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Chi sarà il Presidente secondo i numeri e … buon senso

25 Gen

L’elezione del Capo dello Stato richiede, dalla terza seduta in poi, 505 dei 1009 voti espressi da 630 deputati, 320 senatori (315 eletti, 5 a vita) e 58 delegati delle Regioni (art. 83 Costituzione).

I ‘numeri’  collocano il Gruppo Parlamentare del PD in testa (407) seguito dal Centrodestra (234), M5S (143), Autonomie (51), Lega (35), Scelta Civica (34) e SEL (33), in fine il Gruppo Misto (23).
In realtà, a causa della gravissima situazione interna e delle pressioni della CGIL, è difficile che il PD possa garantire molto più di 300 voti, in un senso o nell’altro, e senza i ‘numeri’ del secondo aggregato parlamentare, il Centro Destra ancora dominato da Berlusconi, diventerebbe possibile qualsiasi colpo di mano.

Se i ‘numeri’ sono la conditio sine qua non per qualsiasi elezione e determinano dei ‘eprcorsi obbligati’, i  fronti possono essere più variegati.
Il primo fronte è quello ‘nazionale’ dei ‘baby boomers’ – i nati tra il 1948 ed il 1955 – che gli italiani chiamano ‘ex sessantottini’ e che da una ventina d’anni fanno il bello e il cattivo tempo a nostre spese. Gente che era convinta di essere portatrice di in un futuro migliore e intende somministracene ulteriori dosi.
L’altro è quello ‘internazionale’ che ha già iniziato da tempo ad affidare il futuro ai cinquantenni di oggi, vedasi Merkel, Obama o John Ellis Bush, Valls, Cameron.  Una posizione che – destra o sinistra che sia – trova forte radicamento a livello popolare e tra i comparti tecnico-esecutivi, ma non offre figure gradite all’oligarchia cattocomunista italiota.

In pratica, l’Italia deve affrontare lo stesso bivio dinanzi al quale si trovò la CEI quando si trattò di eleggere Karol Woytila al papato, facendo un passo indietro rispetto alle secolari logiche romanocentriche, e dinanzi al quale si è trovato il Vaticano intero nello scegliere un gesuita cosmopolita come moralizzatore di Roma.

Lo ‘stato delle cose’ lascia pochi nomi alla ribalta, a meno che il PD scelga una via disastrosa, cedendo a chi vorrebbe uno dei ‘soliti noti’ a presiedere il Quirinale, magari sbarrando la strada ad innovazione, semplificazione ed equità generazionale per altri sette anni.

L’estremo tentativo di un mondo che si regge solo su proroghe dell’età pensionabile e mandati elettivi già esauriti, come sul consenso di alcune zone dello Stivale,  beneficiate dall’Unificazione italiana, è Sergio Chiamparino (Moncalieri, 1948), ex alpino, presidente della Regione Piemonte dal 9 giugno 2014, esperto di  ristrutturazioni industrial fin dal 1975 e responsabile del Dipartimento Economico del PCI di Torino dal 1982.
Contro di lui, per non chiariti motivi, la sinistra PD di cui Stefano Fassina ricorda che “il nuovo Presidente dovrebbe garantire autonomia, esperienza, conoscenza delle dinamiche parlamentari e autorevolezza”, ovvero non il ‘compagno’ Chiamparino che non è mai stato parlamentare. Idem Raffaele Fitto, di Forza Italia: “Puntiamo ad un capo dello Stato autonomo, autorevole, e che non sia necessariamente espressione della sinistra”.

L’uomo che meglio raccoglie ‘il nuovo che non avanza, ma doveva esser già qui’ è Paolo Gentiloni, ex editore di ‘Nuova Ecologia’ e per anni parlamentare europeo e compnente delle Commissioni Ambiente ed Esteri dell’Unione Europea. Poco conosciuto in Italia, fuori dalla sua città natale, Roma, è stato l’uomo che forse più di tutti ha tutelato gli interessi energetici dell’Italia ed il suo upgrade tecnologico.
Ed, infatti, Gianni Cuperlo, parlamentare ed ex presidente del Pd, ha dichiarato “mi auguro che ci sia una proposta unitaria, seria, autonoma” da parte del suo partito e Gentiloni è un liberale di nobile famiglia, esponente del ‘mondo laico’ a partire da Bonino e Rutelli.

Tra i due fronti va a comporsi il tezo nome: Dario Franceschini, cinquantenne, proveniente dall’esperienza giovanile dei Cristiani per il Socialismo e delle Acli, sempre ‘apart’ rispetto all’oligarchia sindacal-cooperativa e spesso dimenticato dalla stampa ‘amica’. Ottimo mediatore e persona di cultura, cattolico populista e non operaista, può essere il punto di incontro raggiungibile o … già raggiunto, visto che è l’unico che rientra nei ‘parametri di veto’ delle due componenti ‘old school’ del PD e del Centrodestra, salvo che non tirino fuori dal cappello al cilindro un settantenne as usual.

Aggiunto che Mario Draghi ha annunciato i ‘Bot europei’ prima e non dopo le elezioni greche ed italiane, potrebbe addirittura accadere qualcosa di sensato nel Paese degli Acchiappacitrulli, ovvero che PD (407) più Centrodestra (234), con Autonomie e Scelta Civica (85) riescano a convergere ed eleggere il Presidente entro le prime tre sedute.

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Napolitano lascia: i nomi dei papabili

1 Gen

Giorgio Napolitano lascia e le Camere riunite – le stesse che fallarono nel gennaio 2013 – dovranno eleggere un nuovo Presidente per l’Italia.

Per ccapire come andranno le cose e non farsi attrarre da ipotesi desuete, va innanzitutto precisato che, allo stato attuale, i Gruppi Parlamentari sono così divisi:

Alleanze voto presidenziale 1

Dunque, se l’obiettivo è superare la soglia dei 504 voti, le alleanze che potranno credibilmente sostenere un candidato sono le seguenti, con i colori dal rosso al verde che evidenziano quali candidature potrebbero essere indebolite da più o meno rilevanti fazioni, resistenze e defezioni interne dei partiti, in particolare nel PD.

Alleanze voto presidenziale a1

In parole povere, se il candidato stesse bene ad Alfano & co. ci sarebbero buone possibilità di essere eletto, mentre, se il Centro Destra fosse fuori dai giochi, PD e alleati dovrebbero essere assolutamente compatti, anzichè -come da tradizione – dibattersi tra mille anime e una dozzina di nomi per convergere su quello solitamente più sgradito alla restante parte degli italiani.

Detto questo, ci sono i nomi dei potenziali candidati, a seconda che del buon senso o dello spirito di fazione che ispirano chi li propone.
Alcuni sarebbero ‘impossibili’ in un paese normale per limiti di età o per conflitti di interessi – se non scandali in famiglia – come anche l’aver mai commesso gravi errori politici o emanato norme inique. Altri, invece, potrebbero avere le carte in regola e vedremo quali.

I FEDELI ALLA LINEA

Walter Veltroni, il sindaco che lasciò Roma con miliardi di debiti, migliaia di interventi manutentivi inevasi come di operatori dei servizi esternalizzati poi rimasti disoccupati, milioni di multe poi demandate ad Equitalia, decine e decine di norme o regolamenti nazionali ed europei inevasi … più qualche cooperativa e qualche okkupazione di troppo.

Romano Prodi, lo smantellatore dell’industria manifatturiera (IRI) che oggi rimpiangiamo e l’inventore della Cassa integrazione (Maserati) che oggi malediciamo, l’economista che  – tra il 2007 e il 2008 quando era al governo – incrementò ulteriormente la spesa pubblica narrando di un ‘tesoretto’ che ‘deficit’ era, il politico del ‘si può fare’, dell’Eurozona delle banche e della Costituzione europea che nessuno ha adottato, il premier che pretese la spedizione militare italiana in Libano

Giuliano Amato, ex  sottosegretario alla Presidenza del consiglio nei due governi Craxi I e Craxi II, ex presidente del Consiglio, che approvò, l’11 luglio 1992, un decreto legge da 30.000 miliardi di lire (retroattivo al 9 luglio) per il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari degli italiani, ex  ministro dell’Interno ha impartì per primo a tutti i prefetti e sindaci italiani la disposizione di non trascrivere i matrimoni gay celebrati all’estero, perché considerati contrari all’ordine pubblico, autore della riforma delle pensioni del 1992 che salvaguardò le pensioni d’oro, escluse i nati prima del 1950 dall’introduzione del regime contributivo, dimenticò milioni di invalidi

Piero Fassino, nipote di uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano, figlio del comandante della 41ª brigata partigiana Garibaldi, laureatosi a 49 anni in Scienze Politiche, del quale il 31 dicembre 2005 il Giornale pubblicava stralci di un’intercettazione telefonica – illegittima perchè coperta da segreto – in cui Fassino chiedeva a Giovanni Consorte, manager della Unipol e all’epoca coinvolto nello scandalo di Bancopoli: «E allora siamo padroni di una banca?»

Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte ed una vita nel PCI, stop. In un Partito Democratico che vola basso, la pertinacia è la prima dote necessaria a Torino, ma a Roma … non basta..

Graziano Del Rio, medico endocrinologo, cattolico praticante, nove figli, dal 2013 ai vertici dei governi Letta e Renzi, ex  consigliere regionale dell’Emilia-Romagna ed ex sindaco di Reggio Emilia (la patria della famiglia Prodi) eletto al primo turno con il 63,2% dei voti, ex presidente dell’Associazione dei Comuni. Potrebbe risultare l’esponente giusto per la ‘provincia profonda’ italiana largamente rappresentata in Parlamento.

GLI IMPROBABILI

Pier Carlo Padoan, ex direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale, ex vice segretario generale ed ex capo economista dell’OCSE, poco carismatico Ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Renzi. Rappresenterebbe una regressione del Paese all’esperienza della Presidenza Ciampi

Piero Grasso, presidente del Senato, ex magistrato, noto anche per le sue controverse frasi verso i magistrati antimafia Caselli, Falcone e Borsellino e Anna Finocchiaro, anche lei magistrato, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, il cui marito, Melchiorre Fidelbo, è stato rinviato a giudizio nel processo per l’affidamento senza gara dell’appalto per l’informatizzazione del Presidio territoriale di assistenza (Pta) di Giarre. Nel processo è stato coinvolto anche il  senatore PD Antonio Scavone, nominato – mesi fa – dal presidente del Senato Pietro Grasso come componente della commissione di vigilanza Rai, azienda partecipata dallo Stato, pur essendo rinviato a giudizio con l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato e abuso d’ufficio. Difficile che uno dei due pervenga ad una carica che gli faccia anche presiedere il CSM.

Pierferdinando Casini, ex presidente della Camera e attuale presidente della Commissione esteri del Senato, marito della ricchissima Azzurra Caltagirone, ex strenuo sostenitore di Mario Monti ed Elsa Fornero. Eterno ‘piano B’ del Centrismo italiano.

Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, ex governatore di Banca d’Italia, ex consulente di Goldman Sachs. L’unico che in questi ultimi dieci anni ha dimostrato di amare l’Italia e saper tenere la barra al centro, pecccato sia altrove impegnato.

I PAPABILI

Luigi Zanda, ex Margherita, capogruppo del Pd a Palazzo Madama, ex consigliere di amministrazione del gruppo editoriale L’Espresso con Eugenio Scalfari, ex segretario-portavoce di Francesco Cossiga al Ministero dell’Interno (1976-1978), ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per gli interventi di riequilibrio ambientale e di difesa di Venezia e della sua laguna, ex presidente di Lottomatica, ex presidente ed amministratore delegato dell’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo del 2000, ex Consigliere di amministrazione della RAI. Mai coivolto in scandali

Marta Cartabia (14 maggio 1963), autorevole docente e costituzionalista italiana, giudice costituzionale dal 2011. Esperta di diritto europeo, forse l’unica che potrebbe portare l’Italia alle riforme dell’infrastruttura normativa e della giustizia evitando lacci e lacciuoli

Dario Franceschini, ex Margherita, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, figlio di un partigiano cattolico poi deputato per la Democrazia Cristiana , è in politica dall’età di 16 anni. Una faccia pulita che potrebbe risultare gradita a gran parte dei partiti

Paolo Gentiloni, neoministro degli Affari Esteri, discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, ex direttore del mensile “La Nuova ecologia”, ex portavoce del sindaco di Roma Francesco Rutelli ed antagonista di Ignazio Marino alle scorse Primarie romane. Il volto dell’Italia che attende di cambiare da venti anni e passa

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Elezioni del Presidente: senza il Centro mancano i numeri

10 Nov

L’elezione del Capo dello Stato è regolata dall’articolo 83 della Costituzione. Il presidente viene eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato da tre delegati per Regione eletti dal Consiglio regionale (la Valle d’Aosta ha un solo delegato): per l’elezione dalla terza seduta in poi, servono, quindi, 505 voti, ovvero la metà più uno dei 630 deputati, 320 senatori (315 eletti e 5 senatori a vita) e 58 delegati delle Regioni.

Allo stato attuale i Gruppi Parlamentari sono così divisi e questo permette di prevedere quali alleanze o priorità siano realmente perseguibili e quali ‘meri specchietti per allodole’.

Alleanze voto presidenziale 1

Dunque, se l’obiettivo è superare la soglia dei 504 voti, le alleanze che potranno credibilmente sostenere un candidato sono le seguenti, dando per assunto che dalle regioni arriveranno delegati più o meno conformi alla distribuzione media nazionale dei partiti.
I colori dal rosso al verde evidenziano quali candidature potrebbero essere indebolite da più o meno rilevanti fazioni, resistenze e defezioni interne dei partiti, in particolare nel PD.

Alleanze voto presidenziale a1

In parole povere, se il candidato stesse bene ad Alfano & co. ci sarebbero buone possibilità di essere eletto, mentre, se il Centro Destra fosse fuori dai giochi, PD e alleati potrebbero permettersi al massimo una cinquantina di voti dispersi e comunque dibattersi tra mille anime e una dozzina di nomi.
Allo stato attuale del PD e del M5S, un candidato che non possa contare sull’attuale alleanza di governo (più qualcosina in più) potrebbe veder deluse le proprie aspettative per una manciata di voti, venuti a mancare proprio dal partito di maggioranza …

E’ già accaduto due anni fa e si dovette rieleggere Giorgio Napolitano di fretta e furia. Speriamo che la componente ‘avventurista’ del PD non perseveri nell’errore.

Mantenersi ‘neutrali’ tra NCD e M5S e proporre un candidato autorevole e appropriato – cioè appetibile agli ‘uomini di buona volontà’ di ambedue i gruppi parlamentari – è l’unica carta vincente del PD per uscire dall’assedio della sua posizione dominante, ma stazionaria e pericolosamente sterile.
Renzi il pragmatico lo sa e se, poi, i cinquanta o cento ‘dissidenti’ volessero dichiararsi fin da principio, tanto di guadagnato.

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Napolitano lascia: nomi, curricoli, lobbies, probabilità

9 Nov

Giusto il tempo di deporre a porte chiuse nell’udienza del processo Stato-mafia del 28 ottobre scorso e Giorgio Napolitano lascia trapelare che ‘a Natale’ lascerà il Quirinale.

Perchè non lasciarlo prima e perchè non lasciarlo qualche mese dopo è il mistero di questi giorni che mistero non è: Renzi è ormai assurto da sindaco di una piccola città a demiurgo della politica nazionale, mentre il suo mandato europeo è agli sgoccioli e si va a superare il Patto del Nazareno.

Dunque, non c’è da meravigliarsi se i ‘nomi’ dei papabili a Presidente della Repubblica facciano tutti capo al Partito Democratico.

GLI IMPOSSIBILI

Alcuni dei nomi che circolano non hanno i ‘pieni requisiti’ per divenire presidenti, non almeno quelli di prassi necessari: assenza di conflitti di interessi – se non scandali in famiglia – come anche l’aver mai commesso gravi errori politici o emanato norme inique. Questioni che, fondate o meno, li ha resi – per un motivo o un altro – sgraditi a una discreta parte di italiani, in un momento in cui il Paese ha bisogno di un ‘presidente di tutti’.

Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, il cui marito, Melchiorre Fidelbo, è stato rinviato a giudizio nel processo per l’affidamento senza gara dell’appalto per l’informatizzazione del Presidio territoriale di assistenza (Pta) di Giarre, in cui è coinvolto anche il  senatore PD Antonio Scavone, nominato – mesi fa – dal presidente del Senato Pietro Grasso come componente della commissione di vigilanza Rai, azienda partecipata dallo Stato, pur essendo rinviato a giudizio con l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato e abuso d’ufficio

Walter Veltroni, il sindaco che lasciò Roma con miliardi di debiti, migliaia di interventi manutentivi inevasi come di operatori dei servizi esternalizzati poi rimasti disoccupati, milioni di multe poi demandate ad Equitalia, decine e decine di norme o regolamenti nazionali ed europei inevasi

Romano Prodi, lo smantellatore dell’industria manifatturiera (IRI) che oggi rimpiangiamo e l’inventore della Cassa integrazione (Maserati) che oggi malediciamo, l’economista che  – tra il 2007 e il 2008 quando era al governo – incrementò ulteriormente la spesa pubblica narrando di un ‘tesoretto’ che ‘deficit’ era, il politico del ‘si può fare’, dell’Eurozona delle banche e della Costituzione europea che nessuno ha adottato, il premier che pretese la spedizione militare italiana in Libano

Giuliano Amato, ex  sottosegretario alla Presidenza del consiglio nei due governi Craxi I e Craxi II, ex presidente del Consiglio, che approvò, l’11 luglio 1992, un decreto legge da 30.000 miliardi di lire (retroattivo al 9 luglio) per il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari degli italiani, ex  ministro dell’Interno ha impartì per primo a tutti i prefetti e sindaci italiani la disposizione di non trascrivere i matrimoni gay celebrati all’estero, perché considerati contrari all’ordine pubblico, autore della riforma delle pensioni del 1992 che salvaguardò le pensioni d’oro, escluse i nati prima del 1950 dall’introduzione del regime contributivo, dimenticò milioni di invalidi

Piero Fassino, nipote di uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano, figlio del comandante della 41ª brigata partigiana Garibaldi, laureatosi a 49 anni in Scienze Politiche, del quale il 31 dicembre 2005 il Giornale pubblicava stralci di un’intercettazione telefonica – illegittima perchè coperta da segreto – in cui Fassino chiedeva a Giovanni Consorte, manager della Unipol e all’epoca coinvolto nello scandalo di Bancopoli: «E allora siamo padroni di una banca?»

GLI IMPROBABILI

Altri dei nomi circolanti sono ‘deboli’ a causa di aspetti inerenti la carriera svolta, tutti – per un motivo o un altro – sgraditi a una discreta parte di italiani, ma che sono ‘rafforzati’ dal consenso che gli perviene da  alcuni Poteri Forti o ‘grandi elettori’ che dir si voglia.

Roberta Pinotti, ex capo educatore nell’AGESCI, laureata in lettere moderne, sposata con un medico, attuale ministro della Difesa, finora non è riuscita nè a far liberare i nostro marò che l’India detiene senza processo nè a procurarci un posto al sole (o almeno all’ombra) nello scenario politico-militare del Mediterraneo, commissariati dall’UE per i pattugliamenti in mare ‘entro le acque territoriali’, con il disastro libico che incombe, mentre forniamo droni contro IS e gli F35 restano un enigma

Pier Carlo Padoan, ex direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale, ex vice segretario generale ed ex capo economista dell’OCSE, poco carismatico Ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Renzi

Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte ed una vita nel PCI, stop

Piero Grasso, presidente del Senato, ex magistrato, noto anche per le sue controverse frasi verso i magistrati antimafia Caselli, Falcone e Borsellino

Pierferdinando Casini, ex presidente della Camera e attuale presidente della Commissione esteri del Senato, marito della ricchissima Azzurra Caltagirone, ex strenuo sostenitore di Mario Monti ed Elsa Fornero

I PAPABILI

Sono coloro i quali hanno un curriculum o una carriera che li rende – in un modo o nell’altro – ‘esponenti del nuovo’.

Luigi Zanda, ex Margherita, capogruppo del Pd a Palazzo Madama, ex consigliere di amministrazione del gruppo editoriale L’Espresso con Eugenio Scalfari, ex segretario-portavoce di Francesco Cossiga al Ministero dell’Interno (1976-1978), ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per gli interventi di riequilibrio ambientale e di difesa di Venezia e della sua laguna, ex presidente di Lottomatica, ex presidente ed amministratore delegato dell’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo del 2000, ex Consigliere di amministrazione della RAI. Mai coivolto in scandali

Marta Cartabia (14 maggio 1963), autorevole docente e costituzionalista italiana, giudice costituzionale dal 2011. Esperta di diritto europeo, forse l’unica che potrebbe portare l’Italia alle riforme dell’infrastruttura normativa e della giustizia

Dario Franceschini, ex Margherita, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, figlio di un partigiano cattolico poi deputato per la Democrazia Cristiana , è in politica dall’età di 16 anni. Potrebbe risultare gradito a gran parte dei partiti

Graziano Del Rio, medico endocrinologo, cattolico praticante, nove figli, dal 2013 ai vertici dei governi Letta e Renzi, ex  consigliere regionale dell’Emilia-Romagna ed ex sindaco di Reggio Emilia (la patria della famiglia Prodi) eletto al primo turno con il 63,2% dei voti, ex presidente dell’Associazione dei Comuni. Potrebbe risultare l’esponente giusto per la ‘provincia profonda’ italiana largamente rappresentata in Parlamento

Paolo Gentiloni, neoministro degli Affari Esteri, discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, ex direttore del mensile “La Nuova ecologia”, ex portavoce del sindaco di Roma Francesco Rutelli ed antagonista di Ignazio Marino alle scorse Primarie romane. Il volto dell’Italia che attende di cambiare da venti anni e passa

Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, ex governatore di Banca d’Italia, ex consulente di Goldman Sachs. L’unico che in questi ultimi dieci anni ha dimostrato di amare l’Italia e saper tenere la barra al centro

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Governo Renzi: le riforme promesse e i dettagli inconfessabili

25 Feb

Non ci si aspettava che il cambio della guardia tra Enrico Letta e Matteo Renzi fosse una rivoluzione, ma neanche che – alla fine – si dimostrasse un pranzo di gala, con qualche gaffe e poco più.

Le avvisaglie erano nei nomi di alcuni ministri, a partire dalla rimozione (inspiegabile e non dovuta) di Emma Bonino agli Esteri o dalla vistosa assenza di Pietro Ichino e di Mario Mauro.

Nomi come quello dell’evergreen Dario Franceschini al Turismo, di Giuliano Poletti, presidente delle Coop, al Lavoro e Welfare oppure di Stefania Giannini, glottologa e rettore dell’università di Perugia, all’Università ma anche all’Istruzione.
Gli auguriamo tanta buona fortuna, perchè è saranno loro a decidere se l’Italia riparte oggi e per davvero oppure se dopodomani si vedrà: dismissione della pachidermica macchina pubblica che costa un occhio, riorganizzazione del sistema di istruzione (scuola) dopo 20 anni di riforme alterne ed in-finite, raddoppio dei flussi turistici.

Nomi su cui già si animano polemiche, come Federica Guidi (Ducati Energia) allo Sviluppo Economico e del conflitto di interessi che ne viene, Gianluca Galletti (UDC) all’Ambiente, del quale è noto il favore alla localizzazione della produzione di energia nucleare in Emilia Romagna purché il sito sia considerato sicuro e conveniente [1], di Marianna Maida, ministro della Pubblica Amministrazione, membro del comitato direttivo dell’AREL fondata da Beniamino Andreatta e componente del comitato di redazione della rivista Italianieuropei, che vide Massimo D’Alema tra i promotori.

Tutti tosco-emiliani, come lo sono Maria Elena Boschi e Graziano Del Rio o lo stesso Matteo Renzi. In pratica, nove su sedici ministri, che – in termini di di Centroitalia – diventano 12, con i romani Padoan, Lorenzin e Lupi. Intanto, di campani e piemontesi o veneti non se ne vede neanche l’ombra.
Di meridionali se ne conta uno su otto: Angelino Alfano di Agrigento all’Interno e la calabrese civatiana Maria Carmela Lanzetta agli Affari Regionali, ministero notoriamente senza portafoglio. Pochi, pochissimi i ministri che provengano dalle aree fortemente urbanizzate del paese dove vive almeno 1/3 degli italiani e dove si produce buona parte del PIL.
Se si voleva dare un pungolo al Parlamento per approvare un Senato federale, forse Renzi – in negativo – c’è riuscito …

Per non parlare di alcune ‘perle’ di Matteo Renzi, ieri, al Senato, come riportate dal Corsera.

  • Europa: “non saremo credibili se noi non riusciremo ad arrivarci senza sistemare quello che dobbiamo sistemare noi” … in soli tre mesi o basteranno tre anni?
  • Scuola:  “restituire il valore sociale agli insegnanti, e questo non ha bisogno di riforme, denaro, commissioni di studio” … ma senza denari non si cantano messe e senza commissioni /riforme il quadro normativo resta incompleto e sfilacciato come è oggi.
  • L’economia: “rinnovato utilizzo della Cassa depositi e prestiti, per le piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito” … praticamente una nuova IRI.
  • Lavoro: “uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro attraverso regole normative anche profondamente innovative” ed “attrarre investimenti in questo Paese”. Come parlare di aspirine per malati che richiedono l’antibiotico …
  • Pubblica Amministrazione: “trasparenza assoluta sulle spese della Pa”. «Ogni centesimo deve essere visibile da parte di tutti» … in un paese dove i quotidiani sono tappezzati da anni e decenni delle descrrizioni particolareggiate di malversazioni e scandali pubblici.
  • Fisco: “inviare a tutti i dipendenti pubblici e ai pensionati direttamente a casa, magari attraverso uno strumento di tecnologia, la dichiarazione dei redditi precompilata” … dopo di che firmare e pagare?
  • Giustizia: “a giugno metteremo all’attenzione del Parlamento un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente”. Dalla giustizia amministrativa – che “negli appalti pubblici lavorano più agli avvocati che i muratori, i Tar possono discettare di tutto e un provvedimento di un sindaco è comunque costantemente rimesso in discussione” – ai “tempi lunghissimi della giustizia civile”, alla giustizia penale, che spesso rischia “di arrivare troppo tardi e colpire male”. Vedremo … il problema era denunciato già dal buon Collodi nel romanzo Pinocchio …
  • Cittadinanza e Unioni Civili: “il contrario di integrazione è disintegrazione, un paese che non si integra non ha futuro”, ma di diritto al voto amministrativo per gli immigrati non se ne parla. “Sui diritti si fa lo sforzo di ascoltarsi, di trovare un compromesso anche quando questo non mi soddisfa del tutto” … tanto diversi ministri sono dichiaratamente contrari …
  • Cultura: “distretti tecnologici insieme a quelli culturali”, “un piano industriale specifico del lavoro che coinvolta proprio i settori culturali” … praticamente quello che serve alla Toscana (e all’Emilia) per rilanciare la propria macchina agroalimentare e manifatturiera e il proprio business turistico cultural-pop.

Di crash generazionale (e pensionistico) neanche a parlarne, di (mala)Sanità colabrodo idem, di rilancio industriale pure. Di infrastrutture (centrali, porti, aereoporti, ferrovie, reti, turismo e mobilità locale, rifiuti …) nessun cenno. Forse, in Emilia si son convinti che sia una questione  (business?) regionale tutta loro …

Intanto, il neoministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, avvisa: “intendo far incrociare il più possibile Expo e agroalimentare” … chissà se Padoan, Maroni, Pisapia e Camera di Commercio di Milano saranno d’accordo, visto che l’Expo 2015 viene finanziato dal MEF (48%), dagli Enti Locali (37%) e da Privati (15%) …

Non sembra un governo dalla gambe lunghe e non sarà una legislatura ‘tranquilla’, ma se Renzi dovesse riuscire a riformare davvero gli apparati e la giustizia prima del voto del 2015, salirebbero nettamente le sue chanches di vittoria in una contesa elettorale ‘vera’ e con ‘par conditio’.

Ma potrebbe davvero rivelarsi un disastro, se dovesse dimostrarsi l’ennesimo approdare al governo delle piccine liti e dei noti interessi di bottega della Sinistra italiana … abbandonando il Meridione ad una (si spera non incauta) riforma Stato-Regioni e – come con Prodi – martirizzando i ministeri ‘non amici’ come la Sanità, le Infrastrutture e gli Interni …

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Decadenza Berlusconi: crepe nella Sinistra?

16 Set

Solo tre mesi fa, Luigi Nieri (SEL), vicesindaco di Ignazio Marino, dichiarava riguardo le norme introdotte dal ‘decreto Cancellieri’ (dlgs 235/2012)  che “si tratta di una legge ingiusta perchè porta ad escludere dalle istituzioni alcuni protagonisti delle lotte sociali per reati che non possono destare allarme e che non vanno confusi con fattispecie più gravi come la corruzione e la concussione. Così si condannano gli individui a una marginalizzazione infinita e immotivata.”

Una posizione ben precisa, come conferma Giancarlo Torricelli, coordinatore SEL di Roma: “Annullare il risultato elettorale per un reato di più di vent’anni fa è, paradossalmente, un danno per la democrazia”, a fronte di “un riconoscimento chiaro ed inequivocabile che gli viene accordato dai cittadini.” (fonte Roma Today)

Come anche, mesi fa, era Dario Franceschini, dal Corsera, che esprimeva un concetto molto simile: «ci piaccia o no, gli italiani hanno stabilito che il capo della destra, una destra che ha preso praticamente i nostri stessi voti, è ancora Silvio Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare».

Ed era sempre il Partito Democratico, questa estate, a presentare un disegno di legge a firma dei senatori Muchetti e Zanda per ‘superare il conflitto d’interessi’, che va a sostituire il concetto di “incompatibilità”, con il risultato secondo il Movimento 5 Stelle di “prolungare di un anno la vita a Silvio Berlusconi”.

D’altra parte, la fretta che alcune forze politiche e sindacali pretendono per liquidare il Centrodestra non fonda su alcuna forma di buon senso e trova linfa dai soliti conflitti interni della nostra Sinistra e dal truculento giustizialismo che una certa parte del suo elettorato ‘democratico’ adora.

La decadenza di Silvio Berlusconi tout court incrementerebbe i problemi: dalla dubbia retroattività del provvedimento Cancellieri all’interdizione dai pubblici uffici rispedita al mittente proprio dalla Corte giudicante fino all’eccezionalità di un azionista processato per le malefatte di un CdA ed alla sproporzione della pena in rapporto alla mole di tasse versate dal colosso Mediaset.

Considerato che il condannato è ultrasettantenne e che le sue aziende sono nelle salde mani di sua figlia, la quale non ha nessuna voglia di entrare in politica, come anche che almeno una sentenza definitiva è stata emessa senza che Berlusconi fosse prescritto, potremmo lasciare che la giustizia faccia il proprio corso e lasciare il PdL libero di far politica come meglio crede. O no?

Tanto, se la legislatura dovesse durare altri 4 anni, Silvio Berlusconi sarebbe comunque ‘fuori’ dalle elezioni future …

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I nomi dei predestinati alla Camera

25 Gen

In una repubblica parlamentare, il Parlamento è l’unica istituzione a detenere la rappresentanza della volontà popolare, non i partiti. I seggi alla Camera sono 630, il Porcellum non consente agli elettori di scegliere individualmente gli eletti, ma solo di votare un partito e conferire il mandato parlamentare ai candidati seguendo l’ordine con cui sono elencati nella lista.

Questo sistema comporta una diretta conseguenza: già oggi possiamo conoscere i nomi di oltre 400 candidati che saranno ‘sicuramente’ eletti. Quattrocento eletti che equivalgono a ben due terzi dell’assemblea, se parliamo della Camera dei Deputati.
Forse, non stiamo parlando di libere elezioni …

Infatti, se in una data circoscrizione/regione un partito ha raccolto 100 consensi è alquanto difficile che alle successive elezioni ne raccolga meno di 70, ovvero che, se alle scorse politiche si è raccolto il 20% dei voti, difficilmente in quelle attuali si andrà sotto il 15%: su un tetto di 14-18 seggi massimi conquistabili, almeno i primi 12 sono ‘sicuri’.

Così andando le cose ed essendo state pubblicate le liste di tutti i partiti, è stato un gioco da ragazzi individuare le quote elettorali minime di molti partiti – salvo fatti eccezionali – e, di conseguenza, elencare chi sono i cittadini predestinati a divenire onorevoli deputati.

I nomi dei 400 e passa fortunati? Tutti – circoscrizione per circoscrizione – nel file pdf scaricabile qui ->  I nomi dei predestinati alla Camera Deputati 2013

Scommettiamo che sono giusti al 99%? Possiamo davvero dire che è tutto regolare, in una repubblica parlamentare a sovranità popolare, se va ad accadere che i nomi di due terzi della Camera dei Deputati italiana sono prevedibili ben prima che inizi la campagna elettorale, perchè pre-scelti, pre-destinati, dai partiti?

P.S. 26-01-2013 – Si segnala che il Direttore Mario Calabresi di La Stampa, insieme alla Fondazione Hume e a Luca Ricolfi, sulla base di un sondaggio Piepoli – dunque operando su una base di dati ‘meno artigianale’ di quella cui ha potuto attingere l’autore di questo blog – da notevole attenzione e approfondimento, oggi, alla tematica/problematica di cui si scriveva ieri, chiedendosi “come sarà il prossimo Parlamento? A questa domanda si dovrebbe rispondere che lo sapremo soltanto tra un mese, dopo il voto, ma non è così. La legge elettorale con cui saremo chiamati alle urne anche questa volta permette ai cittadini di scegliere soltanto un simbolo ma non i deputati e i senatori che li rappresenteranno. I parlamentari, come noto, li hanno già scelti i partiti – con delle differenze non di poco conto dove ci sono state le primarie – e molti di loro sanno già quante possibilità hanno di conquistare un seggio.”  (link)

A proposito, l’elenco dei predestinati pubblicato da questo blog è gratis …

originale postato su demata