Un chiaro esempio di come vada la Sanità nel Lazio sono le prestazioni per le malattie rare che, essendo pagate direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), non dovrebbero subire nè tagli nè limitazioni da parte dei Servizi Sanitari Regionali (SSR).
Allo stesso modo, le Aziende Sanitarie Locali dovrebbero fare a gara per accaparrarsi questi malati e queste prestazioni, talvolta costose e comunque lucrative. Inoltre, un malato raro (e cronico) porta con se una serie di accertamenti, consulenze e altre terapie che sono ben programmabili e, dunque, si rendono più efficienti /economiche.
Non dovrebbe esistere motivo, dunque, per il quale un malato raro dotato di una prescrizione redatta da un Centro Interregionale o Nazionale (non un mero centro di riferimento regionale, attenzione) non possa accedere alle cure presso una ASL o un ospedale generale: paga tutto il Ministero.
Eppure, in alcune regioni tra cui il Lazio questo accade.
Ed è davvero difficile comprendere per quale motivo una qualunque azienda pubblica o privata rifiuti di assistere – come per altro sarebbe tenuta – un malato che porta con se tra i 30 e i 50.000 euro annui di prestazioni, di cui larga parte pagata cash dallo Stato.
Esistono, però, alcune evidenze che possono aiutarci a capire:
- gerontocrazia, tanta gerontocrazia, se scopri che interi reparti e schiere di malati sono affidati a medici che sono nati nel 1948 o giù di lì, dimenticando che si va in pensione anche per sopravvenuti limiti di età biologica e tecnologica, senza dimenticare che nelle malattie rare conta tanto il metabolismo e i meccanismi di sintesi, la genetica, la biochimica e tante altre cose che hanno preso piede solo dagli Anni ’80
- assenza di meritocrazia, efficienza e – di conseguenza – minore efficacia delle prestazioni: la madre di tutti gli sprechi. Si campa per lo stipendio a fine mese, per le eterne ‘scalate’ aziendali e di corridoio o per posizione consolidata, visto che chi sta sopra non va mai in pensione e chi sta sotto resterà sotto. I malati e le malattie new entry possono attendere
- occupazione dei vertici amministrativi, se accade che siano dei laureati in medicina (e non in economia) a coordinare management, servizi, prestazioni, forniture eccetera per milioni e milioni di euro e di persone. Un privato una cosa così non la penserebbe neanche sotto minaccia: un medico come direttore sanitario, un manager come direttore amministrativo. O no?
- gravissimi (potenziali) conflitti di interessi, se ad esempio nessuno verifica che le associazioni dei malati che raccolgono il 5xmille non coincidano, in un modo o nell’altro, con il medico del reparto o l’ospedale e se, peggio, il farmaco ‘orfano’ in quella regione sia una sorta di monopolio ed il centro pubblico operi in realtà come fosse un sub-distributore
- carenze del Contratto di lavoro dei medici, che possono essere adibiti a mansioni diverse, ma solo “fatte salve le eventuali specializzazioni di cui è in possesso ed esercitate all’interno della Struttura sanitaria”. Ad essempio, se vent’anni fa assumemmo tanti cardiologi e gastrenterologi ed oggi la prevenzione e i farmaci migliori ne hanno ridotto l’esigenza, teniamo aperti lo stesso i loro reparti consumando le risorse che andrebbero ai ‘nuovi’ settori e specialità mediche e raccondando ai cittadini che la colpa è dei tagli
- ritardo epocale, grazie ad un sistema universitario baronale e autoreferenziale. Basti dire che il sistema dei punteggi e il correlato concetto di invalidità è lontano anni luce da quanto l’Italia ha siglato in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994. Noi siamo ancora allo ‘sciancato’, al ‘gobbo’, al ‘cecato’ …
I malati rari sono soo la cartina al tornasole di questa storia, ma il risultato è che i malati (rari e ‘comuni’) che non trovano allocazione in un simile girone infernale vagano da uno specialista all’altro, con esami costosi, che – incredibile ma vero – vanno a dissanguare le loro tasche e quelle dei loro corregionali, manentendo funzionanti interi reparti che senza questo vagare non avrebbero ragione di esistere.

Secondo i dati pubblicati dal Fatto Quotidiano, il Lazio spende lo 0,3% in meno rispetto alla media nazionale per l’assistenza di base, ma riesce a spendere quasi il 50% in più (11,4% contro il 7,5%) se parliamo della spesa ospedaliera in questione.
No matter, è lì il problema maggiore.
Questo il motivo per il quale il Lazio taglia posti letto e prestazioni ai malati, ma non posti di lavoro. Secondo questa logica, ma non la nostra, costerebbe di più azzerare un reparto o un ambulatorio, che ‘si ripagano mentre funzionano’, piuttosto che ridurrre di uno specialista, pagato decine e decine di migliaia di euro all’anno, se non centinaia, un reparto dove ce ne sono già sei o sette della stessa specialità.
Oppure continuare a riconfermare medici ormai ultrasessanticinquenni e pure pensionati su incarichi, funzioni e poltrone che – di norma – dovrebbero almeno essere occupate da personale in effettivo servizio, che percepisce uno stipendio anche dimezzato rispetto ai soliti ‘ex sessantottini’.
Perchè tenerci un medico di sessanticinque anni a passa, che ha difficoltà persino con la posta elettronica, quando ne potremmo avere uno di quaranta con pedegree internazionale a metà del costo, senza dover licenziare due ausiliari o chiudere un ambulatorio oppure alzare Irperf e ticket?
Così accade che a Roma si chiuda per un cavillo il centro infusionale del Fatebenefratelli, l’unico esistente in una ASL RMA con oltre un milione di persone, a vantaggio del centro trasfusionale di cui c’è ampia presenza sul territorio. Ovviamente, da un lato c’è il vantaggio finanziario del sangue raccolto e dall’altro c’è la spesa per un servizio offerto.
E che pensare della Asl di Rieti prevede indennità e rimborsi spese per gli organi direttivi, che hanno un’incidenza tre volte superiore alla media regionale con una spesa di ben 2 milioni di euro, come dell’ospedale San Filippo Neri dovve le spese di pulizia sono quasi cinque volte superiori alla media laziale, già di suo non bassa.
Vogliamo scherzare se la Asl Roma B spende addirittura cinque milioni per assistenza tecnico-programmatica e quasi tre per la vigilanza?
Come anche capita che centinaia di malati di reumatologia si ritrovino dispersi da un giorno all’altro in diversi siti sanitari cambiando specialista di riferimento. Oppure che si tengano aperti reparti di gastroenterologia che fanno gastrocolonscopie e poco più con un ritmo che è la metà di un sito privato … mentre a pochi minuti c’è un altro ospedale che offre ben due reparti per le stesse patologie.
Peggio che mai in qualche policlinico universitario, dove per parlare con lo specialista di riferimento, dovete superare due o tre livelli di medici specializzandi che devono valutarvi, ma specializzati ancora non sono.
E le prebende non mancano. Ad esempio il Sant’Andrea spende per premi di assicurazione 5 milioni di euro, a caussa delle polizze per responsabilità civile professionale dei sanitari, che sono a carico dei singoli lavoratori al San-Giovanni-Addolorata, al policlinico Umberto I e all’Ifo, che spendono un decimo.

Oppure che ci siano malati – non pochi – che non ricevono le prestazioni prescritte da altre regioni o che vengano costretti a recarsi a notevole distanza dalla propria abitazione anche se hanno un ospedale generale a tre metri.
Per non parlare dei farmaci orfani che sono negati alle strutture private, in modo che chi ha una assicurazione privata sia costretto a rivolgersi al pubblico incrementando … la spesa pubblica, che al momento è una delle più alte d’Italia con 153 euro pro capite di maggiore spesa rispetto alla media nazionale.
Il Forlanini è ormai struttura dismessa, ma la cosa viene annunciata quasi con gioia. Il Ministero dell’Economia va a sborsare 65 milioni di euro da devolvere al sistema sanitario regionale e la stampa di settore, finanziata dalla politica con il sudore delle nostre tasse, quasi elogia il Commissario Zingaretti che ha sforato un’altra volta.
Peggio, i diversi scandali delle forniture o delle coop servizi in diversi ospedali romani che non sono correlati a Mafia Capitale solo perchè scoperti uno o due anni prima.
Pessimamente, infine, il rischio ambulanze che non portano i malati dove sono disponibili i farmaci salva-vita, ma solo negli ospedali prefissati, oltre al fatto che in certi giorni a certe ore c’è qualche corteo ‘antagonista’ che vi blocca nel traffico a sirene speigate.
Da oblio, la vicenda della situazione di caos dei pronto soccorso della regione, nota agli italiani da mesi grazie ai inchieste televisive, ma sembrava ignota al presidente Zingaretti fino a pochi giorni fa.
Perchè allora non arriva un’azione di risanamento da parte dei nostri governi e perchè alcuni governatori regionali latitano sull’argomento, visto che perdono consenso a causa dei tagli iperbolici, dei disservizi e degli sprechi della macchina sanitaria, più Irperf e ticket maggiorati?
E’ presto detto: quasi un decimo dei nostri parlamentari e più della metà dei senatori della Commissione Igiene e Salute lavora(va)no nel settore sanitario, persino i vertici amministrativi siano occupati da personale sanitario, intaccare i privilegi contrattuali dei nostri medici è una via sbarrata dai sindacati e, al momento, non è il caso di trovarsi anche gli ospedali chiusi per sciopero.
Se qualcuno si chiedeva chi/cosa rappresentasse la Casta nel Parlamento eletto nel 2013, questo potrebbe essere un indizio rivelatore: neanche un rappresentante dei malati nella Commissione del Senato che si occupa dei servizi loro erogati. E, con il prossimo parlamento, le cose potrebbero andare anche peggio.
Una lobby talmente potente – nei salotti, in parlamento e … per il commercio di fascia medio-alta … – che persino Papa Francesco, vescovo di Roma, ancora non si indigna perchè nella sua città i malati non vengono curati, non almeno come prevederebbe il Vangelo o come avviene in altre località italiane.
Roma e il Lazio, uno strano limbo che – dopo averne emanate le leggi in Parlamento – inizia solo da poco a scoprire che l’universo amministrativo si è dematerializzato e che se non usi il pc almeno decentemente sei ‘out’. Un luogo dove ancora si legge su delibere e determine che informatizzare registri, cartelle, circolari e avvisi è ‘impossibile’, anche se mezzo mondo l’ha già fatto.
Un bastione della resistenza al moderno – se ne scriveva già prima della Modernità – dove aleggia il terrore che una qualunque indagine tra quelle in corso potrebbe aprire ulteriori filoni, come se non bastassero quelli già scoperti a suggerire un ricambio profondo non solo della politica, ma anche dell’alta dirigenza. Anche di questo se ne scriveva già nei secoli dei secoli.
Una regione dove, soprattutto, i servizi sanitari vanno male e aumenta la quantità di residenti che si rivolgono a centri d’eccellenza fuori regione, mentre i calanti servizi che dovrebbero andare ai laziali sono destinanti – in alcuni reparti spesso – a malati che arrivano da regioni ancor peggio messe.
Tutto mentre nel Lazio vige una delle Irperf più gravose d’Italia, mentre oltre il 40% della popolazione è anziano, con il risultato che chi oggi contribuisce vede gran parte delle risorse destinate non a se o ai propri figli, bensì ai servizi geriatrici, come accade sia per la Sanità che per il Welfare.
Quanti voti perderà la Sinistra nel Lazio grazie a Zingaretti non è dato saperlo, nel partito c’è Ignazio Marino che allontana consensi alla grande: saranno le elezioni – se pensa davvero di ripresentarsi – a dircelo.
Il punto è, piuttosto, quanti consensi perderà in Italia il Partito Democratico se continuasse a far riforme che ‘esentano’ la Capitale dal rispettarle e se Matteo Renzi non troverà il modo di superare situazioni eclatanti come quella della Commissione Igiene e Salute del Senato, dove i tecnici occupano in toto lo spazio riservato alla politica.
Quella del mantenimento della Riforma Fornero – che pochi giori fa ha ‘automaticamente’ portato l’età pensionalbile di tutti a 42 e dieci mesi – è un marchio indelebile per un partito che fa dell’equità e della negozialità la propria immagine e la propria base di consenso.
Lasciare la Sanità nella situazione in cui versa in alcune regioni è peggio che una vergogna, essendo neanche un’economia, ma solo un salasso finanziario per Stato e privati cittadini.
A proposito, cosa pensare se la norma ha previsto un Commissario ad acta nel constatare l’incapacità della politica a governare /risanare e ci ritroviamo che il Presidente della Repubblica ha nominato non un manager, non un notabile o un contabile, ma lo stesso Presidente della Regione che è finita nel commissariamento e che questo accade praticamente da 15 anni?
Come disse Benitez dopo il goal in triplo fuorigioco della Juventus … ci può stare.
Però, almeno prendiamo atto che questi sono i risultati di un Commissarimento ‘politico’ quando dura oltre quel tot di mesi che è naturale … non serviva molto per prevederlo ed è già un miracolo che non sia finita come in Campania per i rifiuti.
Adesso basta, si ponga fine al Commissariamento e che la Politica ci metta la faccia, se ne ha ancora una dopo 15 anni di assenza.
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