L’ideologo nazionalista russo Aleksandr Dugin ha pubblicato su Telegram un post poi rimosso e infine disconosciuto dallo stesso filosofo, la cui figlia è stata assassinata ad agosto in un attentato di cui i russi accusano i servizi ucraini.
Una schietta, dura, amara riflessione su come vadano a finire inevitabilmente (male) le Autocrazie.
“Il potere è responsabile di questo. Che senso ha l’autocrazia, che è quello che abbiamo?
Diamo al Sovrano la pienezza assoluta del potere e lui ci salva tutti, il popolo, lo Stato, la gente, i cittadini, in un momento critico.
Se per farlo si circonda di schifezze o sputa sulla giustizia sociale, è spiacevole, ma lo fa solo per salvarci. E se non lo fa?
Se non lo fa, il suo destino è quello del Re della pioggia”. (ndr. che viene ucciso perché non è riuscito a portare la pioggia durante la siccità: per punizione, gli viene gli viene squarciato lo stomaco”)
L’autocrazia ha un lato negativo: la totalità del potere nel successo, ma anche la totalità della responsabilità nel fallimento. Kherson non si è quasi arresa, si è arresa del tutto.
Voi sapete per chi è il colpo. E non saranno più le pubbliche relazioni a salvare la situazione. In una situazione critica le tecnologie politiche non funzionano affatto. Oggi la storia parla. E dice parole terribili per noi”.
Il post è stato poi rimosso – come riporta Huffington Post – e Dugin ha patriotticamente precisato che “nessuno ha voltato le spalle a Putin. La Russia e Putin non capitoleranno mai”.
Ma questo non alleggerisce il ‘peso’ di queste sue riflessioni come ideologo della Destra nazionalista che ripudia l’autocrazia e, più in generale, la leadership “dell’uomo solo al comando”. Vedremo quali saranno le ripercussioni sui partiti di Destra e più in generale populisti’, specialmente quelli che sono incentrati sulla personalità del leader – talvolta anche per statuto e spesso per propaganda elettorale.
Si è conclusa stanotte (ore italiana) l’Assemblea Generale dell’ONU, convocata con urgenza a tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dopo l’annessione del Donbass e dopo il veto russo nel consiglio di sicurezza.
La risoluzione ONU condanna i “cosiddetti” referendum russi e l’annessione di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia, e afferma che la pretesa di Mosca non ha validità nel diritto internazionale e costituisce la base per alterare lo status di “queste regioni dell’Ucraina”. La nuova risoluzione – soprattutto – invita la Russia a ritirare “immediatamente, completamente e incondizionatamente” tutte le sue forze dal territorio ucraino.
La risoluzione era stata presentata all’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) dopo il veto russo per un testo simile da approvare nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
143 stati hanno votato a favore, mentre 35 si sono astenuti, tra cui Cuba, Iran, Cina, India, Sri Lanka, Pakistan, Kazakistan, Kyrgyzistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Sudafrica, Etiopia, Eritrea ed altre 16 nazioni africane. Corea del Nord, Siria, Nicaragua e Bielorussia sono stati gli unici quattro paesi a votare contro la risoluzione insieme alla Russia.
La risoluzione non è vincolante, essendo solo una “raccomandazione” – ai sensi degli articoli 10 e 11 dello Statuto delle Nazioni Unite – e la sua forza si fonda sul numero e il peso delle nazioni favorevoli.
Val bene sapere che le risoluzioni per il ritiro di un esercito invasore hanno raramente ottenuto successo, dato che è un fattore che l’aggressore mette in conto già nel progettare l’attacco, ma le risoluzioni hanno un notevole peso nell’import ed export di risorse, beni e valute.
In questo senso, registriamo il voto favorevole di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che fanno parte dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, e del Brasile, che fa parte del blocco BRICS con Russia, India, Cina e Sud Africa.
In termini strategici, a parte il peso commerciale e industriale di Cina e India, va registrato che non hanno aderito alla risoluzione, astenendosi o votando contro, la gran parte delle nazioni che controllano le rotte commerciali che portano petrolio, minerali e merci dall’Oriente verso l’Europa e il Giappone .
Non è irrilevante il fattore che la risoluzione chieda il ritiro delle truppe russe (non il cessate il fuoco e l’intervento di Forze di Pace), con Cina, India e Pakistan in ‘conflitto di interessi’, essendo a loro volta oggetto di moratorie per territori contesi.
Ormai un po’ tutti abbiamo imparato che le sanzioni possono essere un atto ostile e non solo commercio e diplomazia: non proprio come dichiarare guerra, ma qualcosa che la avvicina. E ricordiamo tutti le minacce – poi avveratesi – che volavano tra Putin, Zelenski e Biden per via del Donbass, come era stato per Danzica e Sarajevo.
Otto mesi dopo la conta dei danni è enorme. Il commercio internazionale è devastato, a partire dal prezzo del gas alle stelle e di petrolio se ne produce meno. La ripresa economica conseguente alla ripartenza del complesso industrial-militare è tutta da venire, anzi sembra manchino le munizioni. L’Unione Europea è stravolta dalle sue stesse sanzioni e dal conseguente deficit di energia. L’Ucraina e Kiev richiederanno una generazione per essere ricostruite. Il popolo russo dovrà affrontare per lungo tempo l’impoverimento causato dalle scelte di Putin. E Joe Biden?
Innanzitutto, c’è che alle sanzioni Nato hanno aderito pienamente solo gli europei, i giapponesi e nazioni non di primo piano. A parte la Cina, si sono chiamate fuori India, Brasile, Messico, i vari potentati arabi eccetera. E’ un fattore che conterà non per la guerra – lontana ai confini dell’Europa – ma per l’economia, cioè sulle Elezioni di Mid Term del mese prossimo.
Infatti, oltre all’inflazione, i prezzi del carburante sono tornati a salire, dopo la decisione dell’Arabia Saudita e dei Paesi Opec di ridurre la produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno, che proprio Jeo Biden aveva tentato di scongiurare, incontrando il principe saudita Bin Salman, quello accusato dall’ONU di essere responsabile dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.
Poi, c’è che la già scarsa popolarità di Biden si è accresciuta, mentre quella di Trump tiene alla distanza e c’è il senatore repubblicano Marco Rubio, la stella delle generazioni più giovani. Intanto, la popolarità di Joe Biden potrebbe crollare in un istante, travolgendo le elezioni di Mid Term e con loro i Democratici.
Infatti, secondo quanto riporta il Washington Post, sarebbe già stati inviati al giudice i fascicoli di Hunter Biden (link) con le prove per incriminarlo riguardo i suoi affari non solo nella società ucraina Burisma (link), come si credeva all’inizio, ma anche con la CEFC China Energy (link), “specialmente alla luce di un messaggio di testo che invia al suo socio in affari Tony Bobulinski il 1 maggio 2017” (link).
La fine della guerra tra Russia e Ucraina? Bisognerà attendere le elezioni di Mid Term statunitensi e … manca ancora un mese.
Era il 9 dicembre 2019, quando si incontravano a Parigi Zelenski e Putin, per discutere di pace, con la mediazione del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel. Si arrivava così al cessate il fuoco permanente, completamento dello scambio dei prigionieri, sminamento, apertura di nuovi varchi per i civili lungo la Linea di controllo, arretramento dei militari e dei loro armamenti da altre tre zone “È disgelo, ma non ancora pace”, titolava il giorno dopo Le Figaro, se Putin continuava a confermare tutta la sua arroganza e – dall’altro lato – “a Kiev i dimostranti in piazza lo tenevano d’occhio, per assicurarsi che non concedesse niente ai russi. E quando, qualche settimana prima del vertice, Zelenskiy ha accettato la cosiddetta Formula Steinmeier (una revisione degli Accordi di pace di Minsk, elenco dei passi da compiere per stabilizzare il Donbass), i nazionalisti radicali ucraini lo hanno chiamato traditore.” (fonte ISPI)
Veniva anche previsto un nuovo incontro – a Berlino in primavera – per i nodi più importanti da sciogliere: restituzione all’Ucraina del controllo dei confini, elezioni locali e status futuro delle regioni separatiste, i termini di una reintegrazione del Donbass in Ucraina. Poi la pandemia e non se ne è fatto più nulla.
Così la Russia restava convinta di una minaccia ai suoi confini (e stiamo toccando con mano l’efficienza delle forze ucraine), quando un anno fa – il 31 ottobre 2021 – si concludeva il G20 di Roma con l’accordo sulla decarbonizzazione e l’avvio della transizione ecologica con l’obiettivo emissioni zero “entro o intorno a metà secolo”.
Una pessima notizia per i produttori di petrolio, anche se alcuni (USA e Cina) hanno un forte mercato interno che avrebbe consentito una transizione ‘soft’ e altri tre (Russia, Arabia Saudita, EAU) che – essendone privi – si trovavano alle porte di una recessione ultradecennale, specialmente per la Russia che ha un esercito mastodontico e in territorio enorme con 170 milioni di persone, che i paesi arabi non hanno e non devono sostenere.
Per il gas, invece, c’è una situazione diversa, dato che c’è ha un impatto molto minore del petrolio o del carbone, le emissioni sono più controllabili e filtrabili, solo un produttore – le repubbliche ex sovietiche controllate dalla Russia – è egemone ma comunque non è monopolista e c’è chi ancora lo considera una forma di energia ‘rinnovabile’, come scopriremo alla fine del post.
Pochi lo ricordano, ma venti anni fa la contesa Ucraina-Russia iniziò con la questione dei gasdotti che proprio nel Donbass e dintorni smistano verso l’Europa il gas russo e per l’esercito sovradimensionato ex Patto di Varsavia, che era lì a protezione dei confini … russi verso la Nato.
E durante la pandemia e tutti i guai che ha portato, con Zelenski alle prese con le tensioni interne nazionali e vista la dipendenza europea dal gas russo, non è stato difficile per Putin immaginare di riprendersi gasdotti, porti e fabbriche di avionica tramite una ‘liberazione del Don orientale’, cioè aggiungendo il “Donbass Stream Hub” al Nord Stream 1-2 e South Stream, con l’intento di diventare monopolista energetico verso l’Unione Europea dopo esserlo già verso la Cina.
Una tendenza che gravava diversamente sulle nazioni europee, se prive o meno di grandi porti sull’Atlantico, come vediamo nella mappa, e che solo la Germania (da tempo) aveva sterilizzato portando i fabbisogni di gas per la produzione elettrica sotto il 10%.
La Germania, dunque, dipende da risorse estere solo per il 16% nel caso del gas per la produzione di energia elettrica. Naturalmente il bilancio è diverso nel caso del gas per uso domestico, ma tanto vale ancora di più per le altre nazioni europee. Ma è anche una Germania che dipende per circa il 20% della produzione elettrica dalla Cina, dato che il fotovoltaico è per la maggior parte prodotto lì. Tanto per comprendere le profonde cause dell’attenzione statunitense verso … Formosa.
E, come vediamo dal grafico, il bilancio energetico italiano è drammaticamente diverso da quello tedesco (e francese o olandese): dipendiamo dalle importazioni per circa il 75% a causa della storica (fin dai Savoia) incapacità geopolitica a sfruttare i giacimenti condivisibili con nazioni partner nel Mediterraneo, oltre che nei ritardi nell’innovazione generale e nella diffusione del fotovoltaico.
Ritardi a loro volta dovuti sia alla limitata formazione e dotazione di personale tecnico che c’è in generale in Italia sia all’incapacità delle Amministrazioni competenti (Regioni) di programmare oltre la mera sussistenza sia per lo storico rapporto esistente tra una parte del panorama politico-culturale italiano e la Russia.
Dunque, finora i dati ci hanno raccontano quali interessi muovono le alleanze (o le crisi) tra i 5 principali attori energetici mondiali e quali sia il diverso impatto sulle economie europee delle contro-sanzioni russe.
E, forse, questo accade perchè – mentre trascorrevano anni per arrivare al Protocollo di Roma per la decarbonizzazione – l’astrofisica ha confermato che gli idrocarburi potrebbero essere inesauribili, se esistono non solo su Marte e gli altri pianeti esterni del sistema solare, ma anche sulle comete Halley e Hyakutake, nella polvere cosmica, nelle nebulose e nel gas interstellare. Già nel 2004, la Missione Cassini-Huygens (NASA ed ESA) aveva confermato l’esistenza di abbondanti idrocarburi (metano ed etano) su Titano, un satellite (luna) di Saturno come precedentemente suggerito dall’astrofisico Thomas Gold.
In altre parole gli idrocarburi gassosi potrebbero avere ‘origine abiotica’ anche sulla Terra, cioè provenire dalle sue viscere contaminandosi con batteri nell’attraversare la crosta terrestre ed … essere inesauribili.
Intanto, l’impatto ambientale delle nuove tecnologie per arrivare alla decarbonizzazione è incalcolabile, ma certamente pesante, come lo sarà quello della transizione ‘elettrica’ su economia e consumi, cioè sicurezza, pace, povertà eccetera. Viceversa, l’impatto ambientale, economico e sociale degli idrocarburi sono ben noti, sappiamo che sarebbero ancor più contenibili con tecnologie ibride e politiche ‘a chilometro zero’ e di gas ce ne è davvero tanto. Anche senza la Russia.
E siamo tutti in attesa della ‘fusione nucleare pulita’ in corso di sviluppo in Francia sulla base di scoperte italiane e che risolverebbe all’origine la fornitura di energia industriale e domestica.
E il petrolio? Gli USA dipendono dall’Arabia Saudita, tanto quanto la Cina dipende dalla Russia e le ex repubbliche sovietiche.
E da questo derivano i rischi di una terza guerra mondiale. Specialmente se l’Unione Europea non individuerà una road map ed un mediatore (Mario Draghi?) per convincere i due presidenti a sedersi ad un tavolo: prima della pace ci sono gli armistizi, che a loro volta vengono predisposti mentre la guerra è ancora in corso.
Dopo Sarajevo e Danzica, facciamo che la Storia europea non si ripeta nel Donbass.
Purtroppo, i referendum svoltisi in Donbass somigliano molto a tanti altri che hanno legittimato annessioni e unificazioni negli ultimi 180 anni, con corrispettiva nascita di forme di anti-Stato ancora oggi persistenti. Non vanno legittimati nè per quel che rappresentano oggi nè per quel che comporteranno in futuro.
Ma non perseguire almeno un armistizio, almeno per mettere in sicurezza le centrali nucleari e le popolazioni, come per consentire l’intervento internazionale ed accertare crimini e deportazioni, creando le premesse per una ‘restituzione’ dei territori, oltre ad essere poco giustificabile è proprio il fattore che fa espandere i conflitti.
Biden (e BoJo) certamente non si aspettavano che, inviate le armi in Ucraina, USA (e UK) rimanessero a secco come ci racconta il Financial Times (link).
Infatti, è il produttore Thales UK che ha annunciato che “il Regno Unito ha esaurito le scorte” di missili anticarro NLAW e sono gli inglesi ad essere rimasti senza obici semoventi M109 ed a doverli comprare da privati.
Come è la Raytheon Technologies USA che ha confermato che “alcuni dei componenti elettronici dei missili Stinger, prodotti per l’ultima volta su larga scala venti anni fa, non sono più disponibili in commercio”, cioè non può rimpiazzare i 1.300 inviati all’Ucraina.
E se gli Stati Uniti hanno spedito circa un terzo delle scorte di missili Javelin in Ucraina, alla Lockheed Martin servono 4 anni per produrli e ripristinarli. Intanto, la Francia ha inviato a Zelenski un quarto del suo arsenale di artiglieria high tech, che richiederà quasi due anni per essere ripristinato dalla Nexter, ex Giat Industries.
Quanto ai proietti di artiglieria, la produzione dei 155mm della General Dynamics Ordnance and Tactical Systems US statunitense a stento basterebbe per due settimane di combattimento in Ucraina. E tanto vale per il resto del munizionamento.
Da parte sua la Russia – in pochi mesi di combattimento – ha sparato tra 1.100 e 2.100 missili che equivarrebbero a quattro volte la produzione annuale degli Stati Uniti e anche gli arsenali russi non sono il Pozzo di San Patrizio, anzi mancano pezzi di ricambio e risorse per la produzione.
Ma le sanzioni hanno impattato sull’interdipendenza globale al punto chese in Russia la PJSC Sberbank ha iniziato a rimuovere i piccoli chip di metallo dalle carte bancarie non attivate per superare la carenza … in USA la crisi dei chip vede stime di produzione che addirittura arrivano al 2026.
E se il BRICS (con o senza Russia) rischia di diventare l’arbitro della situazione, c’è che ripristinare la nostra industria bellica come era nella Guerra Fredda comporta sì benefici occupazionali e speculativi, ma pone due problemi di fondo che già sono visibili in Ucraina e Russia.
Cosa ne sarebbe della Democrazia, se i cittadini sono tutti militarizzati nell’esercito o nella produzione?
Cosa succederebbe, se finisce la Guerra e chiudono le fabbriche di armi e munizioni, cioè come si arriva ad una riconversione, senza distruzione?
Soprattutto, Biden (e BoJo) conoscevano la situazione dei nostri arsenali, quando hanno promesso il loro pieno sostegno a Zelenski?
E sapevano che il tasso di inflazione annuo poteva schizzare alle stelle? Ad esempio, negli Stati Uniti è accelerato all’8,6% nel maggio del 2022, il più alto da dicembre del 1981. I prezzi dell’energia sono aumentati del 34,6%, a causa della benzina (48,7%), dell’olio combustibile (106,7%), dell’elettricità e del gas naturale (30,2% ). I costi del cibo in USA sono aumentati del 10,1%.
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