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Stefano Cucchi, le colpe di tutti

7 Giu

Stefano Cucchi – in data giovedì 15 ottobre 2009, verso le ore 23.30 – viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti, a Roma, e trovato in possesso di un modesto quantitativo di droga, una ventina di grammi di cocaina e hashish in tutto.

Incredibile a dirsi, ma Stefano Cucchi – tossicodipendente ed epilettico con qualche spicciolo di droga in tasca – viene sottoposto a “custodia cautelare in carcere”, che è la forma più intensa di privazione della libertà personale in tema di misure cautelari.
Una misura, prevista dall’art. 275 del Codice di Procedure Penale, da applicare solamente quando ogni altra misura risulti inadeguata, ovvero solo in tre casi, cioè pericolo di fuga e conseguente sottrazione al processo ed alla eventuale pena, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di turbamento delle indagini.

Al momento dell’arresto, il giovane non aveva alcun trauma fisico e pesava 43 chilogrammi per 176 cm di altezz, ma, il giorno dopo,16 ottobre, quando viene processato per direttissima, aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava inoltre evidenti ematomi agli occhi.
Nonostante la modesta quantità di stupefacenti in suo possesso, la lunga storia di tossicodipendenza, l’epilessia, la denutrizione, il giudice stabilisce una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che Stefano Cucchi rimanesse per tutto questo tempo in custodia cautelare nel carcere romano di Regina Coeli.
C’era il sospetto che fosse uno spacciatore, come poi confermatosi grazie alla collaborazione dei genitori, che – dopo la morte del figlio – scoprono e consegnano 925 grammi di hashish e 133 grammi di cocaina, nascosti da Stefano Cucchi in una proprietà di famiglia.

Una scelta, quella della privazione della libertà, decisamente infausta, visto che già dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente e viene visitato presso l’ambulatorio del palazzo di Giustizia, dove gli vengono riscontrate “lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente” e dove Stefano dichiara “lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori”. Anche all’arrivo in carcere viene sottoposto a visita medica che evidenzia “ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione”.
Trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per effettuare ulteriori controlli, viene refertato per lesioni ed ecchimosi alle gambe, all’addome, al torace e al viso, una frattura della mascella,  un’emorragia alla vescica ed  due fratture alla colonna vertebrale.

Un quadro clinico gravissimo ed eloquente per il quale i sanitari chiedono il ricovero che però viene rifiutato dal giovane stesso, che nega di essere stato picchiato.
Stranamente, con una tale prognosi e l’evidenza biomedica di un brutale pestaggio nessuno dei sanitari intervenuti (in tribunale, nel carcere di Regina Coeli, nell’ospedale Fatebenefratelli) sente il dovere di segnalare al drappello ospedaliero ed a un magistrato la cosa, come accadrebbe, viceversa, se a presentarsi al Pronto Soccorso fosse – massacrato e reticente – un qualunque cittadino.

Stefano Cucchi, con un’emorragia alla vescica e due vertebre fratturate, ritorna in carcere. Il giorno dopo, 17 ottobre,  viene nuovamente visitato da due medici di Regina Coeli, trasferito al Fatebenefratelli e poi, all’ospedale Sandro Pertini, nel padiglione destinato ai detenuti.
Lì trascorre altri tre giorni in agonia, arrivando a pesare 37 chili, ai familiari vengono negate visite e notizie, muore ‘per cause naturali’ il 22 ottobre 2009.

Durante le indagini circa le cause della morte, ottenute con grande fatica dalla famiglia anche grazie ad un forte coinvogimento popolare, diversi testimoni confermarono il pestaggio da parte di agenti della polizia penitenziaria. Un testimone ghanese e la detenuta Annamaria Costanzo dichiararono che Stefano Cucchi gli aveva detto d’essere stato picchiato, il detenuto Marco Fabrizi ebbe conferma delle percosse da un agente,  Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti picchiare Cucchi con violenza (fonte Il Messaggero).

“Pestato nei sotterranei del tribunale. Nel corridoio delle celle di sicurezza, prima dell’udienza. Stefano Cucchi è stato scaraventato a terra e, quando era senza difese, colpito con calci e pugni”. L’omicidio preterintenzionale viene contestato a Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, sospettati dell’aggressione.  (fonte La Repubblica)

Traumi conseguenti alle percosse, che da soli non avrebbero, però, potuto provocare la morte di Stefano Cucchi. Per i quali non si aprono indagini immediate, nè in tribunale quando Cucchi si presenta in quelle condizioni, nè dopo quando rimbalza tra Fatebenefratelli e carcere, informando un magistrato.
Ed infatti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato adeguatamente il giovane.

Stefano Cucchi muore per il digiuno, la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche). Determinante fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato e tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante la semplice assunzione di zuccheri.

Un pestaggio in carcere non dovrebbe, ma può accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto. Che si infierisca con brutalità su un tossicodipendente, epilettico e denutrito è un abominio, non a caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.

Ma è davvero mostruoso che un malato trascorra la propria agonia in una corsia, dove dovrebbe essere monitorato, nutrito, curato, tutelato senza che nulla di tutto questo accada.
Una colpa gravissima che ricade tutta sui medici preposti e giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo.
Gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti – in primo grado – dall’accusa di lesioni personali e abuso di autorità con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

“Nonostante siano passati 25 anni da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e altre pene e trattamenti… inumani e degradanti, ancora nell’ordinamento italiano non è stato introdotto un reato specifico, come richiesto dalla Convenzione, che la sanzioni”. (Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Detenuto Ignoto).

Un vuoto legislativo che ci «colloca agli ultimi posti in Europa» denuncia Mauro Palma, presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. Un buco nero tornato alla ribalta dopo che i pm che indagano sui fatti di Bolzaneto legati al G8 di Genova sono stati costretti a contestare agli indagati solo l’abuso di ufficio. (fonte Corsera)
Una ‘problematica’ che si ripresenta, tra i tanti,  per Stefano Cucchi e per Federico Aldrovandi, per Giuseppe Uva (Varese), per Aldo Bianzino (Perugia), per Marcello Lonzi (Livorno), per Stefano Guidotti (Rebibbia), per Mauro Fedele (Cuneo), per Marco De Simone (Rebibbia), per Marcello Lonzi (Livorno), Habteab Eyasu (Civitavecchia), Manuel Eliantonio (Genova),  Gianluca Frani (Bari), Sotaj Satoj (Lecce), Maria Laurence Savy (Modena), Francesca Caponetto (Messina), Emanuela Fozzi (Rebibbia) e Katiuscia Favero (Castiglione Stiviere).

In effetti, nel 1987 Roma ratificò la convenzione Onu che vieta la tortura, ma in Italia non è mai stata fatta la legge in materia, nonostante già nel dicembre 2006 la bozza di legge era stata approvata alla Camera  e  nel luglio 2007 era stata licenziata dalla Commissione Giustizia del Senato. Intanto, nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno: un terzo per suicidio, un terzo per “cause naturali” e la restante parte per “cause da accertare”.

«Avrebbe dovuto approdare in aula nei giorni della crisi ma è stata lasciata morire. È necessario che il prossimo Parlamento metta tra le sue priorità l’approvazione del provvedimento che introduce il reato di tortura in Italia» auspica”. (Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone per i diritti nelle carceri)

Il ‘prossimo parlamento’ c’è e nel Padiglione detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini sembra siano rimasti solo tre medici, visto che i loro colleghi degli altri reparti hanno il diritto di rifiutare il trasferimento, , come accade per tanti altri servizi necessari ai cittadini.

Intanto, prendiamo atto che per Stefano Cucchi un intero ospedale non è riuscito a fornire un cucchiaio di zucchero (meglio una flebo di glucosio), che le lesioni gravi e l’abuso di potere ci sono state, ma non si sa chi le abbia perpetrate e, soprattutto, che nessuno dei medici le ha denunciate.

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Senza informazione non c’è democrazia

13 Giu

Ripubblico, in stralcio, un articolo (link) di Alessandro Citarella, segretario provinciale per Napoli del Partito del Sud .

Gli stessi poteri che vogliono che il Sud rimanga una colonia interna cercano di ridurre lo spazio democratico ed eliminare la pluralità delle fonti d’informazione.”

“E’ particolarmente interessante notare che esiste un fondamentale accordo, anche se tacito, fra gli attuali e i recenti governanti neoliberisti di centrodestra e quelli precedenti della coalizione pseudo socialdemocratica di centrosinistra, sia nella trasformazione in senso negativo della prassi politica, sia nella sottomissione degli interessi della popolazione rispetto a quelli della Banca Centrale Europea.

La stessa entrata dell’Italia nell’Euro, eseguita con condizioni capestro e di sicuro svantaggio per i lavoratori e per i risparmiatori, è stata gestita proprio dalla coalizione di partiti della coalizione pseudo socialdemocratica di centrosinistra, la quale, almeno in linea teorica, dovrebbe essere più vicina alle classi più deboli.

In questo quadro di riferimento, si è potuto assistere alla trasformazione dell’uso degli organi d’informazione, sia televisivi sia in carta stampata, che sono diventati dei semplici strumenti di propaganda e di orientamento politico che mirano a catalizzare l’attenzione dei cittadini verso argomenti frivoli e secondari per distrarli totalmente dall’involuzione della democrazia e dall’assoggettamento ancora più marcato della politica economica nazionale nei confronti dei poteri forti europei e internazionali.”

I pochi organi di stampa e le televisioni non in linea con il potere fanno battaglie in salita, specialmente a causa della concorrenza sleale fatta da sovvenzioni pubbliche generosamente elargite ai vari personaggi del sottobosco politico corrotto e corruttore, e da un drogaggio dei “mercati dell’informazione”, dove cambiando troppo spesso burocrazia e i relativi costi si piega o si elimina la concorrenza di quei soggetti inclini all’autonomia e all’imparzialità.

“Non è un caso che l’Italia continua a scendere nelle classifiche mondiali relative alla corruzione e all’obiettività dell’informazione, ma è una precisa scelta di potere: portare il pubblico verso una rosa ristretta di testate televisive e giornalistiche fortemente orientate dalle proprietà verso un preciso quadro politico, distraendolo del tutto o in larga parte da scenari “socialmente pericolosi” per chi detiene il potere.

In un quadro di forte interferenza nel mondo dell’informazione, diventa semplice creare notizie su persone e organizzazioni puntualmente pubblicizzate in maniera scientifica in precisi momenti, anche nella forma dei famigerati “dossier” che sembrerebbero, a prima vista, ben documentati, dando vantaggi strategici apparenti a una delle parti politiche contrapposte.

In realtà il gioco delle parti, le finte opposizioni, i richiami a fantomatiche unità nazionali e a sensi di responsabilità servono solo a conservare il potere detenuto dai soliti noti, con l’obiettivo di emarginare e sopprimere quei movimenti realmente capaci di proporre cambiamenti alle regole del gioco e che vorrebbero restituire la decisionalità ai cittadini, togliendola a quel ristretto novero di “decisori” in cima alla piramide economico-finanziaria.

E’ questa la stessa piramide che nel nostro Paese è stata responsabile della creazione della colonia interna chiamata “meridione” attraverso l’annessione forzata al Piemonte dei territori del Regno delle Due Sicilie 151 anni fa.

Il massacro della popolazione e la spoliazione dei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie hanno permesso che l’Italia “unita” seguisse un modello planetario dove ci sono un “nord” ricco e un “sud” colonia, cardine di un sistema di disuguaglianza dei diritti, dove l’uno non può essere uguale all’altro.

Insomma, “liberté, égalité, fraternité”, ma solo per chi appartiene al “club”.

“E’ necessario, pertanto, per un Partito che vuole difendere gli interessi delle popolazioni dell’ex Regno delle Due Sicilie, lottare a livello nazionale con forza contro i poteri che oggi cercano di ridurre lo spazio democratico ed eliminare la pluralità delle fonti d’informazione, perché questi sono gli stessi poteri che vogliono che il Sud rimanga una colonia interna.

La lotta politica per la difesa della democrazia e della pluralità dell’informazione è una lotta meridionalista a tutti gli effetti, che deve essere abbinata a quella per la verità storica, per l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità.

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Le origini della corruzione in Italia secondo Francesco Nitti

28 Mag

Francesco Saverio Nitti (Melfi, 19 luglio 1868 – Roma, 20 febbraio 1953) è stato un economista internazionale, politico, saggista e antifascista italiano. Fu il primo Presidente del Consiglio proveniente dal Partito Radicale Storico e  più volte ministro.

Un meridionalista di famiglia liberal-socialista ed antiborbonica, che, 110 anni fa, delineava un quadro desolante e perverso del ‘sistema Italia’.

Uno scenario che si perpetua identicamente ancora oggi e che lascia aperta una serie di riflessioni.

Innanzitutto, come possiamo dar fiducia, almeno noi meridionali che viviamo al Sud od altrove, ad un governo i cui ministri rappresentavano, fino a pochi mesi fa, gli interessi degli ‘eredi’ dei saccheggiatori del Meridione e degli ‘speculatori storici’, ovvero la Compagnia di San Paolo, Unicredit, le ‘cooperative’ bianche e rosse, lo IOR ed i vecchi ‘latifondisti’. Resta da capire anche come riescano ancora a farlo il resto degli italiani, visto che la Crisi li ha costretti ad arroccarsi in una unica entità: l’attuale Governo Monti ed i partiti che lo sostengono, Unione Democratica di centro, Partito Democratico e, più timidamente, Popolo delle Libertà.

Inoltre, come non riconoscere nel sistema sprecone di overtaxing ed appalti pubblici sabaudo la matrice originaria del dissesto italiano, ampiamente confermata nell’inefficienza e nel carrierismo ‘storici’ dei suoi funzionari. Un sistema di opere pubbliche e di amministrazione pubblica elefantiaca, finalizzato, sotto i Savoia, al mantenimento di un’economia imperialistica e di ‘complesso industrial-militare’ ante litteram ed, oggi, necessario al trasferimento di risorse, centralità e know how verso gli stessi terminali di allora: Torino, Roma, Bologna.

Infine, come non ricordare che prima venne massacrato o deportato chiunque esitò nel ‘sentirsi italiano’, ad esempio inginocchiandosi al passaggio dei soldati sabaudi, poi vennero portate vie le terre demaniali e tanto, tantissimo, oro e poi ancora fu l’ora del trasferimento delle industrie e delle relazioni commerciali, dopo ancora si spostarono le ‘risorse umane’ … finchè, grazie a mafia, camorra e ndrangheta, venne realizzato il sistema d’oppressione perfetto: oggi si lucra sulla manifattura a basso costo, sull’agroalimentare mandato la macero, sull’immondizia da trasformare (altrove) in oro nero, sull’evasione fiscale ed il denaro sporco.

Dunque, Nicky Vendola e Tonino Di Pietro – come Massimo D’Alema, Francesca Scopelliti, Fabio Granata, Alessandra Mussolini, Luigi De Magistris  e tanti altri – dovrebbero dare una rapida scorsa agli scritti di Saverio Nitti, prima di promettere un futuro migliore agli elettori del Sud … e prima stendere programmi o di siglare alleanze.

Eccone alcuni stralci significativi, non solo per i meridionali d’Italia, ma per quelli di ‘qualunque Sud’.

“L’Italia, conquistatrice del mondo durante l’antichità romana, museo di tutte le arti del medio evo, mirabile nella civiltà moderna per i suoi sforzi di rinnovazione è, e rimane tuttavia, un paese molto povero: soprattutto essa soffre d’impécuniosité, deficienza di danaro, deficienza di capitali. (da La ricchezza dell’Italia, Napoli, 1904, p. 8)”

“Prima del 1860 non era quasi traccia di grande industria in tutta la penisola. La Lombardia, ora così fiera delle sue industrie, non avea quasi che l’agricoltura; il Piemonte era un paese agricolo e parsimonioso, almeno nelle abitudini dei suoi cittadini. L’Italia centrale, l’Italia meridionale e la Sicilia erano in condizioni di sviluppo economico assai modesto. Intere provincie, intere regioni eran quasi chiuse ad ogni civiltà.” (Nord e sud -1900)

Ora dunque l’Italia è naturalmente, nelle condizioni attuali della produzione, un paese povero. Si aggiunga che si deve lottare contro paesi nuovi, ove la terra non ha ipoteche, e non ha né meno la ipoteca del passato. Si deve lottare con paesi dove esistono territorii a unità di cultura grandi quanto più le grandi regioni d’Italia. Oramai nell’industria i popoli più progrediti hanno accumulato tesori d’energia. Hanno asservito forze naturali che parevano invincibili: hanno strappato dalle viscere della terra i tesori che vi erano accumulati. (da L’Italia all’alba del secolo XX – 1901, pp. 21-22)

Due cose sono oramai fuori di dubbio: la prima è che il regime unitario, il quale ha prodotto grandi benefizi, non li ha prodotti egualmente nel Nord e nel Sud d’Italia; la seconda è che lo sviluppo dell’Italia settentrionale non è dovuto solo alle sue forze, ma anche ai sacrifizi in grandissima misura sopportati dal Mezzogiorno.

Quando per la prima volta sollevai la questione del Nord e del Sud e cercai farla passare dal campo delle delle affermazioni vaghe, in quello della ricerca obbiettiva, non trovai che diffidenze. Molti degli stessi meridionali ritenevan pericolosa la discussione e non la desideravano. (da L’Italia all’alba del secolo XX  – 1901. p. 108)

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Eppure, Francesco Saverio Nitti era un repubblicano da ben tre generazioni, nonno carbonaro, padre mazziniano socialista, altri parenti esuli. Ma, proprio perchè acerrimo oppositore del Regno Borbonico per amor di patria, non potè rendersi indifferente dinanzi al saccheggio cui aveva assistito.

“Ora, ciò che noi abbiamo appreso dei Borboni non è sempre vero: e induce a grave errore attribuire ad essi colpe che non ebbero, ed è fiacchezza d’animo per noi tutti non riconoscere i lati manchevoli del nostro spirito e della nostra educazione, e voler attribuire ogni cosa a cause storiche.
É un grave torto credere che il movimento unitario sia partito dalla coscienza popolare: è stata la conseguenza dei bisogni nuovi delle classi medie più colte; ed è stato più che altro la conseguenza di una grande tradizione artistica e letteraria.

Bisogna leggere le istruzioni agli intendenti delle province, ai commissari demaniali, agli agenti del fìsco per sentire che la monarchia cercava basarsi sull’amore delle classi popolari. Fra il 1848 e il 1860 si cercò di economizzare su tutto, pure di non mettere nuove imposte: si evitavano principalmente le imposte sui consumi popolari. Il Re dava il buon esempio, riducendo la sua lista civile spontaneamente di oltre il 10 per cento; fatto questo non comune nella storia dei principi europei, in regime assoluto o in regime costituzionale. (da L’Italia all’alba del secolo XX – 1901, p. 110-111)

Pochi principi italiani fecero tra il ’30 e il ’48 il bene che egli (ndr. (Ferdinando II delle Due Sicilie) fece.
Mandò via dalla corte una turba infinita di parassiti e di intriganti: richiamò i generali migliori, anche di parte liberale, e licenziò gli inetti; ordinò le leve militari; fece costruire, primo in Italia, una strada ferrata, istituì il telegrafo, fece sorgere molte industrie, soprattutto quelle di rifornimento dell’esercito, che era numerosissimo; ridusse notevolmente la lista civile; mitigò le imposte più gravi.

Giovane, forte, scaltro, voleva fare da sé, ed era di una attività meravigliosa. Educato da preti e cattolicissimo egli stesso, osò, con grande ammirazione degli intelletti più liberi, resistere alle pretese del papato e abolire antichi usi, umilianti per la monarchia napoletana.  (da Scritti sulla questione meridionale: Volume 1, Laterza, Bari, 1958, p. 41)

Senza togliere nessuno dei grandi meriti che il Piemonte ebbe di fronte all’unità italiana, che è stata in grandissima parte opera sua, bisogna del pari riconoscere che senza l’unificazione dei varii Stati, il regno di Sardegna per lo abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il ’49 e il ’59 da un’enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinata una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro stato più grande.  (Nord e sud -1900)

Nel 1800, la situazione del Regno delle Due Sicilie, di fronte agli altri Stati della penisola, era la seguente, data la sua ricchezza e il numero dei suoi abitanti. Le imposte erano inferiori a quelle degli altri Stati;

  1. I beni demaniali e i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme e, nel loro insieme, superavano i beni della stessa natura posseduti dagli altri Stati;
  2. Il debito pubblico, tenutissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte e di molto inferiore a quello della Toscana;
  3. Il numero degli impiegati, calcolando sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna;
  4. La quantità di moneta metallica circolante (ndr. in oro), ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti assieme. Il Mezzogiorno era dunque, nel 1860, un paese povero; ma avea accumulato molti risparmi, avea grandi beni collettivi, possedeva, tranne la educazione pubblica, tutti gli elementi per una trasformazione. (Nord e sud -1900, p. 113)

Bisogna ricordare che nel 1860 il Piemonte avea grandissima rete stradale; numerose ferrovie e canali e opere pubbliche di molta importanza. Queste cause, estranee in gran parte alla guerra, erano i veri agenti della depressione finanziaria. (Nord e sud -1900, p. 38)

Dei Borbone di Napoli si può dare qualunque giudizio … Non furono dissimili dalla gran parte dei prìncipi della penisola, compreso il Pontefice. Ma qualunque giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona, e in generale, onesta. ((Nord e sud -1900, pp. 30-31)

La mia famiglia è stata tra le più perseguitate, anzi tra le più tormentate dal passato regime … Poiché appartengo a una razza di perseguitati e non di persecutori, ho appunto perciò maggiore dovere della equità; e trovo che a quaranta anni di distanza cominciamo ad avere l’obbligo e il bisogno di giudicare senza preconcetti. Dei Borbone di Napoli si può dare qualunque giudizio … ma qualunque giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona, e in generale, onesta.

L’Italia nuova non ha avuto il suo Manhes; ma le persecuzioni sono state terribili, qualche volta crudeli. Ed è costata assai più perdite di uomini e di danaro la repressione del brigantaggio di quel che non sia costata qualcuna delle nostre infelici guerre dopo il 1860.

L’ordinamento finanziario del Regno di Sardegna fu esteso a tutto il resto d’Italia. Fu il [Pietro] Bastogi, che fra il 1861 e il 1862, compì l’opera di trasformazione. Con cinque disegni di leggi, che furono la base delle leggi successive, il Bastogi estese il sistema fiscale piemontese a tutti i vecchi Stati che erano entrati a far parte del nuovo regno.

Avvenne così, per effetto del nuovo ordinamento, che il regno delle Due Sicilie si trovò a un tratto, senza che nessuna trasformazione economica fosse in esso avvenuta, anzi perdendo quasi tutto il suo esercito e molte sue istituzioni, a passare dalla categoria dei paesi a imposte lievi, nella categoria dei paesi a imposte gravissime.  (Nord e sud -1900)

Il governo delle province, prefetti, intendenti di finanza, generali, ecc., è ancora adesso in grandissima parte nelle mani di funzionari del Nord. Non vi è nessun senso d’invidia in quanto diciamo. Ma vogliamo solo dire che se i governi fossero stati più onesti e non avessero voluto lavorare il Mezzogiorno, cioè corromperne ancor più le classi medie a scopi elettorali, molto si sarebbe potuto fare.

Le loro amministrazioni locali vanno, d’ordinario, male; i loro uomini politici non si occupano, nel maggior numero, che di partiti locali. Un trattato di commercio ha quasi sempre per essi meno importanza che non la permanenza di un delegato di pubblica sicurezza. (Nord e sud -1900)

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Sembra scritto oggi … specialmente se constatiamo che gli Stati europei fuori dall’Eurozona sono la maggior parte delle monarchie costituzionali (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Norvegia) e che proprio nei regni d’Olanda e di Spagna si riscontra il maggiore euroscetticismo e non nelle ‘democratiche’ repubbliche di Francia, Germania e Italia.

Addirittura, a star dal ‘lato sud’ dell’Europa, ci sarebbe da iniziare a dubitare che la Crisi – almeno in termini di gravità estrema e di efficacia delle strategie in atto – sia effettivamente ‘generale’ e non riguardi, viceversa, solo le repubbliche capitaliste (e corrotte) d’Europa e le sue oligarchie, arricchitesi sulle spoglie di guerra di ‘qualche Sud’ o grazie al Piano Marshall e la Guerra Fredda che ne venne dopo. Non necessariamente i nostri Stati o le nostre imprese od i nostri lavoratori.

Qualcuno, negli Stati Uniti, racconta che il Capitalismo e l’Industrialesimo nacquero grazie alla spoliazione degli Stati del Sud (arretrati, malvagi e schiavisti …) e qualcosa di simile si racconta in Gran Bretagna, riguardo  l’avvento degli ‘sassoni’ Coburg e la scomparsa dei ‘normanni’  Hannover (pazzi, malvagi ed imperialisti …), ma questa è un’altra storia.
Se non fosse che somiglia moltissimo a quello che ha fatto la Germania con l’Europa dalla Riunificazione in poi: risucchiare verso nord benefit, mercati e risorse, confinare a sud degrado, criminalità e fallimenti.

Che, dunque, il Meridione – d’Italia e d’Europa – si doti di una forza rappresentativa delle sue istanze e, soprattutto, che garantisca i suoi interessi, pretendendo antimafia, defiscalizzazione, interventi strutturali e, perchè no, un modo diverso – sobrio, responsabile, solidale – di fare governance rispetto agli ultimi 150 anni.
Poco conta che sia un’anima comune nei diversi partiti oppure elemento di aggregazione di un neonato partito -, ‘liberale’, ‘sociale’ od ‘autonomista’ che sia – purché venga superata la frammentazione degli intenti e delle soluzioni, frutto avvelenato dell’Annessione e degli interessi privati degli allora funzionari sabaudi, come Nitti ricorda.

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Silvio fino a gennaio … No, grazie.

22 Set

Umberto Bossi propone che Silvio Berlusconi resti premier fino a gennaio.

Perchè?

Per portare, con questo escamotage, la legislatura fino al termine, ribaltando, magari, lo stato del consenso fortemente compromesso?

Per avere tempo di emanare qualche decreto federalista, ovvero “democraticamente secessionista”?

Per poter condizionare pesantemente la nuova legge elettorale, dopo la sconcezza del Porcellum di Calderoli & altri, che consegnò e consegnerà alla Lega ed alla Sinistra estreme (Rifondazione ieri, SEL oggi) l’ago della bilancia, oltre che alle lobbies affaristiche?

Per affardellare l’ultima razzia di risorse a danno del Sud, ovviamente con il placet di Roma che incassa anche lei?

Per prendere il tempo necessario a strutturare qualche accordo sotto banco con il Partito Democratico “del nord”?

Per trattenere, un anno di più ed in posizioni apicali presso altri ministeri, le migliaia di semplici impiegati del MEF di Tremonti, frequentemente settentrionali e che nessuno sa come smaltire sia se dovessero tornare al mittente sia se dovessero rimanere al loro posto senza un concorso?

Il declino italiano in tre foto

21 Set

L’arretratezza culturale, tecnologica, economica del nostro Paese è tutta in queste tre foto.

La prima raffigura Matthew Wheeler, delegato alla conferenza dei liberal democratici inglesi in corso a Birmingham. Attenzione, un liberale, non un black bloc od uno spacciatore.

La seconda immagine è stata scattata ad Heathrow e mostra le nuove navicelle con guida laser che porteranno passeggeri a bagagli dagli aerei all’hub e viceversa. Attenzione, navicelle elettriche, autoguida laser, niente facchini, niente emissioni, niente salvataggio dell’Alitalia.

La terza foto arriva dalla Cina, da Taiwan (New Taipei),  capitale dell’omonimo stato, e ne mostra il centro direzionale. Attenzione. La città ha circa 4 milioni di abitanti, come Roma e provincia, ma è la capitale di Formosa (36,008 km2 e 23,061,689), non dell’Italia (301.338 kme 60.681.514 abitanti).

Governo Berlusconi? Staccare la spina

21 Set

Era quasi un anno fa che, mentre stava per arrivare lo scandalo del Bunga Bunga ed era già emerso quello delle escort, il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, dovette preder atto che Gianfranco Fini e FLi avevano abbandonato il PdL e che c’era da verificare la maggioranza.

Così accadde che, tra veementi proteste dell’opposizione (escluso il PD naturalmente), a Berlusconi e sodali venne concesso un lasso di tempo enorme per ricostituire maggioranza e governo, cosa che avvenne puntualmente. Ricordate Scilipoti ed i Responsabili? Ecco di questo stiamo parlando.

Passa un anno, il Governo continua a negare la crisi economica finchè l’UE non ci “commissaria” ed i mercati non iniziano la picchiata.

Un anno durante il quale gli scandali, a luci rosse e non, aumentano, mica diminuiscono, delegittimando definitivamente il Premeir Berlusconi, ormai raffigurato dalla stampa nazionale ed estera come una sorta di satiro in balia di donne che hanno l’età per essergli nipoti.

Un anno parlamentare che ha visto la Commissione bicamerale non approvare la proposta di federalismo fiscale perchè i conti non erano attendibili.

Un anno sprecato? Sembrerebbe proprio di si.

Così accade che, oggi, leggendo con occhio distratto i primi strilli giornalistici on line, m’è parso di vedere un “Giorgio Napolitano: ditemi che la maggioranza tiene”, mentre, come pochi secondi dopo ho realizzato,  il testo corretto era “ditemi se la maggioranza tiene”.

Caro Presidente Napolitano, capisco che esiste una ragion di Stato, che l’instabilità dei mercati impone cautela, che sono da evitare delle elezioni al buio, ma guardi che, da un anno a questa parte, Lei è uno dei pochi ad esser convinto che possa ancora esistere una maggioranza atta a governare ed una opposizione che sappia contrapporsi e far proposte.

Non c’è molto da fare, ormai: se si fosse staccata la spina un anno fa, forse potevamo permetterci un governo di transizione (o di unità nazionale), ma, oggi, non resta altro spazio che il governo tecnico istituzionale che vari una legge elettorale.

L’alternativa, ovvero il proseguimento dell’agonia, comporterebbe dei rischi gravissimi per la Repubblica, vista la secessione popolare riaffermata dalla Lega, visti i pesanti coinvolgimenti del PD in fatti di corruzione su scala nazionale e la promessa, impossibile da mantenere, di “meno tagli più diritti” che la Sinistra propone.

Bisogna staccare la spina.

Vasto: Bersani ricomincia da tre

17 Set

A Vasto, un’amena località marittima ad un tiro di schioppo da Montenero di Bisaccia, il paese natale di Antonio Di Pietro, si tiene la Festa nazionale dell’ Idv, alla quale quest’anno hanno partecipato anche Bersani e Vendola.

Il segretario del Pd, nella speranza che si ritorni al Mattarellum, rilancia la rinascita dell’Ulivo di Romano Prodi, che, con quella legge elettorale, potrebbe risultare egemone anche se non dovesse superare il 40% dei voti.

“Il Paese è nei guai, dice Bersani, dobbiamo essere il motore della speranza italiana. Ma le alleanze non si fanno ad ogni costo”.

Il messaggio è per Casini e per l’UdC, che non vogliono associarsi in un’alleanza suicida con Sinistra e Libertà, ormai di nuovo affratellata con il Partito Democratico, e serva a rassicurare l’Italia dei Valori che vuole essere l’elemento centrista (sic!) della cordata.

Anzi, a dire il vero, se Di Pietro attacca con il solito stile politically scorrect, definendoli “Escort della politica”, anche il segretario del PD ci va pesante: “Loro vogliono andare con chi vince, abbiamo a che fare con un partito che dice ‘siccome riesco ad andare a letto anche con la bionda, li’ vado con la bionda mentre altrove vado con la mora”.

E del resto, meglio rompere i ponti sul nascere, se Sinistra e Libertà punta a raccogliere il voto degli omosessuali (il primo partito sessista?) con Vendola che spiega: “come facciamo ad allearci con forze politiche che sono contrarie alla legge contro l’omofobia? Come facciamo ad allearci con coloro che sono contrari al riconoscimento delle coppie di fatto?”

Non si fa strategia sul default che incombe, non si parla di riforme mai attuate, non si riflette sugli errori sicuramente commessi, non si rammentano gli accordi voltagabbana con la Lega: il declino dell’Italia è dovuto al fatto che non si è affidata alla “superiore” cultura di sinistra e che non spendiamo molti più soldi (che non abbiamo) per il welfare.

Tra l’altro, proprio non si cvapisce perchè  IdV, PD e SEL pensino di poter essere il “motore della speranza italiana” se poi dobbiamo ricordare che, in 18 anni di Seconda Repubblica, le due coalizioni (Centrodestra e Centrosinistra) hanno vinto due elezioni a testa ed, evidentemente, hanno pari responsabilità nel disastro generale.

Come al solito, siamo alle solite: solita Sinistra, solite facce, solite (e scarsissime) idee.