La crisi ucraina hanno indotto la Svizzera ad intraprendere la svolta «green»: l’Ufficio federale delle strade ha emesso il bando di gara per la produzione di energia fotovoltaica lungo le autostrade svizzere e tutti gli edifici di nuova costruzione saranno obbligati a montare impianti fotovoltaici.
Il fotovoltaico autostradale servirà per le barriere acustiche (350 ripari fonici) e per le aree di sosta (cieca 100) che abbiano superfici idonee con un potenziale di produzione stimato di 55 GWh annui. Sul versante italiano, saranno implementati da Novazzano a Quinto, a Grono e Lostallo e nelle aree di sosta di Mesocco e San Vittore.
Stando alla statistica sull’energia solare pubblicata a metà luglio, la costruzione di nuovi impianti fotovoltaici in Svizzera è aumentata del 43% nel 2021, raggiungendo i 686 megawatt. Nell’anno in corso, inoltre, si stima la costruzione di impianti per la produzione di 900-1’000 megawatt supplementari.
Riguardo i nuovi edifici, con sei voti contrari e sei favorevoli (tra cui quello della presidente), la Confederazione Elvetica ha deciso che dal 2024 dovranno essere dotati di pannelli fotovoltaici tutti i nuovi immobili con una superficie a livello strada superiore ai 300 metri quadrati. Ai singoli Cantoni resta la facoltà di introdurre norme più restrittive.
All’unanimità, viceversa, la decisione di permettere la costruzione di grandi impianti all’aperto (almeno 10 Gigawatt) nelle zone di alta montagna, come il progetto di 4.500 pannelli a circa 2.000 metri di quota al confine tra la Svizzera e la val d’Ossola piemontese.
In Svizzera, il 66% dell’elettricità prodotta proviene già oggi da centrali idroelettriche, il 20% dal nucleare, mentre la produzione fotovoltaica vede gli svizzeri al decimo posto nel mondo con 412 watt pro capite. Diversa la situazione per il gas, che arriva dalla Russia (43%).
Gli investimenti svizzeri sul fotovoltaico e l’indipendenza energetica non si fermano qui.
Proprio pochi giorni prima delle decisioni della Commissione del Consiglio nazionale svizzero, un gruppo di ricercatori dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), hanno annunciato un importante passo avanti per l’introduzione del ‘fotovoltaico vivente’ anche nel settore dell’energia. (link) I laboratori svizzeri sono riusciti ad impiantare nanotubi di carbonio all’interno di batteri fotosintetici, aumentando la loro capacità di generare elettricità quando illuminati. (link)
Questi batteri modificati sono un’alternativa al in modo silicio cristallino che oggi usiamo e – soprattutto – quando si riproducono trasmettono alla discendenza i nanotubi: un modo molto economico, pulito e rapido per produrre i pannelli fotovoltaici.
E l’Italia? Se è lucrativo installare fotovoltaico sulle autostrade alpine, dovrebbe esserlo ancor di più se si trattasse dell’Autostrada del Sole … basta la parola. E la ricerca sui ‘batteri fotovoltaici’ l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) ha collaborato con la Università Sapienza di Roma. Dunque, delle prospettive esistono anche per noi, come lo è per il ‘nucleare pulito’ ideato in Italia e sviluppato in Francia.
Sceglieremo di tenere anche queste tecnologie ‘batteriche’ fuori dai nostri confini, come abbiamo fatto con il nucleare, anche se poi ne siamo circondati e indirettamente lo finanziamo, comprandone l’energia?
Matteo Renzi insorge contro il “multificio” di Firenze: “sto ricevendo decine di email da persone incredule perché, nella mia Firenze, si fanno multe se si supera di un chilometro il limite. Ad esempio: strada a quattro corsie, limite 50, centinaia di multe per chi va a 51 km. Una visione della Pubblica Amministrazione assurda. … questo non è finalizzato a garantire la sicurezza stradale, obiettivo sacrosanto, ma a far cassa a spese delle famiglie.”
Vero e sacrosanto. Specialmente, se si conoscono le norme tecniche dei contachilometri.
Parliamo del regolamento UN/ECE n. 39 che definisce le direttive per l’Europa sia per l’errore minimo ma anche quello massimo di un tachimetro.
In pratica, la velocità indicata sul tachimetro (contachilometri) la velocità indicata dal tachimetro non deve essere mai superiore al 110% + 4km/h della velocità effettiva. Ma questo serve per evitare frodi, derivanti dal credere di andare a 100 all’ora e in realtà la velocità effettiva è di 82 km/h. Non è il nostro caso.
Viceversa, nel nostro caso, quel che conta è l’errore minimo indicato dal regolamento UN/ECE n. 39, che non deve mai essere inferiore alla velocità effettiva del veicolo. Questo per evitare ovvi rischi per la sicurezza stradale, guidando ad una velocità superiore di quanto si creda.
Il punto è che anche un tachimetro – come tutti gli strumenti di misura – ha un margine per la sua precisione e sono mediamente 2-3,5% gli scarti di precisione tra velocità effettiva e quella letta.
In altre parole, una autovettura – magari vecchiotta – potrebbe ritrovarsi anche con uno scarto del 5% tra velocità misurata ed effettiva, cioè andare a 53 km/h credendo di andare a 50 all’ora. E questo è il nostro caso.
E’ corretto multare un automobilista che legge sul contachilometri 49 km/h, ma per l’autovelox va a 51 all’ora, come accade a Firenze? Oppure sarebbe corretto tenere conto della ‘precisione media’ dei tachimetri, come è norma per tutte le misurazioni?
A proposito, la precisione di qualsiasi strumento corrisponde con il più piccolo valore della lunghezza che si riesce a leggere sulla scala. E le tacche dei tachimetri vanno di 5 in 5 chilometri … figuriamoci vedere mentre si guida se sia un millimetro sopra o sotto la tacca dei 50 km/h. Dovrebbe esser facile, vero?
Era il 9 dicembre 2019, quando si incontravano a Parigi Zelenski e Putin, per discutere di pace, con la mediazione del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel. Si arrivava così al cessate il fuoco permanente, completamento dello scambio dei prigionieri, sminamento, apertura di nuovi varchi per i civili lungo la Linea di controllo, arretramento dei militari e dei loro armamenti da altre tre zone “È disgelo, ma non ancora pace”, titolava il giorno dopo Le Figaro, se Putin continuava a confermare tutta la sua arroganza e – dall’altro lato – “a Kiev i dimostranti in piazza lo tenevano d’occhio, per assicurarsi che non concedesse niente ai russi. E quando, qualche settimana prima del vertice, Zelenskiy ha accettato la cosiddetta Formula Steinmeier (una revisione degli Accordi di pace di Minsk, elenco dei passi da compiere per stabilizzare il Donbass), i nazionalisti radicali ucraini lo hanno chiamato traditore.” (fonte ISPI)
Veniva anche previsto un nuovo incontro – a Berlino in primavera – per i nodi più importanti da sciogliere: restituzione all’Ucraina del controllo dei confini, elezioni locali e status futuro delle regioni separatiste, i termini di una reintegrazione del Donbass in Ucraina. Poi la pandemia e non se ne è fatto più nulla.
Così la Russia restava convinta di una minaccia ai suoi confini (e stiamo toccando con mano l’efficienza delle forze ucraine), quando un anno fa – il 31 ottobre 2021 – si concludeva il G20 di Roma con l’accordo sulla decarbonizzazione e l’avvio della transizione ecologica con l’obiettivo emissioni zero “entro o intorno a metà secolo”.
Una pessima notizia per i produttori di petrolio, anche se alcuni (USA e Cina) hanno un forte mercato interno che avrebbe consentito una transizione ‘soft’ e altri tre (Russia, Arabia Saudita, EAU) che – essendone privi – si trovavano alle porte di una recessione ultradecennale, specialmente per la Russia che ha un esercito mastodontico e in territorio enorme con 170 milioni di persone, che i paesi arabi non hanno e non devono sostenere.
Per il gas, invece, c’è una situazione diversa, dato che c’è ha un impatto molto minore del petrolio o del carbone, le emissioni sono più controllabili e filtrabili, solo un produttore – le repubbliche ex sovietiche controllate dalla Russia – è egemone ma comunque non è monopolista e c’è chi ancora lo considera una forma di energia ‘rinnovabile’, come scopriremo alla fine del post.
Pochi lo ricordano, ma venti anni fa la contesa Ucraina-Russia iniziò con la questione dei gasdotti che proprio nel Donbass e dintorni smistano verso l’Europa il gas russo e per l’esercito sovradimensionato ex Patto di Varsavia, che era lì a protezione dei confini … russi verso la Nato.
E durante la pandemia e tutti i guai che ha portato, con Zelenski alle prese con le tensioni interne nazionali e vista la dipendenza europea dal gas russo, non è stato difficile per Putin immaginare di riprendersi gasdotti, porti e fabbriche di avionica tramite una ‘liberazione del Don orientale’, cioè aggiungendo il “Donbass Stream Hub” al Nord Stream 1-2 e South Stream, con l’intento di diventare monopolista energetico verso l’Unione Europea dopo esserlo già verso la Cina.
Una tendenza che gravava diversamente sulle nazioni europee, se prive o meno di grandi porti sull’Atlantico, come vediamo nella mappa, e che solo la Germania (da tempo) aveva sterilizzato portando i fabbisogni di gas per la produzione elettrica sotto il 10%.
La Germania, dunque, dipende da risorse estere solo per il 16% nel caso del gas per la produzione di energia elettrica. Naturalmente il bilancio è diverso nel caso del gas per uso domestico, ma tanto vale ancora di più per le altre nazioni europee. Ma è anche una Germania che dipende per circa il 20% della produzione elettrica dalla Cina, dato che il fotovoltaico è per la maggior parte prodotto lì. Tanto per comprendere le profonde cause dell’attenzione statunitense verso … Formosa.
E, come vediamo dal grafico, il bilancio energetico italiano è drammaticamente diverso da quello tedesco (e francese o olandese): dipendiamo dalle importazioni per circa il 75% a causa della storica (fin dai Savoia) incapacità geopolitica a sfruttare i giacimenti condivisibili con nazioni partner nel Mediterraneo, oltre che nei ritardi nell’innovazione generale e nella diffusione del fotovoltaico.
Ritardi a loro volta dovuti sia alla limitata formazione e dotazione di personale tecnico che c’è in generale in Italia sia all’incapacità delle Amministrazioni competenti (Regioni) di programmare oltre la mera sussistenza sia per lo storico rapporto esistente tra una parte del panorama politico-culturale italiano e la Russia.
Dunque, finora i dati ci hanno raccontano quali interessi muovono le alleanze (o le crisi) tra i 5 principali attori energetici mondiali e quali sia il diverso impatto sulle economie europee delle contro-sanzioni russe.
E, forse, questo accade perchè – mentre trascorrevano anni per arrivare al Protocollo di Roma per la decarbonizzazione – l’astrofisica ha confermato che gli idrocarburi potrebbero essere inesauribili, se esistono non solo su Marte e gli altri pianeti esterni del sistema solare, ma anche sulle comete Halley e Hyakutake, nella polvere cosmica, nelle nebulose e nel gas interstellare. Già nel 2004, la Missione Cassini-Huygens (NASA ed ESA) aveva confermato l’esistenza di abbondanti idrocarburi (metano ed etano) su Titano, un satellite (luna) di Saturno come precedentemente suggerito dall’astrofisico Thomas Gold.
In altre parole gli idrocarburi gassosi potrebbero avere ‘origine abiotica’ anche sulla Terra, cioè provenire dalle sue viscere contaminandosi con batteri nell’attraversare la crosta terrestre ed … essere inesauribili.
Intanto, l’impatto ambientale delle nuove tecnologie per arrivare alla decarbonizzazione è incalcolabile, ma certamente pesante, come lo sarà quello della transizione ‘elettrica’ su economia e consumi, cioè sicurezza, pace, povertà eccetera. Viceversa, l’impatto ambientale, economico e sociale degli idrocarburi sono ben noti, sappiamo che sarebbero ancor più contenibili con tecnologie ibride e politiche ‘a chilometro zero’ e di gas ce ne è davvero tanto. Anche senza la Russia.
E siamo tutti in attesa della ‘fusione nucleare pulita’ in corso di sviluppo in Francia sulla base di scoperte italiane e che risolverebbe all’origine la fornitura di energia industriale e domestica.
E il petrolio? Gli USA dipendono dall’Arabia Saudita, tanto quanto la Cina dipende dalla Russia e le ex repubbliche sovietiche.
E da questo derivano i rischi di una terza guerra mondiale. Specialmente se l’Unione Europea non individuerà una road map ed un mediatore (Mario Draghi?) per convincere i due presidenti a sedersi ad un tavolo: prima della pace ci sono gli armistizi, che a loro volta vengono predisposti mentre la guerra è ancora in corso.
Dopo Sarajevo e Danzica, facciamo che la Storia europea non si ripeta nel Donbass.
Purtroppo, i referendum svoltisi in Donbass somigliano molto a tanti altri che hanno legittimato annessioni e unificazioni negli ultimi 180 anni, con corrispettiva nascita di forme di anti-Stato ancora oggi persistenti. Non vanno legittimati nè per quel che rappresentano oggi nè per quel che comporteranno in futuro.
Ma non perseguire almeno un armistizio, almeno per mettere in sicurezza le centrali nucleari e le popolazioni, come per consentire l’intervento internazionale ed accertare crimini e deportazioni, creando le premesse per una ‘restituzione’ dei territori, oltre ad essere poco giustificabile è proprio il fattore che fa espandere i conflitti.
Paul-Michel Foucault è stato un accademico del Collège de France ed uno dei filosofi francesi che sono passati alla Storia come i ‘cattivi maestri’.
Foucault, infatti, fu uno degli Strutturalisti francesi con Claude Lévi-Strauss, Jacques Lacan, Louis Althusser e Gilles Deleuze, che rifiutavano l’idea che libertà e scelta siano spontanei, ritenendo che l’esperienza e il comportamento umano sono determinati da varie strutture.
Anche se acclamati negli ambienti ‘progressisti’, le loro ipotesi filosofiche degli Strutturalisti si rivelarono campate per aria:
Claude Lévi-Strauss fu confutato scientificamente nel 1967 dallo zoologo Desmond Morris, le cui affermazioni sono confermate dalla genetica di Cavalli Sforza
Jacques Lacan scriveva in un modo incoerente al punto che Martin Heidegger, padre dell’Esistenzialismo ontologico, disse di lui che “questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra”
Louis Althusser propone un “Marxismo strutturalista”, talmente strampalato che il regista Jean-Luc Godard – Le Vent d’Est (1969) – fa strappare al protagonista la sua prefazione a Il Capitale
Gilles Deleuze ipotizzò che mode e folklore potessero elevarsi a “controcultura”, ma i fisici Alan Sokal e Jean Bricmont dimostrarono – Impostures intellectuelles (1997) – l’utilizzo maldestro e incauto che lui fece della matematica e della fisica in alcuni dei libri che lo resero famoso.
Quanto a Paul-Michel Foucault, fu certamente un personaggio geniale, ma – come lui stesso tenne a chiarire – “io non sono un profeta, il mio lavoro è costruire finestre dove una volta c’era solo un muro”.
Purtroppo, se è ‘grazie’ agli Strutturalisti che ancora oggi l’insegnamento delle Scienze nelle scuole italiane è di gran lunga negletto rispetto a quello delle Lettere, l’Umanità tutta deve a Foucault alcuni concetti piuttosto controversi ed ancora molto in voga:
scelta di genere – “la sessualità fa parte della libertà di cui godiamo in questo mondo. La sessualità è qualcosa che creiamo noi stessi – è una nostra creazione, assai più che la scoperta di un aspetto segreto del nostro desiderio”
spettacolarizzazione – “ogni individuo deve condurre la propria vita in modo tale che gli altri possano rispettarlo e ammirarlo”
antagonismo – “le carceri, gli ospedali e le scuole hanno somiglianze perché servono allo scopo principale della civiltà: la coercizione”
In altre parole, tutta la nostra cultura e società è permeata da questi tre assiomi di Foucault (decisamente utili al Potere che lui contesta), senza che siano stati scientificamente dimostrati e – soprattutto – senza che sia considerata la nostra opinione su Foucault e questi tre punti chiave nei rapporti tra gli individui stessi e/o verso le istituzioni.
Proprio quello “contro” cui Foucault si poneva con le sue asserzioni: bella contraddizione a dir poco …
E oggi – 50 anni dopo – possiamo anche toccare con mano a cosa perviene la “società foucaultiana”: ospedali e scuole definanziati insieme alle carceri, gente che rifiuta persino le cure per partito preso, il successo sociale come scopo primario della vita, il sesso che coinvolge persone sempre più giovani, media e partiti più attenti al potere della parola, cioè alle minoranze ‘popolari’ (sui social) piuttosto che alla maggioranza che produce.
Sarebbe ora, dunque, che – come gli altri Strutturalisti – anche Foucault venisse messo in cantina e – prima che sia troppo tardi – iniziassimo ritornare ad una visione scientifica per la sessualità, per l’individuo nella società, per il ruolo funzionale delle istituzioni eccetera.
Il 14 dicembre scorso, l’Unione Europea trovato un accordo sul nuovo regolamento per le infrastrutture energetiche Ue (TEN-E).
L’accordo esclude dal sostegno i nuovi progetti di gas naturale e petrolio, che non saranno finanziati dalla Connecting Europe Facility, e mira ad «un futuro verde e climaticamente neutro che garantirà efficienza, competitività e sicurezza degli approvvigionamenti senza lasciare nessuno indietro».
Oltre ad accontentare le richeste delle nazioni più esposte (Italia e Spagna), che chiedono scorte comuni, la riforma del mercato del gas riguarda alla decarbonizzazione del settore e i consumatori.
Riguardo la decarbonizzazione, si prevede lo sviluppo delle tecnologie ad idrogeno e e dei gas rinnovabili , ma anche del diritto di consumare, immagazzinare e vendere gas rinnovabile autoprodotto.
Riguardo i consumatori, l’obiettivo è quello di riconoscere più trasparenza delle bollette e forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli, ma soprattutto la partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini.
L’idrogeno e i gas rinnovabili si ‘ricavano’ dall’acqua e dai rifiuti, il risparmio energetico lo ‘fanno’ l’efficienza delle reti e degli edifici, la “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” avviene tramite enti e società.
E l’Italia? Tutte questioni d’ordine ‘costituzionale’, visti i poteri e le esclusività che Stato, Regioni e Comuni si sono riservati verso il popolo sovrano.
Ma sapendo che l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”, sarà arrivata anche in Italia l’ora che la Politica restituisca al mercato (e agli ingegneri e ai cittadini) l’energia e i rifiuti, pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua) ed a tutelare chi si trova nel bisogno non solo con sussidi ma anche con opportunità?
La decarbonizzazione mira allo sviluppo delle tecnologie con gas rinnovabili, a partire dall’idrogeno, e muta radicalmente il mercato energetico, in quanto questa innovazione porta alla autoproduzione o autogestione, quanto meno come comunità di cittadini e come network di produttori.
Ma come si produce l’idrogeno? Ebbene, le possibilità sono tante: l’idrogeno può essere prodotto tramite diversi processi ed utilizzando anche apparati relativamente piccoli.
Ad esempio, si produce idrogeno (o gas rinnovabile) dai rifiuti organici tramite processi termochimici, come la gassificazione della biomassa, che è un percorso tecnologico ormai standardizzato per convertire la biomassa in idrogeno e altri prodotti, senza combustione, per poi ottenere energia elettrica. Interventi su vasta scala in Cina e nel Nord Europa dimostrano che l’uso dei generatori a biomassa consente il raggiungimento dell’autonomia energetica in comunità rurali anche di 10-15mila abitanti, oltre che qualche posticino in più di lavoro (qualificato e non). Ve ne sono anche versioni ‘condominiali’.
Ma – soprattutto – l’idrogeno viene prodotto dall’acqua tramite processi elettrolitici, come l’elettrolisi già ben sviluppata e disponibile commercialmente, tramite l’energia solare e i semiconduttori specializzati in via di sviluppo, e anche tramite processi biologici con batteri e alghe in sperimentazione. Oltre all’idrogeno, l’elettrolisi produce ossigeno e – tramite apposite celle per la CO2 – pietra calcarea da costruzione.
Il mercato è ormai pronto al salto tecnologico e l’Ansa già due anni fa ha annunciato che l’installazione a Yokohama (Giappone) di un sistema SimpleFuel per generare idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua, “in grado di produrre sino a 8,8 kg di combustibile ecologico al giorno che viene pressurizzato e stoccato in bombole alloggiate all’interno dello stesso distributore”, tramite l’energia generata dai pannelli fotovoltaici sistemati sul tetto. Nel 2020 ne è stata installato un altro a Washington DC; ambedue le stazioni sperimentali funzionano regolarmente.
Importando l’Italia una quantità spropositata di energia (tra gas, petrolio ed elettricità), che puntualmente grava sul nostro debito pubblico e privato, anziché sostenere impresa e occupazione, quanto sarebbe utile investire di più in ricerca, ingegneri e impiantistica e quanto farlo ora?
Inoltre, se i risultati della decarbonizzazione sono in prospettiva ben chiari, l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”: in Italia è arrivata l’ora che Stato, Regioni e Comuni ripensino il mercato di energia e rifiuti, che le nuove tecnologie ed un maggiore rispetto per l’ambiente restituiscono ai privati (es. agricoltori e installatori) e alle comunità (es. condomini e rioni), pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua e la sicurezza/salute) ed a tutelare chi ha bisogno di un sussidio?
Eleonora Brigliadori – intervistata per ADN Kronos riguardo i vaccini, in particolare quello anti-Covid – ha dichiarato che “una volta che un genitore avrà dovuto subire questo vaccino, porterà le degenerazioni del genoma alle generazioni successive”. Anzi, “nel momento in cui metteranno l’obbligo di questo vaccino, non solo si vedranno gli effetti collaterali e molti moriranno dopo la prima somministrazione, ma si assisterà all’inizio dell’apocalisse degenerativa dell’umanità“.
Non sappiamo se la nota attrice e conduttrice televisiva abbia competenze medico-scientifiche, il suo curriculum non riporta alcuna laurea o diploma, quel che è certo è che a 17 anni era già in televisione come come telefonista di Portobello, programma della Rai condotto da Enzo Tortora.
In realtà, i vaccini per il Covid-19 non vanno a «riprogrammare il sistema immunitario», ma – come tutti i vaccini – hanno lo scopo di «simulare un’infezione naturale per innescare una risposta immunitaria più potente, potenzialmente in grado di proteggere dall’infezione del nuovo coronavirus», come è ben precisato nelle autorizzazioni per le sperimentazioni. Chi avesse dubbi, prenda atto che i figli delle persone vaccinate negli ultimi 100 anni NON ereditano le immunità acquisite dai genitori.
Quanto a “molti moriranno dopo la prima somministrazione“, la questione è ancora più semplice: a che percentuale equivale ‘molti’? Più della metà della popolazione (50%) verrà uccisa dal vaccino, secondo Eleonora Brigiadori e i negazionisti? Oppure ‘molti’ equivale al 10-20%? O forse ‘molti’ sono l’1% o anche meno? No. Per chi si batte contro i vaccini, ‘molti’ è già lo 0,000001%, come per gli episodi di encefalite o reazione allergica severa del vaccino trivalente (morbillo, rosolia, parotite). Ovviamente, i decessi sono ancor meno … e bene sapersi che lo 0,000001% equivale a 60 casi in tutta Italia.
Eleonora Brigliadori, anche se non è un medico nè uno scienziato e non avesse una laurea o un diploma, a diritto ad avere delle opinioni, ma l’opinione non è altro che “l’interpretazione di un fatto o la formulazione di un giudizio in corrispondenza di un criterio soggettivo e personale“. L’opinione – per definizione – non è oggettiva nè collettiva, addirittura può essere una fantasia tanto quanto una credenza.
Dunque, a cosa servono le ‘opinioni personali’ e quale persona di buon senso sceglierebbe il proprio futuro in base ad una opinione?
Piuttosto, qualcuno ricorda che nel 2021 ricorrerà l’anniversario della prima edizione di “Public Opinion” in cui Walter Lippmann, approfondiva e sviluppava tutta la questione? Ed a chi di noi sembrano bastanti le attuali ore di lezione di Scienze dalla scuola primaria alle medie, se tra la popolazione non sono diffuse neanche le più elementari informazioni su vaccini e vaccinazioni?
Oggi, Cittadinanza Attiva Lazio ha chiesto al governatore Zingaretti di “mettere sotto controllo tutta la filiera dell’accesso alle prestazioni sanitarie” e di “rendere effettivi e ripetuti nel tempo i monitoraggi, le verifiche e le ispezioni nei territori riguardo l’applicazione delle norme regionali, delle strutture accreditate, dei servizi sociosanitari. Il tema del monitoraggio, della verifica è un dovere che spetta alle ASL in prima battuta e, in caso di inerzia, alla Regione Lazio. Nessuno si può tirare fuori da questo percorso di verifica.”
Intanto, mancano una 60ina di giorni alla riapertura delle scuole italiane, da una 60ina di giorni dovevano essere ripartiti i servizi sanitati ‘ordinari’ e ci saranno le elezioni regionali a breve. L’Italia sarà pronta?
Per saperlo, basta vedere cosa accade nelle altre nazioni e … leggere le ‘spiegazioni’ riportate in fondo.
L’ultimo bilancio dell’epidemia di covid-19 in Brasile parla di nuovi 1.223 morti e 4.4571 casi positivi in 24 ore. Bolsonaro – a peggiorare le cose – ha confermato il veto presidenziale alla legge per garantire l’accesso ai letti di terapia intensiva, ai prodotti per l’igiene, alla distribuzione di cibo anche per la popolazione indigena”.
Nello stato andino del Perù lunedì ci sono state 2.985 nuove infezioni e 183 morti. Più di due terzi della popolazione attiva sono impiegati nel settore informale, vale a dire l’economia sommersa. Quindi la gente è tornata a pulire le scarpe, a lavare le auto e ad andare dai venditori ambulanti troppo presto. Lo stesso in Cile, Colombia e Cuba, dove organizzazioni non governative di tutto il mondo stanno inviando aiuti .
Il Messico ha toccato un nuovo record di contagi giornalieri, con 6.995 nuovi casi di covid-19 nelle ultime 24 ore. Nei vicini USA balzo dei casi di coronavirus in Oklahoma, che lunedì ha registrato 261 nuovi casi di coronavirus a Tulsa, la città dell’ dove Donald Trump ha tenuto un comizio lo scorso 20 giugno. “Negli ultimi due giorni abbiamo avuto quasi 500 casi e sappiamo che ci sono stati diversi grandi eventi poco più di due settimane fa”, afferma Bruce Dart, il direttore del Dipartimento della Salute.
L’India ha visto recentemente una serie di picchi record, aggiungendo decine di migliaia di casi ogni giorno. Ha registrato la maggior parte dei casi a giugno, a poche settimane dalla riapertura dopo un rigido blocco. Il governo ha condotto un campione casuale di 26.000 indiani a maggio, dimostrando che lo 0,73% aveva il virus. Dato che i casi confermati in India sono raddoppiati ogni 20 giorni, ciò porterebbe il totale attuale tra 30 e 40 milioni. Aumenta il bilancio anche in Bangladesh, dove, secondo i dati riportati dal Dhaka Tribune, sono stati registrati 3.307 nuovi casi di contagio, per un totale di 175.494 casi ufficiali dall’inizio della pandemia.
I Balcani non sono mai stati sullo schermo radar, ma la situazione sta peggiorando in paesi come la Serbia. Di recente sono state segnalate più di 300 nuove infezioni ogni giorno. La politica ha contribuito al rapido aumento, consentendo eventi di massa come partite di calcio con 15.000 spettatori a Belgrado. La politica incoerente del presidente serbo Aleksandar Vucic per combattere la pandemia ha scatenato disordini nel centro della capitale, Belgrado, per la seconda volta di seguito.
Nella Macedonia settentrionale , la situazione è grave da giugno. Nel piccolo paese con solo due milioni di abitanti, sono state segnalate tra le 80 e le 170 nuove infezioni al giorno. Tuttavia, le elezioni generali si terranno il 15 luglio. Anche nella vicina Bulgaria, il numero di nuove infezioni è salito alle stelle dall’inizio di giugno. Lo sviluppo è simile in Bosnia Erzegovina, Kosovo e Albania.
La Turchia conta 1.024 contagi registrati nelle ultime 24 ore su 50.103 test effettuati. In Croazia , il tasso di infezione giornaliero è aumentato rapidamente dal 25 giugno. La pandemia era precedentemente considerata contenuta. Le regioni turistiche dell’Istria e la costa dalmata sono molto meno colpite. La scorsa settimana, il numero di infezioni giornaliere era compreso tra 50 e 100.
Lunedì scorso è stato il campanello d’allarme per Israele: 1057 nuove infezioni hanno scosso il paese con circa nove milioni di abitanti. Israele aveva reagito rapidamente all’inizio della pandemia e il processo era inizialmente mite. Dopo aver allentato a maggio, tuttavia, si è verificato un forte scoppio di infezioni. Il governo è ora severamente criticato per essere lassista.
L’Algeria registra altri 460 nuovi casi di coronavirus nelle ultime 24 ore, che portano a 17.804 il bilancio totale dei contagiati nel Paese nordafricano. La Tunisia ha protratto il lock down fino alla settimana scorsa e registra un basso numero di contagi.
In Egitto, 1.025 nuovi casi di contagio, il governo sta cercando di reprimere con gli arresti le critiche dei medici e dei giornalisti che condannano la gestione della crisi sanitaria da parte del presidente Abdel Fattah al-Sisi. In Marocco, 242 nuovi casi ufficiali e il regno riaprirà le sue frontiere per via aerea e marittima solo a partire dal 15 luglio.
Intanto, nei paesi dove la prima ondata di Coronavirus sembrava estinta, ci si prepara alla seconda.
In Giappone, dove si erano limitati i danni all’esordio della pandemia, l’esecutivo “monitorerà attentamente lo stato delle infezioni a livello regionale” e il portavoce del governo giapponese, Yoshihide Suga ha confermato che nella sola Tokyo sono stati registrati 224 nuovi contagi nelle ultime 24 ore, l’80% dei quali in pazienti sui 30 anni o di età più giovane.
La Corea del Sud ha riferito 38 nuovi casi collegati a riunioni nelle strutture religiose di Daejeon e Gwangju e il governo ha deciso di mettere in atto regole restrittive di distanziamento sociale nelle chiese, in vigore da venerdì.
Con uno dei blocchi più severi al mondo, il Sudafrica era riuscita a rallentare la diffusione della pandemia dalla fine di marzo. Ma a causa della pressione dell’economia, i coprifuoco sono stati parzialmente allentati all’inizio di giugno, nonostante il crescente numero di infezioni. Ma lunedì si sono contate 10.000 nuove infezioni in 24 ore.
La seconda città più grande dell’Australia , Melbourne, è di nuovo in un blocco di sei settimane a causa di un aumento delle infezioni. La capitale dello stato di Victoria, che conta circa cinque milioni di abitanti, ha riaperto l’economia dall’inizio di giugno. Martedì, le autorità sanitarie hanno confermato 191 nuove infezioni, uno dei più alti aumenti in un giorno in Australia. Anche se il coprifuoco colpisce l’area metropolitana di Melbourne, praticamente l’intero stato del Victoria è isolato dal resto del paese, poiché anche i confini dello stato sono chiusi a mezzanotte.
La Corea del Nord è uno dei pochi paesi che ha riferito di “nessun caso” di infezione da COVID-19 e il leader Kim Jong Un della scorsa settimana ha annunciato il “brillante successo” del governo nel gestire la pandemia, perchè ha chiuso i suoi confini alla fine di gennaio.
In realtà, “poiché la Corea del Nord ha sofferto di incessanti epidemie, le persone hanno costruito una immunità mentale. Non che siano immuni biologicamente, ma i continui anni di epidemie li hanno resi insensibili al timore.”
E qualcosa di simile potrebbe essere accaduto in qualunque delle nazioni dove la Sanità è autoreferenziale e fine a se stessa.
I vertici della Medicina mondiale avevano sempre ribadito il Covid-19 non è aerobico, cioè non si trasmette per via aerea se non in condizioni estreme, da ultimo in un documento del 29 giugno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Questo il motivo per le resistenze dei vertici sanitari mondiali verso l’uso generalizzato delle mascherine come quello nel riconoscere le polveri sottili dell’inquinamento come vettore dell’infezione oppure nel focalizzarsi sul distanziamento e quasi solo quello.
Era già accaduto con le mascherine e la protezione degli altri da se stessi, ampiamente dimostrata, ma per le PM10 e PM2 il fatto che siano particelle ‘umide’ cioè goccioline d’acqua sospese nell’aria ancora sembra non dire nulla alle maggiori istituzioni mediche.
Dunque, sono serviti mesi ai fisici e agli ingegneri come ai medici ricercatori per raccogliere sufficienti prove per dimostrare l’approccio errato alla trasmissione dei contagi che dura da oltre sei mesi.
Ieri, la autorevole Oxford Academic nella sezione Clinical Infectious Diseases ha pubblicato una prima lettera di 239 scienziati da 32 paesi diversi che chiedono all’OMS di rivedere le sue raccomandazioni, tra loro il professor Gianluigi de Gennaro della Facoltà Medica di Bari.
È arrivata l’ora di dedicarsi alla trasmissione del COVID-19 per via aerea, questo il titolo della pubblicazione.
“Siamo preoccupati per la mancanza di riconoscimento del rischio di trasmissione aerea di COVID-19 e per la mancanza di raccomandazioni chiare sulle misure di controllo contro il virus aereo, con conseguenze significative: le persone possono pensare di essere completamente protette aderendo alle correnti raccomandazioni, ma in effetti sono necessari ulteriori interventi per ridurre ulteriormente rischio di infezione aerea.
La questione è ora di grande importanza, quando i paesi riapriranno a seguito dei lockdown, riportando le persone nei luoghi di lavoro e gli studenti nelle scuole, nei college e nelle università.”
“Lavare delle mani e distanziarsi sono appropriati, ma a nostro avviso insufficienti a fornire protezione alle vie respiratorie dai microdroplet portatori di virus, rilasciati nell’aria da persone infette. Questo problema è particolarmente acuto in ambienti chiusi, in particolare quelli affollati e con ventilazione inadeguata, in relazione al numero di occupanti e ai tempi di presenza prolungati”.
“Le misure che dovrebbero essere prese per mitigare il rischio di trasmissione aerea comprendono: Fornire una ventilazione sufficiente ed efficace (fornire aria esterna pulita, ridurre al minimo ricircolo dell’aria) in particolare negli edifici pubblici, negli ambienti di lavoro, nelle scuole, ospedali e case di cura per anziani. Integrare la ventilazione generale con i controlli delle infezioni nell’aria come lo scarico locale, filtrazione dell’aria ad alta efficienza e luci ultraviolette germicide. Evitare il sovraffollamento, in particolare nei trasporti pubblici e negli edifici pubblici.”
Dunque, come alcuni tecnici del settore scolastico avevano previsto, il parametro per la riapertura delle scuole non potrà più essere il ‘metro di distanza bocca-bocca”, ma Comuni, Regioni e Scuole dovranno riferirsi alla cubatura indicata dal Rapporto del Politecnico di Torino (circa 4 metri quadrati per alunno) e alle raccomandazioni per una areazione ottimale delle aule del Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità?
Come riporta il New York Times, “il virus ristagna nell’aria umida degli ambienti chiusi, raggiungendo una carica virale adeguata ad infettare chi è vicino.
Se la trasmissione aerea è un fattore significativo nella pandemia, specialmente in spazi affollati con scarsa ventilazione, le conseguenze per il contenimento saranno significative.
I sistemi di ventilazione nelle scuole, nelle case di cura, nelle residenze e nelle aziende potrebbero dover minimizzare il ricircolo dell’aria e aggiungere nuovi filtri efficaci. Le luci ultraviolette potrebbero essere necessarie per uccidere le particelle virali che galleggiano in minuscole goccioline all’interno dei locali.
Le maschere potrebbero essere necessarie al chiuso, anche in ambienti socialmente distanziabili.
Inoltre, gli operatori sanitari avranno bisogno di maschere N95 che filtrano anche le più piccole goccioline respiratorie mentre si prendono cura dei pazienti.”
Non si può avere idea oggi di cosa sia stato allora.
Prima dell’orma di Louis Armostrong, “volere la Luna” era come dichiararsi pazzo alla stregua di Ariosto e da allora in poi “volere la luna” … ce lo siamo ritrovato nelle orazioni e nelle manifestazioni sociali come fosse un diritto universale.
Tutta colpa di quel giovanotto irlandese che al Rice Stadium di Houston, in Texas, il 12 settembre 1962 annunciò alla folla sbalordita che sarebbero andati sulla Luna: si chiamava John Fitzgerald Kennedy ed era un liberale.
“We choose to go to the Moon! We choose to go to the Moon…We choose to go to the Moon in this decade and do the other things, not because they are easy, but because they are hard; because that goal will serve to organize and measure the best of our energies and skills, because that challenge is one that we are willing to accept, one we are unwilling to postpone, and one we intend to win, and the others, too.”
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