Il futuro? Speriamo sia una donna

24 Mar

«È necessario passare la mano. È necessario che si facciano avanti altri per la carica di presidente della Repubblica».
«Sicuramente rimane ancora, se non un vero e proprio pregiudizio, una resistenza a scegliere una donna per certi incarichi. Questo, prima di arrivare a quello di presidente della Repubblica, riguarda molti incarichi, se si pensa ad esempio che fino a non molto tempo fa anche in certi alti gradi della magistratura non c’erano donne».
«Più le donne si faranno sentire, prima arriverà – mi auguro presto – il momento in cui ci sarà anche una candidata donna a presidente della Repubblica e potrà essere eletta».

Questo il pensiero del Capo dello Stato Giorgio Napolitano intervistato dalla Rai.

Non è un caso che, in oltre 60 anni di repubblica, l’unica senatrice a vita, contro 41 uomini, sia stata Rita Levi Montalcini.
E non a caso il primo problema in cui ci si imbatte nel “immaginare un Presidente donna” è che di donne che abbiano una carriera adeguata a poter essere delle potenziali candidate non ce ne sono, se non forse nella magistratura, che comunque è un ambiente di lavoro dove di donne ai vertici se ne vedono poche, come ricordava proprio il Presidente.

Come non è un caso che negli ospedali troviamo quasi sempre un’inflazione di dottori ed una gerarchia “al maschile”, con i cittadini – donne o maschi cambia poco – continuano a non accorgersi che la vera “malasanità” ed il vero “spreco” è nel non pretendere che siano i cervelli e le coscienze migliori ad andare avanti, specialmente se parliamo di vita e salute.
Sanità, un settore dove le  quote rosa andrebbero “sperimentate” con urgenza.
Basti prender nota di quanti primari donna esistono ed in che percentuali sono distribuite tra le varie specializzazioni: le statistiche esistono già e già se ne parla da almeno venti anni, ma le cose restano così nonostante sembra che persino l’Iran abbia percentuali migliori delle nostre.

Lo stesso vale per le altre carriere professionali e per il mondo accademico, anche se in misura, talvolta, minore – nel settore entrainment c’è un po’ di spazio – e non ci sarebbe da meravigliarsi se qualche statistico dovesse rilevare che, con le dovute proporzioni, esiste una migliore stima verso le capacità delle donne in gran parte degli ambienti di lavoro “dipendenti”, ma non i quelli “per quadri o laureati”.

D’altra parte, come non rilevare che grazie ai lauti redditi, questi “professionals” maschi possono permettersi una “desperate housewife” e continuare a vivere tranquilli con i loro pregiudizi? Ecco perchè i redditi oltre gli 80.000 euro non si toccano: salta il menage familiare …

L’unico settore dove la donna – specialmente se istruita e propositiva – può vivere “alla pari” è la scuola, specie se parliamo delle superiori, visto che la larga presenza di donne alle elementari e materne è anche correlata al ruolo tradizionale di una donna in una società maschilista e lo stesso vale per la condizione delle infermiere, ovviamente.

Siamo un paese dove, se volessimo eleggere una donna come presidente o come premier, non sapremmo neanche da dove iniziare, visto che non ve ne è nessuna che abbia una sufficiente esperienza a certi livelli, salvo Moratti, Fornero e Marcegaglia che non sono certamente papabili.

Dunque, cosa dire?
Seguire il consiglio presidenziale: «Più le donne si faranno sentire, prima arriverà il momento in cui ci sarà anche una candidata donna a presidente della Repubblica e potrà essere eletta».

Come fare? Facile.

Basta iniziare a rivolgersi ad un “professionista” donna, che si tratti di un(a) medico (il femminile la medicina italiana proprio non lo vuole …), di una specialista, di un’avvocato, di una architetta, di una fornitrice, di un centro o di un ufficio o di un servizio.
Oltre, naturalmente, a non votare i partiti che non abbiano abbastanza donne rappresentative in lista.

originale postato su demata

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