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Salute: l’effimero programma di Calenda

26 Lug

Carlo Calenda ha presentato la sua proposta per la Sanità in vista delle elezioni e forse mai s’è vista una tale serie di idee tanto belle quanto impossibili, se non si affrontano i problemi alla base.

Le promesse? Assunzioni, specializzazioni, assistenza territoriale, subentro dello Stato per i LEA, telemedicina, aumenti salariali, tutto pubblico e meno mutue in base ai “bisogni sanitari dei prossimi anni”

Purtroppo, Calenda e i suoi ‘repubblicani’ dimenticano innanzitutto che:
– la “programmazione dei bisogni sanitari dei prossimi anni” verte innanzitutto sulle risorse umane disponibili oggi che quasi la metà delle strutture sanitarie non ha ancora comunicato i propri organigrammi all’Agenzia nazionale e le statistiche Istat risalgono al 2013
– le assunzioni che ‘scalpitano’ non sono delle professioni e delle specialità che servirebbero riprogrammando il tutto, ma quelle dei contratti a termine che si reiterano da anni senza un piano strutturale
– l’assistenza territoriale è inevitabilmente carente se un territorio è cresciuto senza urbanistica, centralità e viabilità, mentre diventa un ghetto dove le case popolari concentrano indigenti, sottoccupati e invalidi
– i livelli assistenziali essenziali per i malati cronici sono solo una parte di quel che manca come assistenza specialistica, per i ‘fragili’ manca addirittura la definizione e saranno un paio di milioni, per i rari che sono 4-5 milioni manca almeno l’80% dei Presidi legiferati 20 anni fa
– la formazione alla telemedicina e alle tecnologie digitali richiede un aggiornamento tecnico-scientifico delle lauree in medicina e in biologia oltre ad una profonda revisione del ruolo delle associazioni 5xmille
– gli aumenti salariali per i sanitari comporterebbero automaticamente quelli di un milione di docenti, ormai alla fame, pur essendo laureati e specializzati anche loro.

Peggio ancora, i ‘repubblicani’ per Calenda dimenticano anche che:

– la riforma della medicina di base – attualmente privatizzata, ebbene sì – è essenziale e prioritaria per ristrutturare il Sistema Sanitario come serve, a partire dalla geriatria per gli over65,
– il diritto all’assistenza domiciliare va preferito al destinare anziani autosufficienti in una RSA con maggiori costi erariali,
– anche i malati ‘orfani’ (quelli senza diagnosi) avrebbero diritto in ogni Regione ad avere un Centro di riferimento nella speranza di una cura almeno palliativa, cosa che oggi esiste solo in una città
– va garantito il diritto ad avere servizi ‘pro soluto’ (scelta) per gli assicurati che sono costretti a riferirsi al sistema pubblico, perchè solo lì sono erogati i farmaci di cui ha bisogno, sperimentali od off label
– il diritto a rivolgersi fuori regione con rimborso integrale delle spese è negato in molte regioni che hanno eliso con disagi e aggravi enormi per le malati di patologie rare e/o orfane, cioè poco conosciute
– la riforma del III Settore a cui esternalizziamo fior di servizi è incompleta, in quanto le associazioni non sono enti pubblici, ancora mancano i controlli come per tutte le entità fiscali e, soprattutto, rappresentano solo l’interesse privato dei loro soci.

Insomma, va bene che si sa già che le elezioni andranno perse, ma i ‘repubblicani’ per Calenda farebbero bene ad informarsi di più, prima di proporre.
Magari, anche dare un’occhiata ai dati Istat, chiedendosi come mai … le proposte di +Europa quasi mai vengono prese in considerazione da tecnici, esperti e mediatori.

Soprattutto, ricordare che i malati cronici tutti sono più o meno parzialmente degli ‘invalidi’, per questo da tempo si parla di settore sociosanitario e non di ‘sanità’, quando ci si riferisce … alla Salute.

A.G.

Come ridurre le tasse e sanare il debito in mezza generazione

28 Nov

Sappiamo tutti che l’Italia ha una leva fiscale stimata tra il 60 ed il 70%, se parliamo di un piccolo imprenditore o di un professionista, intorno al 50% se parliamo di worker class.
Dunque, se vogliamo giustizia sociale, investimenti ed occupazione, dobbiamo ridurre le tasse e non di poco.

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Ridurre le tasse non è semplice, dato che vengono completamente assorbite dalle spese  della Pubblica Amministrazione, dalle pensioni ‘di Stato’ e dall’assistenza sanitaria ‘universale’.
E, come noto, spesso le entrate non coprono queste spese, da cui deficit e debito pubblico.

Una voragine di spesa che fa capo alle tre grandi anomalie italiane:

  1. una pubblica amministrazione gravata quasi esclusivamente per le spese di funzionamento e gli oneri stipendiali degli ancora milioni di addetti in un dedalo di iter decisionali discrezionali o contrattualizati nell’epoca dell’Amministrazione Digitale
  2. un sistema assicurativo previdenziale statale a base contributiva, ma senza Fondi Pensione – trasformati anch’essi in tasse – e con l’Inps che opera in condizioni di assoluto monopolio (95% del totale)
  3. un’assistenza sanitaria “universale” che attinge direttamente sulla capacità produttiva (sic!) del Paese, leggasi accise, Irap ed Iva etc.

Anomalie italiane non per qualche bieca ideologia antipopolare, bensì perchè così è scritto in Costituzione.

  1. Articolo 97: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la SOSTENIBILITA’ DEL DEBITO PUBBLICO.”
  2. Articolo 38 “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed ASSICURATI mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. L’assistenza privata è libera. Provvedono organi ed istituti predisposti o INTEGRATI dallo Stato.”

Oggi, in Italia è il contrario, la Costituzione parla chiaro e non servono misure tatcheriane per venirne a capo.

  1. Riportiamo la Sanità al mandato costituzionale dell’Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
  2. Prevediamo che i lavoratori siano liberi di assicurarsi dove meglio credono (e non per forza presso la ASL o l’INPS) “in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
  3. Pretendiamo che la PA garantisca innanzitutto i servizi minimi nei costi standard. Semplifichiamo e innoviamo procedure e tecnologie, sbloccando le pensioni per chi ha almeno 30 anni di servizio (Quota 95 o 100).
  4. Introduciamo anche in Italia i voucher alle famiglie per l’istruzione dei figli ed un salario /reddito minimo in vece degli alloggi popolari e sussidi vari o delle pensioni di invalidità.

Stiamo parlando di quasi 200 miliardi di euro annui che andrebbero ad essere sottratti al deficit: solo così possiamo prevedere di riportare il bilancio in attivo in meno di una generazione.
Solo così abbasseremo le tasse, renderemo i servizi sanitari ed assicurativi degni dell’Europa di cui facciamo parte e potremo rendere la nostra burocrazia più trasparente e snella.

E’ per i nostri figli (o nipoti) che serve farlo. Da che parte stiamo?

Demata

P.S. Certo, questo cambiamento toccherà equilibri e status quo, come per i policlinici universitari e le ASL che dovranno privatizzarsi per davvero a partire dal dover garantire standard certificati e servizi pianificati, non sale d’attesa e Recup tra sei mesi.
E dovrà cambiare tanto mondo del volontariato, se anche i poveri avessero uno stipendiuccio, ovvero la possibilità di scegliere. O l’agroalimentare, che tra sussidi ed esenzioni, oggi vale neanche il 5% del nostro PIL. Oppure le politiche locali, se le famiglie potessero scegliere tra scuole sgarrupate e altre linde e pinte.

Insomma, è difficile che il PD di Matteo Renzi o i Cinque Stelle di Di Maio riformino un qualche cosa che possa ridurre la spesa pubblica (e le tasse) … con Enrico Letta e con Di Battista sarebbe stata un’altra cosa …

Sanità fuori bilancio: cosa fare?

15 Set

Il finanziamento del Servizio Sanitario è fondato sul D.Lgs. 56/2000 che ha previsto un sistema fondato su quattro fonti di risorse: l’IRAP, l’addizionale regionale all’IRPEF, la compartecipazione all’IVA e la compartecipazione all’accisa sulle benzine.

L’IRAP – ricordiamolo – è l’imposta regionale sulle attività produttive a carico delle imprese ed è proporzionale al fatturato e non all’effettivo utile di esercizio.
In pratica, equivale ad una sorta di ‘Danegeld’ (balzello) medievale sulla capacità produttiva, che – come da dottrina economica e prassi confermata – deprime la spinta all’innovazione e agli investimenti, mentre fomenta l’evasione fiscale, il contrabbando e il plagio.

L’addizionale Regionale all’Irpef è una quota tributaria aggiuntiva (0,9%) per sostenere la spesa sanitaria applicata su qualsiasi reddito delle persone fisiche. E’ incrementabile dalle singole regioni anche del doppio (es. Puglia 1,8%). Opportunamente ricalibrata, appare essere – con la compartecipazione dell’IVA – una buona forma di finanziamento del sistema sanitario pubblico di base (servizi essenziali e per gli indigenti), come la Costituzione prevede.

La compartecipazione all’IVA è una quota annuale che compete a ciascuna regione, determinata sulla base della media dei consumi finali delle famiglie e di parametri riferiti alla popolazione residente, alla capacità fiscale, ai fabbisogni sanitari ed alla dimensione geografica di ciascuna regione. Importante ricordare che, nel caso in cui la quota spettante ad una regione risulti inferiore a quanta necessaria, interviene la solidarietà interregionale che preleva dalle regioni con “surplus di IVA”, le quali, in tal modo, vedono frenata la propria capacità di migliorare i servizi o ridurre la pressione dei tributi locali, mentre quelle sussidiate restano sotto il giogo della sovratassazione dell’Irpef e del regressivo consociativismo localistico.
Allo stato attuale (settembre 2016), l’applicazione delle disposizioni, atte a definire ed assicurare il livello minimo assoluto sufficiente al finanziamento dei livelli minimi essenziali delle prestazioni (i così detti ‘costi standard’ per sanità, assistenza sociale, istruzione scolastica, spesa in c/ capitale) attende di entrare in vigore al 2013.

L’accisa sulle benzine che rappresenta un’importante entrata dello Stato Italiano e delle Regioni. Nel 2011, valeva oltre 20 miliardi di Euro, cioè il 5% di tutte le entrate a bilancio dello Stato, più una somma equivalente derivante dall’IVA.
L’accisa è un tributo indiretto perché il produttore, che paga il tributo sulla quantità, invece che sul prezzo, la gira al consumatore. Solitamente, rappresenta un’alta percentuale del prezzo al consumatore finale. Nel caso delle benzine, la ricaduta delle accise incide non solo sul costo dei mobilità su gomma, quanto sul quelli delle merci, specie le derrate alimentari, e ad esserne intaccati sono maggiormente i redditi più bassi.
Utile ricordare che finanziare un servizio essenziale come la sanità di base attingendo prevalentemente da accise equivale a voler garantire spese in conto capitale ricorrendo alla cassa corrente e lo stesso discorso potrebbe esser fatto per la compartecipazione dell’IVA.

A latere, ricordiamo che nell’accisa benzine, che destiniamo alla Sanità, ci sarebbero 0.0071 euro/litro per il finanziamento alla cultura e 0,04 euro/litro per l’emergenza migranti dal 2011, 0.02 euro /litro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri dal 2014, 0.005 euro/litro per l’acquisto di autobus ecologici dal 2005, 0.000981 euro/litro per il finanziamento della guerra d’Etiopia dal 1936 e tanto altro ancora.
Ad esempio, nell’accisa sulle benzine ci sono anche 0.0387 euro/litro per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia dal 1980, 0.0511 euro/litro dal 1976 per quello del Friuli, 0.00516 euro/litro dal 1963 per la ricostruzione post disastro del Vajont, che avremmo potuto (dovuto?) usare per mettere in sicurezza sismica almeno gli edifici pubblici.

La Sanità ed il corrispettivo Comparto Assicurativo vanno ricondotti nel mandato costituzionale, perchè “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” e non a tutti, perchè “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e non per ragioni di bilancio, perchè “l’iniziativa economica privata è libera” e non un monopolio di aziende a capitale e controllo pubblico.

Il finanziamento del Servizio Sanitario Regionale deve fondarsi esclusivamente sull’addizionale regionale all’IRPEF e sulla compartecipazione all’IVA in base a ‘costi standard’ e deve servire a fornire cure gratuite agli indigenti e, nel caso volessero servirsene, ai cittadini assicurati. A riguardo, il riferimento non è dato dal sistema vigente in USA, quanto da quello tedesco delle Versicherung o, anche, delle ‘Casse’ in auge fino agli Anni ’70 ed in alcuni casi (vedi i giornalisti) ancora esistenti.

Il Servizio Sanitario Nazionale deve fondarsi su specifiche voci di bilancio a vertere sull’Erario e – oltre ad avere poteri di subentro commissariale – deve servire a funzioni di monitoraggio, controllo e prevenzione, come alla gestione delle patologie epidemiologiche e delle malattie rare, in particolare nel garantire su tutto il territorio nazionale l’accesso universale e gratuito  ai farmaci sperimentali e/o ‘orfani’.

La spesa assicurativa e sanitaria dei cittadini va dedotta dalle tasse entro un tetto proporzionale al reddito ed un criterio analogo è utile anche per determinare quale pressione fiscale serva per garantire i servizi essenziali ed universali. In brevis ed a titolo esemplificativo, potrebbe riconsiderarsi il 9,9% del reddito, come previsto prima del D.Lgs. 56/2000.

Non farlo significherà solo andare avanti con tagli su tagli, mentre l’onere della spesa, grazie alle accise sui carburanti, graverà proporzionalmente di più tra chi ha un minor reddito e l’aggravio strutturale finirà sulle imprese, grazie soprattutto all’Irap non finalizzata alla ripresa e alla crescita produttiva della Nazione.

Demata

Sanità pubblica, prevenzione zero?

26 Apr

Istat: cala l’aspettativa in vita degli italiani (e la salute peggiora).

In Italia si muore ancora per patologie ampiamente prevenibili e gestibili, se tra ischemie, trombosi, ictus, infarto e cardiopatie varie muore il 30% della popolazione, che fanno quasi 200.000 persone l’anno.
Tra le cause di morte (dati 2012), quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore (ischemia, infarto, angina pectoris), responsabili di 75.098 morti (più del 12% del totale).
Seguono le malattie cerebrovascolari come trombosi o ictus (61.255 morti, quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore non di origine ischemica (48.384 morti, circa l’8% del totale).

Con dati del genere è davvero difficile credere nell’efficienza e nell’efficacia della nostra medicina di base e del nostro sistema di accesso alle cure specialistiche ed accertmenti vari (Recup).

Inoltre, tenuto conto che si opera praticamente solo d’urgenza (95%) per carenze innanzitutto di infermieri, nel 2014 la dotazione di posti letto negli ospedali pubblici è risultata di 3,04 per 1.000 abitanti per gli episodi acuti e di 0,58 per 1.000 per la degenza post-acuti, lungodegenza e riabilitazione, tutti valori inferiori agli standard normativi.

Resta da chiedersi se sia legittimo che le Regioni – con una tale emergenza – non abbiano autorizzato e non autorizzino l’accesso strutture private tramite impegnativa, se entro 15 giorni non sono in grado di mandare a visita od a controllo il paziente.

Nel 2014, la spesa sanitaria pubblica pro capite è stata di 1.817 euro, in linea con il valore dell’anno precedente tra quelli che spendono meno). Nell’ultimo anno, per esempio, il Canada ha speso oltre il 100% in più per ogni cittadino rispetto all’Italia, la Germania il 68% in più …

Prendiamo atto che lì i servizi sanitari pubblici sono erogati tramite polizze assicurative e strutture sanitarie private … e non dal solito carrozzone di luminari, affaristi e politicanti.

Demata

Malati rari: tutto quello che non facciamo

23 Mar

Dove saremmo  se – invece di politica e diritti – in questi anni, riguardo le malattie rare (> 400.000 carrier nel solo Lazio) – ci fossimo  semplicemente chiesti (funzionari, malati, associazioni e quant’altro):

  • quanti sono i carrier per codici di esenzione, quali invalidi sotto il 45- 66-74%, quanti sono ‘attivi’  ad elevata frequenza (cure mensili o settimanali) e quali a bassa (2-3 volte l’anno)
  • quanti sono diagnosticati da un effettivo centro interregionale (o quello che sarà) e quanti effettivamente in carico con protocollo specifico presso un ospedale generale,
  • quanti hanno profili di urgenza medica, quanti hanno un pronto soccorso di riferimento
    quali sono le patologie secondarie per macrotipologie rispetto la malattia rara e congenita e quali sono invalidanti o disfunzionalizzanti o degenerative eccetera
  • quale % dei fondi SSN viene saldato entro l’anno solare dal ministero e quanti dalla Regione, quanti ad un anno, a due, a tre eccetera
  • quali verifiche vengono fatte affinchè non vengano prescritti in esenzione farmaci afferenti ad altre patologie … che dovrebbero pagare le Regioni
  • dove si collocano statisticamente i carrier attivi per codice di esenzione, ASL di residenza e presidio sanitario di cura

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Quel che avremmo scoperto – indagando sulla Realtà in vece di ipotizzarre ‘diritti’ – non è poco:

  • c’era da creare una infrastruttura sanitaria (regioni) e del welfare (comuni) ovvero che i Sindaci ci devono mettere la faccia per poliambilatori e servizi domiciliari, ma non per i tagli ai reparti, ed i grandi burocrati devono assumersi le loro responsabilità di una azione ‘dall’alto’ (infrastrutture, standard, accesso, trasparenza, telematica, eccetera)
  • senza sapere chi e cosa curare – trattandosi di cronici siamo su archi ultradecennali – non si dovevano neanche fare ristrutturazioni aziendali e concorsi e, sapendo che il futuro è delle malattie rare, da anni dovevano prevedere delle drastiche riduzioni di cardiologi e gastroenterologi dato che ipertensioni e reflussi sono da geriatra e non servono interi reparti e cattedre per questo
  • nessun caso è singolo e nessuna anomalia è fine a se stessa, superata l’emergenza mica è finito tutto: bisogna pianificare e realizzare una normalità imparando dagli errori (ovvero monitorandoli e rammentandoli): è del tutto malsano risolvere casi spot sull’onda di emergenze e scandali non per tre mesi ma per 20 anni, con commissariamenti all’infinito e tavoli tecnici caotici che servono solo a chi non vuol fare o deve ‘deviare’
  • le nuove scoperte biomedicofarma rendevano ben chiaro già 15-20 anni fa che ci sarebbero stati solo policlinici e case di cura /presidi poliambulatoriali, come i medici di base avrrebbero dovuto associarsi con pediatri, geriatri, fisioterapisti eccetera per reggere i costi degli immobili, delle certificazioni e delle manutenzioni, della clinica e della telematica: di sicuro non esisteva nelle premesse un modello in cui il pubblico offre solo ‘grandi ospedali’ e ‘infimi ambulatori’ mentre il resto è esternalizzato a privati o peggio (il welfare, il welfare!) a onlus di bassissimo livello
  • non tutti i medici possono essere assorbiti dal sistema pubblico, anzi. E sarebbe ora che qualcuno glielo spiegasse se … non accadesse che ogni dirigente od ogni politico che chiude o modifica un presidio si ritrova puntualmente sui giornali o, peggio, il numero chiuso e i test di accesso alle facoltà mediche appaiono a tante famiglie dei candidati (respinti) una bizarria italiota … con santa pace di troppi inutili occupati …

    E con quei dati – che tra l’altro Corte dei Conti, MEF e Unione Europea potrebbero anche pretendere – avremmo anche le soluzioni a portata di mano  …

    Dunque, il problema non è solo la politika, ma anche il ‘popolo’ ha il suo ruolo in questo scempio, e la soluzione si chiama ‘teknica’. Siamo disposti a parlare di standard oltre che di diritti? A ben vedere i primi sono cosa certa, i secondi solo enunciazioni di principio …

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Tagli alla Sanità, la verità: la Politica ha abdicato, si tagliano servizi ma non la Casta

17 Gen

La Legge di stabilità permette ai Consigli Regionali di intervenire sulla Sanità entro il 31 gennaio per determinare i nuovi piani di bilancio dei rispettivi Servizi Sanitari Regionali ed attuare le economie necessarie.

Qualcuno li chiama ‘tagli alla sanità’, ma non sa o non ricorda che 30-40 miliardi del buco nero delle pensioni ex Inpadp (dipendenti pubblici) si creò proprio per ‘anticipazioni’ al sistema sanitario sotto l’egida di Tremonti e se oggi le pensioni di tutti ed il turn over della PA sono bloccati è a causa di questo.
Una vera vergogna, dato che quelli ‘anticipati’ (e mai tornati indietro) erano i soldi versati dai lavoratori.

Ancor più vergogna, se ricordiamo la deontologia che dovrebbe caratterizzare il settore Salute e poi scopriamo di intere ASL arrestate per mafia, di enormi policlinici saccheggiati da qualche ‘mondo di mezzo’ e ora sull’orlo del fallimento, di centinaia di migliaia di risarcimenti assicurativi per responsabilità professionale eccetera.

Dunque, non parliamo di tagli, bensì di RISANAMENTO e la stampa seria dovrebbe pur raccontarlo a qualcuno, specialmente se – andando alla pagina dell’economia – leggiamo le storie non edificanti di cui sopra.
Storie di cui la Rete gronda e che non stiamo qui a raccontar tutte, tanto ne bastano un paio per capire da che parte dovrebbero andare i ‘tagli’ e dove reinvestire le ‘economie’.

Roma è l’esempio ideale: ha un’enorme disponibilità ospedaliera e specialistica, ma il Recup ti da appuntamento a sei mesi forse meno forse più, anche se poi i conti presentano una spesa ospedaliera che che sfora del 50% la media nazionale e si paga un Irperf da record. Bella anomalia, eh?

Analizzando lo scenario troviamo che interi reparti e schiere di malati sono affidati a medici che sono nati nel 1948 o giù di lì, dimenticando che si va in pensione anche per sopravvenuti limiti di età biologica e tecnologica, ma soprattutto che ci costano il doppio.

Questo il motivo per il quale il Lazio taglia posti letto e prestazioni ai malati, ma non posti di lavoro. Secondo questa logica, ma non la nostra, costerebbe di più azzerare un reparto o un ambulatorio, che ‘si ripagano mentre funzionano’, piuttosto che ridurre di uno specialista, pagato decine e decine di migliaia di euro all’anno, se non centinaia, in un reparto dove ce ne sono già sei o sette della stessa specialità.
Perchè continuare a riconfermare medici ormai ultrasessanticinquenni e pure pensionati su incarichi, funzioni e poltrone che – di norma – dovrebbero almeno essere occupate da personale in effettivo servizio, che percepisce uno stipendio anche dimezzato rispetto ai soliti ‘ex sessantottini’.
Perchè tenerci un medico di sessanticinque anni a passa, che ha difficoltà persino con la posta elettronica, quando ne potremmo avere uno di quaranta con pedegree internazionale a metà del costo, senza dover licenziare due ausiliari o chiudere un ambulatorio oppure alzare Irperf e ticket?

Detto tutto no? No, manca ancora qualcosa.

Ad esempio il Contratto di lavoro dei medici, che possono essere adibiti a mansioni diverse, ma solo “fatte salve le eventuali specializzazioni di cui è in possesso ed esercitate all’interno della Struttura sanitaria”. Una vera mattanza, se vent’anni fa assumemmo tanti cardiologi e gastrenterologi ed oggi la prevenzione e i farmaci migliori ne hanno ridotto l’esigenza, teniamo aperti lo stesso i loro reparti consumando le risorse che andrebbero ai ‘nuovi’ settori e specialità mediche e raccondando ai cittadini che la colpa è dei tagli.
Risultato? Un intero ambulatorio di gastroenterologia che in una giornata fa la metà delle gastrocolonscopie o dei test al lattosio, ad esempio, con il doppio del tempo, il triplo del personale ed il quadruplo dello spazio rispetto a un ottimo poliambulatorio privato o convenzionato. Ci può stare.

Il risultato però è che i malati (speccie i quattro milioni di ‘rari’) che non trovano allocazione in un simile girone infernale vagano da uno specialista all’altro, con esami costosi, che – incredibile ma vero – vanno a dissanguare le loro tasche e quelle dei loro corregionali, manentendo funzionanti interi reparti che senza questo vagare non avrebbero ragione di esistere.
E tutto accade mentre nel Lazio vige una delle Irperf più gravose d’Italia, mentre oltre il 40% della popolazione è anziano, con il risultato che chi oggi contribuisce vede gran parte delle risorse destinate non a se o ai propri figli, bensì ai servizi geriatrici, come accade sia per la Sanità che per il Welfare.

E poi, c’è la questione che un privato assumerebbe un medico come direttore sanitario, un manager come direttore amministrativo. Una questione di buon senso, giusto? A Roma no e non solo lì.
Una vera e propria occupazione dei vertici amministrativi, se accade che siano dei laureati in medicina (e non in economia) a coordinare management, servizi, prestazioni, forniture eccetera per milioni e milioni di euro e di persone. Una mostruosità facile da comprendere, se si sa che i dirigenti scolastici non possono accedere a qual livello di dirigenza, soprattutto perchè molti non hanno le lauree in diritto o economia e che nel Lazio si rende possibile grazie a quasi quindici anni di Commissariamento più o meno ininterrotto.

Cosa pensare se la norma ha previsto un Commissario ad acta se la politica è incapace a governare /risanare e ci ritroviamo che il Presidente della Repubblica ha nominato non un manager, non un notabile o un contabile, ma lo stesso Presidente della Regione che è finita nel commissariamento e che questo accade praticamente da 15 anni?
Prendiamo atto che dietro l’opaco scudo di un Commissarimento ‘politico’ ed ‘eterno’, tutto il Sistema Sanitario del Lazio è in mano a laureati in medicina (non politici, non manager), cosa che ci indica ‘senza se e senza ma’ quale sia l’origine del problema.

Ma al peggio non c’è limite, perchè lo stesso problema lo ritroviamo in Parlamento, dove circa il 10% degli eletti proviene dal sattore sanitario, e al Senato, dove la Commissione Igiene e Salute è composta quasi completamente da ‘tecnici’ e non ‘politici’: su 28 componenti ben 13 sono medici, altri 5 sono biologi, farmacologi o infermieri e sono 6 i dipendenti di Inps o enti locali. Solo due gli esponenti di partito e due gli economisti.
Zero esponenti dell’associazionismo (malati e/o consumatori). Zero rappresentanza per ricerca (scienza) e mondo civile (etica). Di cittadini ‘qualunque’ zero, proprio zero. Zero, persino, le onnipotenti case farmaceutiche.

Se qualcuno si chiedeva chi/cosa rappresentasse la Casta nel Parlamento eletto nel 2013, questo potrebbe essere un indizio rivelatore. Anche perchè … grazie ad una recente norma, se un medico lascia uno sbrego a un malato (colpa lieve) praticamente non gli capita nulla, mentre se lo fa un genitore al figlio o un insegnante ad un alunno son sette anni di guai.
Ma il colmo è che, andando per tribunali, con buona parte della PA che ogni tanto incappa in qualche sentenza, accade che non v’è traccia di sanitari che incappino in irregolarità amministrative pur essendo cartelle e certificati atti come tutti gli altri. Come sia possibile, dato che molti potrebbero non aver studiato una riga di diritto, resta un mistero, ma i risultati del ‘va tutto bene’ … ce li troviamo poi nelle fatture e nei ticket per i farmaci e i laboratori.

Con uno scenario così – e ci siamo soffermati solo sugli aspetti ‘strutturali’ – non ci vengano a parlare di ‘tagli alla sanità’ chiedendo al governo di sborsare altri 4 miliardi che verranno sottratti agli esodati, ai pensionandi ed ai giovani disoccupati che attendono, per salvare posizioni apicali e dirigenziali mentre si tagliano i servizi ai malati.
Iniziamo, dunque, a parlare di tagli del personale sanitario, almeno per quanto riguarda coloro che abbiano l’età di pensionamento e/o doppi incarichi, se vogliamo dare più servizi con meno spese iniziamo a fare reparti e ambulatori dove ci sono due infermieri, un medico assistente e un medico strutturato, come ovunque, e non un infermiere e tre medici, di cui due primari ed uno pensionato riconfermato … e pretendiamo che tutti sappiano usare il computer a menadito, che già per stampare un’impegnativa, a volte è un’avventura.

E basta commissariamenti ‘politici’: o la Politica ci mette la faccia oppure – se i conti non tornano – che intervegano i pubblici ministeri od i super magistrati come Cantone, come per tutto il resto della pubblica amministrazione.

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Sanità Lazio: addio Commissario Zingaretti?

15 Gen

Un chiaro esempio di come vada la Sanità nel Lazio sono le prestazioni per le malattie rare che, essendo pagate direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), non dovrebbero subire nè tagli nè limitazioni da parte dei Servizi Sanitari Regionali (SSR).
Allo stesso modo, le Aziende Sanitarie Locali dovrebbero fare a gara per accaparrarsi questi malati e queste prestazioni, talvolta costose e comunque lucrative. Inoltre, un malato raro (e cronico) porta con se una serie di accertamenti, consulenze e altre terapie che sono ben programmabili e, dunque, si rendono più efficienti /economiche.
Non dovrebbe esistere motivo, dunque, per il quale un malato raro dotato di una prescrizione redatta da un Centro Interregionale o Nazionale (non un mero centro di riferimento regionale, attenzione) non possa accedere alle cure presso una ASL o un ospedale generale: paga tutto il Ministero.

Eppure, in alcune regioni tra cui il Lazio questo accade.
Ed è davvero difficile comprendere per quale motivo una qualunque azienda pubblica o privata rifiuti di assistere – come per altro sarebbe tenuta – un malato che porta con se tra i 30 e i 50.000 euro annui di prestazioni, di cui larga parte pagata cash dallo Stato.

Esistono, però, alcune evidenze che possono aiutarci a capire:

  1. gerontocrazia, tanta gerontocrazia, se scopri che interi reparti e schiere di malati sono affidati a medici che sono nati nel 1948 o giù di lì, dimenticando che si va in pensione anche per sopravvenuti limiti di età biologica e tecnologica, senza dimenticare che nelle malattie rare conta tanto il metabolismo e i meccanismi di sintesi, la genetica, la biochimica e tante altre cose che hanno preso piede solo dagli Anni ’80
  2. assenza di meritocrazia, efficienza e – di conseguenza – minore efficacia delle prestazioni: la madre di tutti gli sprechi. Si campa per lo stipendio a fine mese, per le eterne ‘scalate’ aziendali e di corridoio o per posizione consolidata, visto che chi sta sopra non va mai in pensione e chi sta sotto resterà sotto. I malati e le malattie new entry possono attendere
  3. occupazione dei vertici amministrativi, se accade che siano dei laureati in medicina (e non in economia) a coordinare management, servizi, prestazioni, forniture eccetera per milioni e milioni di euro e di persone. Un privato una cosa così non la penserebbe neanche sotto minaccia: un medico come direttore sanitario, un manager come direttore amministrativo. O no?
  4. gravissimi (potenziali) conflitti di interessi, se ad esempio nessuno verifica che le associazioni dei malati che raccolgono il 5xmille non coincidano, in un modo o nell’altro, con il medico del reparto o l’ospedale e se, peggio, il farmaco ‘orfano’ in quella regione sia una sorta di monopolio ed il centro pubblico operi in realtà come fosse un sub-distributore
  5. carenze del Contratto di lavoro dei medici, che possono essere adibiti a mansioni diverse, ma solo “fatte salve le eventuali specializzazioni di cui è in possesso ed esercitate all’interno della Struttura sanitaria”. Ad essempio, se vent’anni fa assumemmo tanti cardiologi e gastrenterologi ed oggi la prevenzione e i farmaci migliori ne hanno ridotto l’esigenza, teniamo aperti lo stesso i loro reparti consumando le risorse che andrebbero ai ‘nuovi’ settori e specialità mediche e raccondando ai cittadini che la colpa è dei tagli
  6. ritardo epocale, grazie ad un sistema universitario baronale e autoreferenziale. Basti dire che il sistema dei punteggi e il correlato concetto di invalidità è lontano anni luce da quanto l’Italia ha siglato in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994. Noi siamo ancora allo ‘sciancato’, al ‘gobbo’, al ‘cecato’ …

I malati rari sono soo la cartina al tornasole di questa storia, ma il risultato è che i malati (rari e ‘comuni’) che non trovano allocazione in un simile girone infernale vagano da uno specialista all’altro, con esami costosi, che – incredibile ma vero – vanno a dissanguare le loro tasche e quelle dei loro corregionali, manentendo funzionanti interi reparti che senza questo vagare non avrebbero ragione di esistere.

Dati spreco Sanità Lazio
Secondo i dati pubblicati dal Fatto Quotidiano, il Lazio spende lo 0,3% in meno rispetto alla media nazionale per l’assistenza di base, ma riesce a spendere quasi il 50% in più (11,4% contro il 7,5%) se parliamo della spesa ospedaliera in questione.
No matter, è lì il problema maggiore.

Questo il motivo per il quale il Lazio taglia posti letto e prestazioni ai malati, ma non posti di lavoro. Secondo questa logica, ma non la nostra, costerebbe di più azzerare un reparto o un ambulatorio, che ‘si ripagano mentre funzionano’, piuttosto che ridurrre di uno specialista, pagato decine e decine di migliaia di euro all’anno, se non centinaia, un reparto dove ce ne sono già sei o sette della stessa specialità.
Oppure continuare a riconfermare medici ormai ultrasessanticinquenni e pure pensionati su incarichi, funzioni e poltrone che – di norma – dovrebbero almeno essere occupate da personale in effettivo servizio, che percepisce uno stipendio anche dimezzato rispetto ai soliti ‘ex sessantottini’.
Perchè tenerci un medico di sessanticinque anni a passa, che ha difficoltà persino con la posta elettronica, quando ne potremmo avere uno di quaranta con pedegree internazionale a metà del costo, senza dover licenziare due ausiliari o chiudere un ambulatorio oppure alzare Irperf e ticket?

Così accade che a Roma si chiuda per un cavillo il centro infusionale del Fatebenefratelli, l’unico esistente in una ASL RMA con oltre un milione di persone, a vantaggio del centro trasfusionale di cui c’è ampia presenza sul territorio. Ovviamente, da un lato c’è il vantaggio finanziario del sangue raccolto e dall’altro c’è la spesa per un servizio offerto.

E che pensare della Asl di Rieti prevede indennità e rimborsi spese per gli organi direttivi, che hanno un’incidenza tre volte superiore alla media regionale con una spesa di ben 2 milioni di euro, come dell’ospedale San Filippo Neri dovve le spese di pulizia sono quasi cinque volte superiori alla media laziale, già di suo non bassa.
Vogliamo scherzare se la Asl Roma B spende addirittura cinque milioni per assistenza tecnico-programmatica e quasi tre per la vigilanza?

Come anche capita che centinaia di malati di reumatologia si ritrovino dispersi da un giorno all’altro in diversi siti sanitari cambiando specialista di riferimento. Oppure che si tengano aperti reparti di gastroenterologia che fanno gastrocolonscopie e poco più con un ritmo che è la metà di un sito privato … mentre a pochi minuti c’è un altro ospedale che offre ben due reparti per le stesse patologie.

Peggio che mai in qualche policlinico universitario, dove per parlare con lo specialista di riferimento, dovete superare due o tre livelli di medici specializzandi che devono valutarvi, ma specializzati ancora non sono.
E le prebende non mancano. Ad esempio il Sant’Andrea spende per premi di assicurazione 5 milioni di euro, a caussa delle polizze per responsabilità civile professionale dei sanitari, che sono a carico dei singoli lavoratori al San-Giovanni-Addolorata, al policlinico Umberto I e all’Ifo, che spendono un decimo.

Dati spreco ASL Lazio

Oppure che ci siano malati – non pochi – che non ricevono le prestazioni prescritte da altre regioni o che vengano costretti a recarsi a notevole distanza dalla propria abitazione anche se hanno un ospedale generale a tre metri.
Per non parlare dei farmaci orfani che sono negati alle strutture private, in modo che chi ha una assicurazione privata sia costretto a rivolgersi al pubblico incrementando … la spesa pubblica, che al momento è una delle più alte d’Italia con 153 euro pro capite di maggiore spesa rispetto alla media nazionale.

Il Forlanini è ormai struttura dismessa, ma la cosa viene annunciata quasi con gioia. Il Ministero dell’Economia va a sborsare 65 milioni di euro da devolvere al sistema sanitario regionale e la stampa di settore, finanziata dalla politica con il sudore delle nostre tasse, quasi elogia il Commissario Zingaretti che ha sforato un’altra volta.

Peggio, i diversi scandali delle forniture o delle coop servizi in diversi ospedali romani che non sono correlati a Mafia Capitale solo perchè scoperti uno o due anni prima.
Pessimamente, infine, il rischio ambulanze che non portano i malati dove sono disponibili i farmaci salva-vita, ma solo negli ospedali prefissati, oltre al fatto che in certi giorni a certe ore c’è qualche corteo ‘antagonista’ che vi blocca nel traffico a sirene speigate.
Da oblio, la vicenda della situazione di caos dei pronto soccorso della regione, nota agli italiani da mesi grazie ai inchieste televisive, ma sembrava ignota al presidente Zingaretti fino a pochi giorni fa.

Perchè allora non arriva un’azione di risanamento da parte dei nostri governi e perchè alcuni governatori regionali latitano sull’argomento, visto che perdono consenso a causa dei tagli iperbolici, dei disservizi e degli sprechi della macchina sanitaria, più Irperf e ticket maggiorati?
E’ presto detto: quasi un decimo dei nostri parlamentari e più della metà dei senatori della Commissione Igiene e Salute lavora(va)no nel settore sanitario, persino i vertici amministrativi siano occupati da personale sanitario, intaccare i privilegi contrattuali dei nostri medici è  una via sbarrata dai sindacati e, al momento, non è il caso di trovarsi anche gli ospedali chiusi per sciopero.

Se qualcuno si chiedeva chi/cosa rappresentasse la Casta nel Parlamento eletto nel 2013, questo potrebbe essere un indizio rivelatore: neanche un rappresentante dei malati nella Commissione del Senato che si occupa dei servizi loro erogati. E, con il prossimo parlamento, le cose potrebbero andare anche peggio.
Una lobby talmente potente – nei salotti, in parlamento e … per il commercio di fascia medio-alta … – che persino Papa Francesco, vescovo di Roma, ancora non si indigna perchè nella sua città i malati non vengono curati, non almeno come prevederebbe il Vangelo o come avviene in altre località italiane.

Roma e il Lazio, uno strano limbo che – dopo averne emanate le leggi in Parlamento – inizia solo da poco a scoprire che l’universo amministrativo si è dematerializzato e che se non usi il pc almeno decentemente sei ‘out’. Un luogo dove ancora si legge su delibere e determine che informatizzare registri, cartelle, circolari e avvisi è ‘impossibile’, anche se mezzo mondo l’ha già fatto.
Un bastione della resistenza al moderno – se ne scriveva già prima della Modernità – dove aleggia il terrore che una qualunque indagine tra quelle in corso potrebbe aprire ulteriori filoni, come se non bastassero quelli già scoperti a suggerire un ricambio profondo non solo della politica, ma anche dell’alta dirigenza. Anche di questo se ne scriveva già nei secoli dei secoli.
Una regione dove, soprattutto, i servizi sanitari vanno male e aumenta la quantità di residenti che si rivolgono a centri d’eccellenza fuori regione, mentre i calanti servizi che dovrebbero andare ai laziali sono destinanti – in alcuni reparti spesso – a malati che arrivano da regioni ancor peggio messe.

Tutto mentre nel Lazio vige una delle Irperf più gravose d’Italia, mentre oltre il 40% della popolazione è anziano, con il risultato che chi oggi contribuisce vede gran parte delle risorse destinate non a se o ai propri figli, bensì ai servizi geriatrici, come accade sia per la Sanità che per il Welfare.

Quanti voti perderà la Sinistra nel Lazio grazie a Zingaretti non è dato saperlo, nel partito c’è Ignazio Marino che allontana consensi alla grande: saranno le elezioni – se pensa davvero di ripresentarsi – a dircelo.
Il punto è, piuttosto, quanti consensi perderà in Italia il Partito Democratico se continuasse a far riforme che ‘esentano’ la Capitale dal rispettarle e se Matteo Renzi non troverà il modo di superare situazioni eclatanti come quella della Commissione Igiene e Salute del Senato, dove i tecnici occupano in toto lo spazio riservato alla politica.

Quella del mantenimento della Riforma Fornero – che pochi giori fa ha ‘automaticamente’ portato l’età pensionalbile di tutti a 42 e dieci mesi – è un marchio indelebile per un partito che fa dell’equità e della negozialità la propria immagine e la propria base di consenso.
Lasciare la Sanità nella situazione in cui versa in alcune regioni è peggio che una vergogna, essendo neanche  un’economia, ma solo un salasso finanziario per Stato e privati cittadini.

A proposito, cosa pensare se la norma ha previsto un Commissario ad acta nel constatare l’incapacità della politica a governare /risanare e ci ritroviamo che il Presidente della Repubblica ha nominato non un manager, non un notabile o un contabile, ma lo stesso Presidente della Regione che è finita nel commissariamento e che questo accade praticamente da 15 anni?

Come disse Benitez dopo il goal in triplo fuorigioco della Juventus … ci può stare.
Però, almeno prendiamo atto che questi sono i risultati di un Commissarimento ‘politico’ quando dura oltre quel tot di mesi che è naturale … non serviva molto per prevederlo ed è già un miracolo che non sia finita come in Campania per i rifiuti.

Adesso basta, si ponga fine al Commissariamento e che la Politica ci metta la faccia, se ne ha ancora una dopo 15 anni di assenza.

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Medical malpractice and healtcare waste in Italy

8 Gen

One of the basic requirements of a democracy is that to propose rules and make the decisions are the politicians elected by the people, the technicians are allowed to be minister, stop.
One of the requirements of good administration is to not put in the role of decision-makers who are in clear conflict of interest.

medico_della_mutua_alberto_sordi_luigi_zampa_007_jpg_vgcdThe Italian healthcare is plagued by hundreds of thousands per year medical malpractices reported by the insurance companies and, at least from Rome to South, services are often inefficient, ineffective if not random.

Soo, it will not seem incredible, if the Health Commission of the Italian Senate is composed almost entirely by ‘technical’ and ‘political’: on 28 members 13 are doctors, other 5 are biologists, pharmacologists or nurses and another 6 are employees of local healthcare /welfare authorities . Just two representatives of the parties and two economists.

Zero representatives of associations (patients and / or consumers). Zero representation for the research (science) and the civilized world (ethics). Citizens zero, just zero. Zero, even, the omnipotent pharmaceutical companies.

Meanwhile, the Italian Healthcare spends nearly 10% of our GDP,  rare patients are at least four millions, invalids not minus than 6 millions, one third of over 55 y.o. workers are in ‘not good state of health’ (according officil datas), the monopoly of State on insurance system (INPS) conditions the existence of those who are elderly, those who are sick and those without work. Pratically, every ‘real’ person.
Today, in the middle of the Italian regions residents will pay taxes and increased tickets for services well below those of the other half of the regions, where residents pay less for more.

But the Parliament leaves our Healt(care) in the same hands that have built this crazy and expensive game: Health and Hygiene are off limits for mere mortals, so to limit the cost (and the rights of the sick and disabled) … there is on purpose ‘Pantalon ‘Monti.

It’s Italy and this is just one example about the will of Italian Establishment to repair anything and to re-start the nation.

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Sanità italiana: lo scandalo finale

8 Gen

Uno dei requisiti base della democrazia è che a proporre norme e prendere le decisioni siano i politici eletti dal popolo, ai tecnici al massimo è consentito far da ministro.
Uno dei requisiti della buona amministrazione è quello di non mettere nel ruolo di decisori chi si trovi in palese conflitto di interesse.

La Sanità pubblica italiana è afflitta da centinaia di migliaia di casi di malasanità riscontrati dalle compagnie assicuratrici e, almeno da Roma inclusa a scendere lungo lo Stivale, i servizi sono spesso inefficienti, inefficaci se non aleatori.

medico_della_mutua_alberto_sordi_luigi_zampa_007_jpg_vgcdE, sembrerà incredibile, la Commissione Salute del Senato è composta quasi completamente da ‘tecnici’ e non ‘politici’: su 28 componenti ben 13 sono medici, altri 5 sono biologi, farmacologi o infermieri e sono 6 i dipendenti di Inps o enti locali. Solo due gli esponenti di partito e due gli economisti.

Zero esponenti dell’associazionismo (malati e/o consumatori). Zero rappresentanza per ricerca (scienza) e mondo civile (etica). Di cittadini ‘qualunque’ zero, proprio zero. Zero, persino, le onnipotenti case farmaceutiche.

Intanto, la Sanità spende quasi il 10% del nostro PIL, solo i malati rari sono almeno 4 milioni, un terzo degli over55 al lavoro è secondo l’Istat in ‘condizioni di salute non buone’,  l’Inps condiziona l’esistenza di chi è anziano, di chi è malato e di chi non ha lavoro.
Oggi, in metà delle regioni italiane si pagano imposte e ticket maggiorati a fronte di servizi ben inferiori a quelli dell’altra metà delle regioni, dove si paga meno per avere di più.

Ma il Parlamento lascia che se la cantino e se la suonino da soli, gli addetti del settore: Igiene e Sanità sono off limits per i comuni mortali, tanto a limitare i costi (e i diritti di malati e di invalidi) … ci pensa ‘Pantalon’ Monti che sta lì apposta.

E con una situazione del genere – inaccettabile ma inammissibile – Matteo Renzi vorrebbe arrivare fino al 2016 senza metter mano a ministeri e commissioni, ovvero senza rimpasto di governo?

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Composizione della Commissione Igiene e Salute del Senato

  • BIANCONI Laura, AP (NCD-UDC)    Capodipartimento alla Sanità per la Regione Emilia-Romagna
  • VALDINOSI Mara, PD    Funzionario Provincia Forlì-Cesena
  • TAVERNA Paola, M5S    Impiegata settore sanitario privato
  • MATURANI Giuseppina, PD    Impiegato ente locale
  • GRANAIOLA Manuela, PD    Dirigente INPS
  • DE BIASI Emilia Grazia, PD    Dirigente di partito
    VOLPI Raffaele, LN-Aut    Funzionario di partito
  • DIRINDIN Nerina, PD    Economista
  • MONTI Mario, SCpI    Economista
  • ROMANI Maurizio, Misto, Movimento X    Medico
  • SCAVONE Antonio Fabio Maria, GAL     Medico
  • SCILIPOTI ISGRO’ Domenico, FI-PdL XVII    Medico
  • VICECONTE Guido, AP (NCD-UDC)    Medico
  • PADUA Venera, PD    Medico ASL
  • FUCKSIA Serenella, M5S    Medico del lavoro
  • RIZZOTTI Maria, FI-PdL XVII    Medico specialista in chirurgia plastica
  • ZUFFADA Sante, FI-PdL XVII    Medico veterinario
  • FLORIS Emilio, FI-PdL XVII    Medico, dirigente
  • AIELLO Piero, AP (NCD-UDC)    Medico, dirigente sanitario
  • ROMANO Lucio, Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE     Medico ginecologo ostetrico, docente universitario di medicina e chirurgia, docente in bioetica
  • BIANCO Amedeo, PD    Medico Presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Torino e della Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri
  • D’ANNA Vincenzo, GAL     Medico Presidente nazionale FEDERLAB
  • D’AMBROSIO LETTIERI Luigi, FI-PdL XVII    Presidente Ordine dei Farmacisti di Bari/Bat
  • CATTANEO Elena, Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE    Professore ordinario di farmacologia
  • MATTESINI Donella, PD    Assistente sociale
  • SILVESTRO Annalisa, PD    Infermiere
  • SIMEONI Ivana, M5S    Infermiere
  • ANITORI Fabiola, AP (NCD-UDC)    Insegnante, biologo

Stefano Cucchi la punta di un iceberg: quali tutele per i malati italiani?

7 Nov

La Stampa una frase particolarmente significativa del dottor Paolo Arbarello – il perito verso il quale la famiglia del povero Stefano Cucchi oggi reclama: «Non è stato semplice muovere rilievi a dei colleghi».

Prendiamo atto: in Italia non è affatto semplice per dei medici «muovere rilievi a dei colleghi» – figurarsi accusare – neanche se c’è da fare giustizia per un morto ammazzato. A dirlo è l’ex direttore di medicina legale della Sapienza.
Sarebbe, dunque, bello che l’Ordine dei Medici e il Ministero della Salute rassicurassero noi comuni mortali quanto meno monitorando affinchè i medici non diventino ancor più – nell’immaginario collettivo – un’ avida, sprecona e omertosa casta di cui sani e malati devono diffidare.

E sarebbe anche cosa urgente, se Stefano Cucchi, dopo ben due passaggi in ospedale, «è morto per il dolore tremendo alla colonna vertebrale ed all’addome per un globo vescicale di urina di ben un litro e mezzo che gli ha prodotto lacerazioni interne». Non basta che i medici coinvolti nel caso Cucchi furono giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo: se accade una cosa del genere ad un epilettico significa che nei due Pronti Soccorsi erano saltati tutti i protocolli …

Come anche un pestaggio in carcere non dovrebbe – ma può – accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto: la sociologia ha ampiamente dimostrato la problematica. Ma non deve assolutamente accadere che vada impunito che si infierisca – senza intenzione di uccidere ma con brutalità – su un tossicodipendente, epilettico e denutrito: non fu un caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.
Non si comprende davvero come gli autori del pestaggio siano andati assolti anche dal semplice reato di percosse.

Una questione che non riguarda solo i detenuti o i malati di epilessia – e altre malattie ‘convulsive’ – come Stefano Cucchi.
Avere difficoltà a «muovere rilievi a dei colleghi» riguarda tutti – malati, pubblici impiegati, cittadini e giovani in cerca di lavoro – se poi va a finire che si da la caccia ai falsi invalidi ma poi scopriamo che l’Istat dichiarava per il 2012 che una buona fetta dei lavoratori over55  soffriva di almeno due patologie di rilievo e un terzo era in ‘condizioni di salute non buone’.

I medici e le strutture sanitarie di questi malati provvedono di norma ad informarli dei loro diritti e delle opportunità previste, consegnandogli certificazioni dettagliate e prescrivendo tutele adeguate? E questi malati – se voglio agire a tutela dei propri interessi – riescono a trovare dei medici che non abbiano serie difficoltà a «muovere rilievi a dei colleghi»?
Se sono ancora al lavoro, invece che in pensione liberando posti, e se l’Inps conta 6 milioni di invalidi – mentre la media dovrebbe essere di 8,5 se applicassimo gli standard europei – è evidente che almeno una parte dei malati non ha pieno accesso ai propri diritti per errore o negligenza medica nell’informazione e nella canalizzazione del paziente all’interno del sistema sanitaario , ovvero nella gestione ‘burocratica’ (che burocratica NON è) del malato.

Come sarebbe la crisi italiana se i nostri medici avessero operato almeno da dieci anni nel rispetto delle norme europee, in modo da garantire il dovuto accesso per i malati – anziani o meno – con serie situazioni invalidanti ai propri diritti ? Quanti posti di lavoro in più avremmo, quanta liquidità circolante ci sarebbe, quanta automazione e semplificazione avremmo guadagnato nel turn over?
Quanto ci costa non riconoscere i nostri malati e/o non tutelarli adeguatamente dall’errore e dalla negligenza medica in sede di informazione e di indirizzamento, come di prescrizione e di tutele?

E perchè lo Stato non interviene se uno dei migliori medici legali d’Italia precisa che non è «semplice muovere rilievi a dei colleghi», ma lo stesso non accade se si tratta di categorie come ingegneri, chimici, biologi, magistrati, avvocati eccetera?
Perchè su Stefano Cucchi – epilettico e tosssicodipendente – le associazioni dei malati taccciono?

leggi anche Stefano Cucchi, le colpe di tutti

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