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L’ineluttabile fine di ogni Autocrazia (e putinismo)

13 Nov

L’ideologo nazionalista russo Aleksandr Dugin ha pubblicato su Telegram un post poi rimosso e infine disconosciuto dallo stesso filosofo, la cui figlia è stata assassinata ad agosto in un attentato di cui i russi accusano i servizi ucraini.

Una schietta, dura, amara riflessione su come vadano a finire inevitabilmente (male) le Autocrazie.

“Il potere è responsabile di questo. Che senso ha l’autocrazia, che è quello che abbiamo?

Diamo al Sovrano la pienezza assoluta del potere e lui ci salva tutti, il popolo, lo Stato, la gente, i cittadini, in un momento critico.

Se per farlo si circonda di schifezze o sputa sulla giustizia sociale, è spiacevole, ma lo fa solo per salvarci. E se non lo fa?

Se non lo fa, il suo destino è quello del Re della pioggia”. (ndr. che viene ucciso perché non è riuscito a portare la pioggia durante la siccità: per punizione, gli viene gli viene squarciato lo stomaco”)

L’autocrazia ha un lato negativo: la totalità del potere nel successo, ma anche la totalità della responsabilità nel fallimento. Kherson non si è quasi arresa, si è arresa del tutto.

Voi sapete per chi è il colpo. E non saranno più le pubbliche relazioni a salvare la situazione. In una situazione critica le tecnologie politiche non funzionano affatto.
Oggi la storia parla. E dice parole terribili per noi”.

Il post è stato poi rimosso – come riporta Huffington Post – e Dugin ha patriotticamente precisato che “nessuno ha voltato le spalle a Putin. La Russia e Putin non capitoleranno mai”.

Ma questo non alleggerisce il ‘peso’ di queste sue riflessioni come ideologo della Destra nazionalista che ripudia l’autocrazia e, più in generale, la leadership “dell’uomo solo al comando”.
Vedremo quali saranno le ripercussioni sui partiti di Destra e più in generale populisti’, specialmente quelli che sono incentrati sulla personalità del leader – talvolta anche per statuto e spesso per propaganda elettorale.

Demata

Clima e Digitale: la Germania accelera e il Sud Europa no

4 Nov

La Germania – dopo le ‘difficoltà’ con Mosca – ha accelerato sulla via dell’autonomia energetica con fonti rinnovabili, contando di coprire l’intero fabbisogno industriale e – forse – residenziale tra pochi anni.
Quanto all’autotrazione, l’anno scorso è stato scoperto che la zona della valle dell’Alto Reno è abbastanza ricca di litio da poter supportare la produzione di batterie per oltre 400 milioni di veicoli elettrici.
Già nell’attuale il Climate Change sta permettendo di trasferire merci dall’Oriente all’Europa tramite la Rotta Artica anzichè tramite Suez e il Mediterraneo.

L’obiettivo malcelato? Rendere la Germania e la MittelEuropa del tutto autonome dal punto di vista energetico sia per i consumi residenziali sia per quelli industriali.
Come? Gestendo il Cambiamento ambientale in termini di mercato e consumi, come attuando la Trasformazione Digitale nell’ambito tecnico e diffondendola tra la popolazione.

Infatti, il Cancelliere tedesco Scholz è a Pechino, dopo aver approvato lo scorso 26 ottobre la cessione di una partecipazione del 24,9% di Hhla, società che controlla tre terminali del porto di Amburgo, al colosso navale cinese Cosco, nonostante una forte opposizione anche nel consiglio dei ministri.

Una scelta dei Socialdemocratici e dei Demoliberali che ha visto l’opposizione non solo della Cdu, ma anche dei Grunen al governo, che – come ha dichiarato il ministro degli Esteri Annalena Baerbock: “hanno invitato a non ripetere gli errori fatti in passato con la Russia, dal momento che una possibile escalation di tensione su Taiwan potrebbe mettere di nuovo Berlino di fronte a scelte molto difficili”.

Ma è pur vero che le ‘scelte molto difficili’ toccherebbero a tanti, se solo in Europa Cosco ha già in uso il porto del Pireo (Grecia), la gestione nel trasporto dei container per i porti spagnoli di Bilbao e di Valencia come di Zeebrugge (in Belgio) come controlla il 40% del porto di Vado Ligure , terminale nel trasporto di container.

Infatti, i Grünen al governo della città-Stato di Amburgo e l’attuale sindaco Peter Tschentscher, (socialdemocratico come Scholz) si sono espressi a favore dell’accordo con la Cina: “Ciò che è sensato dal punto di vista imprenditoriale deve anche essere possibile e realizzato nella pratica”.

In termini di impresa (e occupazione) c’è da sapere che il 70% delle importazioni cinesi dalla Germania appartengono a quattro macro-settori: AutomotiveMeccanica strumentaleElettrotecnica e elettronica e Farmaceutica.
Un export made in Germany da 95 milioni di euro, grazie alla forte differenziazione dei prodotti tedeschi, cioè rivolti sia alla crescente industrializzazione del mercato cinese (sviluppo) sia all’emergere di una nuova classe media (domanda). 

E se una escalation a Taiwan dovesse mettere Berlino di fronte a scelte molto difficili con Pechino?

Si vedrà … intanto la Germania punta a rendersi del tutto autosufficiente prima possibile.

Ben altro che governicchi di una nazione ricchissima ma all’inedia, che sanno solo sottoscrivere debiti per spostare un sussidio da destra a sinistra o viceversa pur di accontentare i clientes nullafacenti, come in Brasile ad esempio.

Venendo all’Italia, che non è il Brasile, l’imprenditoria subalpina manifatturiera che rifornisce direttamente l’industria tedesca sarà certamente avvantaggiata e la domanda da porsi è: cosa accadrà alla demografia delle regioni a nord del Po e cosa all’economia del resto dell’Italia, specialmente se le merci cinesi per arrivare in Germania passano dal Mare Artico e non da Suez?

Demata

Soros, i soldi a +Europa e lo Stato di diritto

3 Nov

“Il finanziere George Soros ha sovvenzionato con un milione e mezzo di euro +Europa ponendo come condizione imprescindibile che si facesse un listone antifascista. Me lo disse ripetutamente Della Vedova prima della rottura”, accusa il leader di Azione Carlo Calenda nell’intervista riportata da Bruno Vespa nel suo ultimo libro.

Lo stesso Vespa, però, riporta la precisazione di Benedetto Della Vedova, segretario nazionale di +Europa, che non ha ricevuto contributi da Soros, che altrimenti sarebbero già stati pubblicati, cioè rendicontati.
A ricevere fondi, invece, secondo Della Vedova sono stati “alcuni candidati di +Europa“, i quali “hanno ricevuto un contributo diretto da parte di George Soros per le spese della campagna elettorale.”

I rendiconti di +Europa di questi ultimi 4 anni convalidano quanto afferma il segretario di +Europa, che – però – non va a smentire Calenda, anzi conferma che ci siano stati contributi del finanziere di origini ungheresi ad esponenti del suo partito.

Infatti, Libero racconta dei prestiti erogati dalla Fondazione Open Society di Soros e ricevuti dalla Lista Bonino nel 2004 e nel 2006 per circa 3,5 milioni di euro complessivi per la campagna elettorale.

A riguardo il comunicato di +Europa di poche ore fa è ben chiaro: “il filantropo di origini ungheresi da tempo condivide e sostiene i nostri valori europeisti e le nostre battaglie per i diritti umani e lo Stato di diritto. Siamo orgogliosi che alcuni nostri candidati abbiano chiesto e ricevuto il suo sostegno, certamente disinteressato”.

Fa piacere essere rassicurati che Soros sia disinteressato, dato che è impressionante la mole di finanziamenti che Soros spende fuori dagli Stati Uniti, specialmente in Africa, ma anche in Europa.

Riguardo i valori europeisti, Soros divenne famoso perchè il 16 settembre 1992 ha sbancato la Banca d’Inghilterra, immettendo sul mercato 10 miliardi di sterline, che aveva pazientemente accumulato.
Per far fronte alla mossa speculativa, il Regno Unito dovette abbandonare il Sistema monetario europeo, svalutando la sterlina. Nello stesso giorno, Soros vendette lire allo scoperto, costringendo la Banca d’Italia a svalutare per compensare l’ormai insostenibile sopravvalutazione della moneta e anche la lira dovette uscire dal Sistema monetario europeo.

Quello del 1992 è stato l’evento che maggiormente ha condizionato il futuro dell’Europa sul suo nascere.

Riguardo le ricadute sui diritti umani, nel 1997, la sua azione causò il deprezzamento delle monete malesi e thailandesi, dando il via alla crisi asiatica finanziaria che coinvolse anche Indonesia e Corea del Sud. Nel 2007 ha piazzato un numero di aste tendenti al ribasso nel settore immobiliare degli Stati Uniti, traendo così un profitto di oltre un miliardo di dollari.

Quanto allo Stato di diritto, nel 2006 Soros è stato condannato da un tribunale francese a pagare una penale di 2,3 milioni di dollari per insider trading, dopo l’accumulazione di azioni della Société Génèrale francesi in via di privatizzazione. E nel 2016 ha investito in oro e minerali preziosi, avvantaggiandosi dal ‘black friday’ della Brexit.

Soros si propone come un critico del neoliberismo e del libero mercato, ma ha fatto fortuna ai primi Anni ’70 con i Fondi di investimento speculativo (Hedge Funds) nel paradiso fiscale di Curacao.

Demata

L’ONU chiede alla Russia il ritiro dal Donbass

13 Ott

Si è conclusa stanotte (ore italiana) l’Assemblea Generale dell’ONU, convocata con urgenza a tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dopo l’annessione del Donbass e dopo il veto russo nel consiglio di sicurezza.

La risoluzione ONU condanna i “cosiddetti” referendum russi e l’annessione di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia, e afferma che la pretesa di Mosca non ha validità nel diritto internazionale e costituisce la base per alterare lo status di “queste regioni dell’Ucraina”.
La nuova risoluzione – soprattutto – invita la Russia a ritirare “immediatamente, completamente e incondizionatamente” tutte le sue forze dal territorio ucraino.

La risoluzione era stata presentata all’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) dopo il veto russo per un testo simile da approvare nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

143 stati hanno votato a favore, mentre 35 si sono astenuti, tra cui Cuba, Iran, Cina, India, Sri Lanka, Pakistan, Kazakistan, Kyrgyzistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Sudafrica, Etiopia, Eritrea ed altre 16 nazioni africane.
Corea del Nord, Siria, Nicaragua e Bielorussia sono stati gli unici quattro paesi a votare contro la risoluzione insieme alla Russia.

La risoluzione non è vincolante, essendo solo una “raccomandazione” – ai sensi degli articoli 10 e 11 dello Statuto delle Nazioni Unite – e la sua forza si fonda sul numero e il peso delle nazioni favorevoli.

Val bene sapere che le risoluzioni per il ritiro di un esercito invasore hanno raramente ottenuto successo, dato che è un fattore che l’aggressore mette in conto già nel progettare l’attacco, ma le risoluzioni hanno un notevole peso nell’import ed export di risorse, beni e valute.

In questo senso, registriamo il voto favorevole di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che fanno parte dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, e del Brasile, che fa parte del blocco BRICS con Russia, India, Cina e Sud Africa.

In termini strategici, a parte il peso commerciale e industriale di Cina e India, va registrato che non hanno aderito alla risoluzione, astenendosi o votando contro, la gran parte delle nazioni che controllano le rotte commerciali che portano petrolio, minerali e merci dall’Oriente verso l’Europa e il Giappone .

Non è irrilevante il fattore che la risoluzione chieda il ritiro delle truppe russe (non il cessate il fuoco e l’intervento di Forze di Pace), con Cina, India e Pakistan in ‘conflitto di interessi’, essendo a loro volta oggetto di moratorie per territori contesi.

Demata

La fine della guerra: una scadenza a Mid Term?

12 Ott

Ormai un po’ tutti abbiamo imparato che le sanzioni possono essere un atto ostile e non solo commercio e diplomazia: non proprio come dichiarare guerra, ma qualcosa che la avvicina. E ricordiamo tutti le minacce – poi avveratesi – che volavano tra Putin, Zelenski e Biden per via del Donbass, come era stato per Danzica e Sarajevo.

Otto mesi dopo la conta dei danni è enorme.
Il commercio internazionale è devastato, a partire dal prezzo del gas alle stelle e di petrolio se ne produce meno. La ripresa economica conseguente alla ripartenza del complesso industrial-militare è tutta da venire, anzi sembra manchino le munizioni. L’Unione Europea è stravolta dalle sue stesse sanzioni e dal conseguente deficit di energia. L’Ucraina e Kiev richiederanno una generazione per essere ricostruite. Il popolo russo dovrà affrontare per lungo tempo l’impoverimento causato dalle scelte di Putin.
E Joe Biden?

Innanzitutto, c’è che alle sanzioni Nato hanno aderito pienamente solo gli europei, i giapponesi e nazioni non di primo piano.
A parte la Cina, si sono chiamate fuori India, Brasile, Messico, i vari potentati arabi eccetera. E’ un fattore che conterà non per la guerra – lontana ai confini dell’Europa – ma per l’economia, cioè sulle Elezioni di Mid Term del mese prossimo.

Infatti, oltre all’inflazione, i prezzi del carburante sono tornati a salire, dopo la decisione dell’Arabia Saudita e dei Paesi Opec di ridurre la produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno, che proprio Jeo Biden aveva tentato di scongiurare, incontrando  il principe saudita Bin Salman, quello accusato dall’ONU di essere responsabile dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Poi, c’è che la già scarsa popolarità di Biden si è accresciuta, mentre quella di Trump tiene alla distanza e c’è il senatore repubblicano Marco Rubio, la stella delle generazioni più giovani.
Intanto, la popolarità di Joe Biden potrebbe crollare in un istante, travolgendo le elezioni di Mid Term e con loro i Democratici.

Infatti, secondo quanto riporta il Washington Post, sarebbe già stati inviati al giudice i fascicoli di Hunter Biden (link)  con le prove per incriminarlo riguardo i suoi affari non solo  nella società ucraina Burisma (link), come si credeva all’inizio, ma anche con la CEFC China Energy (link), “specialmente alla luce di un messaggio di testo che invia al suo socio in affari Tony Bobulinski il 1 maggio 2017” (link).

La fine della guerra tra Russia e Ucraina?
Bisognerà attendere le elezioni di Mid Term statunitensi e … manca ancora un mese.

Demata

Ponte di Crimea: un nuovo livello di conflitto

9 Ott

Tre persone sono morte a causa dell’attentato al ponte stradale e ferroviario di Kerch che collega Russia e Ucraina: dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale.

I tre morti sono il conducente del camion esploso mentre sulla piattaforma ferroviaria era in transito un treno carico di combustibile e due persone a bordo di un’autovettura che lo stava sorpassando,

L’esplosione del camion di per se avrebbe causato danni modesti al piano stradale del ponte: è stata la sincronizzazione con il transito del treno (a sua volta esploso) a causare il collasso parziale della struttura.

Il camion trasportava pellet, proveniva dal territorio russo (Krasnodar), sarebbe stato ispezionato almeno in un check point russo e si ritiene che il conducente non fosse consapevole di cosa trasportasse effettivamente.

Se le fonti ucraine della prima ora (Ukrainska Pravda,  Unian) riportano l’attentato ad un’operazione speciale dei servizi segreti di Kiev (Sbu), Mykhailo Podoliak – Capo di Gabinetto di Zelenski – punta il dito verso un “conflitto fra forze di sicurezza russe” che “si sta intensificando” e sta andando “fuori dal controllo del Cremlino”.

Fatto sta che l’Ucraina garantiva i collegamenti con la Crimea solamente via traghetto, prima della costruzione del Ponte di Kerck da parte della Russia, come fosse un’isola e non una penisola.

Dunque, sarebbe davvero paradossale che proprio l’Ucraina vada a far saltare quel ponte, se poi vuol chiedere la restituzione di quel che c’è dall’altro lato.

Intanto, a prescindere da chi ne sia il mandante, l’attentato al ponte di Kerch è un duro colpo per tutti e non solo per la macchina bellica di Putin o per la restituzione della Crimea all’Ucraina.

Dopo i droni commerciali modificati per colpire obiettivi militari, dopo la giornalista Darya Dugina uccisa per colpire il padre e dopo gli attentati al gasdotto sottomarino, arriva il camion bomba che distrugge un’arteria essenziale: oggi in Crimea e domani dove?

Questo è il livello di conflitto raggiunto tra Ucraina e Russia, senza parlare dell’incubo nucleare.
Serve una moratoria per un armistizio.

Demata

Quanto è controproducente Ursula Von der Leyen?

23 Set

Sulla campagna elettorale italiana – fulmine a ciel sereno – arriva Ursula Albrecht Von der Leyen a gamba tesa sul voto in Italia: “Aspettiamo le elezioni. Se la situazione sarà difficile, abbiamo gli strumenti”, facendo riferimento alle sanzioni per Ungheria e Polonia.

L’intento era di favorire la ‘coalizione democratica’, contrastando l’avanzata populista, ma l’effetto è facile da prevedere, se la minaccia arriva da una tedesca di origini statunitensi, “a titolo personale”, ma in nome dell’Europa se non dell’intero mondo civilizzato.

Il messaggio, infatti, non riguarda i tempi e gli accordi UE da rispettare per ottenere le prossime tranche del Pnrr, mai messi in discussione dalla coalizione di Centrodestra.
L’oggetto del contendere sul Pnrr – finora e da parte di tutti i partiti – sono state le questioni di regolarità contabile che regioni e comuni vorrebbero ‘alleggerire’ ed alcune misure occupazionali che enti e sindacati vorrebbero ‘allargare’.
Questo è stato il ‘peccato mortale’ di Mario Draghi e Von der Leyen di sicuro deve averlo saputo.

Dunque, la minaccia di Ursula Albrecht in Von der Leyen suona a tanti italiani come un “attenzione a come vi muoverete nelle riforme istituzionali e politiche, dato che i cordoni della borsa sono in mano a Bruxelles”.

Non stiamo qui a commentare la gravità dell’episodio, ci ha già pensato Salvini chiedendone a muso duro le “dimissioni” e Letta improvvisando un salvataggio con la promessa di un “chiarirà”.

La domanda è cosa penserà la gente in Europa dopo l’outing di Von der Leyen sull’Italia, che fa seguito a quelli su Ungheria, Polonia o … Ucraina, con le drammatiche escalation che vediamo?

A proposito, l’Unione Europea conferisce poteri e prerogative così assoluti a chi ne presiede la Commissione?

demata

Armi nucleari tattiche: cosa c’è da sapere

22 Set

Le armi nucleari tattiche (TNW) sono una sottocategoria di armi nucleari non strategiche, che si distinguono per:

  • una portata limitata, cioè colpiscono entro un raggio di 500 km
  • una potenza limitata (kilotoni, kt), cioè pari o inferiori a quella di Hiroshima (15 kt) e Nagasaki 21 kt)
  • una capacità di devastare n’area specifica senza causare ricadute radioattive estese.

Una bomba nucleare tattica da 6 kilotoni (come quelle sperimentate dalla Corea del Nord nel 2009) causa:

  1. una ‘palla di fuoco’ (fireball) larga 120-150 metri
  2. radiazioni letali nel raggio di circa un chilometro
  3. ustioni di 3 grado, radiazioni e distruzione in un diametro di 3-4 chilometri

In caso di vento la ricaduta radioattiva si estenderebbe di 2-5 volte nella sua direzione. Facendole esplodere sul fondale di un porto o di una baia o un fiume, si scatenerebbe un mini-tsunami, distruggendo tutto nel raggio di circa un chilometro.

In altre parole, un’arma tattica nucleare è pensata per distruggere una fortezza o una colonna militare, come anche può devastare un porto o una diga o una centrale idroelettrica. In termini ‘difensivi’ può creare (con vento favorevole) una striscia lunga decine di chilometri di territorio radioattivo, pressoché inattraversabile.

Come esempio nelle due immagini che seguono è descritto l’effetto di una arma nucleare tattica russa da 6kt su un immaginario obiettivo militare ucraino a nord di Poltava.

La Russia ha un vantaggio di quasi 10:1 sugli Stati Uniti e sulla NATO nelle armi nucleari (NSNW) non strategiche (cioè a basso rendimento e a corto raggio).

Le valutazioni basate su fonti aperte stimano che la Russia abbia circa 2.000 NSNW.
Allo stesso modo si valuta che gli Stati Uniti e la NATO abbiano circa 200 NSNW nel loro arsenale. Si ipotizza che metà di queste armi USA si trovino in Europa come parte delle forze nucleari della NATO.

I trattati che hanno posto fine alla Guerra Fredda non ricomprendono le armi nucleari tattiche.

Nel 2011, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Islanda, Lussemburgo e Slovenia hanno chiesto alla NATO “maggiore trasparenza e più sforzi volti a creare fiducia riguardo alle armi nucleari tattiche in Europa” a partire dallo “scambio di informazioni sulle armi nucleari tattiche statunitensi e russe, inclusi numeri, posizioni, stato operativo e disposizioni di comando, nonché livello di sicurezza dello stoccaggio delle testate”.

A.G.

Guerra Fredda e inflazione oggi: le alleanze in pillole

29 Giu

La II Guerra Mondiale non si concluse con una ‘resa’, ma finì solo dopo la distruzione della Germania e del Giappone, consegnando a noi posteri un’Europa e un Giappone privi di difese e di infrastrutture, occupati dalle armate anglosassoni e sovietiche.

Armate che ‘rimasero in zona’, dando il via a quella Guerra Fredda che finita non era, da quanto scopriamo drammaticamente oggi.
E oggi, scoperto che i ‘consumismi’ e la ‘movida’ erano una faccenda temporanea, vale la pena di ricominciare ad imparare ‘dove’ sono gli eserciti e ‘di chi’ sono le risorse. Almeno l’ABC della realtà in cui viviamo, giusto per farsi un’idea sull’energia e l’inflazione che paghiamo.

L’eredità della Guerra Fredda e del mondo diviso in blocchi industrial-militari consiste oggi in diverse alleanze militari:

UKUSA
è una alleanza di Paesi anglofoni, con lo scopo di raccogliere informazioni attraverso attività di SIGINT (SIGnal INTelligence). Spesso associata con il progetto ECHELON.
Stati Membri: Stati Uniti d’America e Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda

USFJ / MDT
sono due trattati che prevedono il mantenimento di quasi 30mila militari statunitensi in Corea del Sud e oltre 50mila in Giappone, a sua volta obbligato ad un tributo di oltre 8 miliardi di dollari
Stati Membri: Stati Uniti d’America, Corea del Sud / Giappone

NATO
è una alleanza nata nel 1949 per mantenere una forza militare anglosassone in Germania a contrasto dell’egemonia sovietica.
Attualmente, sono quasi 30mila i soldati statunitensi in Germania, assegnati a 21 basi
Stati membri fondatori: Stati Uniti d’America e Regno Unito, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo,
Altri stati membri: Germania (dal 1955), Turchia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovakia, Slovenia, Albania, Croatia, Montenegro e Macedonia del Nord

SDP
è il Piano (in fase di sviluppo dal 2016) per la sicurezza e la difesa sovranazionale dell’UE
Stati membri: 27 Stati europei (vedi di seguito)

Accordi militari della Russia
Dal 2015 21 paesi africani ha sottoscritto accordi di cooperazione militare, con la realizzazione di basi militari permanenti in Repubblica Centrafricana, Egitto, Eritrea, Madagascar, Mozambico e Sudan
Altri accordi militari: Vietnam, Mongolia, Iran, Corea del Nord, Siria (basi a Tartus e Laodicea), Yemen del Sud (basi a Socotra e al-Hudayda)

Sanzioni alla Russia
Su quasi 200 nazioni nel mondo hanno aderito circa 40 Stati membri della UE o delle alleanze UKUSA e USFJ / MDT, con una applicazione molto variabile

Poi ci sono le alleanze commerciali:

USMCA (+ ISPI)
è un accordo di libero scambio centrato sul dollaro (+ sterlina)
Stati Membri: Stati Uniti d’America (+ Regno Unito), Canada, Messico

UE
è un’unione economica e politica a carattere sovranazionale che comprende 27 Stati europei
Stati Membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria
Candidati Ufficiali: Albania, Macedonia del Nord, Moldavia, Montenegro, Serbia, Turchia, Ucraina
Candidati Potenziali: Bosnia ed Erzegovina, Kosovo

OPEC
è l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio fondata nel 1960, formando un cartello economico per negoziare con le compagnie petrolifere
Stati Membri: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador. Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Venezuela, Guinea Equatoriale, Rep. del Congo, Gabon

BRICS
è un accordo tra paesi in via di sviluppo e abbondanti risorse naturali strategiche. Uno degli obiettivi dei BRICS è la de-dollarizzazione del mercato finanziario globale.
Stati Membri: Brasile, Cina, India, Russia, Sudafrica

BRI / OBOR
la Belt and Road Initiative è una strategia di sviluppo infrastrutturale globale adottata dal governo cinese nel 2013 per investire in quasi 70 paesi tra cui Pakistan, Singapore, Nigeria, Malaysia, Bangladesh, Russia, Indonesia, Malaysia, Corea del Sud, Egitto, Israele, UAE, Zambia, Etiopia, Kenya, Ghana, Cile, Argentina, Perù, eccetera. I porti del Pireo e di Trieste rientrano in questo progetto globale

Dunque, se i rapporti sono tanti e tali, potete farvi un’idea da soli di come andrebbe a finire continuando a fare ‘muro contro muro’.

Demata

Aborto: cosa ne sarà della democrazia liberale in USA?

25 Giu

La sentenza Roe vs. Wade della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1973 introdusse un’interpretazione della Costituzione degli Stati Uniti a protezione della libertà di una donna incinta di scegliere di abortire, come aveva sancito il Regno Unito con Abortion Act del 1967.
A seguire, anche i parlamenti di Francia e Italia riconobbero lo stesso diritto, con la Legge Veil nel 1975 e la Legge 184 nel 1978, ma in USA quel diritto rimase una sentenza, non una legge né un emendamento.

E da quella sentenza Roe vs. Wade in 50 anni sono accadute tante cose.

Innanzitutto, le donne hanno ottenuto la libertà sessuale, ma solo quella, e di conseguenza l’emancipazione è regredita in antagonismo: oggi i movimenti Occupy, Gender e BLM rivendicano una dimensione di diritti ‘divergent’ per realizzare delle comuniutà ‘apart’.

Dunque, da una ‘public opinion’ orientata alla protezione e all’accoglienza verso i movimenti di tutela dei diritti si è passati negli anni ad una percezione di qualcosa di molto più aggressivo e destabilizzante … a cui opporsi “in difesa della civiltà”.

Intanto, si era passati da quella che era una richiesta di tutela di una condizione ‘non scelta’ (donna, lgbt, black eccetera) all’idea di una mera ‘scelta’ di uno stile di vita, cioè … una cosa sulla quale uno Stato e una Community ha tutto il diritto di metter becco, come da leggi e sentenze più o meno favorevoli.

Riepilogando, a differenza dell’Europa e del resto del Mondo, in USA il diritto all’aborto restava una sentenza costituzionale, mentre si passava dalla tutela delle diversità all’affermazione di un orgoglio (pride), cioè ad un ‘suprematismo’ dei diversi rispetto ai ‘normali’, dipinti come meno creativi, coraggiosi, avvantaggiati, socievoli eccetera.

E, soprattutto, all’avanzata di certi diritti corrispondeva la perdita di altri diritti.
In altre parole, ebbe corso una diffusa repressione delle sette religiose, iniziata 2-3 anni già prima la sentenza Roe vs. Wade, quando The Family di Manson compì la strage di Bel Air.
E tutto andò avanti finchè non accaddero il massacro di Waco nel 1993 e il conseguente attentato di Oklahoma City del 1995.

Due eventi che rappresentano un vero e proprio crocevia della storia americana e mondiale: se Waco ha ricordato agli americani perchè lì c’è un diritto a portare armi, Oklahoma ha dimostrato al mondo intero il prototipo ‘ideale’ dell’attacco terroristico ‘fatto in casa’.

E – a parte la distruzione della sede FBI di Oklahoma e la scoperta dell’homeland terror – dopo soli sei anni si verificò l’11 settembre, cioè gli USA si ritrovarono una parte dell’Islam a combatterli per quei costumi, quei diritti e quelle contraddizioni: inevitabilmente la religione metteva piede nella stanza ovale della Casa Bianca di G.W. Bush, visto che … era una guerra di religione.

Religione – quella di ‘Bibbia e Moschetto’ – che avrebbe anche potuto ritornare nelle proprie sedi con la rielezione del presidente, ma così non fu, dato che Obama prevalse alle primarie su Hillary anche ‘grazie’ al voto delle chiese evangeliche battiste afroamericane.
E fu sempre Obama che da presidente in carica tenne alcune lezioni magistrali sulle Scritture.

Dunque, non prendiamocela con la Corte Suprema statunitense, che non ha fatto altro che scoprire che “il Re è nudo” e … l’ha lasciato ‘nudo’.

In USA, la campagna elettorale presidenziale si rafforza nelle chiese e quella politica spesso inizia nei tribunali. Cioè ‘in nome di Dio’ e ‘a furor di popolo’.

Ma, se a breve termine la Politica statunitense non produrrà una riforma costituzionale per l’aborto come per le armi o la fecondazione eccetera, non resterà altro che prendere atto che la maggioranza degli statunitensi non lo vuole e … che i media USA non rappresentano adeguatamente la società ‘liberale’ che promuovono.

E l’aborto? Prima del quarto mese di gravidanza solo le religioni cristiane lo considerano un omicidio da punire come reato.
Potremmo iniziare almeno ad accettare che l’aborto entro il 3 mese di gravidanza è una questione di diritti religiosi di tutti e che il divieto assoluto è solo frutto della fede cristiana, praticata o meno che sia?
Nulla di liberale nè cosmopolita.

A.G.