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Elezioni 2022, vincono gli astenuti, Letta tiene, Salvini crolla, Meloni trionfa. Cosa cambia?

26 Set

Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento ha votato il 63,91% degli aventi diritto, cioè circa 30 milioni di elettori per la Camera e poco più di 27 per il Senato.
Il 36% degli italiani (uno su tre) non si è riconosciuto nei partiti e nei candidati proposti.
Congratulazioni a Giorgia Meloni, ma l’Italia ha innanzitutto scelto il dissenso (e starà a lei riconquistarla).

Rispetto alle elezioni del 2018, il dato grezzo mostra che la coalizione Dem / Verdi SI / +Europa è riuscita a mantenere il proprio elettorato (che ha risposto prontamente all’appello ‘antifascista’, as usual) o, comunque, a riassorbirne le perdite.
Fatto sta che nel 2013 – con Bersani e Renzi, opponendosi ai Cinque Stelle e senza “allerta antifascista” – di voti il PD ne aveva presi quasi 3 milioni in più.

Andando ai risultati di coalizione, sorgono diversi quesiti:

  • il Campo Largo immaginato da Zingaretti e Conte avrebbe potuto superare il Centrodestra? Probabilmente no: Conte vince correndo da solo
  • preferire il centro di Azione IV (lasciando Verdi SI alla coalizione a Cinque Stelle) avrebbe aiutato il PD nell’attrarre il voto moderato e dell’Italia che produce?
    Certamente si: i risultati di oggi dimostrano che un’alleanza PD Azione IV raccoglie più voti
  • la responsabilità della debacle della Lega è tutta di Matteo Salvini?
    Probabilmente si: è lui che fece e lasciò il governo con l’allora sconosciuto (ed oggi potente) Giuseppe Conte ed è con lui che ha staccato la spina al governo Draghi

In altre parole:

all’appello manca un 10% di elettori rispetto alle medie storiche e certamente non sono quelli che da sempre votano ‘a destra’ o ‘a sinistra’; è venuto meno il centro moderato e produttivo

Giorgia Meloni ha conquistato il Parlamento, adesso deve conquistare gli italiani, specialmente quel 10% che si è astenuto, ma “conta” nelle imprese e negli uffici

il Centrosinistra ‘storico’ (PD e alleati) regge ma più di tanto non va con le sue priorità ‘sociali’ e ‘redistributive’, a meno di non cascare nel populismo come ai tempi del PCI

il dimezzamento dei voti per la Lega e per i Cinque Stelle dimostrano che un conto sono i Social, un altro i Media e un altro conto ancora sono le piazze quando poi si va alle urne

l’esito del voto capitolino (dove il Campo Largo ‘piace’) e quello (inverso e negativo) delle ‘province meridionali e insulari’ (con Napoli a capintesta) impone una seria riflessione politica nazionale ed internazionale

dulcis in fundo, a quel 10% ‘produttivo’ che si è astenuto il governo Draghi piaceva (magari non troppo, ma andava), come era stato per quelli tutt’altro che populisti di Monti, Renzi, Prodi e – prima ancora – Craxi e Spadolini; un’Italia rimasta senza un partito da oltre 20 anni?


Chiunque che sarà a capo della Res Publica italiana dovrà scegliere se correre dietro al Popolo ‘populista’ o lasciar lavorare i Liberti ‘professionali’ oppure lasciar arricchire i Senatori monopolisti e ‘sovranisti’.
Come al solito a Roma dal 2.700 a.C.

A.G.

DL Sicurezza: cosa diceva il PD soltanto un anno fa?

10 Lug

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Emma Bonino Official

Un anno fa il Partito Democratico italiano lanciava strilla e strali contro il Decreto Sicurezza, che – ricordiamolo –  non fu del sol Salvini, ma del Governo Conte in toto, che lo fece politicamente proprio in Parlamento. 

E dell’amletico Governo Conte restano oggi, anche se ha cambiato alleati, visto che deve intervenire la Corte Costituzionale, prima per  il potere sostitutivo del prefetto nelle attività di comuni e province e poi per l’iscrizione anagrafica negata ai richiedenti asilo.

Un Governo Conte fermo nel girone dantesco degli ignavi, se non interviene in proprio su quell’articolo 1 del Decreto Sicurezza, che è un tale non sense persino da essere difficilmente ricorribile: avete visto mai un ministero degli interni che ha giurisdizione sui trattati esteri e/o può escludere di adempiervi autonomamente?

Il nostro Ministro dell’Interno “può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, …  quando si realizzano le condizioni dell’articolo 19, comma 2, lettera g) della Convenzione ONU sui diritti del mare”:
Soccorso in acque extraterritoriali e sbarco nel porto sicuro più vicino in acque territoriali … agli Esteri tocca di gestire il primo, all’Interno di garantire il secondo.

Ma cosa affermava Nicola Zingaretti, oggi leader della maggioranza, quando il PD era all’opposizione?

4 dicembre 2018 “Una misura che sembra pensata apposta per gettare il Paese in uno stato di emergenza permanente.”

7 gennaio 2019 “Due pilastri della questione sociale, sicurezza e civiltà, non devono essere messi in discussione come fa il Dl Sicurezza. Trovo che questo decreto sia un passo indietro dal punto di vista della civiltà e della sicurezza”.

11 aprile 2019 “Vogliamo aiutare i tanti invisibili creati dal decreto Sicurezza approvato dal governo”. 

11 maggio 2019 “Il DL Sicurezza bis è l’ultima pagliacciata. Stiamo parlando di salvare la vita di un essere umano per 5 mila euro.” 

21 maggio 2019 “Il decreto sicurezza vuole parlare alla paura delle persone che c’è , ma alla paura va risposto con la serietà”.

24 maggio 2019 “Multare chi salva vite umane ci riporta ad Auschwitz. Noi vogliamo l’Europa della democrazia, non quella di Auschwitz, che ripropone il disprezzo della vita”.

Anche Liberi e Uguali (LeU), un gruppo parlamentare italiano di sinistra della XVIII legislatura presente alla Camera dei deputati, fa oggi parte della maggioranza del Governo Conte, con un proprio ministro alla Salute.
Neanche Liberi e Uguali sembra oggi imbarazzato dalle norme del Governo Conte ancora vigenti nei mari italiani.

Demata

 

L’Emilia, il Fascismo Agrario e … Yogananda

11 Nov

Alla data del 31 dicembre 1919 i Fasci in Italia erano 31 con solo 870 iscritti; ebbe vita breve persino il primo fascio di combattimento ‘emiliano’ fondato da Dino Grandi a Bologna il 10 aprile 1919.
Ma a partire dal 1920, al culmine del Biennio Rosso, le occupazioni di terreni agricoli convinsero molti latifondisti liberali, principalmente in Emilia, nell’alta Toscana e nella bassa Lombardia, a negoziare la svendita cascine e fattorie a ex-mezzadri, fattori o piccoli coltivatori diretti socialisti.

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Fu questa la nuova categoria di proprietari terrieri, ben più decisa a difendere i propri beni dalle occupazioni rispetto ai precedenti latifondisti, alla quale Mussolini si rivolse per dare consistenza al movimento fascista, sposandone appieno le necessità.
Così, allarmati dalle occupazioni e dai disordini dei braccianti agricoli (diritto di sciopero, aumenti retributivi, suffragio universale, libertà associative e tassazione delle eredità patrimoniali), i nuovi appartenenti alla piccola borghesia agraria, artigiana o del commercio confluirono nel movimento guidato da Mussolini.
In pochi mesi si costituirono oltre 800 nuovi Fasci, con circa 250.000 iscritti, i quali diedero vita alle squadre d’azione, dette spregiativamente “squadracce”, che contrastarono le leghe rosse e bianche durante gli scioperi o le azioni di occupazione, accentuando il già diffuso clima di violenza politica.

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Il 21 novembre 1920, mentre era in atto l’insediamento della giunta comunale socialista a palazzo d’Accursio, alcune squadre fasciste compivano un attacco all’allora sede del comune di Bologna e nella ressa generale morivano dieci sostenitori socialisti e un consigliere comunale liberale, oltre al ferimento di altre 58 persone.
Prefetto e questore, consci da tempo dei piani fascisti, non si preoccuparono di evitare lo scontro. Allo stesso modo gli Organi di informazione che riuscirono a derubricare il massacro a comune fatto di cronaca.

Questo fatto è passato alla storia con il nome di “eccidio di palazzo d’Accursio” a Bologna e viene considerato come la data effettiva di nascita del Fascismo.

Un mese dopo, il 20 dicembre, al Castello Estense di Ferrara i fascisti manifestavano in commemorazione del liberale Giulio Giordani, quando furono esplosi numerosi colpi di arma da fuoco dalla terrazza, dalla loggia e dalla veranda dei locali della Deputazione Provinciale socialista, lasciando a terra quattro fascisti morti e una sessantina di feriti.

Secondo la questura l’eccidio risultò “preparato da molto tempo e con molta cura” da parte dei socialisti, come rappresaglia per i fatti bolognesi. Il corteo funebre che si svolse a Ferrara rese evidente a tutti il seguito del quale godevano i fascisti, dimostrato dalla partecipazione di migliaia di persone, senza incidenti.

La prova che i fascisti a Ferrara si attenevano agli ordini senza degenerare in scontri e devastazioni facilitò la definitiva affermazione del fascismo presso la corte reale e gli apparati di governo.

Intanto, vale la pena di ricordarlo, proprio nel 1920 a Boston di svolgeva il primo Congresso Internazionale dei Liberali Religiosi, dove Yogananda tenne il suo primo discorso in America.

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L’allora ministro della Guerra Ivanoe Bonomi, nel suo libro  “La politica italiana dopo Vittorio Veneto”, pubblicato postumo nel 1953, così sintetizza l’improvvisa ascesa del fascismo agrario emiliano: “D’improvviso, dopo la tragedia di Bologna, i ceti agrari si muovono, si adunano, si organizzano. Nei borghi della valle padana giovani ufficiali reduci di guerra chiamano a raccolta i loro amici e parenti agricoltori e dicono loro che bisogna difendersi contro quelli che incitano alle violenze violenze e al disordine, contro le correnti che vogliono instaurare la dittatura del proletariato“.

Chissà come sarebbe l’Italia se invece di inviare “guai ai ricchi” e esaltare i “beati poveri di spirito” si comprendesse ed insegnasse che “la libertà dell’uomo è definitiva ed immediata se così egli vuole; essa non dipende da vittorie esterne ma interne.” (Paramahansa Yogananda)

Demata

La responsabilità storica di Nicola Zingaretti

23 Ago

Sarebbe bastato sostenere un governo Conte bis, dando spazio a Matteo Renzi ed ai molti parlamentari che lo seguono e che hanno un dialogo con i Cinque Stelle, per riportare il Partito Democratico al governo in una fase determinante per il futuro dell’Italia.

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Invece no, Zingaretti ha confermato che il PD che ‘decide’ è quello dei notabili ‘regionali’, cioè quello che ha scatenato il malcontento che da anni sostiene Cinque Stelle e Lega e che da sempre è diffidato dalle varie anime liberali.

Ed è spesso anche il PD di quelli che a fine mandato lasciano sempre più tasse, più tagli e più debiti: tutti ricordiamo il debito strutturale di Roma lasciato da Valter Veltroni ed oggi sulle spalle di Virginia Raggi. E, comunque, basta vedere la Regione Lazio di Nicola Zingaretti che ogni anno spende oltre metà del bilancio solo per coprire debiti e mutui, investimenti e innovazione poco e nulla, spese di personale elevate, qualità dei servizi tutta da capire, in alcuni casi addirittura a partire da quali prestazioni offrano …

Non è un caso che in questi giorni accanto a Nicola Zingaretti si sono visti Del Rio, Orlando e Gentiloni, ma non Matteo Renzi nè Serracchiani o Boschi, Giachetti o Martina, Calenda o Picierno o Pisapia.
Quale PD rappresenta Zingaretti nella trattativa con i Cinque Stelle: l’apparato o i parlamentari? I notabili o la base? 

La questione è di rilievo sia in un’alleanza con i Cinque Stelle sia per qualsiasi governo futuro: il PD di Zingaretti è per caso ancora quello del volontariato trasformato in business, della cultura ridotta a propaganda, dell’innovazione fine a se stessa, delle manutenzioni demandate ai posteri e della Sanità fai da te causa debiti ?

Se tale fosse il PD di Nicola Zingaretti – e sembra proprio che lo sia – è difficile che Di Maio e Casaleggio, seppur inesperti, vadano a replicare in segno opposto col  PD l’esperienza appena conclusa con la Lega.

Matteo Renzi ha raccolto molte antipatie e lo stesso vale per Elena Boschi, ma il percorso che avevano tentato andava nella stessa direzione dei Cinque Stelle: Zingaretti ed il suo PD sono proprio quello contro cui sono sorti i Cinque Stelle.

Non è la prima volta che i Democrats italiani arrivano al momento cruciale con il segretario sbagliato …

Già, perchè mentre tutti noi siamo preoccupati per i circa 28 miliardi di euro che vanno trovati per evitare l’ennesimo baratro, Nicola Zingaretti annuncia una ‘imposizione fiscale progressiva‘ … mica per risanare un tantinello il bilancio che fa acqua o per rilanciare l’occupazione eccetera … no, l’imposizione fiscale annunciata dal PD serve per “redistribuire il reddito e combattere le disuguaglianze”.

De Angelis per Huffington Post racconta che: “due ore per un segnale che non arriva, il volto scuro, le parole con cui certifica il doppio forno, il Capo dello Stato prende atto della crisi dentro i partiti. Entro mercoledì il nome di un premier o lo scioglimento“. 

Scioglimento del PD per salvare il Parlamento o scioglimento del Parlamento per salvare il PD in attesa che si divida secondo natura?
Questa è e sarà la responsabilità storica di Nicola Zingaretti.

Non è il solo: ci sono le responsabilità passate di Occhetto, Veltroni e D’Alema nelle fasi precedenti al PD e c’è ancora oggi il ruolo epocale di Berlusconi nel paralizzare tutto il Centrodestra.
Bisognerebbe ripartire dal 1946 e da De Gasperi, ma dove trovare i soldi del Piano Marshall per far ripartire l’Italia?

Demata

Quale futuro per Destra e Sinistra nell’Era Digitale?

30 Dic

Destra e Sinistra per luogo comune sono associati a Tradizione e Innovazione, ma sono concetti nati quando erano in vita Stuart Mill o J.J. Rosseau o tanti altri “padri”, tutti antecedenti all’Era Digitale, che modifica profondamente le relazioni tra gli individui e/o Enti, ormai sempre più spesso mediate e ‘semplificate’ da un macchinario.

Ad esempio, secondo i “padri”, il ruolo principale delle istituzioni pubbliche sarebbe quello di mettere gli individui in condizioni di sviluppare tutto il loro potenziale, ma l’Archeologia moderna dimostra che è almeno dal Neolitico che le “pubbliche istituzioni” sorgono per spinte alla coesione sociale ed esigenze di sicurezza generale.
La nascita di un centro di culto comportava l’aggregazione di risorse e genti, che a sua volta causava l’esigenza di raccolta del cibo, di specializzazione dei lavori e di difesa del sito, con un Rex e un Pontifex, secondo la tradizione romana come del resto era per tutte le culture preistoriche e lo è ancora oggi.

Coesione sociale e Sicurezza generale che la Società deve continuare a garantirsi, mentre l’Industrialesimo è pervenuto all’Era Digitale e la definizione di Sinistra come luogo di “innovazione” come quella di Destra come sede della “conservazione” diventano concetti superati: siamo dinanzi ad un fenomeno ben maggiore delle 95 tesi di Lutero pubblicate nel 1517 a Wittenberg, due generazioni dopo che Johann Gutenberg nel 1448, a Magonza dall’altro lato della Foresta Nera, stampava il primo libro, la Bibbia.

Non a caso, oggi come ieri, i due ‘fronti’ speculari si differenziano innanzitutto su quale equilibrio tra solidarietà/tolleranza e degrado/insicurezza sia ‘giusto’. In altre parole, cosa è responsabilità collettiva e cosa, viceversa, è dovere personale.

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Destra e Sinistra equivalgono ancora a ‘vecchio’ (tradizione) e ‘nuovo’  (innovazione) e ad ‘avanti’ (progresso) od ‘indietro’ (conservazione)?
E come si ‘aggiornano’ queste istanze primordiali del vivere sociale degli Umani, nell’Era Digitale?

Pochi lo ricordano, ma viviamo nel mondo nato per “iniziativa” di un uomo di destra (who pardoned Nixon) che credeva nel progresso come Gerald Ford, il quale nominato in base al 25° emendamento (e non eletto) durante la sua breve presidenza nel 1974 fece rilasciare il sistema Unix sviluppato nei Bell Laboratories alle università, con il codice sorgente e il permesso di implementarlo.

Con il consenso del liberal Jimmy Carter, che credeva nella One Human Race: nel 1978 grazie al protocollo Unix UUCP nasce Internet, che consente ai computer la copia remota dei file e rende possibili reti di comunicazione tra computer, tra cui le chiamate telefoniche. Sempre in quegli anni Steve Jobs e Bill Gates creavano i PC Apple e i software Microsoft, cioè l’architettura hardware e gli applicativi di scrittura e calcolo che ancora oggi esistono.

La successiva spinta liberista di Ronald Reagan consentì un enorme sviluppo del “fai da te” informatico, non solo come assemblatori di base in Occidente e l’industrializzazione della Thailandia e dell’Indonesia, ma soprattutto la libera ricerca ed un programmatore del laboratorio di intelligenza artificiale del MIT, Richard Stallman, nel 1984 fondava la Free Software Foundation creando il sistema operativo GNU, un’alternativa a UNIX di ‘libero’ uso e sviluppo.

A cavallo delle amministrazioni Clinton e Bush sr iniziano a diffondersi, negli Anni ’90,  il sistema Linux su licenza GNU creato da Linus Torvalds e il linguaggio di programmazione Java creato da James Gosling della Stanford University Network.

Sotto la presidenza di Bush jr, nel 2007, nasce Iphone con rinnovata fortuna di Apple e – soprattutto – Google sviluppa e diffonde liberamente Android, un sistema operativo per dispositivi mobili basato sul kernel Linux in cui le utilità GNU sono sostituite da software in Java, che a sua volta è nato per gestire apparati (domotica) e macchinari (automobili) e … che – a differenza di GNU – ha una vera resa commerciale (le Apps a pagamento, ad esempio).

Dopo il disastro cileno dell’Amministrazione Nixon, Innovazione e Conservazione si sono modulate autonomamente dalla Politica e dalla Finanza? Forse …

Caso mai fosse, siamo nel 2019, a quasi due generazioni dall’inizio di questo processo di innovazione nelle comunicazioni umane, come lo era Lutero rispetto a Gutemberg.
E se oggi il FinTech (Amazon, Alibaba, PayPal, Google, Facebook etc) avanza nel mondo delle banche e della finanza, mentre secondo Istat il 26% degli elettori segue la politica attraverso internet, in gran parte tramite i social, forse dovremmo anche prendere atto che il Capitalismo e il Socialismo vanno a cessare la loro funzione come fenomeni dirigisti dell’Industrialesimo, che – viceversa – si palesa come il processo storico principale: causa e non effetto.

Un mondo nuovo, dove Destra, Sinistra e Centro devono (dovevano?) percepire e rispondere ad istanze e ad interessi non più componibili come nel passato.

Ad esempio,

  • i lavoratori del settore industriale (metalmeccanici e hardwaristi) che vorrebbero immobili a buon prezzo, modulari e ergonomici-digitali, e quelli dell’edilizia che vorrebbero redditi più alti, materiali tradizionali e maggiore lavoro manuale, a loro volta utili per gli immobili di pregio, storici o “vintage”;
  • i residenti delle grandi aree urbane, consumatori di enormi risorse alimentari, e quelli delle aree rurali, produttori e distributori consortili di queste risorse, con i primi che desiderano prezzi bassi e merci fresche, i secondi redditi più alti e massima resa;
  • le esigenze della medicina di base e territoriale, come di quella tecnico-infermieristica o meramente socio-assistenziale, cioè con diretto impatto sulla quotidianità e i diritti di tutti i cittadini, e quelle specifiche di eccellenza, cioè di ricovero ed organizzazione ospedaliera, e con quelle di ricerca, cioè di investimento e distribuzione farmaceutica;
  • il diverso punto di vista di chi lavora nei servizi (dal supermercato al sociale, passando per sportelli e magazzini o consegne) 7 ore e 12 ore al giorno e chi consuma (cioè anche egli stesso) che pretende di servirsene H24 e/o con risultati immediati … eccetera.

La “barriera” tra Destra e Sinistra è crollata, se i sondaggi constatano una migrazione di voti significativa dal PD alla Lega, e quelli elencati sono solo alcuni dei nuovi fattori di divaricazione dell’elettorato, come anche i Cinque Stelle si stanno accorgendo.

Destra e Sinistra si fondavano sul farsi portatrici di istanze incompatibili per diversi od opposti gruppi significativi di cittadini nella diversa funzione di consumatori – produttori – elettori.
Da Trump a Putin o Macron passando per Di Maio e Salvini e anche Renzi, oggi i due ‘fronti’ speculari si differenziano innanzitutto su quale equilibrio tra solidarietà/tolleranza e degrado/insicurezza sia ‘giusto’.

In seconda istanza, quel che sembrano fare la differenza sono i ‘soliti’ divergenti interessi tra ceti e professioni di accesso al  reddito e/o ai servizi “essenziali”, necessari alla (soprav)vivenza più o meno lussuosa od sobria che sia, ma con una peculiarità: quel che conta è il “tempo libero” da dedicare al proprio mondo ‘digitale’ e social(e) …
… se un tablet o una playstation costano poco, se per la vita sociale basta la tessera del fitness e la sala per vedere le partite consumando o giocando, se tot volte all’anno si decolla a prezzi infimi per qualche luogo turistico e se … non registrassimo ogni anno quasi 100.000 casi di minacce l’anno, prevalentemente ad opera di italiani e sono solo quelle denunciate dalla parte offesa.

Demata

Quale PD e quale Italia con Zingaretti (+ Renzi + D’Alema)?

18 Dic

Dove vuole andare il nuovo PD che Renzi e D’Alema stanno costruendo “in nome di Zingaretti” non è difficile a prevedersi: basta consultare il sito della Regione Lazio e dare un’occhiata al Bilancio 2018, alla voce spese.

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Riassunto dati di Bilancio – Spese 2018 / Regione Lazio

E’ un bilancio semplice, potrebbe analizzarlo chiunque con un po’ di pazienza, non è mica quello della Lombardia che distribuisce il personale a seconda delle attività e spende per progetti ed obiettivi.

La prima somma che troviamo (Spese generali) sono i quasi 300 milioni annui per le Spese di personale, che dovrebbe consistere in 4.345 unità, secondo la Relazione Annuale sulla situazione del personale in ottica di genere, redatta dal Comitato Unico di
Garanzia della stessa Regione nel 2016: basta una divisione per sapere che parliamo di uno stipendio medio annuo di 68.944,73 euro.
Poi, ci sono le Spese per i consumi (beni e servizi per il funzionamento), cioè 96.936.368,17  euro per un anno, in affitti, noleggi e forniture necessari al servizio svolto dai 4.345 dipendenti, cioè 22.309,87 euro annui pro capite.
In totale sono quasi 400 milioni di euro, con una spesa di circa 90.000 euro annui per il funzionamento di una sola unità di personale.

Certamente molti dipendenti della Regione hanno stipendi bassi e lavorano in postazioni disagiate, ma i numeri dichiarati dalla stessa Regione sono quelli.

Poi, c’è il resto, a partire da rimborsi, restituzioni, interessi e crediti per un valore di 20.139.139.786,04 euro nel 2018, cioè il 54,82% della Spesa. Vogliamo parlare degli Investimenti? Solo 71.450.532,49 euro nel 2018 pari al 0,19% della Spesa.

Restano altri 15.438.274.128,01 euro (42,03% della Spesa) che … dopo aver scorporato i 11.894.893.791,41 euro (solo 9,65%) che vanno per Tutela della Salute … diventano soli 3.543.380.336,60 euro, che finiscono in Partita di giro a Comuni, Enti e Associazioni, secondo parametri euro-nazionali e secondo “volontà politica” locale.

Senza i debiti da sostenere ed anche riservando alla Tutela della Salute, ulteriori 3 miliardi di euro (cioè +15%), i finanziamenti per Comuni, Enti e Associazioni avrebbero potuto essere maggiori di 5-10 miliardi (cioè +2-300%), da spendersi stabilmente per Ordine pubblico, Istruzione e diritto allo studio, Beni e attività culturali, Politiche giovanili, sport e tempo libero, Turismo, Assetto del territorio ed edilizia abitativa, Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente, Trasporti, Soccorso Civile, Politiche sociali,  Sviluppo economico, Lavoro e formazione, Agricoltura, Energia e … sgravi fiscali e/o tributari, minori costi d’impresa, burocrazia semplificata, formazione permanente, innovazione eccetera.

E se questa è la Governance di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio (e la spiegazione del perchè Comuni e Territorio non riescono a tenere il passo del Settentrione, c’è quella nazionale del Centrosinistra (fonte Lettera34) fin da tempi lontani:

  • del 1983 il rapporto debito/Pil era del 69%, poi venne eletto Craxi e alla fine del mandato, nel 1987, era arrivato all’89%;
  • del 1991-1993, con i governi Amato, Ciampi e Dini (sponsorizzati da Massimo D’Alema) che nel liquidare la Prima Repubblica portarono il rapporto debito/Pil al 116%;
  • del 2013 quando Monti ci aveva lasciato con un rapporto debito/Pil era del 123% e che nel 2015 era arrivato al 132% con Matteo Renzi, che in 1000 giorni ha alzato il debito pubblico da 2.110 miliardi a 2.230 miliardi, quindi 2.617 euro a persona.

Una politica – nel PD di oggi e di ieri – che intende gli Eletti non come ‘rappresentati’ (del popolo o di parte di esso) e comunque focalizzati sul risultato generale, bensì  come ‘amministratori’ della ‘capillare’ distribuzione della spesa … in nome del partito e del consenso. L’ombra del ‘commissario politico’ tanto cara al Comunismo è ancora tra noi?

Il Bilancio di Spesa della Regione Lazio come quelli storici dei ‘socialdemocratici’ NON sono una bella prospettiva con un Cambiamento climatico, la Crisi finanziaria e la Decrescita italiana incombenti, che richiedono meno tasse, più occupazione e più investimenti.

E sappiamo tutti che se vogliamo alleggerire il rapporto debito/Pil andrebbero sistemati i pasticci dell’Inps e del Servizio Sanitario alla fine della Prima Repubblica che  fagocitarono il comparto assicurativo e che sono alla base del dissanguamento e del malcontento come degli sprechi e degli indebitamenti, oltre che di una perniciosa idea della Politica e della sua utilità sociale.

Allo stesso modo, possibile mai che proprio il Partito Democratico non riesca a chiedersi quanto e dove la riforma del Titolo V ha migliorato l’accesso democratico come quello al lavoro od ai servizi nelle Regioni italiane? E quanto è urgente, in alcune di queste regioni, il subentro dello Stato? E’ solo di ieri la notizia di ‘obbligo di dimora’ in relazione ad appalti mafiosi per un noto governatore regionale ec PCI ed oggi PD ….

Demata

Di seguito le pagine di bilancio regionale relative alla Spesa.

Prima dell’Europa, l’Italia? Perchè è difficile a farsi

15 Set

Per il budget dell’Unione Europea,  nel 2006 ogni tedesco contribuiva al netto per 124 €, un italiano o un francese per 58 euro, meno della metà, un inglese circa 90 euro. Il problema più vistoso che al lordo tedeschi (276 €), francesi (266 €), italiani (244), inglesi (226) contribuivano quasi alla pari.

Ecco perchè la Germania ‘detta legge’, se al netto versa più del doppio, ed ecco quale domanda porsi: dove finivano i 244 euro lordi contribuiti pro capite da ogni italiano, se  se , poi, se ne contavano solo 58 al netto? Mistero.

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Fatto sta che il “Financing of the general budget by member state” (2007-2013) conferma che se l’Italia contribuisce – come tutti – per l’1% del proprio Reddito Nazionale Lordo, i finanziamenti UE spesi sono solo lo 0,8% del RNL e va ancor peggio la Francia con lo 0,7% o la Germania con lo 0,5%.

A questi dati, nota bene, corrisponde la diffusa percezione italiana che la burocrazia fagociti e dissipi i fondi UE, o quella francese, che – burocrazia a parte – dimentica puntualmente banlieues in degrado e tanta provincia arretrata, oppure quella tedesca per cui la Germania  è colei che si fa operosamente carico dei ‘vizi’ latini.

Demagogia e populismi? Forse, ma cosa dire dei Media che non approfondendo quel che accade lasciano campo libero alle chiacchiere da bar, quando – dopo anni di promesse – si scopre che c’è chi non ha utilizzato i fondi e, peggio, chi ha sforato.

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Nel 2006, inoltre, il budget UE constava di 105 miliardi di euro (oggi 145, ) e nella sostanza veniva e viene distribuito (dati del 2015) con queste percentuali:

  • 41% – produrre alimenti sicuri, favorire una produzione agricola innovativa ed efficiente e l’uso sostenibile del territorio e delle foreste.
  • 34% – aiutare le regioni sottosviluppate dell’UE e le fasce svantaggiate della società
  • 12% – migliorare la competitività delle imprese europee

In parole povere, questo si traduce in:

  • molto ma molto di più in costi, tasse e tributi – specie quelli meno abbienti – in termini di spesa alimentare  con un effetto domino che impatta direttamente sull’uso sostenibile del territorio (strade, trasporti, manutenzione) e delle foreste (gestione rifiuti incrementale).
  • molto ma molto meno del 34% per le fasce svantaggiate della società che vivono in aree relativamente sviluppate, cioè tutte le aree metropolitane, dove si addensa la maggior parte dei poveri e dei sottoccupati

Demagogia e populismi? Se non in una situazione del genere, quando?

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E’ evidente che ‘worker class’ e ‘middle class’ non ottengono da almeno un decennio nè benefici nè rassicurazioni da un simile approccio:

  • in Germania la densità demografica inizia ad essere pesante, ci sono tagli addirittura per i diritti alla casa e alla maternità, intanto si destinano ‘aiuti’ a paesi stranieri … ai lavoratori (Gott sei Dank!) ci pensano i sindacati, le Versicherung e i Lander
  • i francesi hanno un reddito medio simile a quello italiano, ma … non sono ‘sottosviluppati’, anzi spendono alla grande in ricerca e università. Ovviamente i francesi ‘normali’ attendono sempre che si trovi il modo di risollevare i loro stipendi asfittici dai tempi di Mitterand
  • gli italiani sanno bene che fu la Lira a capottarsi nel 1974 come nel 1994, ma fanno finta di niente e mica è colpa loro se i conti per entrare nell’Euro erano a dir poco ottimistici. Ma è facile dare la colpa all’Europa, come è difficile avviare delle riforme, se l’Italia è senza classe dirigente, dato che in dieci anni oltre un milione di eccellenti laureati è andato via insieme a diversi milioni di giovani operosi diplomati.

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Dunque, è essenziale che l’Europa prenda atto che la spesa in coesione sociale deve divenire primaria e l’onda di populismi e nazismi emergenti dovrà pur riaprire la questione del ‘welfare state’.
Purtroppo, come andranno le cose, c’è che l’Italia ancora non prende atto di essere ‘anomala’ in fatto di Sanità, Assistenza e Previdenza, cioè di essere lei stessa ad impedire un processo di unificazione ‘sociale’ europeo, che richiede, e che si fonda generalmente su istituti pubblici e su casse/mutue di comparto … proprio come recita la nostra Costituzione e proprio come diffidano coloro che vorrebbero nazionalizzare tutto … se non fosse che lo è già e funziona davvero male.

Una anomalia italiana che – tra l’altro – prevede un notevole sbilanciamento dei Conti Pubblici – se qualcuno se ne fosse accorto – a causa dell’enorme prelievo fiscale, tributario e d’imposta da parte dello Stato per conto dell’Inps, come delle Regioni e dei Comuni, cioè a catena di ASL, Università, Onlus, Patronati ed appaltatori o concessionari vari, che costituiscono l’effettiva ossatura dei servizi nei territori e per i cittadini, che se possono si rivolgono altrove.

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Se l’Europa resiste alle pressioni italiane ed esita sul ‘welfare state’ è perchè – viste le riforme costituzionali che attendiamo da decenni – teme che in tal modo vada a peggiorare la situazione debitoria, dell’efficienza della pubblica amministrazione e dei servizi. Cioè il consenso …

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E non sembra che maggioranza, opposizione e media vogliano farsi parte di questo ‘altro lato della medaglia’, che sta lì dagli esordi della Seconda Repubblica: non è possibile restaurare la Prima Repubblica, che – per altro – finì per corruttela sentenziata, come – pezzo per pezzo – lo è stata la Seconda.

Tutti i dati confermano che la ‘sicurezza’ – sia come legalità sia come sanità / previdenza /assistenza – è un aspetto critico, che non riguarda solo l’autodifesa come afferma Salvini nè riguardava solo la trasparenza come auspicava Bassanini.
Marciapiedi e strade sicure, scuole decorose, ospedali efficienti, operatori gentili e preparati, mobilità accettabile, turn over e concorsi: a parte i Populisti, c’è qualcuno disposto a promettere tutto questo e come?

Demata

Democratici d’Europa a corto di Democrazia?

3 Lug

Gli europei – a differenza dei popoli mediterranei ed asiatici – non si sono sviluppati accettando un Imperium dove tutti sono uguali per ordine di casta, bensì tutelando il potere dei cittadini a reclamare ed a pretendere l’uno pari all’altro e di fare a modo proprio a casa propria.

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Questo ‘stile di vita’  viene chiamato Democrazia, senza – però – dirci che non significa “potere al popolo” (cioè Laocrazia, da  λαός-κρατία), bensì  “potere delle comunità” (da δῆμοςκρατία), perchè ad Atene il Demos era equivalente alla ‘Gente’ che abitava nei Dem(o)i, le divisioni amministrative di Atene create da Clistene.

Un “potere della comunità”, che – andando per villaggi preistorici – faceva capo a quella che chiamavano Familia (o Sippe), cioè nucleo sociale di individui che si riconoscono – per sangue o elezione o adesione – nella discendenza da un antenato comune e che vivono  all’insegna del principio di parità.

Un “potere della comunità”, che – andando alle fondamenta della nostra Unione Europea – si trasforma in una Res Publica, quella con cui i Romani intendevano la ‘cosa di tutti’ e la ‘priorità collettiva’, ma parlavano della Pubblica Amministrazione, non delle Genti e non del Popolo.

In poche parole, l’Europa – senza aver fondato o strutturato una Costituzione ed un Governo federali – si ritrova con il medesimo problema che contrappone in USA i repubblicani ai democratici, guarda caso.

Attualmente l’Unione Europea si fonda su una valuta concepita quasi come fosse un edge-fund, che molto mal si presta ad affermare la sovranità dell’Unione come a sostenere le ‘Genti’ in difficoltà, mentre riduce il potere delle comunità ad autoamministrarsi, fosse solo perchè gli oneri di gestione esplodono, e, mentre la competizione è globale, le risorse locali sono risucchiate dalla “co-progettazione co-finanziata spesso fine a se stessa”.

Così anche l’attenzione dei Partiti si è sempre più focalizzata sulla “co-progettazione co-finanziata spesso fine a se stessa”, anzichè sugli elettori e sul territorio, quasi che i partiti fossero promotori finanziari, la politica una banca e … si potesse giocare in eterno sull’equivoco su quale Democrazia e su quale Repubblica si vada promettendo.

Demata

 

 

Il Pd del “dopo Renzi” e il labirinto irrisolto dal 1992

12 Mar

Image5Solo pochi giorni fa il Partito Democratico ha capito che se un proprio leader annuncia di lasciare, poi deve farlo per davvero, specie se nel 2017 l’annuncio arrivava dopo tre anni di governo sprecati e dopo una bizarra riforma strutturale.

Poteva accadere già nel 2000, ma non accadde e Massimo D’alema rimase al vertice del partito, dopo aver dato le dimissioni da premier, in seguito alla sconfitta alle elezioni regionali ed al brutto pasticcio della riforma del Titolo V della Costituzione, che ancora oggi comporta l’innaturale trasferimento del comparto assicurativo sanitario alle ‘politiche’ regionali, mentre vengono dilapidate – in certi territori – l’IVA e le accise benzine che impennano la nostra fiscalità.

L’altro ieri, con le dimissioni di Matteo Renzi, il Partito Democratico ha iniziato un percorso e non è detto che lo porti a termine, se la questione rimarrà sul singolo Matteo Renzi o sull’entourage, invece che sul metodo.

Il primo candidato ad ereditare la segreteria Dem – dove nessuno è mai riuscito al completare il mandato di quattro anni previsto dallo statuto – è Graziano Delrio, ex Partito Popolare Italiano, ex sindaco di Reggio Emilia e ministro delle infrastrutture e dei trasporti dal 2015, prima nel Governo Renzi e poi nel Governo Gentiloni.
A parte l’episodio di Cutrò, proprio sotto il suo dicastero le cronache italiane sono diventate una quotidiana denuncia sullo stato delle strade, delle reti su ferro, dei mezzi di trasporto e non è detto che un ruolo più politico e meno esecutivo possa dirgli meglio.

C’è, poi, l’ipotesi di un ‘traghettatore’, con una ‘reggenza’ affidata a Maurizio Martina, in politica fin dal liceo e dal 2014 Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dei Governi Renzi e Gentiloni, con delega ad Expo.
Sappiamo tutti come stiamo messi con le frane, gli incendi, i migranti irregolari ed il lavoro nero nei campi e quanto ci costa l’agroalimentare in termini di PIL, tasse, sussidi e spesa diretta delle famiglie. Alle regionali in Lombardia, dove nasce e vive il ministro, il Centrosinistra ha perso circa 600.000 voti dal 2013 al 2018.

E, come da tradizione, ci sarebbe un ‘capitan futuro’ pronto a subentrare – almeno negli umori della base – cioè Nicola Zingaretti, dal 2012 Presidente della Regione Lazio e, precedentemente, parlamentare europeo molto attivo nella difesa della manifattura italiana e nell’accesso a fondi strutturali e programmi comunitari.
Con buona pace dei ‘soldi europei’ e della triste fine che spesso hanno fatto in Italia, noi posteri sappiamo anche che il Lazio è sempre più indebitato (se consideriamo anche i derivati e le ‘controllate’), mentre antisismicità ed accesso alle cure hanno portato la regione alla ribalta internazionale, ma in negativo, con il risultato che oltre 300mila voti migrati dal 2013 ad oggi dal PD laziale verso il Movimento Cinque Stelle.

In parole povere – pur essendo Del Rio, Martina e Zingaretti dei politici senza pendenze, blasonati e competenti – sono anche i volti di un Partito Democratico che non riesce a chiarirsi definitivamente ‘a sinistra’, evitando puntualmente lo scontro con i sindacati, mentre si allontana dal ‘ceto medio’ dei consumatori e degli assistiti, soccombenti sotto il peso dei servizi inefficienti e della burocrazia obsoleta.

Non è solo Matteo Renzi che ha fallato, bensì un apparato di partito che ha ritenuto che si potesse amministrare senza governare, nella prodiana convinzione che l’Europa fosse il toccasana di tutti i mali italici.

L’Unione Europea è, viceversa, una locomotiva e non si può stare tutta la vita aggrappati al predellino nè è piacevole viaggiare sempre più spesso nel vagone di coda, sempre che il treno non passi lasciandoci alla stazione.

Che sarà Delrio o Martina o qualcun altro (magari Carlo Calenda, ex Scelta Civica) a far da segretario, speriamo tutti (amici, nemici ed indifferenti) che il PD faccia almeno durare il proprio segretario tutti e quattro gli anni previsti dallo statuto: l’Italia ne guadagnerebbe di sicuro in stabilità.

Quanto al resto, è nei fatti che in queste elezioni il PD ha convinto solo 15% dell’elettorato attivo (7,5 milioni di voti, 22% dei votanti), cioè più o meno come 26 anni fa con il PDS di Achille Occhetto alle elezioni del 1992 (6,3 milioni di voti pari al 16% dei votanti e al 14% dell’elettorato attivo).

Il nuovo segretario del PD avrà l’arduo compito di cambiare il partito in pochi mesi, ripensando il progetto iniziatosi nel 1992, dopo il trauma della spaccatura con la Sinistra di PRC (2,2 milioni di voti pari al 5,6% dei votanti e al 5% dell’elettorato attivo).
Una frattura che è stata ignorata per venti anni trasformandosi in una falla che ha alimentato il Berlusconismo ed in una frana a favore dei populisti come Lega e Cinque Stelle: il forte ancoraggio a settori sociali e finanziari ‘resistenti al cambiamento’ ha assicurato tanto una buona rendita per un ventennio quanto, poi,  trovarsi punto e a capo?

Demata

La triste situazione delle malattie rare nel Lazio spiegata alle associazioni dei malati

20 Giu

Nella regione del Lazio ci sono il Ministero della Salute, la Commissione Sanità del Parlamento, fior di Facoltà Mediche, sedi nazionali delle principali istituzioni sanitarie e associazioni dei malati e dei consumatori.

Nel Lazio ci sono circa sei milioni di abitanti e, così, se anche una malattia fosse talmente rara da vedere un caso ogni 50.000 individui, staremmo parlando di 120 pazienti, cioè abbastanza per riempire un ospedale, se si ricoverassero tutti insieme, o far funzionare u ambulatorio a ciclo continuo, se parliamo di patologie che richiedono controlli e/o consulenze e/o aggiustamenti farmacologici ‘almeno una volta al mese di media’, cioè frequenti.

Le malattie rare sono tutte croniche: alcune stabili nel tempo o degenerative, come le ‘normali’ malattie croniche, alcune altre con esacerbazioni e remissioni nel tempo, perchè di origine metabolica, come, ad esempio, per il diabete (malattia cronica) e l’emocromatosi o la porfiria acuta (rare).
La differenza sta tutto nella loro rarità, cioè nel fatto che sono meno note ai medici, pochi ospedali e unità sono motivate ad occuparsene, c’è poco interesse a sviluppare i farmaci, i ‘pochi’ malati scompaiono nella folla di quelli con patologie più diffuse, anche se dovesse capitare che una patologia rara comporta rischio per la vita ed una più diffusa crea – magari – solo problemi cutanei, e … c’è scarsa attenzione della politica interessata al consenso e dei media alla ricerca di scalpore.

Così, nel Lazio (e forse non solo nel Lazio) è accaduto e sta accadendo qualcosa di incredibile, se consideriamo che siamo nella Capitale di uno degli Stati più avanzati del mondo, antica patria di medici e scienziati.

Nel Lazio non si sono accorti – politici, burocrati, associazioni – che le patologie rare non si possono gestire come fossero delle ‘normali’ patologie croniche e che, preso in carico il paziente per la diagnosi e per prescrivere le cure, si sia risolto il problema, come nel caso delle patologie croniche ‘normali’, per le quali ci sono ospedali e specialisti e bizeffe.

E finisce che, in Regione o alla Camera, si convincano che … serva solo un po’ di assistenza sociosanitaria, magari per erogare un farmaco o per un accompagno, cosa facile a farsi – anche con la coperta corta – se i malati sono migliaia, impossibile se si è l’ultimo della fila, perchè raro, cioè solo.

Ovviamente, essendo spesso rare e pure metaboliche, ai pazienti come ai medici di base o agli specialisti servirebbe sapere dove rivolgersi per le cure, cioè la gestione clinica, che … potrebbe non esserci, se anche a Roma e nel Lazio non vengono istituiti i Centri e/o i Presidi come previsti nei termini dati dal Decreto Bindi sulle Malattie Rare.
Anzi, addirittura nel decreto relativo agli Istituti presso i quali vengono dislocati i vari malati rari neanche si distingue quali siano centri di cura o quali meramente diagnostici, come non si sa quali operino in rete e per omogeneità clinica o dove sono allocate le sedi per i piani individualizzati di assistenza sociosanitaria.

In due parole, sembra che nessuno – nonostante i malati in difficoltà non scarseggino – si sia accorto che la ‘presa in carico’ presso un’unità diagnostica è cosa molto diversa dal sapere chi sia preposto alle ‘cure appropriate’ o dove recarsi per l’assistenza necessaria. Per questo i malati non sanno dove andare e non si trova un buco per collocarli …

Infatti, media ed associazioni, come politici e strutture mediche, continuano a gestire oltre 100mila malati rari come fossero casi singoli e come se bastasse un gettone o un progetto e non un riferimento stabile.
E, non a caso, la riforma per le malattie rare in fase di approvazione alla Commissione della Camera dei Deputati non contiene parole come ‘cure’ o ‘terapie’ …

Già … stiamo parlando di potere, poltrone e soldi, cioè di centinaia di posizioni apicali su indirizzo politico e di oltre 60 miliardi di euro che l’Erario spende per finanziare ospedali regionali, policlinici universitari e Terzo Settore, con buona pace di chiunque non rappresenti almeno qualche migliaio di voti potenziali.

Demata