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Perchè il sovranismo USA paga e quello italiano ci rovinerà?

3 Ott

In Italia, ad oltre 100 giorni dall’affermazione sovranista di Di Maio e Salvini, il debito pubblico è cresciuto dell’1% rispetto lo scorso anno. Tantissimo.
Intanto, Istat annuncia che in Italia il  tasso di occupazione mai è stato così alto dal 1977. Pochissimo: in Europa siamo terzultimi.
Non ne parliamo della leva fiscale, notoriamente esosa quanto palesemente recessiva, e, andando al Bilancio, come avrebbe detto il buon Nino Taranto quasi un secolo fa,  l’ha capito anche Di Maio: ‘Bambole, non c’è una lira”.

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Negli Stati Uniti, invece, i dati relativi al mercato del lavoro nel mese di settembre dovrebbero confermare, una dinamica occupazionale positiva con il tasso di disoccupazione previsto in ulteriore calo a 3,8% da 3,9% del mese precedente.
Intanto, arrivano dati positivi dalla rilevazione delle richieste di sussidio settimanali correnti.
Secondo i report di IntesaSanPaolo, “gli occupati non agricoli sono previsti in crescita di 185mila unità”  con il settore manifatturiero che dovrebbe crescere di 13mila unità”.

Per Natale si prevede un ulteriore calo del tasso di disoccupazione, mentre i salari orari sono previsti in crescita mensile di 0,3%, “supportando le previsioni per un altro rialzo dei Fed Funds a dicembre da parte della Fed”.

Bravo Trump? E’ presto per dirlo, ma si sicuro è un buon investimento affermare ‘sovranismo’ se si è a capo di un ‘imperium’ …

Il problema è se si afferma ‘sovranismo’ essendo a capo di uno delle decine di stati che compongono un continente e ci si ritrova anche pieni di debiti, con i servizi mal funzionanti, l’agricoltura che costa un occhio e la manifattura che recede un po’ dovunque. 

Infatti, le notizie che arrivano dagli USA (ma anche dalle nazioni europee che hanno garantito parametri ed infrastrutture da Eurozona) sono relativamente buone, le nostre no.
Andando a leggerle oltre il titolo, la faccenda è puntualmente la stessa: “andrà peggio”. E volendo prendersi la briga di rispolverare quelle del 2010-2011, il problema è sempre lo stesso: l’incapacità politica di modernizzare il Paese.

Demata

Reddito, occupazione, pensioni: l’oro che rilancerà l’Italia?

25 Giu

Il problema delle pensioni future non risiede nelle pensioni del passato, bensì nell’occupazione e negli ammortizzatori sociali mancati, tra cui le pensioni integrative, di cui a partire dal 1992 c’era evidente necessità. 

La generazione di chi ha oggi tra i 30 e i 45 anni – non avendo una storia lavorativa precoce / assidua / produttiva – non ha modo di lavorare almeno quei 35 anni a circa 25 ore di media alla settimana se non pensionandosi ben oltre i 65 anni d’età.

Viceversa sono le pensioni “correnti”, cioè i lavoratori over55 e con già 30 anni di lavoro, ad essere afflitte dalle enormi facilitazioni del passato, come lo sono gli invalidi e gli indigenti ai quali l’Inps sarebbe innanzitutto preposta, ma non ha le risorse.
Circa 200.000 pensioni oltre i 5.000 euro mensili netti sono davvero tante, specie se non contribuite e rivalutate con i parametri del 2002, mentre il PIL è regredito a quello del 1994.

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Pensioni al netto

 

Il problema delle pensioni future riguarda chi oggi versa i propri contributi, non confondiamoci, ed ha le sue radici nelle mancate riforme della Seconda Repubblica.

Tagliare le pensioni d’oro, quello oltre i 5mila euro netti, equivarrebbe a dire un alleggerimento dei conti Inps di 3-4 miliardi annui effettivi per i prossimi vent’anni e la possibilità di trovare le risorse per sbloccare il turn over (e l’innovazione) e per liberare da lavori usuranti i lavoratori anziani, cioè riavviando i percorsi tradizionali di occupazione stabile e non solo sussidiare un reddito con relativa produttività e sicura temporaneità. 

C’è da superare le mancate riforme della Seconda Repubblica, non intervenire con misure temporanee, e di concerto con il Mef e la Cdp: le economie non sono dell’Inps ma dello Stato e saranno diversi i miliardi risparmiati che non affluiranno alle Poste Italiane.

Non è regredito al 1994 solo il PIL.

Demata

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Approfondimento:

Partendo dalla durata di vita lavorativa media, scopriamo che in Europa è salita a 35,4 anni nel 2015, secondo Eurostat. In Germania, si lavora di media 38 anni (+2,4 anni sul 2005), che varia dai 40,1 anni tra gli uomini ai 35,8 anni tra le donne. Il “gender gap” tedesco è di 4,3 anni, meno della metà di quello italiano (9,7 anni), con le donne italiane che lavorano di media 25,7 anni.

Per i lavoratori italiani maschi, invece, si prevede che – di media – trascorreranno al lavoro appena 30,7 anni, ben cinque in meno rispetto alla media dei paesi UE.
In Italia la ‘carriera lavorativa attesa’ è salita di 1,1 anni nel corso dell’ultimo decennio, molto meno della media europea, e c’è chi lavora oltre 40 anni per pagare le pensioni di chi ha lavorato o lavorerà poco più di vent’anni.

La Francia e la Spagna non sono certamente “l’operosa Germania”, ma di media la carriera lavorativa è di 34,9 anni in ambedue le nazioni, e le francesi lavorano 30,6 anni mentre le spagnole 32,5 anni, cioè tanto quanto un maschio italiano se non di più.

Inoltre, secondo uno studio di Harvard e Dartmouth, se in Italia un adulto non disabile lavora 18,4 ore a settimana di media, c’è che in Francia le ore trascorse al lavoro sono 19,3 , Germania 20,2 , Spagna (21,2), Grecia 22,2 , Portogallo 22,7.
Vale a dire che, in Italia, chi lavora oltre 40 anni – per pagare le pensioni di chi ha lavorato o lavorerà poco più di vent’anni – è spesso anche quello che ‘compensa’ con le proprie 36 ore settimanali chi di ore ne fa molte di meno, disoccupato o privilegiato che sia.

Intanto, da almeno un decennio, in Italia si inizia a lavorare più tardi, spesso in settori ‘effimeri’ come produttività e si hanno carriere contributive più discontinue rispetto agli anni Sessanta e Settanta, quando il boom demografico e dei consumi garantiva ben altra crescita e richiesta occupazionale.
La generazione di chi ha oggi tra i 30 e i 45 anni – non avendo una storia lavorativa precoce / assidua / produttiva – non ha modo di lavorare almeno quei 35 anni a circa 25 ore di media alla settimana se non pensionandosi ben oltre i 65 anni d’età.

Dunque, il problema delle pensioni future non risiede nelle pensioni del passato, bensì nell’occupazione e negli ammortizzatori sociali mancati, tra cui le pensioni integrative, di cui a partire dal 1992 c’era evidente necessità.

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Quegli Anni ’90 durante i quali si creavano le premesse dell’attuale carenza occupazionale e produttiva, cioè fiscale, contributiva e previdenziale, con lo smantellamento dell’industria manifatturiera meridionale come la scarsa innovazione del settore agro-alimentare-turistico extra-sussidiato da Stato ed Europa, o la speculazione edilizia ‘da sempre’ che ha trasformato le maestranze in padroncini con partita Iva e l’altrettanta speculazione ‘new economy’ che ha fatto altrettanto degli impiegati italiani, oggi call center esteri.

Il problema delle pensioni future riguarda chi oggi versa i propri contributi, non confondiamoci, ed ha le sue radici nelle mancate riforme della Seconda Repubblica.

Viceversa sono le pensioni “correnti”, cioè i lavoratori over55 e con già 30 anni di lavoro, ad essere afflitte dalle enormi facilitazioni del passato, a partire dalle Pensioni d’Oro, come lo sono gli invalidi e gli indigenti ai quali l’Inps sarebbe innanzitutto preposta.

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Infatti, nel nostro paese tra 2009 e 2014, l’età effettiva di pensionamento è stata di 62,5 anni (la cifra indicata da Boeri nella sua audizione del 2015) contro una media OCSE di 64 anni: basta che riparta l’occupazione giovanile (o che tuteliamo un po’ meglio i lavoratori malati cronici) e ci siamo.

Il vero problema è che “fino agli anni Settanta, l’età media di pensionamento effettiva è stata intorno ai 65 anni. Soltanto negli anni successivi ha iniziato ad abbassarsi, fino al record del 1994, quando l’età media effettiva scese a 57 anni. In sostanza, le generazioni nate prima della Seconda guerra mondiale, sono andate in pensione molto tardi anche per i nostri standard. I “baby boomers”, cioè coloro che sono nati subito dopo la guerra, e quelli nati immediatamente prima, hanno invece goduto di regimi pensionistici tra i più generosi d’Europa, le cui conseguenze vediamo ancora oggi.” (Il Post)

Questo enorme buco radicatosi proprio mentre si legiferava per correggere un sistema anacronistico, ricade in primis sugli indigenti e sugli invalidi per i quali l’Inps e lo Stato non possono destinare sufficienti risorse.
A seguire, c’è tutta la generazione nata negli Anni ’50 e ’60 che ha già pagato e sta pagando un prezzo molto alto, solo per ricordare gli esodati o le pensioni pari al 40% dell’ultimo stipendio, che a loro volta causeranno per un ventennio una capacità di acquisto e di consumi di gran lunga inferiore rispetto a quella dei pensionati che hanno alimentato il PIL italiano in questo ventennio.

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Le pensioni “correnti” dei prossimi 10 anni sono quelle afflitte dalle enormi facilitazioni del passato, che risucchiano le risorse necessarie per un intervento perequativo statale e che hanno ritardato ad oggi l’avvento di strumenti integrativi e di adeguate norme assicurative per i lavoratori, invalidi e indigenti.

Il Ministro per il Lavoro ed il Welfare, Luigi Di Maio , afferma che “è una questione di giustizia sociale, dobbiamo ricominciare a mettere al centro alcuni segnali istituzionali, passeremo anche alle pensioni d’oro, che sopra i 5mila euro netti vanno tagliate se non hai versato i contributi”.

Tagliare le pensioni d’oro, quello oltre i 5.000 euro netti, equivarrebbe a dire un alleggerimento dei conti Inps di 3-4 miliardi annui effettivi per i prossimi vent’anni e la possibilità di trovare le risorse per sbloccare il turn over (e l’innovazione) e per liberare da lavori usuranti i lavoratori anziani, cioè riavviando i percorsi tradizionali di occupazione stabile e non solo sussidiare un reddito con relativa produttività e sicura temporaneità.
Un reddito di cittadinanza, che va accompagnato da adeguate misure per il turn over, l’innovazione e la salute sul lavoro, se non vogliamo ritrovarci – tra qualche anno come 20 anni fa – con la sorpresa  di lavori comunali ‘socialmente utili’ mal fatti, di un precariato ancor più diffuso e di mancata innovazione.

Demata

Pensioni: anche per l’Ocse siamo tra i peggiori

15 Dic

Il recente rapporto “Pensions at a glance 2015” dell’Ocse chiarisce bene quale sia la vergognosa e preoccupante situazione italiana in fatto di Previdenza, sia per la tenuta finanziaria sia per quel poco che resta del patto intergenerazionale che dovrebbe sostenerla.

Siamo primi al mondo per spesa pensioni e  primi per aliquota contributiva anche senza considerare la sentenza della Consulta sulla perequazione delle prestazioni previdenziali delle “pensioni d’oro”.

Infatti, checché se ne dica, la spesa pubblica per la previdenza in Italia nel 2013 era al 15,7% del Pil – quasi il doppio rispetto alla media Ocse (8,4% del Pil) e la più alta dopo la Grecia – ed gli over 65 godono di un reddito “relativamente elevato” (95% della media nazionale), come accade negli altri paesi che hanno una rilevante disoccupazione giovanile (Grecia, Spagna e Portogallo).

Inoltre, continuiamo ad ignorare le regole basilari del denaro, cioè che “contributi obbligatori elevati, avverte l’Ocse, “possono abbassare l’occupazione complessiva e aumentare il sommerso”, mentre “molti pensionati oggi ricevono prestazioni pensionistiche relativamente generose nonostante un basso livello di contributi versati”…

Infine, a conferma dell’iniquità ed incongruità delle norme nel loro complesso, il tasso di occupazione per i lavoratori di età tra i 60 e i 64 anni  da noi è pari a circa il 26%, contro il 45% in media dell’Ocse, anche se la legge fissa l’età minima per godere di un trattamento pensionistico di base in Italia a 66,3 anni per gli uomini (media Ocse di 64,7 anni) e 62,3 anni per le donne (63,5 anni la media Ocse).

A proposito – sempre in termini di numeri strillati che poi significano tutt’altro – secondo le proiezioni Inps, dei nati nel 1980 ben il 38,67% raggiungerà la pensione prima dell’età di vecchiaia, con un importo complessivo di circa il 25% inferiore a quella dei nati intorno al 1945.
Praticamente non molto peggio di quello che già oggi va a toccare ai nati negli Anni ’60 per i quali nessuno spende una prece …

Piuttosto, il vero problema è che quando si è disoccupati, esodati, in maternità o ultraprecari … il sistema assicurativo nazionale (leggasi Inps) non prevede adeguati corrispettivi (leggasi reddito minimo) e … si finisce per lavorare fino a 70 anni … in un paese dove il reddito e il potere d’acquisto sono erosi da degrado, tasse e malaffare.

Speriamo che dati (e vergogne) alla mano gli oppositori del reddito minimo e del pensionamento anticipato  aprano gli occhi e si rendano conto che finiranno per ledere del tutto il poco di patto intergenerazionale che ancora c’è, se continueranno a difendere antiche scelte di campo oggi davvero discutibili  (le pensioni d’oro, le cassaintegrazioni, le ‘quote donna’ eccetera).

Demata

Unità a Sinistra? Ci vuole prima una linea comune …

9 Dic

Pisapia, Doria e Zedda – su Repubblica – lanciano l’appello a politici ed elettori: “Non rischiamo l’effetto Francia, la sinistra vada unita alle elezioni, ricordiamoci come si vince”.

Bella idea, ma fatto sta che Poletti, Camusso, Boeri, Damiano, Fassina e Renzi abbiano idee molto molto diverse riguardo pensioni, esodati, disoccupati, ripresa industriale, diritti e servizi … la salute dei malati, le unioni gay … le banche … Roma Capitale … la pubblica amministrazione … eccetera eccetera.

Non a caso in Francia il Fronte Nazionale vince promettendo cose ‘semplici’: pensioni a 60 anni, protezionismo industriale, lavoro per i giovani e le donne, laicità e centralità dello Stato, ritorno delle politiche valutarie.

Senza parlare della solita spocchia che impedisce alla Sinistra di confrontarsi con chi diverge dai ‘santi tabù’ del cosmopolitismo e del consociativismo ad ogni costo, con il risultato che persino le aree metropolitane di Parigi e Lione preferiscono Sarkozy ad Hollande.

Potrebbe rivelarsi davvero una pessima idea quella di chiedere ancora una volta consenso e voti non sulla base di un programma ma solo per ‘ricacciare i fascisti nelle fogne’.

Infatti, Giuliano Pisapia, Marco Doria e Massimo Zedda sono i sindaci di Milano, Genova e Cagliari e ben sanno quali danni sociali (povertà, sicurezza, giovani, anziani, malati) si stanno radicando a causa dell’incapacità – della Sinistra in generale – ad intervenire su assistenza e previdenza a causa sia della atavica contiguità con sindacati, cooperative, onlus che della recente convergenza con apparati pubblici e finanziari.

Ad esempio … troviamo i soldi per salvare alcun note banche e li troveremo anche per rimborsare in parte gli investitori, come li troviamo per le pensioni d’oro ma … non ce ne sono per sbloccare le pensioni ‘normali’ o i salari ‘minimi’.
Oppure siam pronti a difendere l’esposizione dei simboli cattolici nei luoghi di istruzione pubblica, dove vengono educate le nuove generazioni, ma … i diritti degli omosessuali o quelli ‘alla privacy’ come i ‘conflitti di interessi’ e le ‘sliding doors’ possono attendere.

Pejus … che posizione prende ‘il Partito’ quando – ad esempio – in una Regione o in un Comune importante il Governatore o il Sindaco ‘rossi’ si ritrovano a metà consigliatura a non riuscire a garantire neanche i servizi essenziali alla Sanità o alla Sicurezza stradale?

Sarebbe il caso che la Sinistra si dia una linea.

Demata

Pensioni, esodati? Solo parole al vento e lacrime da coccodrillo

16 Ott

Le ‘pensioni non si toccano’ fu uno degli slogan della campagna elettorale della sinistra di base italiana ai tempi di Fausto Bertinotti. Sembrava una bella cosa, ma poi abbiamo scoperto che era una fregatura: chi in pensione restava intatto, chi in procinto aveva da aspettare e per chi futuro nulla sarebbe rimasto.

La riprova arriva in questi giorni:

  1. niente agevolazioni per i lavoratori precoci;
  2. niente scivoli per gli invalidi gravi;
  3. quattro centesimi di ‘opzione donna’;
  4. esodati poi si vedrà;
  5. zero opzioni per anticipare.

Intanto, Tito Boeri – neo direttore dell’Inps – resta inascoltato e nè istituzioni nè sindacati hanno finora presentato un esposto uno per acclarare cosa ne sia stato dei miliardi e miliardi che mancano all’ex Inpdap e alle tante Casse assorbite dall’Inps.

E, se la CGIL piange lacrime da coccodrillo dopo aver affondato le proposte di Boeri e di Damiano, va da se che Poletti proprio non sembra interessato alla previdenza come all’assistenza: oggi è ministro, ma ieri era  Coop …

Renzi? Per ora ha dato lavoro nelle scuole a quasi centomila suoi coetanei, ha salvato i privilegi iniqui del catasto e di chi vive nei centri storici, ha lasciato in piedi la Cassa Integrazione, mentre per i (ne)fasti di Roma ha finora scucito almeno un miliardo di euro e mentre l’Europa presta quasi 2.000 miliardi di euro alla Grecia.

Aggiungiamo che i Cinque Stelle intervengono su tutto ma non riguardo le pensioni od il salario minimo ed anche il Centrodestra e persino l’estrema Destra non mostrano interesse alla questione.

Inutile ricordare che qualcuno aveva sbagliato metodo e conti per le pensioni – specie se apicali – come è comprovato dall’intervento corrrettivo di Maroni, come anche che i dati sul livello di istruzione dei maschi e sulla sottoccupazione femminile sono la riprova dei danni prodotti dall’assenza di un welfare organico e rigoroso e di percorsi professionalizzanti (Mafia Capitale docet) .

Eppure, basterebbero qualche dozzina di miliardi e dei sindacati ‘come quelli degli altri paesi avanzati’ per sbloccare la questione. I miliardi ci sarebbero pure, quel  che manca da noi sono dei sindacati ‘normali’, cioè in grado di gestire fondazioni ed enti benefici, Cda assicurativi, case per anziani eccetera.
L’organizzazione del dissenso, come sentivamo in tv tempo fa? Quella compete ai partiti, mica ai sindacati …

Demata

Perchè Merkel ha ragione?

17 Lug

Chi pensa che i contabili europei siano degl aguzzini, mentre i populisti antieuro siano gli alfieri della democrazia si sbaglia. Anzi, peggio, è in malafede.

Infatti, qualcuno crede davvero che sia giusto promettere di pagare tot fatture o cambiali a 60 giorni e poi presentarsi al 91esimo senza un denaro e chiedendo anche lo sconto? Immagino che nessuno – neanche il ragazzino che attende la paghetta o il premio per la promozione – sia lontanamente disposto ad accettare ‘promesse a geometria variabile’ …

Eppure, c’è una certa parte della politica che si comporta così, allorchè si occupa dei nostri soldi, perchè succube – causa incompetenza propria – delle burocrazie ministeriali e locali, giustificandosi con gli elettori invocando insopportabili imposizioni e tagli, che in realtà sono piani finanziari pluriennali e limiti di budget, per i quali ci si poteva predisporre per tempo.

Ad esempio, ci  sono le regioni con le loro agenzie od enti e le loro forniture, le cui ditte preferiscono cedere i crediti ben prima deila scadenza della prima rata di pagamento, pur di esser certi di incassare repidamente, lasciando  il 10-15% alle finanziarie che rilevano il credito, le quali a loro volta dovranno attendere mesi  (o anni) per il saldo, lasciando sul tavolo sconti e crediti contestati (se va male) o incassando lauti interessi (se a bene). Morale della favola, la PA paga con molti mesi di ritardo e cerca puntualmente di sottrarsi o comunque di dilazionare; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo applicando tagli a casaccio  e riversandone la colpa su altri.

Altro esempio, ognuno di noi versa il 9,9% del proprio reddito per l’assistenza sanitaria che, in soldoni, equivale a quasi 300 euro mensili per chi ha uno stipendio netto di 1.600-1.800 euro. Beh, con 400 dollari al mese in USA vi pagate una copertura assicurativa di prima classe, con 200 $ (quel che versa chi guadagna 1000 euro netti) andate in qualunque clinica privata, qui da noi finite in barella per ore ed ore al pronto soccorso. Peggio ancora se invece di sanità parlassimo di previdenza. Morale della favola, i nostri sindacati non ci tutelano, avallando un sistema previdenziale e sanitario iniqui e spreconi; chi ne fa le spese è l’Italia sia in termini di ricchezza sia in termini di efficienza dei servizi; i demagoghi fomentano il popolo invocando un bengodi che non c’è e procastinando le soluzioni ad un futuro che non arriva mai.

Dovremmo riflettere prima di pensare che l’Europa pretenda da noi cose impossibili: la diretta conclusione che se ne trae è la conferma definitva di una ‘storia’ che gira da 2000 anni. I popoli latini sono culturalmente più corrotti o corruttibili di quelli centro-nordeuropei’? Sarebbe meglio fornire ampie e dimostrabili smentite, mantenendo gli  impegni presi  e non buttando in politica (in cavalleria) i guai e le soluzioni, se vogliamo convincere Europa e Germania ad adottare maggiore flessibilità finanziaria. O pensiamo che Normanni e Sassoni abbiano voglia di cambiare le proprie regole (vincenti) per dar seguito ai Celti imbelli od ai Cattolici furbetti?

Demata

Pensioni anticipate: come andranno le cose per davvero

25 Mag

La signora Italia nacque nel 1930 ed ebbe sei figli operosi, che trovarono lavoro non appena finiti gli  studi:

  1. Mario (1951) arruolatosi ed in pensione dal 1991,
  2. Luisa (1953) docente ed in pensione dal 1990,
  3. Sergio (1956) impiegato al comune, invalido grave e pensionatosi nel 2006,
  4. Chiara (1958) dirigente di II livello, invalido grave al lavoro fino al 2020,
  5. Marco (1959) medico, invalido grave in pensione dal 2016,
  6. Lucia (1961) venditrice, invalido grave andrà in pensione tra il 2023 e il 2028.

Sembra impossibile, ma è proprio così, e perchè accada questo è spiegato nel prospetto esemplificativo.

Demata Esempio Pensioni I parametri che contano, come al solito, sono l’età anagrafica, l’età previdenziale, l’età pensionabile e l’effetto di eventuali status invalidanti (la signora Italia ha trasmesso una malattia congenita rara ai suoi figli, ma non in tutti è sintomatica).

L’effetto con il sistema attuale (ma sarebbe così anche anticipando le pensioni a 62 anni) è il seguente:

  • I due figli nati prima del 1955, bene o male hanno beneficiato di tutti gli sconti e prebende riservati ai baby boomers. Intanto da anni lavorano a nero ed evadono il fisco.
  • I due che hanno visto la ‘malattia di famiglia’ riconosciuta prima del 2011, godono di 5 anni di scivolo ed uno di loro anche di pensione d’invalidità.
  • I due, che erano malati ma non riconosciuti per tempo dal Sistema Sanitario, finiscono in un limbo e devono versare i contributi che servono per pagare le pensioni dei primi due.

Ovviamente tutto questo non poteva accadere e non poteva restare sotto silenzio se i sindacati rappresentassero, in Italia, chi lavora e non chi è già pensionato. Già questo basterebbe per un decreto legge sulle rappresentanze sindacali, ma è un’altra storia. Intanto, speriamo che almeno Mattarella e Boeri intervengano affinchè ci si ricordi di chi ha iniziato a lavorare giovanissimo e/o deve proseguire  a 55 anni passati, nonostante sia gravemente malato: anche questi dovrebbero essere ‘diritti’, se non costituzionali – come davvero ssembrerebbe – almeno ‘acquisiti’.

Demata (since 2007)

Lavoro e pensioni: fine pena mai

1 Mag

La cattiva notizia è che la Corte Costituzionale ha annullato il blocco dell’adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a tre volte il minimo Inps (1.443 euro).

La ‘buona’ notizia è che adesso abbiamo un’idea certa di quanto esageratamente ci costano: il solo ‘aggiornamento Istat’ pesa sui conti pubblici di circa 1,8 miliardi per il 2012 e altri 3 miliardi per il 2013.
A contraltare, i beneficiari di pensioni e assegni sociali, integrazioni al trattamento minimo più pensioni di invalidità civile costituiscono il 65% dei pensionati totali e percepiscono un importo inferiore a 750 euro.

E’ evidente che è andato tutto storto a partire dalle proiezioni di  Amato, Dini e Maroni che ancora oggi pensionano persone con il sistema restributivo per finire alle conversioni in Euro ed al nuovo status ‘europeo’ dell’Inps di Prodi e Tremonti.

Certamente era incostituzionale negare l’aggiornamento al costo della vita, ma è un dato di fatto che l’Inps abbia sbancato ed è la Caporetto dei conti italiani.
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In questi casi si fa una sola cosa: spacchettamento. Da un lato i rami morti, i pensionati ‘retributivi’ che restano allo Stato – in un blind trust si spera – finchè campano.
Dall’altro, la costituzione di Fondi Vita (o Casse) che assorbano le pensioni ‘vive’, di chi andrà in pensione da dopodomani e ha versato buona parte col sistema ‘contributivo’.

L’alternativa è bloccare tutto il Welfare e buona parte dell’innovazione della Pubblica Amministrazione, oltre che mandare in malora diritti privati e doveri  pubblici.

La soluzione è tutta meramente politica, come lo sono le questioni sottese alle richieste sempre più pressanti di Damiano e Boeri come del Papa e del Presidente Mattarella
Poletti e Renzi tacciono, Bersani e Camusso pure.

Intanto il lavoro ed il non aver lavoro somigliano sempre più a ‘fine pena mai’.
Evviva il Primo Maggio!

Demata (blogger dal 2007)

Più soldi per colf, badanti e bambinaie, nulla per disoccupati, esodati e invalidi

20 Apr

Inps, Boeri: «Allarme povertà, la nuova emergenza sono i 55-65enni. Presto proposta di reddito minimo per gli over 55», che anche grazie al Jobs Act e alla Deregulation della Pubblica Amministrazione verranno licenziati in massa per far spazio ai giovani.

Jobs Act: fino a 7.000 euro annui a prescindere dal reddito, per tutte le famiglie che assumono una colf, una badante o una baby sitter.

Ma siamo impazziti?

Cosa ne dite di un Paese che garantisce la badante a chi già percepisce una più o meno lauta pensione, oltre a tutto il welfare che è gia speso per loro tramite le Coop e le Onlus così amate dai nostri Partiti?
E che vogliamo scherzare se un briciolo degli stessi diritti dovesse toccare che nacque dopo di loro .. prima degli esodati, dei disoccupati, dei precari, degli invalidi … ci sono colf, onlus, coop, badanti, bambinaie … nani e ballerine.

Riuscite ad immaginare voi una famiglia esodata o disoccupata, che non raccatta un centesimo di Welfare anche dopo una vita di contributi, ma che tra pochi giorni potrebbe permettersi la colf grazie ai 7.000 euro annui che Renzi sta legiferando?

Magari, avremo un mondo più solidale dove assumo la moglie del vicino come colf ed in cambio mia figlia fa da badante al loro nonno; settemila a testa e passa la paura.
O forse finalmente le casalinghe, assumendosi l’un l’altra come colf, riusciranno a raccattare uno stipendio.

Prendiamo atto che il PD di Renzi, Del Rio e Poletti  è ben attento alle esigenze delle famiglie con colf, badanti e bambinaie, mentre è per nulla interessato a disoccupati, esodati e invalidi.
Come Tito Boeri, che – dopo aver dimenticato che la Sanità e il MEF sarebbero debitori di una cinquantina di miliardi di euro all’ex Inpdap e dimendicando che qualcuno dovrebbe pagare per il buco di miliardi dell’ex Inpdai – sembra aver dimenticato di esser nato nel 1958 e che i suoi coetanei stanno a tirar la cinghia per le pensioni pazzesche e del tutto immotivate che l’Inps versa e everserà a chi nacque prima del 1952 …

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

2015: previsioni facili per un anno difficile

31 Dic

Giorni fa, chicchierando con due politici locali, mi trovavo a segnalare che la ‘gente’, per l’anno che verrà, proprio non ha ‘sogni nel cassetto’, niente speranze, niente prospettive. Al massimo il sogno di andare via, per se e/o i propri figli, emigrando a nord o all’estero.
E ricordo sia le loro facce sgomente nell’esser posti dinanzi al dovere di ‘dare un futuro alla polis’ sia il loro silenzio attonito sia il mio corrispettivo stupore, dinanzi a tale vacuità.

Cosa ci aspetta per il 2015? Cosa ci lascia il 2014?

Sul fronte dei partiti italiani, ciò che accade è ormai evidente: il Paese è bloccato a causa della faida perpetua che attangaglia la Sinistra (Italia, Grecia o altrove è uguale) e quella che è de facto una minoranza degli italiani riesce ancora a bloccare riforme attese da 20 e passa anni.

Riguardo l’economia, il 2014 è stato un altro ennesimo anno nero ed infatti ci siamo beccati ben due abbassamenti di rating, finendo nella sentina del BBB+ oltre la quale c’è solo la quarantena, dato che l’attuale parlamento – a ben vedere – non ha reso esecutive le tante e troppe riforme che servirebbero. Anzi in molti casi non le ha proprio approvate neanche a livello di norma generale.
Inoltre, la spesa pubblica aumenta, nonostante i tagli su tutti i servizi e il blocco degli stipendi e delle pensioni, ma nessuno ci spiega quale ne sia la causa, come anche i conti vengono puntualmente smentiti, ma nessuno paga per gli errori fatti.

Intanto, sul fronte della ripresa, Napoli e Milano stanno dimostrando che – nonostante il malaffare – un rilancio infrastrutturale e d’immagine è possibile, Roma no. Non solo il fiasco dei Fori pedonali e di Malagrotta o le vergogne di Parentopoli e di Mafia Capitale oppure l’incapacità a costruire in tempi ‘ordinari’ un palazzo congressi o uno stadio, ma anche l’imprevidenza di un’espansione urbanistica decisa proprio mentre i mutui-casa andavano in tilt in tutto il mondo (subPrime) o il mantenimento di una lunga filiera di enti, consigli d’amministrazione e direttivi, prebende e busillis, gerontocrazie e partitocrazie che dimostrano solo che Roma – allo stato attuale – riesce a stento ad essere capitale di se stessa.

Andando fuori dai confini italiani, il 2014 è stato un anno fosco, con la Sinistra europea che ‘domina’ ma ‘brilla’ per gli scandali e ‘flette’ per le solite faziosità, mentre Obama alla fine di un doppio mandato piuttosto scialbo e zeppo di errori in politica estera, cerca di recuperare il consenso perduto puntando sui cavalli di battaglia kennediani: diritti civili e questione cubana. Intanto, ISIS, Putin e un tot altri mostrano i muscoli e il petrolio flette, ma … saranno problemi del prossimo presidente, mica suoi.

E il 2015?

Si dice che Italia e Francia siano protette dalla buona sorte ed, infatti, allorchè cadde il Muro di Berlino fu la carneficina yugoslava a dissuadere tanti post-comunisti nostrani dal giocarsi la ‘sfida all’OK Corral’ anche a casa loro. Oggi c’è la Grecia di Tsipras.
Infatti, il ‘problema’ è che ormai i greci sono ‘padroni’ solo della bandiera e della cartina geografica del loro paese, tutto il resto, in un modo o nell’altro, è in mano a stranieri: la tentazione di nazionalizzare o iperfiscalizzare ciò che si è ceduto per debiti accumulati è una tentazione antica come il mondo.
Cosa dire? Speriamo che i greci facciano presto a seguire le solite promesse e che si rovinino ulteriormente con le proprie mani, in modo che l’Italia e, soprattutto, la Francia dei solotti buoni aprano gli occhi su un gauchisme che ha sempre portato sangue e prevaricazione?

Come anche, sarà Hillary Clinton o Jeb Bush il prossimo inquilino della Casa Bianca, è davvero difficile che Italia e Francia possano cavarsela come finora, grazie all’inerte benevolenza dell’Imperatore. Nel primo caso, difficile che si continui a tollerare l’instabilità italiana in un Mediterraneo-Mar Nero sempre più bellicosi, nel secondo caso dovremo vedere cosa ne sarà dell’armata statunitense al momento stanziata nell’Africa Equatoriale ‘contro Ebola’.

Venendo a noi, i tempi della politica (e dei processi) non sono allineati con quelli dei mercati (rating, trend, spread, eccetera) e davvero sarà difficile evitare il BBB-, se andiamo a questa velocità. Inoltre, Roma non sembra in grado di badare a se stessa, figurarsi il paese, e soprattutto ‘costa un botto’. Andrebbe commissariata – ma sul serio – sia al Comune sia in Regione, come dovrebbero esserlo Napoli e Palermo, almeno finchè gli apparati locali non si rendessero efficienti, economici e affidabili come il resto d’Italia.

Quanto alla ripresa e al lavoro, basti dire che il 2014 si conclude con un ulteriore differimento di quattro mesi dell’età pensionabile, mentre il turn over langue, ed inizia ad essere aastanza chiaro a tutti che l’attenzione della Sinistra alle pari opportunità (invalidi, disoccupati, donne, giovani) è un mero ricordo del passato, dopo uno sciopero generale che chiedeva il mantenimento dello status quo e dopo il veto di Matteo Renzi al neodirettore dell’Inps, Tito Boeri, a riformare alcunchè.

Detto questo, le cose potrebbero andare così:

  1. staremo a cincischiare tra elezione presidenziale, legge elettorale, jobs act e quant’altro fino a primavera, quando si capirà se la Grecia ha crashato ulteriormente, se e come si affermeranno Clinton e Bush, se lo Stato Islamico ‘tiene’,  et cetera
  2. a ridosso dell’estate le agenzie di rating potrebbero anche star tranquille – l’elezione di un nuovo presidente porta di solito bene – e può anche darsi che Damiano e Boeri riescano ad invertire il meccanismo della Riforma Fornero e che Renzi abbia il coraggio di sottrarre ai sindacati il controllo – tramte la loro presenza nei CdA – dell’Inps e di tanti altri Enti
  3. se accadesse questo – ma è fantapolitica – si andrebbe ad elezione in settembre, cioè prima che  qualcuno possa far bloccare o annullare con cavilli le norme emesse e andando al voto con il PD di Renzi alleato i Centristi, mentre quello ‘sindacalizzato’ dovrebbe necessariamente costituirsi ‘a se stante’ e … farsi carico – come oneri e come immagine – dell’enorme patrimonio immobiliare ereditato dall’ex PCI o trasferitogli ope legis dai beni dell’erario subito dopo la II Guerra Mondiale e di un sistema opaco come quello delle elezioni /decisioni sindacali nell’era dell’Edemocracy e del voto on line
  4. molto più prevedibilmente, le cose continueranno a stare come sono, magari in attesa di vedere come andranno le presidenziali USA o sperando in qualche miracolo di San Pietro intento a far lavanderia a casa sua, mentre per l’occupazione persisterà la stagnazione e per i servizi pubblici non ci resta – ahimé – che ‘privatizzare’ tutto. Così, tra settembre o novembre, se va bene, arriverà qualche solita batosta, mentre le aziende straniere avranno comprato tutto quanto ci sia da lucrare nel nostro Bel Paese. Basti dire che da due anni i benefit di una nota azienda autostradale italiana vanno ad ingrassare un fondo pensioni canadese … mentre noi ieri abbiamo elevato l’età media dei nostri pubblici impiegati di quattro mesi per i prossimi dieci anni, perchè Inps e ambienti governativi considerano ancora l’Inps come fosse un salvadanaio, neanche fossimo alla fine dell’Ottocento.

pinocchio-jacovitti1

Poi, arriverà il 2016 e, dunque, poi si vedrà. Intanto, saranno passati il raccolto delle olive 2015, la ridislocazione delel filiera produttiva toscoemiliana per via dei terremoti e le diverse indagini in corso sul reticolo delle cooperative  e avremo scoperto (l’impresa italiana è tutta qui) cosa ne è stato del nostro sistema agro-alimentare, del Paesaggio Italiano e … della Dolce Vita.
Siamo Italiener, ‘noi’ viviamo nella Grande Bellezza, na klar. Scuola, giustizia, sanità? Abbiamo delle tradizioni: basta consultare Pinocchio di  Collodi per saperlo …

P.S. A proposito, voi vi mettereste in affari con uno che ragiona così?

originale postato su demata