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Ospedale San Giacomo di Roma: un triplo scandalo con soluzione?

7 Lug

Da dieci anni è abbandonato l’Ospedale San Giacomo in Augusta di Roma, nonostante la Regione Lazio paghi un affitto di due milioni annui, in attesa di ridiventare effettiva proprietaria nel 2033, e che poco prima di abbandonarlo fossero stati ristrutturati ben 32.000 metri quadrati della struttura.

 

ospedale san giacomo roma
La storia

L’ospedale (noto anche come Arcispedale di San Giacomo degli Incurabili), venne riedificato nel 1339 e donato alla città di Roma dal Cardinale Antonio Maria Salviati nel suo testamento del 1562 , con la clausola della restituzione agli eredi se la struttura cessasse di essere luogo di cura, confermata nel 1610 da Papa Paolo V Borghese, che ratificava “il divieto assoluto di cambiarne la finalità, vendere, affittare, permutare, dare in enfiteusi, sotto alcun diritto o alcun Stato”.

Nel 2002, la Regione Lazio sull’orlo del collasso finanziario decretava la cessione di 56 complessi, tra cui il San Giacomo, ad un prezzo pari all’incirca a due miliardi, riaffittati alle aziende venditrici (ASL e AO regionali) con contratti trentennali, con opzione di riacquisto e rispettandone la destinazione d’uso.
Un gran pasticcio, anche perchè alcune strutture erano inservibili ed altre non vennero effettivamente cedute, che alla fine si risolse con l’intervento della Corte dei Conti e la conversione della cessione in titolo di garanzia del credito, da cui non più “affitti”, bensì rate a scomputo fino al 2033 mentre la Regione Lazio continuava a far funzionare le strutture.

Nel nostro caso, sul San Giacomo vertevano due milioni annui e la Regione avviava il percorso di “trasformazione in una residenza per anziani, come in tante città del nord Italia e del nord Europa, sempre nell’ambito pubblico. Non ci saranno alberghi” (ex assessore al Bilancio Alessandra Sartore).

Bene a sapersi che le residenze sanitarie assistenziali si distinguono per legge dagli ospedali e dalle case di cura e che gli eredi del Cardinal Salviati, che donò l’edificio alla città di Roma con testamento vincolato, avessero “mandato una diffida al presidente della Regione, al ministro degli Interni, al presidente del Senato Grasso e alla Corte dei Conti” e nel 2008 anche un appello a papa Benedetto XVI “per far rispettare il testamento e i vincoli della cartolarizzazione degli ospedali laziali. Non è possibile trasformare il San Giacomo in residenze per anziani pubbliche, perché, proprio in virtù del testamento e anche delle clausole di vendita alla San. Im, deve tornare ad assere un ospedale pubblico”. (Repubblica)

Essendo una struttura enorme nel bel mezzo di Roma (Via del Corso), in un municipio poco abitato dai residenti e sede di noti complessi ospedalieri, come il San Giovanni e l’Umberto I, nonostante fossero già stati ristrutturati ben 32.000 metri quadrati, alla Regione Lazio non restò che deliberare la sua chiusura, avvenuta il 31 ottobre 2008.

Il San Giacomo oggi
Da allora, la situazione è in stallo.

Da un lato la Regione Lazio non può di certo spendere risorse per il San Giacomo, se i residenti degli altri municipi – cioè il 90% dei romani – più quelli delle varie provincie invocano ben altre esigenze ed urgenze.

Dall’altro gli eredi del Cardinal Salviati non procedono alla restituzione dell’immobile, compensando però quanto dovuto per le messe in opera fatte nel tempo dalla Regione Lazio e dalla città di Roma.

Dunque, gli scandali sono già due.
Il primo è quello della cessione con affitti onerosi del 2002 e “risoltasi” dopo l’intervento della Corte dei Conti, con la conversione in canoni di leasing.
Il secondo è che c’è una bella e dignitosa residenza sanitaria assistenziale per anziani che resta ferma per effetto di una bolla pontificia e … del Concordato.

Il pressing ‘popolare’ per sbloccare le residenze a cantieri già avanzati non vi fu, ma – comunque – “a nulla sono poi serviti gli appelli del comitato «Salviamo il San Giacomo», né le oltre 60mila firme raccolte dalla petizione per la sua riapertura” come ospedale. (Il Tempo)

Tra le varie «criticità», c’è anche quella denunciata dai Cinque Stelle dei  due cantieri nel 2013 per il rifacimento del tetto di copertura, ormai sede operativa di gabbiani e piccioni, e quella della Corte dei Conti che chiedeva di “riflettere sulla opportunità di continuare a destinare risorse finanziarie aggiuntive, rispetto a quelle già necessariamente spese a suo tempo per mettere a norma l’edificio, senza che vi sia, neppure in prospettiva, un beneficio effettivo per l’utenza”.

Riepilogando,
  • la Bolla Papale del 1610 prevede “il divieto assoluto di cambiarne la finalità … , sotto alcun diritto o alcun Stato”
  • la Regione Lazio non ha le risorse per aprire i cantieri necessari a ripristinare ed ammodernate l’ospedale preesistente, nè quelle per le assunzioni di personale, le ulteriori posizioni apicali e le forniture varie
  • gli eredi del Cardinal Salviati che per riprendere possesso della struttura e ridestinarla dovrebbero affrontare spese enormi, praticamente cederlo ad un Fondo
  • il Vaticano cautamente non si esprime sul cambio di destinazione e su quali servizi assistenziali (fisioterapici, ad esempio) siano compatibili con la ‘denominazione’ data nel 1610
  • ogni tanto la Politica locale, da Fassina (2017) a Pirozzi (2018),  si attiva per la ‘mission impossible’ della riapertura del San Giacomo, ma non per la residenza sanitaria
  • Roma Capitale nicchia sull’argomento, nonostante i Cinque Stelle in Regione Lazio siano anni che si fanno sentire e nonostante sia l’effettiva destinataria della donazione
  • intanto ci sono spese vive e tutto resta fermo.

 

La soluzione

Non molti, forse, ricordano la storia del Pio Albergo Trivulzio di Milano, per oltre due secoli casa di cura per gli anziani meno abbienti della città e la recente sentenza in Cassazione per abuso d’ufficio e turbativa d’asta nella vendita del patrimonio immobiliare da parte della ASL.
Visti i precedenti, sono comprensibili esitazioni, dubbi e … stallo, visto che il Vaticano non può consentire a cuor leggero una ‘derubricazione’ della destinazione, se poi c’è il rischio di squallide speculazioni e costi imprecisati.

Però, iniziamo col dire che un Presidio di Cure Intermedie, come a Prato, non ci starebbe affatto male e sarebbe compatibile sia con le ristrutturazioni sia con i finanziamenti accessibili per gli anziani indigenti e i malati cronici e sia con la Bolla papale.
Inoltre, perchè non l’ Attività di Presidio Integrato nel bel mezzo del Turismo e della Movida romana, come alla Stazione Centrale di Milano,  con mediatori culturali (interpreti), fornendo un poliambulatorio di cure primarie, dispensazione od erogazione assistita di farmaci, ambulatorio infermieristico, centro prevenzione dell’abuso di sostanze e/o delle malattie sessualmente trasmissibili?
Quale posto migliore di via del Corso 233 per una Guardia medica turistica a Roma, come ad Ischia d’estate ?

Andando a soluzioni più ‘romane’, una soluzione per riaprire il San Giacomo rapidamente ed a bassi costi potrebbe essere quella di portare servizi ‘fisioterapici’ e dermatologici ampiamente compatibili con la principale attività originaria dell’ospedale (cura del “malfrancioso, la sifilide) e con le ristrutturazioni già effettuate?
Questo permetterebbe di riportare in centro una parte dei servizi del San Gallicano, che offre per l’appunto servizi servizi ‘fisioterapici’ e dermatologici, ma fu trasferito nella periferia estrema, perchè l’edificio settecentesco non si prestava ad adeguati ammodernamenti.
Di conseguenza, il polo oncologico Regina Elena di Mostacciano avrebbe più spazio e risorse per espandersi con le sue varie eccellenze.

In ambedue i modi, che non si escludono a vicenda, ne verrebbe che malati cronici e anziani residenti avrebbero un riferimento per le cure ordinarie, magari con qualche posto letto, mentre i turisti avrebbero un funzionale riferimento per cure di livello ambulatoriale nel bel mezzo di Roma.

Dunque, non c’è da riaprire l’Ospedale San Giacomo, bensì da ripensarlo ed in fretta.

Le risorse per ristrutturare? Non sono troppe a confronto del bagno di sangue e della mancata crescita finora avvenuti. Relativamente poche rispetto a quanto possa generare l’afflusso di rimborsi delle prestazioni ‘assicurative’ offerte a turisti stranieri, l’espansione di un centro oncologico ed il ripristino al centro della città di una tradizione fisioterapica-dermatologica risalente al Medioevo.

A proposito, che peccato per le Olimpiadi rifiutate e le infrastrutture che Roma dovrà comunque trovare il modo di finanziare: il vero scandalo di questa storia è che – a parte l’intervento inevitabile di Marrazzo come governatore – la Politica romana si guarda bene dall’occuparsi dei guai che combina, mentre spese e ruderi restano a noi.

Demata

Addio Metro C: è finita l’era delle ‘scelte di campo’?

15 Dic

Roma ha circa 3 milioni di abitanti di cui oltre il 45% ha un’età superiore ai 65 anni, ovvero pensionati.

Dunque, tra 10 anni al massimo potrebbe avere mezzo milione di residenti in meno con una perdita di un sesto del PIL e con servizi pubblici da riorientare verso le esigenze di una popolazione più giovane e per larga parte immigrata.

L’idea è – da molti anni – quella di ‘sostituire’ residenti, reddito e occupazione che mancheranno con un flusso turistico consistente a vertere sul così detto ‘centro storico’, con ridestinazione degli immobili pubblici e privati e riqualificazione delle rendite.

E’ dagli Anni ’80 che doveva realizzarsi questo processo, come è avvenuto a Parigi o Londra, ma la politica romana ha sempre privilegiato le ‘scelte di campo’ all’interesse di Roma, come dire l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani.

Oggi l’annuncio dello stop ai lavori della Metro C e anche oggi – che è il dopodomani dell’altro ieri – le cronache descrivono efficacemente il crash causato proprio dalle ‘scelte di campo’ … cioè, a seconda dei casi,  di lobby, di comitato, di fazione, di partito etc.

I futuri candidati sindaci per Roma Capitale?
Si dice Giachetti (PD), Marchini  (AmoRoma), Fassina (SEL), Meloni (CentroDestra), Di Battista (CinqueStelle) … e se al ballottaggio arrivassero proprio questi ultimi due?

Demata

P.S. A proposito di ‘scelte di campo’ e del noto proverbio per il quale ‘le strade per l’inferno sono lastricate di buone intenzioni’, di seguito alcune tra le news ‘salienti’ di oggi:

  1. Campidoglio, nomine dirigenti sospette, inchiesta sulle ultime due giunte
  2. Lazio: dirigenti medici senza titoli, dieci indagati al Policlinico Umberto I
  3. Case coop vendute a peso d’oro, senza luce e con il rischio sfratti. Gabrielli: «Comune responsabile»
  4. Mafia Capitale, chiesti oltre 10 anni di carcere per le prime sentenze di corruzione
  5. Ciarrapico condannato a cinque anni di carcere per bancarotta e distrazione dei fondi pubblici per l’editoria
  6. Inquinamento, Roma dice addio alle auto Euro 0: erano oltre 180mila veicoli
  7. Metro C «è fallita» e si fermano i cantieri. Per rifinanziarla servono altri due miliardi di euro
  8. Il fenomeno dei ladri travestiti da agenti è in aumento dal giorno dell’apertura del Giubileo
  9. Cantiere a Piazza di Spagna: impedita ogni visuale della scalinata di Trinità dei Monti e non c’è un cartello
  10. Giubileo: prenotazioni alberghiere in netto calo rispetto agli scorsi anni
  11. Roma, la settimana calda degli scioperi: a rischio anche lo shopping di Natale
  12. Capodanno, feste in piazza addio: no a concerti in centro e periferia.

Unità a Sinistra? Ci vuole prima una linea comune …

9 Dic

Pisapia, Doria e Zedda – su Repubblica – lanciano l’appello a politici ed elettori: “Non rischiamo l’effetto Francia, la sinistra vada unita alle elezioni, ricordiamoci come si vince”.

Bella idea, ma fatto sta che Poletti, Camusso, Boeri, Damiano, Fassina e Renzi abbiano idee molto molto diverse riguardo pensioni, esodati, disoccupati, ripresa industriale, diritti e servizi … la salute dei malati, le unioni gay … le banche … Roma Capitale … la pubblica amministrazione … eccetera eccetera.

Non a caso in Francia il Fronte Nazionale vince promettendo cose ‘semplici’: pensioni a 60 anni, protezionismo industriale, lavoro per i giovani e le donne, laicità e centralità dello Stato, ritorno delle politiche valutarie.

Senza parlare della solita spocchia che impedisce alla Sinistra di confrontarsi con chi diverge dai ‘santi tabù’ del cosmopolitismo e del consociativismo ad ogni costo, con il risultato che persino le aree metropolitane di Parigi e Lione preferiscono Sarkozy ad Hollande.

Potrebbe rivelarsi davvero una pessima idea quella di chiedere ancora una volta consenso e voti non sulla base di un programma ma solo per ‘ricacciare i fascisti nelle fogne’.

Infatti, Giuliano Pisapia, Marco Doria e Massimo Zedda sono i sindaci di Milano, Genova e Cagliari e ben sanno quali danni sociali (povertà, sicurezza, giovani, anziani, malati) si stanno radicando a causa dell’incapacità – della Sinistra in generale – ad intervenire su assistenza e previdenza a causa sia della atavica contiguità con sindacati, cooperative, onlus che della recente convergenza con apparati pubblici e finanziari.

Ad esempio … troviamo i soldi per salvare alcun note banche e li troveremo anche per rimborsare in parte gli investitori, come li troviamo per le pensioni d’oro ma … non ce ne sono per sbloccare le pensioni ‘normali’ o i salari ‘minimi’.
Oppure siam pronti a difendere l’esposizione dei simboli cattolici nei luoghi di istruzione pubblica, dove vengono educate le nuove generazioni, ma … i diritti degli omosessuali o quelli ‘alla privacy’ come i ‘conflitti di interessi’ e le ‘sliding doors’ possono attendere.

Pejus … che posizione prende ‘il Partito’ quando – ad esempio – in una Regione o in un Comune importante il Governatore o il Sindaco ‘rossi’ si ritrovano a metà consigliatura a non riuscire a garantire neanche i servizi essenziali alla Sanità o alla Sicurezza stradale?

Sarebbe il caso che la Sinistra si dia una linea.

Demata

Italia: le macerie dopo Marino

9 Ott

Ignazio Marino andava di(s)messo per mille motivi, ma la prima causa è stata l’abilità di darsi la zappa sui piedi nei momenti più critici.

Ad esempio, decidere di rimborsare le somme in piena bufera rimborsi e scontrini, cosa che significa de facto ammettere che non erano rendicontabili, ergo legittime.
Oppure annunciare le dimissioni dopo ore e giorni di colluttazioni politiche, ma avvvisando che per 20 giorni ancora poteva cambiare idea con buona pace delle emergenze romane e del Giubileo alle porte.
Peggio del peggio, sperando di poter «spaccare il Pd», dichiarare «Basta, ora farò i nomi» che è come ammettere che sa cose e fatti che avrebbe potuto o dovuto denunciare da tempo, senza parlare delle code di Rom alle Primarie o del fatto che Odevaine e Buzzi sicuramente non erano del Centrodestra …

Finito Ignazio Marino, prendiamo atto che proprio oggi esplode lo scandalo dei rimborsi della Banca Popolare di Vicenza per «erogazione del credito senza la valutazione di rischio» a favore di diversi gruppi imprenditoriali tra cui la «Imvest»  che fa capo ad Alfio Marchini, futuro candidato a sindaco di Roma, che dichiara «Da quando sono sceso in politica girano dossier, ma non credevo si arrivasse a tanto. A parte che non ho alcun ruolo diretto nell’azienda citata, stiamo pagando tutte le cedole regolarmente e abbiamo dato in garanzia anche uno stabile».

Stessa storia nel resto del Bel Paese con Primo Greganti scovato ancora ‘in servizio attivo’ a Milano, il caso Crocetta in Sicilia, il ritorno di Bassolino a Napoli eccetera eccetera, se parliamo del PD, e dei dossier che diventano casi giudiziari che si trascinano per anni ed anni – per poi spesso veder cadere la accuse – quando parliamo del Centrodestra.

Intanto, i Fratelli d’Italia crescono, ma i media sembrano non accorgersi di loro se non per parlare di Casa Pound o dei Rom, senza dimenticare del ‘fascisti tornate nelle fogne’ che puntualmente si ritrovano a reti unificate.
Restano solo i Cinque Stelle, che faranno cappotto dell’esasperazione della gente, come una volta lo facevano i partiti di sinistra, ma siamo alla demagogia pura, visto che in due anni sono riusciti solo a raccogliere gli scontrini di Marino  e portarli in tribunale, alla Regione Lazio ‘monitorano la Sanità’ ma dai loro dati non si evince neanche quanti malati cronici o terminali ci siano, al Parlamento avessero presentato una proposta organica di legge elettorale, finanziaria, sul welfare, sul lavoro, sulle tasse, sulla sicurezza dei cittadini, sulla mafia eccetera eccetera.

Un gioco al massacro.

Prendiamo atto che a Roma, come a Milano e in Italia – per fare appalti e contratti di lavoro in regola come per evitare colpi bassi e vendette trasversali o i soliti noti ‘organizzatori del dissenso’ – bisogna estromettere la politica e gli apparati che ne dipendono, nominando un prefetto od un magistrato. Terribile, vero?

Dunque, tenuto conto che una città (ed una nazione) divisa e disordinata si presta molto bene ad attacchi esterni e, con un Giubileo alle porte mentre i conflitti religiosi imperversano, ci sarebbero tutti i motivi per riportare in auge il ‘senso dello Stato’, mettendo da parte il livore fazioso ed antistituzionale che da decenni fa consenso elettorale per chi vive di vitalizi e rimborsi elettorali, raccattando la protesta qua e là.

Demata

Fassina e le tasse immorali

20 Lug

Un operaio specializzato (redditi tra da 15.001 euro a 28.000) oggi si becca trattenute dallo stipendio lordo pari a:

  • 9,9% per un sistema sanitario assurdo … fosse solo perchè persino in USA con 200 $ al mese (circa 140 euro) otterrebbe in cambio molto di più che da noi
  • una aliquota fiscale del 27%, cioè un quarto del reddito duramente guadagnato 36 ore alla settimana per una vita
  • l’addizionale regionale Irperf che in Lombardia è del 1,7%, mentre nel Lazio arriva al 3,3%
  • l’Imposta sul Valore Aggiunto al 22% (in Germania è al 19%), che paga su ogni cosa acquisti e che non può mai scaricare, essendo lavoratore dipendente, anche se si tratta dell’autovettura per raggiungere il lavoro o dei vestiti ‘adeguati’ che deve comprare caso mai non gli dessero una divisa
  • la Tasi con una aliquota media del 2,46 per mille (e picchi oltre l’1%)
  • contributi previdenziali al 33% (23,8% trattenuto all’origine ed il 9,2% detratto dallo stipendio lordo) che sono monopolio dell’Inps senza possbilità di scelta per chi produce il reddito.

In parole povere un operaio che percepisce 15.001 euro annui di reddito in realtà ne produce oltre 18.000 (23,8% versato direttamente all’Inps dal datore di lavoro). Dopo di che, versati altri 1.200 euro per la previdenza, vede volar via 1.500 euro annui (più i ticket e i farmaci non mutuati) per la copertura sanitaria, 4.000 euro come ritenute fiscali nazionali  e altri 500 per quelle locali. Alla fine gli resta molto meno di diecimila euro per comprare cose i cui prezzi sono maggiorati rispetto all’Ue e, soprattutto,  senza possbilità di tante riduzioni /detrazioni per l’IVA come altrove.
In totale, dei 18.000 euro che rappresentano il ‘costo del lavoro’ per le aziende, ai nostri operai da 15.001 euro annui arrivano in tasca 7-8.000 euro, in termini di potere d’acquisto. Molto peggio se c’è anche da pagare un affitto.

Ecco da dove arrivano i salari netti da 8-900 euro mensili … mentre il costo del lavoro ‘all’origine’ è pari a circa 1.500 euro mensili …

Se le tasse locali si pagassero in base al valore catastale e non al reddito, se il sistema assicurativo e quello sanitario fosse liberalizzati, se la smettessimo di sovraccaricare le merci di imposte, accise e tributi , se la smettessimo di spendere il 33% del PIL in pensioni (d’oro), mentre la media UE è  sotto il 20% … quanto tornerebbe nella tasca del lavoratore come ricchezza reale?

Immorale ridurre le tasse? Immorale, piuttosto, continuare a pescare nei nostri portafogli in cambio di servizi spreconi e di bassa qualità.

Demata

Perchè Merkel ha ragione?

17 Lug

Chi pensa che i contabili europei siano degl aguzzini, mentre i populisti antieuro siano gli alfieri della democrazia si sbaglia. Anzi, peggio, è in malafede.

Infatti, qualcuno crede davvero che sia giusto promettere di pagare tot fatture o cambiali a 60 giorni e poi presentarsi al 91esimo senza un denaro e chiedendo anche lo sconto? Immagino che nessuno – neanche il ragazzino che attende la paghetta o il premio per la promozione – sia lontanamente disposto ad accettare ‘promesse a geometria variabile’ …

Eppure, c’è una certa parte della politica che si comporta così, allorchè si occupa dei nostri soldi, perchè succube – causa incompetenza propria – delle burocrazie ministeriali e locali, giustificandosi con gli elettori invocando insopportabili imposizioni e tagli, che in realtà sono piani finanziari pluriennali e limiti di budget, per i quali ci si poteva predisporre per tempo.

Ad esempio, ci  sono le regioni con le loro agenzie od enti e le loro forniture, le cui ditte preferiscono cedere i crediti ben prima deila scadenza della prima rata di pagamento, pur di esser certi di incassare repidamente, lasciando  il 10-15% alle finanziarie che rilevano il credito, le quali a loro volta dovranno attendere mesi  (o anni) per il saldo, lasciando sul tavolo sconti e crediti contestati (se va male) o incassando lauti interessi (se a bene). Morale della favola, la PA paga con molti mesi di ritardo e cerca puntualmente di sottrarsi o comunque di dilazionare; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo applicando tagli a casaccio  e riversandone la colpa su altri.

Altro esempio, ognuno di noi versa il 9,9% del proprio reddito per l’assistenza sanitaria che, in soldoni, equivale a quasi 300 euro mensili per chi ha uno stipendio netto di 1.600-1.800 euro. Beh, con 400 dollari al mese in USA vi pagate una copertura assicurativa di prima classe, con 200 $ (quel che versa chi guadagna 1000 euro netti) andate in qualunque clinica privata, qui da noi finite in barella per ore ed ore al pronto soccorso. Peggio ancora se invece di sanità parlassimo di previdenza. Morale della favola, i nostri sindacati non ci tutelano, avallando un sistema previdenziale e sanitario iniqui e spreconi; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo invocando un bengodi che non c’è e procastinando le soluzioni ad un futuro che non arriva mai.

Dovremmo riflettere prima di pensare che l’Europa pretenda da noi cose impossibili: la diretta conclusione che se ne trae è la conferma definitva di una ‘storia’ che gira da 2000 anni. I popoli latini sono culturalmente più corrotti o corruttibili di quelli centro-nordeuropei’? Sarebbe meglio fornire ampie e dimostrabili smentite, mantenendo gli  impegni presi  e non buttando in politica (in cavalleria) i guai e le soluzioni, se vogliamo convincere Europa e Germania ad adottare maggiore flessibilità finanziaria. O pensiamo che Normanni e Sassoni abbiano voglia di cambiare le proprie regole (vincenti) per dar seguito ai Celti imbelli od ai Cattolici furbetti?

Demata

Austerity, le regole ed a chi convengono

9 Lug

Mentre Tsipras non trovava meglio da fare che aumentare l’IVA e le tasse sulle imprese – evidentemente allo scopo di regalare ai greci qualche altro anno di recessione – in Italia, in Europa e nel mondo della finanza ci si interroga su cose serie come le regole, che all’origine fanno capo al costo del denaro (da cui spread, austerity, computo del PIL eccetera).

Iniziamo col dire che nessuno di sogna (ad eccezione di italiani e greci) di immaginare delle regole che possano essere derogate o, comunque, cambiate ‘in corsa’. Stop.

Aggiungiamo che le crisi italiana e greca derivano non da una effettiva insolvenza od incapacità del sistema a produrre PIL, bensì dalla corruzione e dall’inefficienza (ed inaffidabilità) della pubblica amministrazione.
In ambedue i paesi si è alterato il procedimento di formazione degli organi elettivi e amministrativi, per determinare la nomina di ‘personaggi graditì in posizioni strategiche, realizzando una sistematica infiltrazione del tessuto imprenditoriale e delle istituzioni locali attraverso un diffuso sistema corruttivo.

Nel computo del PIL (e della ‘forza strutturale’ degli Stati) è corretto considerare gli investimenti pubblici (ferrovie, strade eccetera) come spese ‘vive’, ovvero quali sono per le tasche dei cittadini che pagano le tasse …

Ergo … potrebbe essere finita l’epoca in cui si mascheravano come investimenti e welfare i soldi buttati dalla finestra a beneficio di cani e porci …

Morale della favola, la Troika e (soprattutto) il popolo greco dovranno ammettere che la Grecia non regge la ‘cura’ perchè ha una molto limitata capacità di crescita autonoma a causa di un sistema infrastrutturale (a partire dai servizi pubblici) inadeguato, costoso e sprecone, cioè inaffidabile.
Quando decideranno di esser meno corrotti (evadere il fisco ne è una forma, esser pubblici impiegati negligenti ne è un’altra come l’eleggere politici di comodo pur di non cambiar nulla) se ne potrà riparlare.

Demata

Grecia: le bugie e le gambe corte

7 Lug

La Grecia ha da giorni interrotto gli scambi finanziari con l’estero ed a causa di questo sta venendo meno la disponibilità di farmaci  nel paese al punto che la stessa Germania vuole attivare aiuti umanitari.

Ecco i risultati del dilettante allo sbaraglio Varoufakis, che voleva ritornare alla dracma e non saldare i debiti contratti.

Intanto, il ministro dell’economia Giorgos Stathakis ha annunciato che la Grecia ha ammorbidito le sue pretese e chiederà solo il taglio di 100 miliardi di debito, travestendolo da spalmatura per non falcidiare l’euro e le tasche degli europei. Magari …

In quali mani si siano messi i greci dovrebbe essere chiaro ormai a tutti e ancor più per noi italiani che ricordiamo ancora certi ‘partiti di lotta e di governo’, i ‘tesoretti’ poi dimostratisi voragini, la finanza ‘creativa’ che ha messo in ginocchio Roma molto prima che la Grecia.
E quale sia il carico di diffidenza che ormai grava sui greci è tutto nelle dichiarazioni di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogroup: “aspettiamo nuove proposte e vedremo se sono credibili” …

Sarcastico ma esplicito anche l’antipatico Juncker:: “Ci è stato detto che dobbiamo rispettare il voto del popolo e io non mancherò di farlo. I cittadini della Grecia hanno parlato e mi piacerebbe capire quello che dicevano. Ma la domanda che è stata posta al popolo greco (ndr. con il referendum) è qualcosa che non esiste.
Forse qualcuno dovrebbe spiegarmi in dettaglio cosa tratti la domanda che è stata posta popolo greco, ma forse ci sarebbe stata troppa carne da mettere al fuoco (it would be too much of a circus = sarebbe stato davvero un gran casino).”

In effetti il quesito posto ai greci era molto superficiale, ovvero se “deve essere accettato il progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi nell’Eurogruppo del 25 giugno 2015” ed i greci hanno risposto di ‘no’, ma … questo può significare l’insolvenza più caparbia od il desiderio di saldare prima possibile oppure cedere ad altri stati tot isole ed isolette o … chissà quante altre soluzioni più o meno incredibili … incluso il confondere una croce messa su una scheda di un referendum frettoloso e pauroso con una effettia base popolare per Syriza e Tsipras.

Più simpatico il nostro ministro degli esteri Gentiloni: “sappiamo bene che la Grecia è fuori dai parametri e non per colpa dei tedeschi cattivi, ma per responsabilità delle leadership che si sono succedute ad Atene negli ultimi 15/20 anni. La Bce ha preso le sue decisioni, che non sono di competenza della politica. Ma i governi non possono scaricare il peso delle scelte sulle spalle per quanto robuste del governatore. La politica non può rinunciare al suo ruolo.”

Morale della favola: i greci sono vessati  non dalle banche assassine, ma da se stessi e dai politici corrotti od incapaci che riescono  a scegliersi. Quanto alle “bugie dalle gambe corte”, come “le chiacchiere e i distintivi”, coloro che sono ‘pro Grecia, anti Banche’ dovrebbero informarsi meglio: Tsipras (ed il suo partito, Syriza, con il 60% dei greci per ora al seguito) non vogliono restituire centinaia di miliardi di  euro al Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) e al Meccanismo europeo di stabilità (Esm), oltre che alla BC … cioè a noi.

Demata

Chi sarà il candidato Presidente del PD

26 Gen

L’elezione del Capo dello Stato richiede, dalla terza seduta in poi, 505 dei 1009 voti espressi da 630 deputati, 320 senatori (315 eletti, 5 a vita) e 58 delegati delle Regioni (art. 83 Costituzione).

I ‘numeri’  collocano il Gruppo Parlamentare del PD in testa (407) seguito dal Centrodestra (234), M5S (143), Autonomie (51), Lega (35), Scelta Civica (34) e SEL (33), in fine il Gruppo Misto (23).
In poche parole, il PD ha da scegliere se trovare un’accordo interno per un nome ricevibile dal Centrodestra ed eleggere il presidente a grandissima maggioranza oppure se correr dietro alle ‘sirene greche’, affrontare l’incubo dello scisma e, soprattutto, votare lo stesso quel candidato, ma in condizioni paritetiche con gli alleati …

Ed i fronti interni non sono quelli che  leggiamo sui giornali, la questione non è se essere più o meno veterocomunisti democratici o più modernamente cattopostcomunisti, nè si tratta di pendere per le Coop (travolte dalle collusioni mafiose in troppe città) o per la ‘base operaia’, che ormai segue Landini e Marchionne.

Il primo fronte è quello ‘interno, nazionale’ dei ‘baby boomers’ – i nati tra il 1948 ed il 1955 – che gli italiani chiamano ‘ex sessantottini’ e che da una ventina d’anni fanno il bello e il cattivo tempo a nostre spese. Convinti di essere portatrice di in un futuro migliore e intendono somministracene ulteriori dosi, proponendosi a 70 anni come vestali del nostro futuro.
L’altro è quello ‘internazionale’ che ha già iniziato da tempo ad affidare il futuro ai cinquantenni di oggi, vedasi Merkel, Obama o John Ellis Bush, Valls, Cameron.  Una posizione che – destra o sinistra che sia – trova forte radicamento a livello popolare e tra i comparti tecnico-esecutivi, ma non offre figure gradite all’oligarchia cattocomunista italiota. E’ una compagine che ‘parla un’altra lingua’, figlia della genetica, dell’archeologia, della storia, dell’organizzazione umana riscritte negli Anni 80-90′, dopo i pregiudizi ed i luoghi comuni diffusi dalla kultura Anni ’60-70′.

In pratica, l’Italia deve affrontare lo stesso bivio dinanzi al quale si trovò la CEI quando si trattò di eleggere Karol Woytila al papato, facendo un passo indietro rispetto alle secolari logiche romanocentriche, e dinanzi al quale si è trovato il Vaticano intero nello scegliere un gesuita cosmopolita come moralizzatore di Roma.

Lo ‘stato delle cose’ lascia pochi nomi alla ribalta, a meno che il PD scelga una via disastrosa, cedendo a chi vorrebbe uno dei ‘soliti noti’ a presiedere il Quirinale, magari sbarrando la strada ad innovazione, semplificazione ed equità generazionale per altri sette anni.

L’estremo tentativo di un mondo che si regge solo su proroghe dell’età pensionabile e mandati elettivi già esauriti, come sul consenso di alcune zone dello Stivale,  beneficiate dall’Unificazione italiana, è Sergio Chiamparino (Moncalieri, 1948), ex alpino, presidente della Regione Piemonte dal 9 giugno 2014, esperto di  ristrutturazioni industrial fin dal 1975 e responsabile del Dipartimento Economico del PCI di Torino dal 1982.
Contro di lui, per non chiariti motivi, la sinistra PD di cui Stefano Fassina ricorda che “il nuovo Presidente dovrebbe garantire autonomia, esperienza, conoscenza delle dinamiche parlamentari e autorevolezza”, ovvero non il ‘compagno’ Chiamparino che non è mai stato parlamentare. Idem Raffaele Fitto, di Forza Italia: “Puntiamo ad un capo dello Stato autonomo, autorevole, e che non sia necessariamente espressione della sinistra”.

L’uomo che meglio raccoglie ‘il nuovo che non avanza, ma doveva esser già qui’ è Paolo Gentiloni, ex editore di ‘Nuova Ecologia’ e per anni parlamentare europeo e compnente delle Commissioni Ambiente ed Esteri dell’Unione Europea. Poco conosciuto in Italia, fuori dalla sua città natale, Roma, è stato l’uomo che forse più di tutti ha tutelato gli interessi energetici dell’Italia ed il suo upgrade tecnologico.
Ed, infatti, Gianni Cuperlo, parlamentare ed ex presidente del Pd, ha dichiarato “mi auguro che ci sia una proposta unitaria, seria, autonoma” da parte del suo partito e Gentiloni è un liberale di nobile famiglia, esponente del ‘mondo laico’ a partire da Bonino e Rutelli.

Tra i due fronti va a comporsi il tezo nome: Dario Franceschini, cinquantenne, proveniente dall’esperienza giovanile dei Cristiani per il Socialismo e delle Acli, sempre ‘apart’ rispetto all’oligarchia sindacal-cooperativa e spesso dimenticato dalla stampa ‘amica’. Ottimo mediatore e persona di cultura, cattolico populista e non operaista, può essere il punto di incontro raggiungibile o … già raggiunto, visto che è l’unico che rientra nei ‘parametri di veto’ delle due componenti ‘old school’ del PD, salvo che non tirino fuori dal cappello al cilindro un settantenne as usual … o, perchè no, Walter Veltroni, l’ex sindaco di tutti … non sgradito a Berlusconi.

Aggiunto che Mario Draghi ha annunciato i ‘Bot europei’ prima e non dopo le elezioni greche ed italiane, potrebbe addirittura accadere qualcosa di sensato nel Paese degli Acchiappacitrulli, ovvero che PD (407) più Centrodestra (234), con Autonomie e Scelta Civica (85) riescano a convergere ed eleggere il Presidente entro le prime tre sedute.

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Chi sarà il Presidente secondo i numeri e … buon senso

25 Gen

L’elezione del Capo dello Stato richiede, dalla terza seduta in poi, 505 dei 1009 voti espressi da 630 deputati, 320 senatori (315 eletti, 5 a vita) e 58 delegati delle Regioni (art. 83 Costituzione).

I ‘numeri’  collocano il Gruppo Parlamentare del PD in testa (407) seguito dal Centrodestra (234), M5S (143), Autonomie (51), Lega (35), Scelta Civica (34) e SEL (33), in fine il Gruppo Misto (23).
In realtà, a causa della gravissima situazione interna e delle pressioni della CGIL, è difficile che il PD possa garantire molto più di 300 voti, in un senso o nell’altro, e senza i ‘numeri’ del secondo aggregato parlamentare, il Centro Destra ancora dominato da Berlusconi, diventerebbe possibile qualsiasi colpo di mano.

Se i ‘numeri’ sono la conditio sine qua non per qualsiasi elezione e determinano dei ‘eprcorsi obbligati’, i  fronti possono essere più variegati.
Il primo fronte è quello ‘nazionale’ dei ‘baby boomers’ – i nati tra il 1948 ed il 1955 – che gli italiani chiamano ‘ex sessantottini’ e che da una ventina d’anni fanno il bello e il cattivo tempo a nostre spese. Gente che era convinta di essere portatrice di in un futuro migliore e intende somministracene ulteriori dosi.
L’altro è quello ‘internazionale’ che ha già iniziato da tempo ad affidare il futuro ai cinquantenni di oggi, vedasi Merkel, Obama o John Ellis Bush, Valls, Cameron.  Una posizione che – destra o sinistra che sia – trova forte radicamento a livello popolare e tra i comparti tecnico-esecutivi, ma non offre figure gradite all’oligarchia cattocomunista italiota.

In pratica, l’Italia deve affrontare lo stesso bivio dinanzi al quale si trovò la CEI quando si trattò di eleggere Karol Woytila al papato, facendo un passo indietro rispetto alle secolari logiche romanocentriche, e dinanzi al quale si è trovato il Vaticano intero nello scegliere un gesuita cosmopolita come moralizzatore di Roma.

Lo ‘stato delle cose’ lascia pochi nomi alla ribalta, a meno che il PD scelga una via disastrosa, cedendo a chi vorrebbe uno dei ‘soliti noti’ a presiedere il Quirinale, magari sbarrando la strada ad innovazione, semplificazione ed equità generazionale per altri sette anni.

L’estremo tentativo di un mondo che si regge solo su proroghe dell’età pensionabile e mandati elettivi già esauriti, come sul consenso di alcune zone dello Stivale,  beneficiate dall’Unificazione italiana, è Sergio Chiamparino (Moncalieri, 1948), ex alpino, presidente della Regione Piemonte dal 9 giugno 2014, esperto di  ristrutturazioni industrial fin dal 1975 e responsabile del Dipartimento Economico del PCI di Torino dal 1982.
Contro di lui, per non chiariti motivi, la sinistra PD di cui Stefano Fassina ricorda che “il nuovo Presidente dovrebbe garantire autonomia, esperienza, conoscenza delle dinamiche parlamentari e autorevolezza”, ovvero non il ‘compagno’ Chiamparino che non è mai stato parlamentare. Idem Raffaele Fitto, di Forza Italia: “Puntiamo ad un capo dello Stato autonomo, autorevole, e che non sia necessariamente espressione della sinistra”.

L’uomo che meglio raccoglie ‘il nuovo che non avanza, ma doveva esser già qui’ è Paolo Gentiloni, ex editore di ‘Nuova Ecologia’ e per anni parlamentare europeo e compnente delle Commissioni Ambiente ed Esteri dell’Unione Europea. Poco conosciuto in Italia, fuori dalla sua città natale, Roma, è stato l’uomo che forse più di tutti ha tutelato gli interessi energetici dell’Italia ed il suo upgrade tecnologico.
Ed, infatti, Gianni Cuperlo, parlamentare ed ex presidente del Pd, ha dichiarato “mi auguro che ci sia una proposta unitaria, seria, autonoma” da parte del suo partito e Gentiloni è un liberale di nobile famiglia, esponente del ‘mondo laico’ a partire da Bonino e Rutelli.

Tra i due fronti va a comporsi il tezo nome: Dario Franceschini, cinquantenne, proveniente dall’esperienza giovanile dei Cristiani per il Socialismo e delle Acli, sempre ‘apart’ rispetto all’oligarchia sindacal-cooperativa e spesso dimenticato dalla stampa ‘amica’. Ottimo mediatore e persona di cultura, cattolico populista e non operaista, può essere il punto di incontro raggiungibile o … già raggiunto, visto che è l’unico che rientra nei ‘parametri di veto’ delle due componenti ‘old school’ del PD e del Centrodestra, salvo che non tirino fuori dal cappello al cilindro un settantenne as usual.

Aggiunto che Mario Draghi ha annunciato i ‘Bot europei’ prima e non dopo le elezioni greche ed italiane, potrebbe addirittura accadere qualcosa di sensato nel Paese degli Acchiappacitrulli, ovvero che PD (407) più Centrodestra (234), con Autonomie e Scelta Civica (85) riescano a convergere ed eleggere il Presidente entro le prime tre sedute.

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