile derivato dal catrame di carbon fossile (un violetto brillante). Quattro anni dopo, all’Esposizione universale che si tenne a Londra nel 1862, erano esposti molti tessuti tinti con le nuove sostanze coloranti di sintesi.
Fu un secolo di grandi arricchimenti familiari, durante il quale etnie e comunità intere vennero fagocitate da questa ‘corsa all’oro’ bianco. Tra queste famiglie quella di Johann Andreas Frerichs e Johann Heinrich Frerichs, due mercanti di Brema che si stabilirono a Manchester, che all’epoca aveva il soprannome di ‘Cottonopolis’ e fondarono l’industria manifatturiera De Jersey & Co.
Nel 1840 De Jersey & Co. inviò a San Pietroburgo Ludwig Knoop, che successivamente ebbe il compito di fondare una propria azienda affiliata, L. Knoop & Co., in collaborazione con Platt Brothers, un’azienda con sede a Oldham che produceva macchine per la filatura del cotone.
Questo avvenne nel 1852, quando Knoop costruì in Estonia (all’epoca russa) 187 mulini ad acqua, mentre – però – le filande “a vapore” iniziavano ad affermarsi questo comportò un ritardo nello sviluppo industriale estone-russo, anche perché faceva affidamento esclusivamente su macchinari inglesi e su manager, tecnici e supervisori inglesi per i quali erano previste una copertura sanitaria, abitazioni, asili nido e scuole, cosa decisamente innovativa per l’epoca.
Pochi anni dopo, dal 1861 in poi la Guerra Civile Americana bloccò produzione ed esportazioni di cotone verso l’Europa, e lo zar decise che gli odierni Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan venissero destinati alla produzione intensiva dell’oro bianco.
Così iniziò la diaspora degli ucraini che più o meno volontariamente si trasferirono nelle provincie asiatiche, rappresentate dall’intelligencija come un ‘Eldorado’ per coloni in cerca di ‘terra e libertà’. Solo in Siberia tra 1860 e 1916, si insediarono oltre 260.000 persone provenienti dall’Ucraina, tra cosacchi arruolati nell’esercito e coloni attratti dalla promessa di terre gratuite. .
Per i risultati ottenuti nel settore cotonifero, nel 1877 Alessandro II conferì il titolo di Barone dell’impero russo a Ludwig Knoop, che visse fino all’età di 73 anni, morendo nel 1894 a Brema. Otto anni dopo, nel 1902, suo nipote Carl Albrecht – erede non solo del lascito Knoop, ma anche della Johann Lange Wwe. & Co. , compagnia di navigazione e casa commerciale dal 1642 – sposò l’americana Mary Ladson Robertson, sorella maggiore del mercante di cotone Edward T. Robertson.
Mary Ladson era discendente del più grande commerciante di schiavi nelle Tredici Colonie, Joseph Wragg, un capitano di navi negriere nato a Chesterfield, e del principale proprietario di piantagioni con centinaia di schiavi nel XVIII e XIX secolo, John Ladson, un quacchero di Brigstock arrivato in Carolina nel 1679 dalle Barbados, dove si era arricchito e dove l’epoca dei bucanieri era ormai in declino.
L’influsso della famiglia Knoop-Albrecht-Ladson sull’industria del cotone, che come abbiamo visto è all’origine del nostro sistema legale, produttivo, occupazionale, commerciale e diplomatico che su di essa andò a costituirsi nell’Ottocento arriva fino alla moda e agli stili di vita.
Infatti, Sarah Reeve Ladson (1790-1866) fu un’icona di stile americano. Era considerata una delle donne americane più alla moda del suo tempo ed è stata oggetto di vari ritratti e sculture. Nel 2015, Maurie D. McInnis, storica dell’arte, ha sottolineato che la Ladson “faceva riferimento visivamente al gusto delle schiave intorno alle quali era stata cresciuta” con il turbante e i colori vivaci, come nel suo ritratto dipinto da Thomas Sully e come, tra le tante, Frida Khalo.
Anche se la Carolina del sud si colloca stabilmente come il 46° stato per PIL pro capite, la famiglia Ladson ha numerosi discendenti che hanno un ruolo importante sia nella società americana – uomini d’affari, avvocati e politici – sia in Germania – filantropi, direttori d’orchestra e politici.
Anche Ursula von der Leyen (nata Albrecht) è una discendente della famiglia Ladson e, come studentessa di economia alla London School of Economics alla fine degli anni ’70, ha vissuto nel Regno Unito sotto il nome di Rose Ladson, come ha confermato nel 2015 durante l’intervista “Mehr gelebt als studiert” rilasciata alla rivista Zeit. Nel 1986 ha sposato un discendente della famiglia di mercanti di seta von der Leyen, oggi direttore dell’azienda biotecnologica statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche.
Detto questo, c’è l’Huffington Post che 3 anni fa raccontava a noi italiani dei vari scandali che avevano agitato l’opinone pubblica tedesca quando Ursula von der Leyen era ministra tedesca alla Difesa, a proposito delle “consulenze per centinaia di milioni di euro e dell violazioni delle disposizioni a tutela della corretta aggiudicazione dei contratti”, della nomina dell’ex sottosegretaria agli armamenti Katrin Suder, ex consulente della statunitense Accenture, assegnataria di “contratti milionari dal 2014 in poi, secondo la Corte dei conti federale senza gara e in barba alle norme sulla concorrenza“, della Gorch Fock, la nave scuola della marina militare tedesca varata nel 1958, “il cui costo iniziale di ripristino era di dieci milioni, ma è esploso a135 milioni”, delle accuse di “plagio per la sua tesi di specializzazione in ginecologia all’Università di Hannover nel 1991” piena zeppa di citazioni non indicate, per la quale il senato accademico dell’Università riconosceva che “sono stati riscontrati degli errori”, del “personale tedesco di stanza in Lituania in una missione Nato per scoraggiare eventuali aggressioni russe che utilizza cellulari non schermati a causa della mancanza di apparecchiature radio sicure“. Ancora peggiore è il bilancio della ‘sua’ Bundeswehr descritto a chiare lettere dall’Agenzia AGI tre anni fa (link), che certamente conoscono i vari Erdogan, Putin, Zelenskij, Biden, Xi Jinping eccetera.
Infatti, Ursula von Leyen è dal 2019 presidente della Commissione Europea, che «assicura la rappresentanza esterna dell’Unione», ma «fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune», che è di competenza dell’economista catalano Josep Borrell, del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) edAlto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che «guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea» e l’attua «in qualità di mandatario del Consiglio dell’Unione europea».
Del resto, da tempo sia dagli avversari politici sia all’interno della Cdu sia gli alleati Nato avevano contestato la gestione delle forze armate tedesche da parte del suo ministero, accusandola di aver “fatto poco per migliorare le condizioni di un esercito logorato, in carenza di mezzi, equipaggiamenti e uomini, sottofinanziato“.
E proprio ieri Josep Borrell ha escluso qualsiasi ipotesi di “mediazione” europea tra Mosca e Kiev: “Torno con unalista di armi di cui gli ucraini hanno bisogno. E noi la seguiremo”, dopo che da oltre un mese insiste per sanzioni sempre più dure, visto come è stato trattato nella sua visita a Mosca.
In effetti, Josep Borrell è abbastanza noto persino alle cronache italiane, come presidente dell’Istituto Universitario Europeo, l’ente di studio e di ricerca finanziato dall’Unione europea con sede a San Domenico di Fiesole, in provincia di Firenze, in quanto dopo un anno circa (2012) dovette lasciare l’incarico, perchè “una inchiesta di El Pais rivelò che durante la presidenza dell’eccellenza accademica dell’Ue continuava a percepire 300mila euro di compensi all’anno come membro del Cda della società spagnola Abengoa, che si occupava di energie rinnovabili.”
Borrell “si assunse la responsabilità, parlando di “errore procedurale” e di una “leggerezza”. Nel 2015 si è poi dimesso anche dal consiglio di amministrazione di Abengoa poco prima che l’azienda annunciasse bancarotta.” “Nel 2018 è stato multato per 30mila euro per insider trading dopo aver venduto diecimila azioni del gruppo per conto terzi” (fonte Huffington Post) e dall’anno successivo il Parlamento europeo l’ha messo alla guida della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Del resto, perchè no: negli ultimi 30 anni, il PSOE stesso si è distinto per una serie pressoché ininterrotta di reati finanziari e abusi amministrativi, come … certamente sanno sia a Mosca, ma anche a Bruxelles, Washington e Ucraina.
Va da se che la Spagna è con la Germania il paese europeo che meno spende per la Difesa in proporzione al PIL e, se la seconda per decenni è stata governata dalla CDU di von del Leyen, la prima lo è stata dal PSOE di Borrell, ambedue partiti oggi riconosciutamente poco lungimiranti.
La prima domanda è facile: oggi, nella situazione in cui si trova l’Europa, il Parlamento UE sceglierebbe proprio Ursula von der Leyen e Josep Borrell per rappresentarci tutti ufficialmente nelle relazioni internazionali? La seconda un po’ meno: non un’eccessiva semplificazione quella di risolvere la rappresentatività europea (in tempo di pace …) nominando come ‘speaker’ la “meglio nobiltà” atlantica ed il “lìder obrero” di turno?
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