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Reddito di base: una soluzione liberale

8 Gen

Arriva il gelo e chi più esposto muore.

homeless
Subito decollano i confronti con i circa 1.000 euro al mese (30 € circa al giorno) erogati per i profughi stranieri, dimenticando le decine e decine di miliardi – prelevati dai nostri redditi e dai nostri consumi – che spendiamo per il settore socio-sanitario ‘privato’ (enti morali, aziende o società che siano) … quali sono Inps, onlus e policlinici universitari fino alla (certamente benerita) Caritas.

Eppure, dal mondo liberal sono emerse, da oltre cinquant’anni, non poche proposte di reddito di base, tra cui – ad esempio – quella di Friedrich von Hayek.

“Pochi metteranno in dubbio che soltanto questa organizzazione [dotata di poteri coercitivi: lo Stato] può occuparsi delle calamità naturali quali uragani, alluvioni, terremoti, epidemie e così via, e realizzare misure atte a prevenire o rimediare ad essi”.

Per questa ragione, appare del tutto evidente “che il governo controlli dei mezzi materiali e sia sostanzialmente libero di usarli a propria discrezione” … “vi è ancora – scrive Hayek – tutta un’altra classe di rischi rispetto ai quali è stata riconosciuta solo recentemente la necessità di azioni governative, dovuta al fatto che come risultato della dissoluzione dei legami della comunità locale e degli sviluppi di una società aperta e mobile, un numero crescente di persone non è più strettamente legato a gruppi particolari su cui contare in caso di disgrazia.
Si tratta del problema di chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in un’economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani – cioè coloro che soffrono condizioni avverse, le quali possono colpire chiunque e contro cui molti non sono in grado di premunirsi da soli, ma che una società la quale abbia raggiunto un certo livello di benessere può permettersi di aiutare”.

Successivamente, James Meade – nella sua nota analisi della compatibilità degli obiettivi di piena occupazione ed equilibrio della bilancia dei pagamenti, da tenere strettamente separate all’incontrario di come facciamo noi – elabora il concetto di “dividendo sociale”, ipotizzando che, in una società dal lavoro sempre più scarso, parte dei proventi del reddito personale non avrebbero più potuto essere coperti dal reddito da lavoro, proponendo pertanto un nuovo modello socioeconomico che include tra i suoi istituti anche un dividendo sociale, e cioè un beneficio pubblico indipendente dal contributo lavorativo personale ed uguale per tutti i cittadini.

Nel 1985 La Revue Nouvelle belga pubblica un numero monografico sul tema del reddito di base dal titolo “Une reflexion sur l’allocation universelle”, proponendo l’alleggerimento della legislazione sul lavoro, l’eliminazione del limite di età pensionabile e la sostituzione di ogni altra forma di welfare con un un reddito che fosse da solo sufficiente a coprire tutte le esigenze standard di una persona single.
Incredibile a dirsi, ma proprio questo modello è considerato incostituzionale dalla sinistra e dai sindacati nostrani …

Ma, se il settore sociosanitario ‘così com’è’ rappresenta un bacino di consenso primario per il PD ed i sindacati come per i Cinque Stelle, quel che non si comprende davvero è perchè il Centrodestra e – soprattutto la Destra – dimenticano del tutto la soluzione liberista del ‘reddito di base’, in un paese in piena deriva populista, con milioni di poveri e di sottoccupati, mentre l’economia stenta ad uscire dall’inviluppo della stagnazione e dell’overflow pubblico.

Stato Minimo: alleggerimento della legislazione sul lavoro, eliminazione del limite di età pensionabile, libera assicurazione dei lavoratori, sostituzione di ogni altra forma di welfare con un un reddito di base !
 
Demata

Socialismo e capitalismo: un laboratorio letale

18 Giu

L’Istituto Ludwig Von Mises ha pubblicato, oggi, una lunga ed accurata analisi (link) di Gary North, riguardo la comprovata velleiterietà delle idee socialiste, avverse alla proprietà privata e assertrici di una governance condivisa.

Nulla di più vero di quanto descritto nel testo, ovvero che ‘la natura del fallimento del socialismo non viene insegnata nei libri di testo universitari. L’argomento viene sorvolato ove possibile‘ e che ‘ il mondo accademico è impegnato ufficialmente con l’empirismo. Pensa che i test statistici debbano confermare la teoria. I  test sono andati avanti per decenni. Le economie socialiste li hanno falliti e poi hanno pubblicato false statistiche. Ma gli intellettuali dell’Occidente insistevano ancora sul fatto che l’ideale socialista era moralmente sano. Insistevano che i risultati alla fine avrebbero dimostrato che la teoria era giusta‘.

Dunque, acclarato che il socialismo è una dottrina economica e sociale ‘campata per aria’ – come quasi 100 anni di statistiche dimostrano – varrebbe la pena di capire se la tanto somigliante democrazia non sia altrettanto o peggio nociva, ma soprattutto, sarebbe bello verificare se il capitalismo funzioni.

Argomenti troppo complessi per un post su un blog, ma anche troppo importanti per poter essere elusi.

Così, giusto per contribuire al dibattito, potremmo iniziare a notare che le democrazie che ‘funzionano’ sono tutte o quasi delle monarchie costituzionali  e, se non lo sono, il sistema prevede un presidenzialismo od un premierato ‘forte’.

In poche parole, in uno stato come la Germania, i ‘decisori’ effettivi – per oltre 80 milioni di cittadini – non sono più di 200 persone: chiamarla democrazia è davvero difficile, specialmente se i ‘decisori’ provengono dagli stessi ambienti sociali, dalle stesse scuole, dalle stesse università. Oligarchia, dunque, ed anche più ‘restricted’ di quella che possiamo trovare in Inghilterra, Olanda, Belgio, Svezia, Norvegia, Spagna dove esistono dei monarchi con le loro corti ed i loro possedimenti.

Molto deludente, non c’è che dire, e non abbiamo toccato il dolentissimo tasto ‘cleptocrazia’.

Andando al Capitalismo, anche in questo caso è evidente che non funzioni.

Infatti, quello che abbiamo davanti non è quell’intreccio di investimenti e risorse tecniche – di cui parlava Arturo Labriola – che trae economicità e conformità dalla produzione di massa in grandi complessi industriali grazie alla creazione di una ‘klasse’ di nuovi lavoratori, gli operai.

Oggi, il capitalismo è delocalizzazione industriale (selvaggia) ed a bassa specificità, speculazione finanziaria e volatilità monetaria, aggressione sempre più vorace delle risorse naturali (non rinnovabili). Un sistema che si regge sugli enormi flussi finanziari del riciclaggio (specialmente russo) e delle tangenti (appalti e non solo).

Basti dire che, ormai, quasi tutte le banche nazionali sono di proprietà degli investitori. Una moneta ‘di mercato’, ancor meno preziosa (dopo oro ed argento) della carta: digitale, immateriale.

Un sistema che si basa sull’accettazione da parte degli individui di compartimentare la propria esistenza e la propria quotidianità in funzione del lavoro e dei consumi che gli vengono concessi, quasi esclusivamente, in base alle ‘etnie’ (origini sociali) ed agli ‘stili di vita’, per come vengono resi disponibili e/o di quanto sono accettati dal ‘sistema’.

Ed in un capitalismo – come in un socialismo, del resto – vincono sempre i ‘predestinati’. Anche questo è un dato.

Dunque, parafrasando Gary North, chiedo “qual è il più longevo esperimento capitalista di successo? Se qualcuno vi chiedesse di controbattere l’idea secondo cui il capitalismo ha fallito, che cosa offriste come vostro esempio?”

Mises credeva che la bontà dei risultati stesse nelle ricette e non bisognasse “provare per credere”. Se si aggiunge sale invece di zucchero, non sarà dolce. Ma il mondo accademico è impegnato ufficialmente con l’empirismo.”

Arturo Labriola considerava capitalismo, industrialesimo e socialismo come tre effetti di uno stesso processo, che – fatta salva l’aspettativa di vita – in questi ultimi 100 anni ci ha sottoposto a guerre mondiali, terrori e terrorismi, inquinamento e devastazioni, cospirazioni e speculazioni finanziarie, cleptocrazie, sistemi totalitari, mafie, narcomafie e chi più ne ha più ne metta.
Un sistema che non riguarda il ‘sud del mondo’ che, come la Storia dimostra, è considerato come una sorta di serbatoio, se va bene, ed una specie di sentina, se va male.

Ben venga, allora, l’empirismo e che i nostri ‘professori’ – statistiche alla mano – prendano atto del disastro e cambino rotta: il mondo non può continuare a ‘crescere’ e, senza ‘crescita’, niente mercati e niente economia di mercato …

Tutto sbagliato, tutto da rifare.

originale postato su demata