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Aborto, divorzio e diritti: cosa cambierà?

23 Ott

Il 20 novembre 1989 quasi 200 nazioni ratificarono la Convenzione universale sui diritti del fan­ciullo, tra queste l’Italia che poi approvò anche la legge 27 maggio 1991, n. 176.

Dunque, sono 30 anni che vige la Convenzione per cui «il fanciullo, a causa della sua immaturità, ha bisogno di una protezione speciale, anche giuridica, sia prima che dopo la na­scita».

Cioè la Convenzione sui diritti del fanciullo si applica anche ai ‘nascituri’ (al ‘concepito’) come ai figli delle coppie che si separano. E i nostri codici ne tutelano solo per gli aspetti patrimoniali, nonostante l’articolo 22 della Costituzione stabilisca che «nessuno può essere privato […] della capacità giuri­dica », cioè della così detta ‘attitudine’ alla titolarità dei diritti.

Riguardo “i diritti dei figli nella separazione dei genitori” dal 2018 in Italia esiste una Carta apposita (LINK) a cura dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che sancisce come i figli hanno diritto a:

  • al rispetto dei loro tempi per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare, per abituarsi ai cambiamenti,
  • non essere coinvolti nei conflitti tra genitori,
  • essere ascoltati nelle decisioni assunte dai genitori,
  • ricevere spiegazioni sulle decisioni prese, in particolare quando divergenti rispetto alle loro richieste e ai desideri manifestati,
  • ricevere spiegazioni non contrastanti da parte dei genitori.

Non è difficile immaginare quale effetto avrebbero questi diritti sui doveri genitoriali e – soprattutto – sull’ampiezza di intervento di assistenti sociali e magistrati, se … questi diritti fossero effettivamente garantiti ai nostri bambini e/o adolescenti quando i genitori divorziano.
Ad esempio, corrispondendogli un risarcimento in proporzione al comportamento inaccettabile di uno o ambedue i genitori.

Riguardo i nascituri, è la stessa legge che consente l’aborto in Italia (legge 22 maggio 1978, n. 194) a sottolineare che lo Stato «tu­tela la vita umana fin dal suo inizio» (art. 1).
Infatti, già nel 1996 il Comitato nazionale di bioetica italiano (CNB) affermava: «il dovere mo­rale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone».

Questo comporta che l’aborto sia una decisione di un genitore (la madre) verso una “vita umana” ed una “persona”, come nella Legge 194 che, oltre a sancire la tutela della vita umana fin dal suo inizio,

  • garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile,
  • riconosce il valore sociale della maternità 
  • esclude che l’interruzione volontaria della gravidanza sia un mezzo per il controllo delle nascite,
  • ordina che i servizi socio-sanitari evitino che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Dunque, a parte gli aborti per condizioni patologiche del nascituro e grave rischio per la salute fisica della madre, la Legge 104 consente “nei primi novanta giorni di gravidanza” la possibilità di abortire per propria scelta, ma solo a condizione che la donna “accusi circostanze che comporterebbero un serio pericolo per la sua salute psichica” in caso di parto.

Paradossalmente, la norma – dopo aver ben chiarito che è solo per cause di salute e non per limitare le nascite – consente l’aborto anche semplicemente in considerazione delle “condizioni economiche, o sociali o familiari” della madre, escludendo – anche in questi casi – che il padre del concepito sia titolare di alcun diritto sul feto. Del resto, anche nel caso di una coppia coniugata, nulla fa riferimento alla salute psichica del padre o alle sue condizioni in caso di parto come di aborto, .

A quarant’anni dalla sua adozione, resta ancora da garantire il pieno accesso alla gravidanza come prevista dalla legge (ed alla sua eventuale interruzione).

E così sarà finchè le Regioni non offriranno adeguati servizi di Consultorio previsti dall’art. 2 della legge 104, elidendo il proprio dovere ad assistere le situazioni problematiche ed a “superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza” e continuando a precludere il diritto delle donne in stato di gravidanza alle informazioni e agli accessi per le opportunità, i diritti e i servizi previsti per le gestanti. Incluso il diritto ad assistenza durante la gestazione – specie se indigenti – ed il diritto di lasciare il bambino in affido all’ospedale per una successiva adozione e restare anonima.

Mancando tutto questo su un arco di 30 anni, come anche per quanto riguarda l’educazione all’uso sicuro di contraccettivi, resta solo da chiedersi quanto l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite e se sia questo … il motivo della diffusa obiezione di coscienza tra i professionisti sanitari.

Demata

Elezioni: un Programma per la Scuola

18 Ago

La Scuola ha la sua parte nei programmi elettorali dei diversi partiti e tutti – nessuno escluso – sottolineano la situazione negativa dell’istruzione generale degli italiani, della formazione professionale e dei redditi che ne derivano, della docenza stretta tra una formazione obsoleta e una stipendialità carente, della dirigenza e delle strutture in balia delle diversità regionali e comunali.

Le esigenze sono molteplici: si va dalla de-alfabetizzazione diffusa tra gli utenti all’incapacità di invertire il degrado socioculturale, dal profondo ‘digital divide’ degli operatori alle strutture inadeguate, dai programmi statali di studio datati rispetto alle professioni di oggi alle carenze regionali e comunali specialmente nel Sociale, cioè scuola d’infanzia e formazione.

Insomma, ci saremmo aspettati un Piano per la Scuola alla stregua di quello del ‘fu Giovanni Gentile’, visto che – tra l’altro – la legislazione scolastica è ormai un mare magnum, dato che da 20 anni ogni governo ci mette la sua mini-riforma.

Serve un Piano per la Scuola per esser certi che almeno tra 5-7 anni i nuovi diplomati e laureati siano quelli che serviranno.
E non è difficile sapere ‘cosa’ fare, dato che c’è sempre la riforma incompiuta del 1999: il difficile è fare rapidamente oggi quel che per 20 anni non solo è stato ostacolato, ma addirittura è stato ‘stornato’ come è facile evincere di seguito.

Infrastruttura:

  1. Reintroduzione dei Consigli Scolastici Provinciali e delle competenze degli ex Provveditorati verso le Regioni e i Comuni
  2. Obbligo per le Regioni e i Comuni di iscrizione annuale a Bilancio delle somme destinate alle dotazioni dei Laboratori nelle scuole e all’offerta di Formazione Professionale
  3. Ente nazionale per un piano pluriennale di ripristino/ rinnovo dell’edilizia scolastica (20 miliardi €)
  4. Attività di volontariato sociale e/o di scuola-lavoro obbligatorie (infrasettimanali ed estive) per gli alunni dai 16 anni in poi

Docenza:

  1. Adeguamento agli standard europei dei requisiti in accesso, della formazione in servizio, dell’orario di servizio, delle condizioni retributive e mutualistiche
  2. Accesso ai contratti a tempo indeterminato consentito solo entro 5 anni dal conseguimento della laurea specifica
  3. Facilitazioni per l’accesso al part time dei docenti over50
  4. Sgravi e agevolazioni fiscali per le ‘lezioni private’ e i corsi di recupero

Didattica:

  1. Aggiornamento dei programmi e degli orari disciplinari della scuola primaria e media alle esigenze tecnico-scientifiche necessarie in una società attenta all’ambiente e “digital inclusive”
  2. Sviluppo – in collaborazione con Università e Rai-Scuola – di una piattaforma di Elearning pubblica e gratuita per svolgere e approfondire da remoto i programmi scolastici
  3. Diritto-dovere del discente ad un adeguato approfondimento personale delle discipline oggetto di studio a scuola
  4. Prove di valutazione annuali nazionali per l’ammissione alla classe successiva

Insuccesso scolastico:

  1. Ripristino della Medicina Scolastica e dell’Assistente Sociale d’istituto (statali)
  2. Valutazione del deficit cognitivo al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado
  3. Programmi di educazione alla genitorialità
  4. Inasprimento delle norme contro l’elusione scolastica e reintroduzione di percorsi di avviamento al lavoro

Ed è evidente che sia davvero molto difficile proporre tutto questo ad un elettorato che spesso ha solo la III Media, ad un corpo docente che da un Ventennio non si aggiorna, ad un volontariato che non lucra ma è retribuito, ad una politica locale che non vuole uscire dalla sua parcellizzazione.

Serve una Scuola che ricordi a se stessa che la Cultura si fonda sull’Istruzione e che per Progettare bisogna prima Programmare.

A.G.

Sanità derubricata in Senato: la Medicina tace e il III Settore applaude?

29 Lug

La Salute delle persone può essere considerata come un’esigenza ‘sociale’ o ‘infrastrutturale’ delle comunità, a seconda che la visione della società sia socialista o liberale.

Nel primo caso la funzione è quella dei sanatori pubblici di due secoli fa, creati per dare “sollievo dal dolore e dalla sofferenza”, come si legge ancora oggi in qualche intestazione.
Nel secondo la funzione è quella dei sistemi pubblici e privati del secolo scorso, sorti per garantire una società di massa salubre, a partire dal contrasto delle epidemie e della mortalità infantile.

Due visioni che la Costituzione italiana distingueva tra art. 32 e art. 38, il primo per gli indigenti a vertere sulle tasse, il secondo per i lavoratori su base contributiva.
E così fu fino al 1974, poi la deriva.

Prima il commissariamento regionale delle Mutue insolventi, poi anche quello delle Mutue ‘in attivo’ onde finanziare quelle fallite, poi il trasferimento delle Casse previdenziali all’Inps, infine – azzerato l’articolo 38, il downgrade di tutto l’esistente (eccellenze incluse) a “Sanità universale” uguale per tutti, cioè quella degli indigenti dell’articolo 32, affiancata dal nascente volontariato che oggi chiamiamo III Settore … produttivo.

E così si arriva ai giorni nostri, cioè ieri (link), che il Senato ha azzerato la XII Commissione Igiene e Sanità, deliberando che per il futuro la Salute sarà accorpata con la XI Commissione Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale.

Possiamo tutti immaginare quanto tempo e priorità avrà la Sanità accorpata non solo con “lavoro pubblico e privato, previdenza sociale”, ma addirittura con gli “affari sociali” in una sola Commissione senatoriale.

Ma una Sanità ‘sociale’ assolve sempre e comunque allo scopo di essere ‘terapeutica’ oppure può accontentarsi di essere ‘palliativa’?

Questa è l’enorme differenza tra Ottocento e Novecento, se parliamo di Medicina prima ancora che di Salute e Sanità. Ed il futuro ‘secondo scienza e coscienza’ sono le cure personalizzate, non certamente uguali per tutti.
E se la Politica decide secondo i propri scopi spesso oscuri a noi di senso comune, davvero è assordante il silenzio delle Associazioni dei malati da cui non arriva una prece: come nel caso delle tante Regioni inadempienti … l’importante è la (propria) rappresentanza, come recitano i codici, non il risultato per tutti.

Va bene il ridotto numero di parlamentari che arriverà con la prossima legislatura, ma – dovendo accorpare e volendo scegliere proprio la Salute (che pesa a Bilancio molto più degli Affari Sociali …) – si poteva almeno tener conto la la Medicina è qualcosa di ‘scientifico’, oltre che ‘infrastrutturale’, come è l’Ambiente, e non qualcosa di ‘economico’, oltre che ‘sociale’, come è il Lavoro?

Demata

Più debiti? Più voti. Forse

13 Lug

Morale della favola: il Partito del “NO a Draghi” sta ottenendo un ulteriore indebitamento dell’Italia senza il Partito del “SI a Draghi” sia riuscito a convincere i Capibastone regionali a collaborare per attingere al PNRR.

Questo è il risultato, se Salvini indebolisce il Governo con la scusa dello Ius Scholae e della Cannabis, sperando di recuperare consensi a Destra.
Lo stesso accade, se Meloni esalta le III medie, che porta voti ma non soluzioni, dato che per attingere al PNRR e per risollevare l’Italia serve formazione tecnica superiore.

E figuriamoci poi se c’è Landini che sbraita contro le diseguaglianze e non chiede investimenti ma ancora più Debito pubblico, cioè quello che crea povertà.

Fino a Conte con i Cinque Stelle che lottano per la sopravvivenza, visto che sotto la sua leadership sono passati da oltre il 30% dei voti a meno del 10%, tenuto conto dell’esodo di Di Maio.

Ma questo è il risultato che arriva, se prima Zingaretti e poi Letta si illudono di avere un alleato nei Cinque Stelle, piuttosto che una mina vagante. E se il Centrodestra continua a raccattare il voto di protesta ma non quello ‘moderato’, cioè di governo. O, comunque, se le elezioni si vincono per opposta fazione anziché santa ragione.

I Media e i Social dovrebbero fare la differenza ed aiutarci a cooperare per il bene dell’Italia, ma … loro campano di pubblicità e lo share arriva da chi litiga, mica da chi ha qualcos’altro da fare.

Quanto ai Capibastone, cioè la scarsa voglia di cambiare per attingere al PNRR, non c’è nulla da fare.
Grazie del Partito del NO e pure quello del SI, ma anche grazie a Social e Media, le Regioni (certe regioni specialmente) sono inadempienti per Sanità, Diritto allo Studio e Infrastrutture, rigettando le proprie incapacità progettuali /gestionali sui ‘tagli’ attuati dai Governi.

Meglio i debiti, se portano consenso o no?

Demata

Posti letto e Omicron endemico: i numeri

5 Lug

Due giorni fa i ricoverati per Covid erano quasi 6.100 senza contare le terapie intensive: nello stesso giorno nel 2021 i ricoverati erano 2066, cioè erano un terzo, e nel 2020 erano 1305, quasi un quinto rispetto ad oggi. Dunque, è evidente un certo rischio che con l’autunno vadano a saturarsi di nuovo gli ospedali e che i servizi pubblici e privati risentiranno della diffusione dei contagi.

E per capire se e come questi posti letto ci sono / saranno, c’è da partire dal 1991, quando erano ancora sul nascere le RSA, istituite con la legge 67/88 e il DPCM 22.12.89, che poi andranno ad assorbire una discreta quantità di posti letto, precedentemente di ‘lungo degenza’ o di ‘medicina sociale’.

Nel 1991, (fonte Orizzonte Sanità) la Germania riunificata garantiva oltre 10 posti letto ogni 1.000 abitanti, la Francia meno di 6 e l’Italia circa 7, cioè c’erano quasi 400.000 posti letto.

TrueNumbers

Arrivati al 2012 (fonte Istat – Sanità e Salute 2015), i posti letto nelle strutture per l’assistenza residenziale erano 224.000, mentre negli istituti di cura del Ssn ci sono 199 mila posti letto. Cioè in lieve aumento complessivo.

Dal 2017 sono “circa 193 mila i posti letto in regime ordinario, con un trend in diminuzione rispetto agli anni precedenti”, ma nelle RSA i posti letto erano diventati 295.473, di cui la maggior parte (233.874) per anziani non autosufficienti (fonte Istat). In totale, nel 2017 il PL erano complessivamente quasi 500mila: rispetto al 1991 era il 20% in più, anche se differenziati in base alle differenti cure necessarie alle diverse età della vita.

Ma non bastano.

Non i posti letto ospedalieri ‘ordinari, forse, ma di sicuro quelli residenziali che vanno a sovraccaricare quelli ordinari se non sono sufficienti nel numero e nelle risorse.

Infatti, in Italia i posti letto nelle strutture residenziali ogni 100 anziani over 65 sono 1,9 contro i 5,4 in Germania, 5 in Francia, 4,6 in Austria e 4,4 nel Regno Unito. In Olanda e Svezia addirittura il 7,6 e il 7,1; la media europea è del 4,72 posti letto in RSA ogni 100 anziani over65. (fonte OECD, Health at Glance 2019)

Se l’Italia avviasse immediatamente un adeguamento alla media europea, passando da meno di 2 posti letto per anziano a quasi 5, nel 2025 serviranno ben 651.275 posti letto e quasi il triplo degli operatori. (fonte Osservatorio Settoriale sulle RSA)

Una carenza abissale inevitabile dopo la soppressione delle Mutue dei lavoratori (art. 38 Costituzione) avvenuta alla fine degli Anni ’70, che – viceversa – sono sopravvissute nelle altre nazioni proseguendo la tutela ‘sindacale’ della salute, che sia residenziale o domiciliare. Inutile dire che anche nell’assistenza domiciliare (incluso il medico di base) l’Italia non brilla con un mero 12% dei residenti che ne fruisce, mentre in Europa la media è al 20% con la Germania al 30% e la Francia al 50%.

Naturalmente, se almeno il doppio degli anziani potrebbe essere assistito in una RSA ed forse il triplo potrebbe avere il geriatra a domicilio, è conseguente che – a parte i costi e il disagio causati dalla dispersione – in caso di necessità anche differibili tutte queste persone vadano a gravare sugli accessi e poi sui posti letto ‘ordinari’ degli ospedali.

E – a proposito di posti letto, di residenze e di cure domiciliari – è arrivato il Covid con l’intenzione di … rimanere. Un Covid che il 7 aprile 2020 aveva fagocitato il 17% dei posti letto ‘ordinari’ (oltre alle RSA in stallo e le intensive al limite) e il 26 novembre 2020 aveva superato il 20%.

Poi, il lockdown, i comportamenti responsabili e – infine – il vaccino hanno riportato la situazione ai limiti della normalità, ma per oltre un anno i ‘soliti’ malati cronici o rari o acuti si sono trovati in serie difficoltà per accedere alle ‘solite’ unità, centri e pronti soccorsi. Arrivati ad oggi, il lockdown è finalmente finito, ma i comportamenti ritornano disattenti, mentre scopriamo che i vaccini faticano a controllare le varianti Omicron che a loro volta possono reinfettare la stessa persona.

Oggi, anche se le terapie intensive non sono sovraffollate, accade che il 30 giugno scorso avevamo tre volte i ricoveri per Covid del 2021 e cinque volte quelli del 2020.

E se – nonostante i lockdown – il 30 gennaio del 2021 e del 2022 i posti letto occupati da ammalati di Covid erano circa 22.000, quanti saranno alla stessa data del 2023 senza almeno ritornare a comportamenti più attenti e responsabili, in attesa del rinnovo vaccinale?

Come fare – comunque anche senza calamità naturali – a garantire i posti letto che servono ma anche le cure ambulatoriali che mancano, se devono rivolgersi al Sistema Sanitario ‘ordinario’ anche quei milioni di anziani italiani che in Europa avrebbero un’assistenza residenziale o geriatrica domiciliare, con più efficacia e maggiore efficienza cioè più soddisfazione e una certa economia?

E quali prospettive non solo per gli ‘anziani’ ma per oltre la metà della popolazione ormai over50enne, cioè con discrete probabilità di essere già affetta da una o due patologie croniche (fonte Istat-Inps)?

A.G.

Scuola: sembrano tagli, ma non lo sono

11 Apr

Il Documento di economia e finanza 2022 pubblicato sul sito del Tesoro conferma tagli percentuali importanti per l’istruzione a partire dal 2025, quando le risorse caleranno al 3,5% del PIL. Qualcuno dirà che quando c’è una guerra, tutti devono fare le loro parte, anche le scuole, ma non è questo di cui si tratta.

Nel quinquennio corrente (2020-2025), i finanziamenti sono al 4% del PIL, in quello (2015-2020) precedente erano al del 3,6% del PIL, mentre l’Unione investe in istruzione e formazione il 4,7% del Prodotto interno lordo.

Le ragioni di questi ulteriori tagli statali fondano su due elementi sostanziali:

  • nel 2021 il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.781.221 milioni di euro correnti, cioè è cresciuto del 6,6% con corrispettiva crescita del 6,6% anche dei finanziamenti per l’istruzione nel corrente anno, cioè di 4.275 milioni di euro in più rispetto all’A.S. 2021-22
  • la riduzione del gettito statale è corrispettiva all’esigenza di formazione professionale di base, superiore e universitaria che è in capo alle Regioni e alla loro capacità di strutturare i servizi necessari ai giovani e alle imprese, oltre alla manutenzione degli edifici scolastici, l’ammodernamento dei laboratori, le attività salutistiche e presportive gratuite.

Il che significa che – se entro il 2025 l’Italia avrà mantenuto il trend favorevole di PIL e le Regioni avranno saputo investire il PNRR per innovazione e formazione – quel 3,5% del PIL potrebbe essere di gran lunga superiore (20 miliardi?) di quanto è oggi.

Infatti, in Italia, la spesa pubblica per la scuola era diminuita del 7% nel periodo 2010-2018, ma questo accadeva proprio perchè stava crollando il PIL.
Naturalmente, c’è una bella differenza tra investire nell’istruzione una 70ina di miliardi al massimo come fa l’Italia e destinarne oltre 140 come fa la Germania, pur avendo un numero confrontabile di bambini sotto i 14 anni.

AG

Covid e contagiati: addio ospedali Covid-Free?

15 Gen

Le Regioni vorrebbero che i pazienti positivi ai test ma asintomatici, qualora assegnati in isolamento al reparto di afferenza della patologia, vengano conteggiati come “caso” Covid nel bollettino ma non tra i ricoveri dell’area medica, se ricoverati in ospedale per cause diverse dal Covid.
Le Regioni assicurano che salvaguarderanno il principio di separazione dei percorsi e di sicurezza degli altri pazienti, ma non si sa bene come e – comunque – sarebbe la fine degli ospedali Covid-free.

Intanto, i sanitari si sentono presi in giro, le statistiche e la valutazione della situazione ne risentirebbe, mentre il Ministero della Salute per ora resiste.

Secondo Anaao-Assomed e l’Ordine dei medici si tratta di ‘un “un “mero espediente di equilibrismo contabile”, un “gioco delle tre carte con i cittadini italiani nel ruolo del passante sprovveduto””, cioè di una “operazione di maquillage” che “occulta la gravità della pandemia” e serve solo a “risolvere il problema di non assumere altre misure restrittive”.

“Non si esce dalla crisi sulla pelle dei medici ospedalieri né rimanendo uguali a come si è entrati. Il gioco dei vasi comunicanti, prodotto dalla riconversione di interi reparti e dalla chiusura di attività ambulatoriali e chirurgiche non urgenti, porta acqua alla pandemia parallela delle prestazioni rinviate, negazione di un diritto costituzionale e causa di future malattie”.

Già, il ‘gioco dei vasi comunicanti‘ che i malati rari conoscono purtroppo molto bene, dato che ha affossato le norme nazionali del settore, lasciando intatti i reparti ospedalieri preesistenti e abortendo la crescita dei Centri e dei servizi territoriali per milioni di persone.
O quello dei malati cronici che si ritengono ben felici di un farmaco di classe A da ritirare in un ambulatorio, perchè è già tanto con una terza media (o anche meno) ed una vita di contribuzione al minimo (se non sussidiata).

Ma la legge, il buon senso, il diritto, l’istruzione e anche le Regioni nelle loro pretese al Governo garantiscono “il principio di separazione dei percorsi“.
Quali percorsi?

Quelli che già ora non esistono per malattie croniche e rare, cioè praticamente tutte?
E con quali organigrammi? Quelli che da anni i vari istituti e aziende sanitarie non inviano ad Anac?

Ma soprattutto – dalla parte dei malati cronici e rari – la questione di fondo è un’altra, se passasse la richiesta delle Regioni: addio ospedali e ambulatorio Covid-Free?

Infatti, tutti questi malati ritengono il proprio ospedale o ambulatorio un luogo sicuro, perchè richiedono a tutti una dichiarazione se “negli ultimi 14 giorni hanno avuto contatti con qualcuno affetto da sintomi respiratori o in isolamento fiduciario o popolazione a rischio”.

Ma cosa succede se i pazienti ricoverati in ospedale per cause diverse dal Covid positivi ai test e asintomatici vengono conteggiati solo nel bollettino, ma non tra i ricoveri dell’area medica?

Se i percorsi di cura non esistevano già prima della pandemia grazie al “gioco dei vasi comunicanti” e se il caso di Covid non è registrato tra i ricoveri dell’area medica, come si garantisce a questi tanti malati fragili che il medico o l’infermiere con cui vengono a strettissimo contatto non abbia avuto poco prima contatti anche con un paziente portatore di Covid?

Viene quasi il dubbio che cancellare gli ospedali Covid-Free è un elegante modo per rinviare ‘spontaneamente’ tutti a giugno.

Demata

Obbligo vaccinale: la Politica non si tiri indietro

5 Gen

Omicron si sta diffondendo e siamo arrivati a quasi 200.000 nuovi casi al giorno con poco meno di 300 decessi per Covid: l’ora delle opinioni e dei dibattiti è finita, caso mai ne avessimo avuto bisogno, e si passa ai fatti, cioè ai pareri scientifici e ai decreti legge.

E giunge a scadenza – finalmente – tutta la querelle posta da alcuni filosofi, giuristi e letterati sulle limitazioni e le discriminazioni per mascherine e distanziamenti, come per vaccini e Green Pass.

Se parliamo del Green Pass, da che mondo è mondo le comunità, le città e le nazioni si chiudono agli estranei e limitano i propri contatti quando c’è un’epidemia: quarantena e isolamento coatto.
Nella giurisprudenza italiana – dopo la riforma costituzionale federalista – manca un dispositivo del genere? Reintroduciamolo, il Parlamento serve se non a questo.

Quanto agli obblighi e ai divieti ‘per il nostro e altrui bene’, ce ne è una gran quantità.

Ad esempio, tra quelli scritti, c’è l’obbligo di cintura (o casco) se si vuol mettersi alla guida di un veicolo, ma anche quello di non bruciare materiali e sostanze al di fuori del consentito, come c’è l’obbligo scolastico che ci tocca fin dai 6 anni di età o quello di dover denunciare i propri e altrui delitti eccetera eccetera fino all’obbligo di avere una residenza e una identità fissa, cose che a noi europei sembrano normali ma che in USA non sono normali.

Andando a quelli ‘non scritti’ a chiare lettere, in Italia c’è – ad esempio – l’obbligo di non toccare gli altri se non richiesto, dato che la percossa è – per legge – un contatto ritenuto brusco che non causa ferite o malattie nel corpo o nella mente. Potrà sembrare strano, ma ‘non toccare’ è la prima regola che apprende chi lavora con il pubblico, dal commesso al docente al funzionario.

Se è normale che esistano obblighi e divieti relativi ad attività primordiali della civiltà umana – toccare gli altri, accendere il fuoco, adattarsi culturalmente, vigilare sul bene comune – cosa ha di anormale e/o amorale l’obbligo vaccinale?

Il vaccino è una sperimentazione farmacologica mondiale in progress? Vero, esistono metodi scientifici, protocolli di sicurezza ed enti garanti di altissimo livello, che da un centinaio di anni vigilano sulle cure che autorizzano: quante persone si sono ammalate o morte a causa del Covid e quante per i vaccini?

Perchè il Parlamento e le Regioni non votano all’unanimità senza ricorrere al Gabinetto dei Ministri?

A proposito, andando da Destra a Sinistra, quanti parlamentari e consiglieri regionali hanno competenze per valutare il fior fiore degli expertize e dei garanti medico-scientifici mondiali e che motivi sanitari hanno per dubitare ancora oggi sull’obbligo vaccinale e/o il lockdown per i non vaccinati?

Demata

La Dad si poteva evitare, regioni permettendo

3 Gen

A pochi giorni dalla riapertura della scuola,  gli insegnanti vogliono ripartire in presenza, anche se sono ancora circa 40mila quelli che rifiutano l’obbligo vaccinale, mentre aumentano i contagi tra i minorenni. Stranamente, tutti se la prendono con i ministri Speranza e Bianchi, anche se quello che dovevano fare era solo una piccola parte del necessario e, tra l’altro, l’hanno fatto.

Il Ministero della Salute, infatti, in Italia non ha poteri in materia sanitaria, perché non ha le competenze che l’art. 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni. E quel che resta (farmaci e sicurezza sanitaria) non è più del ministero, bensì di due apposite quanto autonome agenzie, Aifa e Agenas.
Bene avrebbe fatto Giuseppe Conte a ripristinare in Parlamento qualche potere centrale piuttosto che inerpicarsi nei suoi equilibrismi regionali.

Quanto al Ministero dell’Istruzione, anche per esso l’art. 117 della Costituzione parla chiaro, attribuendo alle Regioni (e ai Comuni) edilizia, dotazioni e trasporti scolastici, mentre il funzionamento è tutto delle ‘istituzioni scolastiche autonome’, responsabile per la sicurezza e medico scolastico inclusi.
Dunque, organizzata la sostituzione del personale, fissati i criteri per la didattica e la valutazione, condivise con i sindacati le regole per funzionare al meglio, è davvero una gran cortesia quella di Viale Trastevere nel non lagnarsi – quotidianamente e a media unificati – dell’operato dei governi regionali e delle amministrazioni comunali.

Piuttosto, parlando concretamente di Covid, in questi due anni gli Enti Locali:

  1. quante mascherine idonee hanno fornito agli alunni?
  2. quante aule hanno ampliato o creato ex novo?
  3. quanti impianti elettrici e infissi sono stati adeguati?
  4. quanti sistemi per l’aspirazione dell’aria sono stati installati?
  5. quanti accessi scolastici sono stati ampliati e resi sicuri?
  6. quanti vettori per il trasporto scolastico sono stati previsti e aggiunti?

Poi, c’è chi si preoccupa e qualcuno che protesta, ma poco resta al di là del folklore di una carnascialata. Infatti, riguardo ai Sindacati, alle Associazioni di categoria e/o di genitori, ai diecimila consigli d’istituto – tutti sempre attenti al Piano dell’Offerta Formativa progettato dai docenti – è improbabile che non si siano accorti da tempo del gap tecnologico e culturale di una didattica a distanza italiana che riesce ad esprimersi quasi solo in videoconferenza di classe, sovraesponendo gli alunni e ‘bruciando’ i docenti.

E’ vero, “non si possono bloccare i bambini o gli studenti in quarantena per 5 ore davanti al Pc” – come dice la segretaria della Cisl Scuola, Maddalena Gissi – ma, allora, perché i docenti italiani offrono ancora, sempre e solo la lezione frontale di classe, ma raramente le webinar, l’elearning e i materiali strutturati?
Come mai in due anni di DaD il Coding non è diventato un’esperienza cognitiva diffusa?

Anche in questo non è il Ministero a decidere, ma lo sono – tra fondo d’istituto e piano formativo – i Sindacati, i Collegi dei docenti e, soprattutto, i Consigli di istituto dove sono rappresentati anche genitori e alunni, ma non gli enti (e la politica) locali che tanti doveri hanno sull’istruzione.

Demata

Gas alle stelle: cosa fa l’Unione Europea

2 Gen

Il 14 dicembre scorso, l’Unione Europea trovato un accordo sul nuovo regolamento per le infrastrutture energetiche Ue (TEN-E).

L’accordo esclude dal sostegno i nuovi progetti di gas naturale e petrolio, che non saranno finanziati dalla Connecting Europe Facility, e mira ad «un futuro verde e climaticamente neutro che garantirà efficienza, competitività e sicurezza degli approvvigionamenti senza lasciare nessuno indietro».

Oltre ad accontentare le richeste delle nazioni più esposte (Italia e Spagna), che chiedono scorte comuni, la riforma del mercato del gas riguarda alla decarbonizzazione del settore e i consumatori.

Riguardo la decarbonizzazione, si prevede lo sviluppo delle tecnologie ad idrogeno e e dei gas rinnovabili , ma anche del diritto di consumare, immagazzinare e vendere gas rinnovabile autoprodotto.

Riguardo i consumatori, l’obiettivo è quello di riconoscere più trasparenza delle bollette e forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli, ma soprattutto la partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini.

Già, perché l’idrogeno quasi quasi si può produrre ‘stando a casa’ nel proprio condomino‘ …

L’idrogeno e i gas rinnovabili si ‘ricavano’ dall’acqua e dai rifiuti, il risparmio energetico lo ‘fanno’ l’efficienza delle reti e degli edifici, la “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” avviene tramite enti e società.

E l’Italia? Tutte questioni d’ordine ‘costituzionale’, visti i poteri e le esclusività che Stato, Regioni e Comuni si sono riservati verso il popolo sovrano.

Ma sapendo che l’Unione Europea mira alla “partecipazione diretta al mercato delle comunità di cittadini” e vuole “forniture ‘sociali’ per le fasce di reddito più deboli”, sarà arrivata anche in Italia l’ora che la Politica restituisca al mercato (e agli ingegneri e ai cittadini) l’energia e i rifiuti, pensando – piuttosto – a vigilare su quel che è di ognuno (cioè l’acqua) ed a tutelare chi si trova nel bisogno non solo con sussidi ma anche con opportunità?

Demata