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L’ineluttabile fine di ogni Autocrazia (e putinismo)

13 Nov

L’ideologo nazionalista russo Aleksandr Dugin ha pubblicato su Telegram un post poi rimosso e infine disconosciuto dallo stesso filosofo, la cui figlia è stata assassinata ad agosto in un attentato di cui i russi accusano i servizi ucraini.

Una schietta, dura, amara riflessione su come vadano a finire inevitabilmente (male) le Autocrazie.

“Il potere è responsabile di questo. Che senso ha l’autocrazia, che è quello che abbiamo?

Diamo al Sovrano la pienezza assoluta del potere e lui ci salva tutti, il popolo, lo Stato, la gente, i cittadini, in un momento critico.

Se per farlo si circonda di schifezze o sputa sulla giustizia sociale, è spiacevole, ma lo fa solo per salvarci. E se non lo fa?

Se non lo fa, il suo destino è quello del Re della pioggia”. (ndr. che viene ucciso perché non è riuscito a portare la pioggia durante la siccità: per punizione, gli viene gli viene squarciato lo stomaco”)

L’autocrazia ha un lato negativo: la totalità del potere nel successo, ma anche la totalità della responsabilità nel fallimento. Kherson non si è quasi arresa, si è arresa del tutto.

Voi sapete per chi è il colpo. E non saranno più le pubbliche relazioni a salvare la situazione. In una situazione critica le tecnologie politiche non funzionano affatto.
Oggi la storia parla. E dice parole terribili per noi”.

Il post è stato poi rimosso – come riporta Huffington Post – e Dugin ha patriotticamente precisato che “nessuno ha voltato le spalle a Putin. La Russia e Putin non capitoleranno mai”.

Ma questo non alleggerisce il ‘peso’ di queste sue riflessioni come ideologo della Destra nazionalista che ripudia l’autocrazia e, più in generale, la leadership “dell’uomo solo al comando”.
Vedremo quali saranno le ripercussioni sui partiti di Destra e più in generale populisti’, specialmente quelli che sono incentrati sulla personalità del leader – talvolta anche per statuto e spesso per propaganda elettorale.

Demata

Berlusconi: la vodka di Putin viola le sanzioni

20 Ott

Dalla Germania arriva la notizia (LINK) che la vodka di Vladimir Putin regalata a Silvio Berlusconi violerebbe le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia.

Infatti, nell’aprile 2022 è stato deciso di estendere il divieto di importazione di merci dalla Russia all’UE per includere gli alcolici, compresa la vodka, senza prevedere eccezioni per i regali.

La notizia è stata confermata da un portavoce della Commissione europea, che – però – non esamina i singoli casi e sarebbero le autorità in Italia devono determinare chi è responsabile della presunta violazione delle sanzioni, dopo l’audio in cui Berlusconi avrebbe detto che Putin gli ha inviato 20 bottiglie di vodka per il suo compleanno.

“In una registrazione di un discorso segretamente registrato da Berlusconi, il politico, che ha compiuto 86 anni il 29 settembre, ha affermato di essere stato nuovamente in contatto con il boss del Cremlino e di averlo descritto come uno dei suoi cinque migliori amici.

Nella registrazione audio, l’ex presidente del Consiglio, di cui Forza Italia vuole formare il futuro governo come piccolo partner di una coalizione di destra, ha detto: “Ho ripreso un po’, un po’ tanto i rapporti con il presidente Putin, quindi ha mi ha regalato 20 bottiglie di vodka per il mio compleanno e una dolcissima lettera”.

Gli Stati membri sono responsabili dell’attuazione delle sanzioni dell’UE.

Fonte Suddeutsche Zeitung © dpa-infocom, dpa:221020-99-189788/6

La fine della guerra: una scadenza a Mid Term?

12 Ott

Ormai un po’ tutti abbiamo imparato che le sanzioni possono essere un atto ostile e non solo commercio e diplomazia: non proprio come dichiarare guerra, ma qualcosa che la avvicina. E ricordiamo tutti le minacce – poi avveratesi – che volavano tra Putin, Zelenski e Biden per via del Donbass, come era stato per Danzica e Sarajevo.

Otto mesi dopo la conta dei danni è enorme.
Il commercio internazionale è devastato, a partire dal prezzo del gas alle stelle e di petrolio se ne produce meno. La ripresa economica conseguente alla ripartenza del complesso industrial-militare è tutta da venire, anzi sembra manchino le munizioni. L’Unione Europea è stravolta dalle sue stesse sanzioni e dal conseguente deficit di energia. L’Ucraina e Kiev richiederanno una generazione per essere ricostruite. Il popolo russo dovrà affrontare per lungo tempo l’impoverimento causato dalle scelte di Putin.
E Joe Biden?

Innanzitutto, c’è che alle sanzioni Nato hanno aderito pienamente solo gli europei, i giapponesi e nazioni non di primo piano.
A parte la Cina, si sono chiamate fuori India, Brasile, Messico, i vari potentati arabi eccetera. E’ un fattore che conterà non per la guerra – lontana ai confini dell’Europa – ma per l’economia, cioè sulle Elezioni di Mid Term del mese prossimo.

Infatti, oltre all’inflazione, i prezzi del carburante sono tornati a salire, dopo la decisione dell’Arabia Saudita e dei Paesi Opec di ridurre la produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno, che proprio Jeo Biden aveva tentato di scongiurare, incontrando  il principe saudita Bin Salman, quello accusato dall’ONU di essere responsabile dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Poi, c’è che la già scarsa popolarità di Biden si è accresciuta, mentre quella di Trump tiene alla distanza e c’è il senatore repubblicano Marco Rubio, la stella delle generazioni più giovani.
Intanto, la popolarità di Joe Biden potrebbe crollare in un istante, travolgendo le elezioni di Mid Term e con loro i Democratici.

Infatti, secondo quanto riporta il Washington Post, sarebbe già stati inviati al giudice i fascicoli di Hunter Biden (link)  con le prove per incriminarlo riguardo i suoi affari non solo  nella società ucraina Burisma (link), come si credeva all’inizio, ma anche con la CEFC China Energy (link), “specialmente alla luce di un messaggio di testo che invia al suo socio in affari Tony Bobulinski il 1 maggio 2017” (link).

La fine della guerra tra Russia e Ucraina?
Bisognerà attendere le elezioni di Mid Term statunitensi e … manca ancora un mese.

Demata

Ponte di Crimea: un nuovo livello di conflitto

9 Ott

Tre persone sono morte a causa dell’attentato al ponte stradale e ferroviario di Kerch che collega Russia e Ucraina: dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale.

I tre morti sono il conducente del camion esploso mentre sulla piattaforma ferroviaria era in transito un treno carico di combustibile e due persone a bordo di un’autovettura che lo stava sorpassando,

L’esplosione del camion di per se avrebbe causato danni modesti al piano stradale del ponte: è stata la sincronizzazione con il transito del treno (a sua volta esploso) a causare il collasso parziale della struttura.

Il camion trasportava pellet, proveniva dal territorio russo (Krasnodar), sarebbe stato ispezionato almeno in un check point russo e si ritiene che il conducente non fosse consapevole di cosa trasportasse effettivamente.

Se le fonti ucraine della prima ora (Ukrainska Pravda,  Unian) riportano l’attentato ad un’operazione speciale dei servizi segreti di Kiev (Sbu), Mykhailo Podoliak – Capo di Gabinetto di Zelenski – punta il dito verso un “conflitto fra forze di sicurezza russe” che “si sta intensificando” e sta andando “fuori dal controllo del Cremlino”.

Fatto sta che l’Ucraina garantiva i collegamenti con la Crimea solamente via traghetto, prima della costruzione del Ponte di Kerck da parte della Russia, come fosse un’isola e non una penisola.

Dunque, sarebbe davvero paradossale che proprio l’Ucraina vada a far saltare quel ponte, se poi vuol chiedere la restituzione di quel che c’è dall’altro lato.

Intanto, a prescindere da chi ne sia il mandante, l’attentato al ponte di Kerch è un duro colpo per tutti e non solo per la macchina bellica di Putin o per la restituzione della Crimea all’Ucraina.

Dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari, dopo la giornalista Darya Dugina uccisa per colpire il padre e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale: oggi in Crimea e domani dove?

Questo è il livello di conflitto raggiunto tra Ucraina e Russia, senza parlare dell’incubo nucleare.
Serve una moratoria per un armistizio.

Demata

Donbass: una guerra per l’energia in 7 grafici (commentati)

3 Ott

Era il 9 dicembre 2019, quando si incontravano a Parigi Zelenski e Putin, per discutere di pace, con la mediazione del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel.
Si arrivava così al cessate il fuoco permanente, completamento dello scambio dei prigionieri, sminamento, apertura di nuovi varchi per i civili lungo la Linea di controllo, arretramento dei militari e dei loro armamenti da altre tre zone
È disgelo, ma non ancora pace”, titolava il giorno dopo Le Figaro, se Putin continuava a confermare tutta la sua arroganza e – dall’altro lato – “a Kiev i dimostranti in piazza lo tenevano d’occhio, per assicurarsi che non concedesse niente ai russi. E quando, qualche settimana prima del vertice, Zelenskiy ha accettato la cosiddetta Formula Steinmeier (una revisione degli Accordi di pace di Minsk, elenco dei passi da compiere per stabilizzare il Donbass), i nazionalisti radicali ucraini lo hanno chiamato traditore.” (fonte ISPI)

Veniva anche previsto un nuovo incontro – a Berlino in primavera – per i nodi più importanti da sciogliere: restituzione all’Ucraina del controllo dei confini, elezioni locali e status futuro delle regioni separatiste, i termini di una reintegrazione del Donbass in Ucraina. 
Poi la pandemia e non se ne è fatto più nulla.

Così la Russia restava convinta di una minaccia ai suoi confini (e stiamo toccando con mano l’efficienza delle forze ucraine), quando un anno fa – il 31 ottobre 2021 – si concludeva il G20 di Roma con l’accordo sulla decarbonizzazione e l’avvio della transizione ecologica con l’obiettivo emissioni zero “entro o intorno a metà secolo”.

Una pessima notizia per i produttori di petrolio, anche se alcuni (USA e Cina) hanno un forte mercato interno che avrebbe consentito una transizione ‘soft’ e altri tre (Russia, Arabia Saudita, EAU) che – essendone privi – si trovavano alle porte di una recessione ultradecennale, specialmente per la Russia che ha un esercito mastodontico e in territorio enorme con 170 milioni di persone, che i paesi arabi non hanno e non devono sostenere.

Per il gas, invece, c’è una situazione diversa, dato che c’è ha un impatto molto minore del petrolio o del carbone, le emissioni sono più controllabili e filtrabili, solo un produttore – le repubbliche ex sovietiche controllate dalla Russia – è egemone ma comunque non è monopolista e c’è chi ancora lo considera una forma di energia ‘rinnovabile’, come scopriremo alla fine del post.

Pochi lo ricordano, ma venti anni fa la contesa Ucraina-Russia iniziò con la questione dei gasdotti che proprio nel Donbass e dintorni smistano verso l’Europa il gas russo e per l’esercito sovradimensionato ex Patto di Varsavia, che era lì a protezione dei confini … russi verso la Nato.

E durante la pandemia e tutti i guai che ha portato, con Zelenski alle prese con le tensioni interne nazionali e vista la dipendenza europea dal gas russo, non è stato difficile per Putin immaginare di riprendersi gasdotti, porti e fabbriche di avionica tramite una ‘liberazione del Don orientale’, cioè aggiungendo il “Donbass Stream Hub” al Nord Stream 1-2 e South Stream, con l’intento di diventare monopolista energetico verso l’Unione Europea dopo esserlo già verso la Cina.

Una tendenza che gravava diversamente sulle nazioni europee, se prive o meno di grandi porti sull’Atlantico, come vediamo nella mappa, e che solo la Germania (da tempo) aveva sterilizzato portando i fabbisogni di gas per la produzione elettrica sotto il 10%.

La Germania, dunque, dipende da risorse estere solo per il 16% nel caso del gas per la produzione di energia elettrica. Naturalmente il bilancio è diverso nel caso del gas per uso domestico, ma tanto vale ancora di più per le altre nazioni europee.
Ma è anche una Germania che dipende per circa il 20% della produzione elettrica dalla Cina, dato che il fotovoltaico è per la maggior parte prodotto lì. Tanto per comprendere le profonde cause dell’attenzione statunitense verso … Formosa.

E, come vediamo dal grafico, il bilancio energetico italiano è drammaticamente diverso da quello tedesco (e francese o olandese): dipendiamo dalle importazioni per circa il 75% a causa della storica (fin dai Savoia) incapacità geopolitica a sfruttare i giacimenti condivisibili con nazioni partner nel Mediterraneo, oltre che nei ritardi nell’innovazione generale e nella diffusione del fotovoltaico.

Ritardi a loro volta dovuti sia alla limitata formazione e dotazione di personale tecnico che c’è in generale in Italia sia all’incapacità delle Amministrazioni competenti (Regioni) di programmare oltre la mera sussistenza sia per lo storico rapporto esistente tra una parte del panorama politico-culturale italiano e la Russia.

Dunque, finora i dati ci hanno raccontano quali interessi muovono le alleanze (o le crisi) tra i 5 principali attori energetici mondiali e quali sia il diverso impatto sulle economie europee delle contro-sanzioni russe.

E, forse, questo accade perchè – mentre trascorrevano anni per arrivare al Protocollo di Roma per la decarbonizzazione – l’astrofisica ha confermato che gli idrocarburi potrebbero essere inesauribili, se esistono non solo su Marte e gli altri pianeti esterni del sistema solare, ma anche sulle comete Halley e Hyakutake, nella polvere cosmica, nelle nebulose e nel gas interstellare.
Già nel 2004, la Missione Cassini-Huygens (NASA ed ESA) aveva confermato l’esistenza di abbondanti idrocarburi (metano ed etano) su Titano, un satellite (luna) di Saturno come precedentemente suggerito dall’astrofisico Thomas Gold.

In altre parole gli idrocarburi gassosi potrebbero avere ‘origine abiotica’ anche sulla Terra, cioè provenire dalle sue viscere contaminandosi con batteri nell’attraversare la crosta terrestre ed … essere inesauribili.

Intanto, l’impatto ambientale delle nuove tecnologie per arrivare alla decarbonizzazione è incalcolabile, ma certamente pesante, come lo sarà quello della transizione ‘elettrica’ su economia e consumi, cioè sicurezza, pace, povertà eccetera.
Viceversa, l’impatto ambientale, economico e sociale degli idrocarburi sono ben noti, sappiamo che sarebbero ancor più contenibili con tecnologie ibride e politiche ‘a chilometro zero’ e di gas ce ne è davvero tanto. Anche senza la Russia.

E siamo tutti in attesa della ‘fusione nucleare pulita’ in corso di sviluppo in Francia sulla base di scoperte italiane e che risolverebbe all’origine la fornitura di energia industriale e domestica.

E il petrolio?
Gli USA dipendono dall’Arabia Saudita, tanto quanto la Cina dipende dalla Russia e le ex repubbliche sovietiche.

E da questo derivano i rischi di una terza guerra mondiale.
Specialmente se l’Unione Europea non individuerà una road map ed un mediatore (Mario Draghi?) per convincere i due presidenti a sedersi ad un tavolo: prima della pace ci sono gli armistizi, che a loro volta vengono predisposti mentre la guerra è ancora in corso.

Dopo Sarajevo e Danzica, facciamo che la Storia europea non si ripeta nel Donbass.

Purtroppo, i referendum svoltisi in Donbass somigliano molto a tanti altri che hanno legittimato annessioni e unificazioni negli ultimi 180 anni, con corrispettiva nascita di forme di anti-Stato ancora oggi persistenti. Non vanno legittimati nè per quel che rappresentano oggi nè per quel che comporteranno in futuro.

Ma non perseguire almeno un armistizio, almeno per mettere in sicurezza le centrali nucleari e le popolazioni, come per consentire l’intervento internazionale ed accertare crimini e deportazioni, creando le premesse per una ‘restituzione’ dei territori, oltre ad essere poco giustificabile è proprio il fattore che fa espandere i conflitti.

Demata

Armi nucleari tattiche: cosa c’è da sapere

22 Set

Le armi nucleari tattiche (TNW) sono una sottocategoria di armi nucleari non strategiche, che si distinguono per:

  • una portata limitata, cioè colpiscono entro un raggio di 500 km
  • una potenza limitata (kilotoni, kt), cioè pari o inferiori a quella di Hiroshima (15 kt) e Nagasaki 21 kt)
  • una capacità di devastare n’area specifica senza causare ricadute radioattive estese.

Una bomba nucleare tattica da 6 kilotoni (come quelle sperimentate dalla Corea del Nord nel 2009) causa:

  1. una ‘palla di fuoco’ (fireball) larga 120-150 metri
  2. radiazioni letali nel raggio di circa un chilometro
  3. ustioni di 3 grado, radiazioni e distruzione in un diametro di 3-4 chilometri

In caso di vento la ricaduta radioattiva si estenderebbe di 2-5 volte nella sua direzione. Facendole esplodere sul fondale di un porto o di una baia o un fiume, si scatenerebbe un mini-tsunami, distruggendo tutto nel raggio di circa un chilometro.

In altre parole, un’arma tattica nucleare è pensata per distruggere una fortezza o una colonna militare, come anche può devastare un porto o una diga o una centrale idroelettrica. In termini ‘difensivi’ può creare (con vento favorevole) una striscia lunga decine di chilometri di territorio radioattivo, pressoché inattraversabile.

Come esempio nelle due immagini che seguono è descritto l’effetto di una arma nucleare tattica russa da 6kt su un immaginario obiettivo militare ucraino a nord di Poltava.

La Russia ha un vantaggio di quasi 10:1 sugli Stati Uniti e sulla NATO nelle armi nucleari (NSNW) non strategiche (cioè a basso rendimento e a corto raggio).

Le valutazioni basate su fonti aperte stimano che la Russia abbia circa 2.000 NSNW.
Allo stesso modo si valuta che gli Stati Uniti e la NATO abbiano circa 200 NSNW nel loro arsenale. Si ipotizza che metà di queste armi USA si trovino in Europa come parte delle forze nucleari della NATO.

I trattati che hanno posto fine alla Guerra Fredda non ricomprendono le armi nucleari tattiche.

Nel 2011, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Islanda, Lussemburgo e Slovenia hanno chiesto alla NATO “maggiore trasparenza e più sforzi volti a creare fiducia riguardo alle armi nucleari tattiche in Europa” a partire dallo “scambio di informazioni sulle armi nucleari tattiche statunitensi e russe, inclusi numeri, posizioni, stato operativo e disposizioni di comando, nonché livello di sicurezza dello stoccaggio delle testate”.

A.G.

Dietro il caro bollette … tante bufale

12 Set

Gira una bizzarra ipotesi sulla crisi energetica, riferendosi ai 2,1 miliardi di utili da Eni in quota allo Stato, come fossero chissà quale somma e che andrebbero redistribuiti socialmente, anche se non bastano a pagare un solo mese di disavanzo energetico nazionale e … come se non fosse prevedibile che il PNRR sia già andato eroso, tra inflazione nell’Eurozona e svalutazione dell’Euro.
Ebbene sì.


In grassetto, la bufala; in corsivo, quel che c’è da sapere.

A MEMORIA (ad memoriam …)

« Eni ha bloccato il prezzo del gas con la Russia 10 anni fa con un contratto. E continua a pagarlo a quel prezzo.

Infatti, è normale che le risorse da sfruttamento minerario siano apprezzate come se si trattasse di una convenzione ventennale.


Però vi applica il prezzo determinato dalla borsa di Amsterdam.

Come per tutte le merci tra produttori e distributori c’è un libero mercato che si svolge in una Borsa.

Quindi lo compra a 2 (come da contratto) e ve lo rivende a 300 (grazie alla borsa che è pura speculazione).
Viste le controsanzioni da parte della Russia, pur avendolo comprato a 2 si ritrova a rivenderlo a 300, per non fallire dato che tanto lo sta pagando e di più lo pagherà. (Se non ci fossero le Borse con i listini in tempo reale, come farebbero investitori, istituzioni e cittadini a monitorare quel che vale e quel che è spreco?)


Eni con questo meccanismo ha avuto un utile di 7 miliardi nei primi 6 mesi di quest’anno.

Eni – per buona norma di bilancio – deve accantonare gli utili per far fronte all’impennata di prezzi, valute e inflazione.

Eni casualmente ha spostato la sede legale in Olanda.

Eni come (ex)-Fiat e tanto altro ha spostato la sede legale in Olanda innanzitutto perchè contrattare ‘ogni stato per se’ comporta squilibri, corruttela e sovraspese, mentre per un Mercato Comune e trasparente serve una Borsa, cioè un luogo pubblico dove si svolgono le contrattazioni.


L’Eni è una compartecipata statale al 30,62% (4 e rotti% ministero dell’economia e finanze e 26 e rotti% Cassa Depositi e Prestiti).

Dunque, se Eni andasse in passivo, dovremmo coprirla con nuove tasse come Alitalia o le varie Regioni e Comuni.

Quindi parte di quell’utile (circa 2,14 MILIARDI) è dello stato italiano, che non vuole ridarlo ai clienti (Cittadini e Imprese).

Una parte dell’utile è e resta utile d’impresa, che doverosamente e cautamente va reinvestito nell’impresa. La principale fonte di raccolta delle risorse finanziarie di Cassa Depositi e Prestiti è costituita da tutto il risparmio postale italiano: se CDP va sotto, vanno sotto i risparmiatori.

Altro che sforamento di bilancio e PNNR.

Lo Debito Pubblico italiano è di 1.000 volte i 2,14 miliardi di temporaneo utile da plusvalenza, con buona pace del Bilancio, cioè il PNRR serve per ripartire e non per tappare i buchi.


Non è finita qui. La società che in borsa contratta il gas, fatalità è americana.

Beh … si sa che gli USA dopo la WWII hanno ereditato il monopolio britannico sulle risorse. E se il gas non è russo, o è americano o è arabo, lo sanno tutti.

Paga il 3% di tasse in Olanda e il resto lo porta chissà dove.

Come è prassi comune nel settore minerario dove il carico fiscale si distribuisce tra paesi produttori, distributori e consumatori.


Nel contempo però sta alzando artificiosamente il prezzo del gas, in modo che i paesi europei siano costretti a comprare (al triplo del prezzo) il gas americano (bontà loro, che mossi da humana pietas ce lo vendono).

Nel frattempo, anzi prima di tutto, le sanzioni Nato alle forniture di gas russe sono ricadute anche sull’Europa, con il risultato che andremo a comprare a caro prezzo il gas rigassificato dagli arabi e si riaprono le centrali a carbone anche se il Clima da i numeri.

Come vedete Putin non c’entra un tubo (scusate la battuta). Il vero nemico è in Italia.»

Come al solito, in guerra come in politica, … dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.

Demata

Biden è il miglior alleato della Cina?

12 Lug

Biden (e BoJo) certamente non si aspettavano che, inviate le armi in Ucraina, USA (e UK) rimanessero a secco come ci racconta il Financial Times (link).

Infatti, è il produttore Thales UK che ha annunciato che “il Regno Unito ha esaurito le scorte” di missili anticarro NLAW e sono gli inglesi ad essere rimasti senza obici semoventi M109 ed a doverli comprare da privati.

Come è la Raytheon Technologies USA che ha confermato che “alcuni dei componenti elettronici dei missili Stinger, prodotti per l’ultima volta su larga scala venti anni fa, non sono più disponibili in commercio”, cioè non può rimpiazzare i 1.300 inviati all’Ucraina.

E se gli Stati Uniti hanno spedito circa un terzo delle scorte di missili Javelin in Ucraina, alla Lockheed Martin servono 4 anni per produrli e ripristinarli. Intanto, la Francia ha inviato a Zelenski un quarto del suo arsenale di artiglieria high tech, che richiederà quasi due anni per essere ripristinato dalla Nexter, ex Giat Industries.

Quanto ai proietti di artiglieria, la produzione dei 155mm della General Dynamics Ordnance and Tactical Systems US statunitense a stento basterebbe per due settimane di combattimento in Ucraina.
E tanto vale per il resto del munizionamento.

Da parte sua la Russia – in pochi mesi di combattimento – ha sparato tra 1.100 e 2.100 missili che equivarrebbero a quattro volte la produzione annuale degli Stati Uniti e anche gli arsenali russi non sono il Pozzo di San Patrizio, anzi mancano pezzi di ricambio e risorse per la produzione.

Ma le sanzioni hanno impattato sull’interdipendenza globale al punto che se in Russia la PJSC Sberbank ha iniziato a rimuovere i piccoli chip di metallo dalle carte bancarie non attivate per superare la carenza … in USA la crisi dei chip vede stime di produzione che addirittura arrivano al 2026.

E se il BRICS (con o senza Russia) rischia di diventare l’arbitro della situazione, c’è che ripristinare la nostra industria bellica come era nella Guerra Fredda comporta sì benefici occupazionali e speculativi, ma pone due problemi di fondo che già sono visibili in Ucraina e Russia.

Cosa ne sarebbe della Democrazia, se i cittadini sono tutti militarizzati nell’esercito o nella produzione?

Cosa succederebbe, se finisce la Guerra e chiudono le fabbriche di armi e munizioni, cioè come si arriva ad una riconversione, senza distruzione?

Soprattutto, Biden (e BoJo) conoscevano la situazione dei nostri arsenali, quando hanno promesso il loro pieno sostegno a Zelenski?

E sapevano che il tasso di inflazione annuo poteva schizzare alle stelle?
Ad esempio, negli Stati Uniti è accelerato all’8,6% nel maggio del 2022, il più alto da dicembre del 1981.
I prezzi dell’energia sono aumentati del 34,6%, a causa della benzina (48,7%), dell’olio combustibile (106,7%), dell’elettricità e del gas naturale (30,2% ). I costi del cibo in USA sono aumentati del 10,1%.

Demata

Il testa a testa Macron – Lepen nei numeri dell’European Council on Foreign Relations

11 Apr

Macron vincerà se riuscirà ad attrarre il consenso degli elettori ‘antifascisti’, ma a quanto pare scettici o ‘divergenti’?

Infatti, il dibattito mediatico francese sulla guerra in Ucraina è stato ampio e aperto, vista la coincidenza con le elezioni presidenziali, e vede il Centrosinistra (LFI) su posizioni simili a quelle di Lepen e Zemmour.

L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio ha inciso profondamente sulla corsa presidenziale francese, che, a differenza delle campagne precedenti, ha dato priorità alla politica estera, creando un chiaro divario tra i candidati. Con l’escalation del conflitto tutti i candidati condannano all’unanimità l’invasione, anche se sono in disaccordo su chi ne è responsabile e su quali siano le soluzioni.

In questo post, due dati a confronto: i risultati al primo turno elettorale dei vari candidati e le loro posizioni verso la guerra in Ucraina, rilevate dall’autorevole European Council on Foreign Relations (ecfr.eu). (LINK)

ECFR annovera tra i suoi presidenti ‘emeriti’ Emma Bonino, (ex Ministro degli Affari Esteri d’Italia), e Joschka Fischer (ex ministro degli affari esteri della Germania), quelli attuali sono Carl Bildt (ex primo ministro svedese) e Norbert Röttgen (Membro del Bundestag). Tra gli attuali Garanti, ci sono anche Franziska Brantner, Segretario di Stato parlamentare, Ministero federale tedesco dell’economia e dell’azione per il clima, Teresa Gouveia, ex ministro degli Esteri del Portogallo, Alexander Stubb, ex primo ministro finlandese.

Il dato che ne viene dalla integrazione tra le due tabelle mostra quale sia l’orientamento dei francesi a riguardo i candidati e le loro proposte verso la guerra russo-ucraina.

E il risultato è sorprendente.

Gli elettori di Melenchon (LFI) e della galassia antagonista potrebbero astenersi, vista la scelta tra liberali “pro-Nato” e nazionalisti “no-Nato”. E dove possa virare l’elettorato populista è puntualmente un mistero.

Probabilmente, Macron ce la farà a riconfermarsi presidente, ma il dato di questa prima tornata elettorale europea a guerra in corso indica un gap significativo per tutti i partiti europei: l’opinione pubblica.
Sopportare scandali, ruberie e incapaci in cambio di stabilità è accettabile, ma anche qualcosa che si infrange se il sistema perviene a una crisi o ad una guerra. Specialmente, se nell’immaginario collettivo l’Ucraina è il luogo dove furono annientati tutti gli eserciti europei, dai Greci fino ad oggi.

Infatti, in un articolo di un mese fa gli analisti dell’ECFR (LINK) sottolineavano come gli europei :

  • sono disillusi dal sistema globale di cooperazione internazionale
  • credono (71%) che il sistema non stia lavorando sui cambiamenti climatici
  • ritengono necessaria la cooperazione europea per garantire la sicurezza alle frontiere e della salute
  • sono a proprio agio con l’idea di una leadership francese
  • vogliono un’Unione Europea impegnata con russi e cinesi per rimodellare l’ordine internazionale.

Demata

L’ombra della guerra sul prossimo G-20 in Indonesia

4 Apr

Mentre anche in Giappone esplode l’indignazione per il massacro di Bucha e le scuole lanciano una campagna di crowdfunding per i rifugiati ucraini, secondo quanto riporta Kyodo News, su 699 entità giapponesi in 10 economie, il 55% delle aziende giapponesi con sede all’estero ha avuto un impatto sulle proprie operazioni commerciali – o prevede che lo sarà – dall’invasione russa dell’Ucraina, secondo un sondaggio condotto da da Pasona Group Inc. a metà marzo.
Di questo 55% percento delle aziende con sede all’estero, il 43,2 percento ha affermato di sentire già gli effetti del conflitto, mentre il 22,7 percento ha dichiarato di aspettarsi di farlo entro un mese e il 26,8 percento entro tre mesi.

Le aziende con sede nell’unico paese europeo incluso nel sondaggio (la Francia) sono state di gran lunga le più colpite con il 92,3% che ha risposto di aver subito un impatto in qualche modo, seguita dalla Malesia con il 72,0% e da Singapore con il 66,7%. L’impatto più citato (43,2%) è stato l’aumento dei costi delle materie prime, inclusi petrolio, prodotti chimici e metalli, seguito dall’aumento dei costi logistici e dei prezzi dell’energia.

Quel che più preoccupa i giapponesi (e anche noi) è che, tra due settimane, in Indonesia si terrà il G-20 della nazioni più industrializzate con la partecipazione di Argentina, Australia, Brasile, Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Corea del Sud, Turchia, Stati Uniti ed Unione Europea.

La stampa giapponese prevede che l’Indonesia non escluderà la Russia dall’incontro, ma altri membri hanno anche espresso preoccupazione per la sua partecipazione, dopo che il presidente Joe Biden ha affermato che la Russia dovrebbe essere rimossa dal G-20 e gli Stati Uniti potrebbero non partecipare.
Ad ogni modo, I ministri delle finanze del G-20 e i governatori delle banche centrali stanno valutando la possibilità di non rilasciare una dichiarazione congiunta al termine del convegno.

Il 18 febbraio, circa una settimana prima che la Russia iniziasse il suo attacco all’Ucraina, i leader finanziari del G-20 avevano affermato – secondo Nippon.com – che “avrebbero continuato a monitorare i principali rischi globali, comprese le tensioni geopolitiche che stanno sorgendo e le vulnerabilità macroeconomiche e finanziarie”, senza citare la crisi ucraina.

Il Giappone ha aderito alle sanzioni NATO dopo quasi una settimana di pressing della Casa Bianca. Secondo quanto riportato da Ntv.co, il primo ministro Kishida Fumio conferma che il Giappone rimarrà coinvolto nei progetti di sviluppo di petrolio e gas Sakhalin-1 e Sakhalin-2 in Russia e continuerà a pagare il proprio gas naturale con valuta pregiata, ma incrementerà le sanzioni contro la Russia.

Anche il governo giapponese ha condiviso l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per un’indagine indipendente porti a una responsabilità effettiva e la ferma condanna delle “violazioni del diritto internazionale, come il danneggiamento dei civili”.

“Siamo profondamente scioccati e riteniamo estremamente grave che molti civili siano stati vittime in Ucraina”, ha affermato il principale portavoce del governo giapponese, il segretario capo di gabinetto Hirokazu Matsuno. “Uccidere civili innocenti è una violazione del diritto umanitario internazionale ed è assolutamente intollerabile”.

Demata