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Servizio Sanitario: conoscere per capire

2 Mag
(tempo di lettura 4-5 minuti)

Se verifichiamo i passaggi normativi riguardo la Salute, troviamo in Costituzione DUE articoli e non uno.
Infatti, fino alla Crisi del Petrolio di quasi 50 anni fa, avevamo l’Istituto Nazionale Assistenza Medica per l’art. 32 e la Mutue dei vari ordini e comparti di lavoro per l’art. 38.

art 32

Poi, nel 1974, mentre esplodeva il costo del petrolio e crollavano la Lira, la Sovranità e il Bengodi italiani, molte Mutue fallirono e le Regioni vennero preposte temporaneamente al Servizio Sanitario.

Che le intenzioni non fossero delle migliori fu chiaro fin dall’inizio: l’idea era quella di assorbire anche le Mutue sane (leggasi ENPAS, con milioni di dipendenti pubblici), onde compensare l’incapienza finanziaria di quelle dei settori sociali incontribuenti.
Ma andò peggio, dato che la storia d’Italia degli Anni ’80 fu un continuo rinnovarsi di bilanci sanitari regionali finiti in tribunale (Corte dei Conti Regionale – CoReCo), fino al crollo della Lira (… un’altra volta) del 1994.

E fu in quegli anni che l’articolo 38 della Costituzione venne del tutto accantonato per passare alla “Sanità Universale”, estendendo ai non contribuenti quello che già il lavoratori si garantivano versando il 9,9% del reddito.

art 38

Letto cosa prevede l’art. 38 e che non c’è più da due generazioni, eccetto per le elite che hanno conservato le Mutue, è evidente che la Sanità Universale consisteva in una ‘spalmatura solidale’ delle risorse, una ‘redistribuzione’ in cui i “lavoratori ai sensi dell’art. 38” provvedevano anche ai “non lavoratori ai sensi dell’art. 32”.
Sarà per questo che sanità e pensioni sono un colabrodo?

Per i nostri ottimisti padri della II Repubblica, l’ipotesi era ‘anglosassone’ con lo Stato controllore, le Regioni amministratrici e le aziende erogatrici: così iniziammo.

Poi, la riforma del Titolo V della Costituzione in cui

  1. lo Stato abdicava ai propri poteri,
  2. le Regioni potevano proseguire con la burocrazia malasanitaria e sprecona condannata ai tempi dei CoReCo,
  3. i CoReCo nel frattempo erano stati depotenziati, 
  4. le ‘Aziende’ (ASL) restavano dei nani ambulatoriali e dei giganti burocratici
  5. le Facoltà Mediche assurgevano ad Enti Territoriali diventando conglomerati di servizi cheap, ricoveri ordinari, pronti soccorsi eccetera, cioè si trasformavano in ‘aziende’, ‘posti di lavoro’ e ‘appalti’.

Arrivati alla terza crisi finanziaria nazionale in cinquant’anni (non dimentichiamolo), l’Italia del III Millennio dovette tirare la cinghia e scegliere se cambiare o mantenere l’esistente.
Era iniziata già anni prima della batosta, con la ‘brillante’ soluzione di mantenere l’esistente (e gli sprechi) con i ‘nostri soldi’ e cambiare, usando i soldi dell’Europa (progetti) … peccato che questi denari erano per il sociale, per la formazione, per l’innovazione, per le reti sociali ma non per la Sanità, intanto divenuta ‘sociosanitaria’ … guarda caso.
Sanità obsoleta e Welfare a progetto: è anche questo il lascito di chi governava le Regioni venti anni fa.

Dicevamo della batosta: anno domini 2010.
Anche stavolta c’era da cambiare o mantenere: tagliare rami morti, innestando quelli nuovi. Furono tagliati i rami deboli, non quelli morti, e di nuovo si è visto poco, perchè le ASL restavano depotenziate e, con loro, i Livelli Essenziali di Assistenza per le malattie croniche e quelle rare.

Un diluvio di scelte regionali molto discutibili, tra cui quelle che ‘paghiamo’ oggi:

  1. derubricare a livello ambulatoriale non significa tagliare i ricoveri per i casi acuti
  2. garantire LEA e Centri a carico del SSN non significa far convergere tutti i malati cronici e rari sui Policlinici Universitari che ad altro servono
  3. risanare il bilancio non significa mettere in previsione solo le spese di personale regionale senza ampliare e ammodernare
  4. la specialità medica in igiene e medicina preventiva si è ritrovata ad essere l’unica con un piano di studi conforme ai requisiti della dirigenza sanitaria aziendale, che prima era aperta a tutte le specialità ‘di reparto’, senza un corrispettivo ‘consiglio d’amministrazione’ multispecialistico
  5. il sorgere di enti come gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e le Residenze SocioAssistenziali, il primo equiparato ad ‘ospedale’ ed il secondo a ‘lunga degenza’, ma senza le stesse regole degli ospedali, come abbiamo scoperto dalle ordinanze regionali per il Covid-19
  6. le priorità politiche disperse nei mille rivoli del consenso ed anteposte alle esigenze di salute effettive sul territorio.

Se questa è la Storia scritta negli Atti Parlamentari e nelle Emeroteche, sarebbe il caso che si ritorni all’ordine che c’era nel 1974 e ancora ai primi Anni ’90:

  1. libera scelta dei lavoratori convenzionati
  2. medicina del territorio con ambulatori, ospedali e medici di base
  3. posti letto sia per epidemie e i disastri sia comunque per fare gli accertamenti multispecialistici dei tanti che vagano tra un Recup e l’altro senza uscirne con una diagnosi completa
  4. eccellenza medica universitaria che sia da riferimento sia nelle situazioni difficili sia per guidare l’innovazione, formare nuovi medici ed anche fornire servizi sanitari
  5. riconoscimento della scelta dell’assistito in caso di malattia nel rivolgersi alla sanità pubblica diretta, convenzionata o assicurativa,  senza discriminazioni

L’Italia vorrà constatare che la Sanità compete ai medici e non ai politici, che – piuttosto – sono coloro che devono rispondere dei bilanci regionali che approvano?
E, a monte, lo Stato vorrà dotare il Ministero della Salute e quello del Welfare del sistema di monitoraggio che gli compete, visto che sono quasi 15 anni che doveva essere introdotto la valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA) e forse 10 che almeno andavano inviati gli organigrammi delle strutture ospedaliere all’Anac.

Intanto, il 1° giugno finisce il lockdown e riaprono i tribunali: inizieremo a capire cosa quanti studi legali invieranno istanze e denunce, a partire dagli accessi agli atti per quello che è accaduto in questi tre mesi e da che lato pende la bilancia?

Intanto, rinviando a casa un assistito dicendogli di attendere sintomi peggiori prima di accedere ai farmaci che solo gli ospedali hanno, la Sanità garantisce il Diritto alla Salute e diffonde un’adeguata percezione dei rischi da Covid?

Demata

Sanità Lombardia: la Lega tutela gli immigrati irregolari, la Sinistra di Renzi meno della metà

19 Apr

In dieci anni la Regione Lombardia ha acccumulato un credito di 100 milioni verso lo Stato per le cure mediche prestate ai 100mila stranieri presenti in Lombardia senza il permesso di soggiorno (37.500 solo a Milano, dati Orim-Ismu).

Questi 100 milioni li deve alla Regione Lumbàrd il ministero dell’Interno, che notoriamente langue di divise e benzina, oltre che di organici e stipendi, e che afferma di volerne versare meno della metà, 40 milioni tanto è quanto ‘passa il Governo’ Renzi.

Rincari pisapia Dracula-2Ma “il Pirellone è costretto a rimborsare le prestazioni sanitarie offerte dagli ospedali praticamente in tempo reale, altrimenti più nessuna azienda sanitaria se ne farebbe carico. È la Regione, in pratica, ad anticipare i soldi che poi dovrebbe ricevere dal governo. Di qui il maxi credito ormai più che decennale con Roma. Ma è giusto che il ministero dell’Interno ritardi a pagare e addirittura chieda di fatto di forfetizzare le cure prestate in cambio di un rimborso più veloce, ma comunque che si trascina da anni?” (Corsera)

Così accade che sia Matteo Salvini a tuonare per ottenere i denari che vanno in servizi agli immigrati irregolari e che sia Matteo Renzi a proporre un forfait con Pisapia che straparla di leghisti che vogliono cannoneggiare i barconi …

A proposito, seppur come partenopeo ho serie difficoltà a votare Lega, devo ammettere che il volantino della Lega spiega molto bene al Sindaco Pisapia quale sia l’unica persistente differenza tra Destra e Sinistra: le tasse.

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

Gomorra: la beffa annunciata della prescrizione

18 Set

Secondo gli inquirenti centinaia di tonnellate di rifiuti speciali vennero “smaltite” dal Veneto e dal Piemonte e seppellendole in provincia di Caserta, in Umbria, nel Lazio, in Sardegna, in Puglia e in Calabria. Indagini durate ben 12 anni, che vedono coinvolti industriali, politici, forze dell’ordine, mafiosi.
Un disastro ambientale senza precedenti, intere popolazioni esposte al rischio tumorale, territori fertilissimi devastati, una rete di corruttele senza precedenti.

“Una ventina di viaggi alla settimana, così come documentato dai carabinieri, treni di Tir carichi di scorie il cui rischio cancerogeno, è stato accertato, era particolarmente alto. Dalle polveri da abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche alle ceneri da combustione di olio minerale. In tre anni di indagini gli investigatori scoprirono un’organizzazione in grado di «collocare» a prezzi stracciati qualsiasi tipo di rifiuto.” (La Stampa)
“Partivano da Milano, Vicenza, Padova, Treviso, Verona, Venezia, Bergamo e Brescia con una regolarità di circa cento viaggi a settimana per essere sversati nelle campagne campane. I camion trasportavano fusti che contenevano polveri residuate dall’abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche, oli minerali, lubrificanti delle macchine, scarti delle vernici, ceneri residue da combustione, solventi, e le acque proveniente da stabilimenti di industrie chimiche e acidi. Appena arrivavano in Campania venivano sepolti nelle campagne coltivate, lungo le strade sterrate, in terreni comprati da contadini indebitati o spesso nemmeno comprati”. (La Repubblica)

Parliamo di truffa ed abuso d’ufficio, getto pericoloso di cose, realizzazione e gestione di discariche abusive, reati associativi, finalizzati alla delinquenza e al disastro ambientale, senza considerare che non sono mai stati contestati gli omicidi ed i danni biologici a danno di chi si è ammalato.
Eppure, in quei territori del Casertano, i casi mortali di cancro sono incrementati del 20% (dati Istituto Superiore di sanità), come anche le malattie polmonari, le allergie infantili, i feti deformi, le dermatiti.

Tutto prescritto, grazie a udienze preliminari rinviate, competenze territoriali contestate, accuse sostenibili e non, difetti di notifiche.
Sono andati tutti prosciolti i 95 imputati. Eppure, avevano intombato fusti tossici persino nelle falde acquifere compromettendo l’acqua, secondo le accuse, ma il proscioglimento rassicura: “Escluso l’inquinamento delle falde”.

Smaltire rifiuti pericolosi comportava (e comporta ancora oggi) un costo insostenibile per le piccole e medie imprese padane, in un paese dove, però, il traffico illecito di rifiuti non era un sanzionato penalmente mentre i reati ambientali vengono spesso derubricati per il “giusto convincimento” del magistrato, anzichè perseguiti sulla base delle perizie dei chimici delle Forze dell’ordine.
Facile, facilissimo, creare un network criminale per eludere i controlli al Nord e smaltire illegalmente al Sud.
“Le imprese risparmiano molto danaro che reinvestono, e le campagne, l’acqua, la terra, meridionali vengono per sempre compromesse spesso con il consenso dei piccoli proprietari terrieri e delle amministrazioni locali. In tutto questo la camorra è ovviamente il grande e innominato soggetto tenuto fuori dall’inchiesta proprio perché questa inchiesta voleva o meglio avrebbe voluto dimostrare il segmento imprenditoriale che strutturava il traffico dei rifiuti tossici. Molte imprese del nord Italia hanno delle responsabilità ciclopiche nell’avvelenamento ormai irreversibile delle terre meridionali, questo processo avrebbe potuto iniziare un percorso che avrebbe avuto come necessaria conseguenza politica l’investimento nel risanamento e nella bonifica di queste terre.” (Roberto Saviano)

“Nulla sembra più difficile di dimostrare in un tribunale le responsabilità del nord Italia nelle dinamiche mafiose del nostro paese.”
In Cina Popolare avrebbero dato la pena di morte ed i lavori forzati a vita, in Italia, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso una sentenza di non luogo a procedere.

L’unica cosa da aggiungere è che la data del 17 settembre 2011, come quella del 6 aprile 2009 (Terremoto di L’Aquila) segna un punto di non ritorno per lo Stato Italiano.

Sono la prova provata che, dopo 150 anni, i Meridionali sono cittadini di Serie B ai quali non sono necessariamente dovute solidarietà e giustizia: quante ditte del Nord avrebbero dovuto chiudere i battenti se questo processo fosse andato avanti “presto e bene”?

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