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Più Sanità per tutti, meno tasse e meno sprechi

23 Ago

Iniziamo col dirci che la Sanità pubblica italiana è tutta una questione di benzina, nel senso letterale della parola.

Percorrendo 15.000 km l’anno al consumo di 10 km per litro, un automobilista consuma 1.500 litri di carburante e versa € 1.092,60 di accise benzina (0,7284 € x litro).
Inoltre, lo stesso automobilista versa circa 400 euro l’anno per l’Iva al 22% (~ 27 cent. x litro).

In totale, sono circa 1.500 Euro l’anno che vanno dritti dritti per pagare il Servizio Sanitario Regionale, la così detta Sanità Pubblica.
In totale stiamo parlando di quasi 45 miliardi di euro annui che gli altri stati usano per la sicurezza delle strade e del territorio e per i servizi sociosanitari locali.

E non bastano. Infatti, ogni anno dalla quota Iva che va a Regioni e Comuni vengono impegnati un’altra quindicina di miliardi di euro, che altrove diventano – invece – sostegno alle imprese, allo sviluppo e alla cultura.

Un sistema di finanziamento inaccettabile, se ricordiamo che parliamo anche delle aborrite accise, balzelli medioevali giustificati solo dal carattere d’urgenza e temporaneità.
Una previsione di bilancio puntualmente improbabile, dato che si fonda sui consumi di carburanti che da Kyoto in poi vanno a limitarsi (-5% in un anno).
Iniqua, dato che un servizio ‘universale’ a ben vedere lo pagano i soliti noti (gli ‘utenti’), che … più sono tenuti in colonna a passo d’uomo e più versano all’erario per la Sanità Pubblica.

Ma non finisce qui, perchè i paradossi vanno ben oltre.

Il primo è che la Costituzione prevede che i lavoratori siano assicurati per la malattia (art. 38) e che è dal 1974 che dette ‘assicurazioni’ sono affidate provvisoriamente alle Regioni. Essendo trascorsi quasi 50 anni, vorremmo capire, fosse solo perchè ormai è materia storica.
Il secondo è che un automobilista con molto meno di 1.500 euro l’anno può permettersi una buona copertura assicurativa per malattia, infortuni, chirurgia e assistenza domiciliare per se e, con tot euro extra, per tutta la propria famiglia.
Il terzo è che gran parte di questi soldi finiscono alle Facoltà Mediche, mentre altrove sono Fondazioni a gestire i servizi ospedalieri. La principale differenza è che le prime investono in nuovi posti di lavoro, le seconde in infrastrutture e attrezzature.

Tanto per far un esempio, i sessantamila residenti fissi di Ischia contribuiscono al Servizio Sanitario Regionale molto di più di chi abita al centro di Napoli, sia perchè il costo (e l’iva) dei beni s’impenna per via del trasporto in mare sia perchè vi è un maggior consumo di carburanti rispetto a chi ha 3 metro e 5 bus sotto casa. Eppure gli ischitani non hanno i servizi sanitari di Napoli e neanche quelli di Campobasso, senza parlare del fatto che non pochi sono assicurati privatamente, visto che per curarsi spesso devono viaggiare.

Andando dalle entrate alla spesa, cioè alla Politica, le accise carburanti – nella maggior parte – servono coprire la spesa data dagli stipendi medio-alti del personale sanitario pubblico. Ed almeno un terzo dell’Iva che versiamo finisce nel calderone dell’Assistenza sociosanitaria regionale, che spesso deve attendere le donazioni per dotarsi di attrezzature più moderne.

Wikispesa offre un quadro abbastanza dettagliato della bizzarria con cui vengono spesi i nostri soldi.

“I costi per la pulizia dell’ospedale Cardarelli di Napoli erano più del doppio rispetto a quelli emiliani del Sant’Orsola e rappresentano il record a livello nazionale. Al De Lellis di Catanzaro la sola spesa per le utenze telefoniche è il triplo di altri ospedali italiani (2.782 euro contro 910 a posto letto). Tra il Careggi di Firenze e il Niguarda di Milano – a parità di dimensioni – vi è una differenza di dieci volte per quanto riguarda il costo dell’elettricità (6.737 euro contro 604 a posto letto). All’Umberto I di Roma sono necessari più di 500 mila euro per ogni letto utilizzato, mentre al San Matteo di Pavia ne bastano 380 mila.

Per medici e infermieri al San Giovanni/Addolorata di Roma la spesa per posto letto è di 172 mila euro contro i 140 mila di Padova, ma lo stipendio del personale pubblico è uguale in tutt’Italia.”

Dunque, quando si parla di tagli e di privatizzazioni per la Sanità, ci penserei attentamente se fossi un lavoratore o anche semplicemente un automobilista. Anzi, ci penserei comunque.

E se fossi ‘giovane’ non mi sorprenderei a scoprire che fino a qualche anno fa i lavoratori italiani versavano il 9,9% del reddito per l’assicurazione sanitaria e che proprio qualche anno fa, entrando in Europa, ci fu fatto presente che lo Stato (e la Regione) non possono fare gli assicuratori.
Così nacque il dedalo delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, il trasferimento del prelievo dai redditi alle imposte e accise, un intero comparto assicurativo finito nelle mani delle giunte regionali, un intero settore professionale ridotto a pubblico impiego.

Quando si parla di tagli e di privatizzazioni per la Sanità pubblica, pensiamoci davvero bene … e diamo un’occhiata a quanto costa e cosa offre una buona assicurazione privata. Magari, scopriamo che ci garantisce anche più democrazia e meno corruzione.

E chi non può permetterselo?
La Costituzione garantisce l’assistenza agli indigenti e agli invalidi. Non sono questi i servizi in discussione, nel caso andassimo a liberalizzare il comparto assicurativo, e non è quel poco che va ai ‘bisognosi’ il carico maggiore tra tutte le tasse che paghiamo.

Demata

Spending Review: basterà tagliare sprechi e malagestione per avere servizi sanitari migliori?

9 Set

Il commissario alla revisione della spesa pubblica e parlamentare PD Yoram Gutgeld, un paio di mesi fa, annunciava che l’obiettivo della spending review era quello di tagliare 10 miliardi alla strabordante spesa sanitaria, di cui 3,3 miliarrdi in meno già a partire da gennaio. (Repubblica).

Tagli alla spesa non ai servizi ai cittadini, visto che “abbiamo ospedali gestisti bene ed altri meno bene con squilibri nella gestione economica di decine di milioni” ed esistono “differenze importanti tra Regioni e all’interno di singole regioni nelle prescrizioni di esami clinici”.

La soluzione? Sanzioni per le strutture sprecone, centrali appaltanti per le forniture, parametri e protocolli per evitare diagnostica inutile e garantire quanta necessaria.

“L’idea è quella di dare servizi di maggiore qualità non di fare macelleria sociale”, “questo nuovo approccio per rendere le strutture più efficienti porterà nel tempo non solo un risparmio ma un miglior livello di servizio”.

Il discorso non fa una piega: se la Regione Lombardia eroga ai cittadini dell’area metropolitana di Milano servizi sanitari di buon livello a tot costo ed i corrispettivi comuni supportano con servizi sociosanitari a tot altro costo, ed andrebbe meglio compreso se o perchè altre regioni non possano fare altrettanto, specialmente se da anni prelevano dalle nostre tasche imposte maggiorate.

Questiti importanti se vogliamo evitare la macelleria sociale ed un ulteriore degrado dei servizi con i noti danni collaterali per cittadini e aziende.

In primis – se alcune regioni brillano ed altre sprecano – andrebbe verificato se esistano le adeguate competenze manageriali, informatiche, logistiche, amministrative.

In secondo luogo, la spending review dovrebbe tenere conto che nei territori spreconi le indagini hanno, in questi anni, rivelato come il settore sociosanitario affidato ai Comuni sia stato preda di cartelli politico-criminali e che si siano coagulate situazioni diffuse di lumpen proletariat o di white trash.

Infine, la questione delle associazioni dei malati che da anni sono pressochè invisibili, mentre altrove pretendono bilanci trasparenti e si fanno promotrici di riforme, e quella dell’Inps che non da seguito neanche alle sentenze passate in giudicato, garantendo così iniquità per i malati e caos per i propri database. O quell’altra che prima del Servizio Sanitario Regionale, la Corte dei Conti (CoReCo) si ritrovava puntualmente a non poter approvare  bilanci e dover perseguire politici e manager.
Per molti di noi vedere le cartelle cliniche ancora oggi redatte a penna è davvero un balzo nel passato, come è indecente che i software dei medici di base non siano uguali per tutti ed interfacciati con Inps ed SSR … magari prenotando i medicinali in farmacia con una Apps come anche per … le visite specialistiche o la diagnostica. Magari … qui stiamo che certi database regionali non sanno neanche quanti malati cronici hanno in carico o quanto spende per tipo di patologie croniche (almeno quelle).

Ergo, se vogliamo sanare la spesa pubblica, ridurre imposte inique e fornire servizi decenti ovunque, non è facile: in certe zone la medicina è innanzitutto status sociale e la sanità è ancora concessione feudale.

Ma non è solo la cattiva Sanità a dover cambiare, c’è anche la questione dello stato, dell’aggiornamento e dell’interfacciabilità dei sistemi informativi di Inps, ASL, ospedali e medici di base, senza i quali addio a trasparenza e controllo di gestione, come a Recup e ad ambulanze efficienti od a tutta la logistica su cui ruota una rete di ospedali e cliniche.

Quanto alla macelleria sociale, sarà inevitabile se il Governo non interverrà anche sui parametri minimi di qualità dei servizi sociosanitari in capo ai Comuni e se non vigilerà affinchè i tagli decisi dalle Regioni non incidano sulla manutenzione e l’ammodernamento di attrezzature e macchinari.
Meglio ancora se la politica locale (ed i salotti buoni) di certi territori vorranno comprendere che eccellenza e welfare vanno coltivati e non, viceversa, sprecati in nepotismi e prebende, come avvenuto dall’Unità d’Italia ad oggi: astensionismo, Cinque Stelle e destre varie sono un segnale preciso.

Demata

8xmille, 2xmille: dopo Mafia Capitale cattolici e partiti sempre più sfiduciati dagli italiani

10 Lug

Tra le tante cose che non vengono spiegate agli italiani, negli altri stati di solito i ‘per mille’ sono considerati una misura abbastanza credibile di quanti cittadini sostengano effettivemente un partito o una religione, mettendoci faccia e pecunia.

Così ragionando i partiti italiani avrebbero solo 16.518 sostenitori che destinano a loro il 2xmille: poco più di 300.000 euro in tutto. Altro che le 400.000 tessere del PD nel 2013 ridottesi a 100.000 dopo scandali e verifiche … se le donazioni sono solo 10.157.

Altro capitolo la Chiesa Cattolica, grande opinion maker dell’Italia, che non sembra avere una così enorme diffusione se è solo il 37% degli italiani a donarle l’8xmille.

Allo stesso modo non attrae particolarmente il ‘volontariato’ se solo il 7% dei contribuenti ha voluto destinare l’8xmille allo Stato.

D’altra parte se, dopo millenni di scandali e ruberie, viene fuori che Roma era pure infiltrata dalla Mafia e si rubava persino ai Rom ed agli ammalati, come può essere possibile che gli Italiani (e i cattolici) riconfermino in massa la propria fiducia negli apparati, senza interventi giudiziari massivi e rapidi?

L’indicatore, per quanto deformato, è molto suggestivo. Almeno chi è interessato a raccogliere l’Obolo (di San Pietro) o i consensi (elettorali) può riflettere su come i cittadini del Meridione (prigionieri di mafie il cui ‘terzo livello’ è sempre rimasto occulto) e quelli del Settentrione (vessati da mafie importate) possano ‘leggere’ l’ennesimo gravissimo scandalo romano con il solito fumus di cavilli e distinguo.

La Caporetto di Renzi potrebbe non essere lo scontro con la CGIL ed i ‘compagni’ che lasciano. Il caso Roma, se gestito con i pannicelli caldi e senza coraggio, può distruggere il consenso locale al PD: basti vedere che problemi hanno i big di partito in Campania e Puglia nel trovare alleati, assessori e deleghe per comporre i consigli regionali …

Demata

Mondiali 2014: il pessimo spot dell’Italia per #iomangioitaliano

14 Giu

Da qualche giorno è partita la campagna istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali , realizzata dal Mipaaf in collaborazione con la FIGC, che vede la nazionale italiana di calcio come testimonial per incentivare i consumi interni di produzione alimentare italiana e che ha avuto un ottimo lancio nel contest #iovivoazzurro.

insigne #iomangioitaliano

Una campagna avviatasi in fretta e furia – a quanto pare – se i consorzi del Nord erano già pronti con il lancio pubblicitario (es. Melinda, Mele Val di Non, Olio Riviera Ligure, Gorgonzola Dop, Pomodoro Pachino, eccetera), mentre per l’enorme produzione agroalimentate campana e pugliese non si trova uno spot uno, a girare internet.
Un’assenza che deriva dal fatto che la Regione Campania sembra vivere ancora nel limbo post Prima Republica, basti vedere quanto breve sia la lista dei prodotti tipici link , a fronte del secondo mercato ortofrutticolo d’Italia. Anche vero che la ‘tempestività’ dei consorzi settentrionali vede un ministro, Maurizio Martina (PD),  lombardo che ha annunciato di voler sviluppare l’agricoltura in val padana.

Andando oltre la antica ‘bilancia che pende’ da un lato e non da ambedue nella nostra amata penisola, c’è il problema dello spot che sta circolando a cura del nostro Mipaaf (ndr. sarebbe il ministero di cui sopra) e dell’effetto che fa, almeno volendo ragionare con i parametri di tutto il mondo e non solo con quelli della nostra scalcinata capitale.

Infatti, l filmato tutto – e soprattutto l’immagine testimonial finale – non mostra alimenti di sorta e ‘non fa venire appetito’, non evoca i nostri cibi e il nostro gusto. Non un tralcio d’uva, un ramo di melo o d’olivo, un formaggio stagionato, un salume saporito.
Neanche il solito rosso dei pomodori  e il verde del basilico sul bianco della pasta italiana.

Non bisogna aver studiato marketing per capire che non funziona granchè.
Specialmente se i due marchi che vogliamo promuovere (IGP e DOP) sono illeggibili e se una musica ‘aggressiva’ ci distrae e non crea quel ‘relax italiano’, quello ‘slow time’ che vorrebbe sostenere.

 

Inoltre, se osserviamo con attenzione, le immagini dello spot in cui c’è il ct della nazionale di calcio, Cesare Prandelli, non sono certamente il ‘massimo’: piatti sbilanciati, cravattino fuori posto, riflessi che mostrano l’azione alle spalle dell’operatore … ed un cielo celeste sbiadito, che non rievoca affatto quell’Azzurro delle canzoni e delle maglie calcistiche.

Prandelli #iomangioitaliano

Speriamo solo che lo spot in questione sia stato girato da qualche amatore con il telefonino e … non, viceversa, realizzato da una squadra professionale della RAI o, addirittura, commissionato con fondi pubblici ad una ditta esterna … pur avendo RAI.

Altrove, a leggere delle polemiche analoghe su spot governativi, qualcuno avrebbe già reclamato, parlando di sprechi e di pessima figura.

originale postato su demata

Gomorra: la beffa annunciata della prescrizione

18 Set

Secondo gli inquirenti centinaia di tonnellate di rifiuti speciali vennero “smaltite” dal Veneto e dal Piemonte e seppellendole in provincia di Caserta, in Umbria, nel Lazio, in Sardegna, in Puglia e in Calabria. Indagini durate ben 12 anni, che vedono coinvolti industriali, politici, forze dell’ordine, mafiosi.
Un disastro ambientale senza precedenti, intere popolazioni esposte al rischio tumorale, territori fertilissimi devastati, una rete di corruttele senza precedenti.

“Una ventina di viaggi alla settimana, così come documentato dai carabinieri, treni di Tir carichi di scorie il cui rischio cancerogeno, è stato accertato, era particolarmente alto. Dalle polveri da abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche alle ceneri da combustione di olio minerale. In tre anni di indagini gli investigatori scoprirono un’organizzazione in grado di «collocare» a prezzi stracciati qualsiasi tipo di rifiuto.” (La Stampa)
“Partivano da Milano, Vicenza, Padova, Treviso, Verona, Venezia, Bergamo e Brescia con una regolarità di circa cento viaggi a settimana per essere sversati nelle campagne campane. I camion trasportavano fusti che contenevano polveri residuate dall’abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche, oli minerali, lubrificanti delle macchine, scarti delle vernici, ceneri residue da combustione, solventi, e le acque proveniente da stabilimenti di industrie chimiche e acidi. Appena arrivavano in Campania venivano sepolti nelle campagne coltivate, lungo le strade sterrate, in terreni comprati da contadini indebitati o spesso nemmeno comprati”. (La Repubblica)

Parliamo di truffa ed abuso d’ufficio, getto pericoloso di cose, realizzazione e gestione di discariche abusive, reati associativi, finalizzati alla delinquenza e al disastro ambientale, senza considerare che non sono mai stati contestati gli omicidi ed i danni biologici a danno di chi si è ammalato.
Eppure, in quei territori del Casertano, i casi mortali di cancro sono incrementati del 20% (dati Istituto Superiore di sanità), come anche le malattie polmonari, le allergie infantili, i feti deformi, le dermatiti.

Tutto prescritto, grazie a udienze preliminari rinviate, competenze territoriali contestate, accuse sostenibili e non, difetti di notifiche.
Sono andati tutti prosciolti i 95 imputati. Eppure, avevano intombato fusti tossici persino nelle falde acquifere compromettendo l’acqua, secondo le accuse, ma il proscioglimento rassicura: “Escluso l’inquinamento delle falde”.

Smaltire rifiuti pericolosi comportava (e comporta ancora oggi) un costo insostenibile per le piccole e medie imprese padane, in un paese dove, però, il traffico illecito di rifiuti non era un sanzionato penalmente mentre i reati ambientali vengono spesso derubricati per il “giusto convincimento” del magistrato, anzichè perseguiti sulla base delle perizie dei chimici delle Forze dell’ordine.
Facile, facilissimo, creare un network criminale per eludere i controlli al Nord e smaltire illegalmente al Sud.
“Le imprese risparmiano molto danaro che reinvestono, e le campagne, l’acqua, la terra, meridionali vengono per sempre compromesse spesso con il consenso dei piccoli proprietari terrieri e delle amministrazioni locali. In tutto questo la camorra è ovviamente il grande e innominato soggetto tenuto fuori dall’inchiesta proprio perché questa inchiesta voleva o meglio avrebbe voluto dimostrare il segmento imprenditoriale che strutturava il traffico dei rifiuti tossici. Molte imprese del nord Italia hanno delle responsabilità ciclopiche nell’avvelenamento ormai irreversibile delle terre meridionali, questo processo avrebbe potuto iniziare un percorso che avrebbe avuto come necessaria conseguenza politica l’investimento nel risanamento e nella bonifica di queste terre.” (Roberto Saviano)

“Nulla sembra più difficile di dimostrare in un tribunale le responsabilità del nord Italia nelle dinamiche mafiose del nostro paese.”
In Cina Popolare avrebbero dato la pena di morte ed i lavori forzati a vita, in Italia, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso una sentenza di non luogo a procedere.

L’unica cosa da aggiungere è che la data del 17 settembre 2011, come quella del 6 aprile 2009 (Terremoto di L’Aquila) segna un punto di non ritorno per lo Stato Italiano.

Sono la prova provata che, dopo 150 anni, i Meridionali sono cittadini di Serie B ai quali non sono necessariamente dovute solidarietà e giustizia: quante ditte del Nord avrebbero dovuto chiudere i battenti se questo processo fosse andato avanti “presto e bene”?

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