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Petroliere in fiamme, valute sull’orlo di una crisi di nervi

14 Giu

Due mesi fa, Trump sollecitava l’Opec a ridurre i prezzi del petrolio greggio. L’aumento del costo dei combustibili frena i consumi e fomenta l’inflazione, spingendo al rialzo i tassi di interesse.

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Neanche un mese dopo, il 12 maggio, quattro petroliere  venivano sabotate con mine depositate da barchini al largo di Fujairah sullo stretto di Oman. Si tratta delle saudite Amjad, che approvvigiona l’Olanda, e Al Marzoqah, che sposta il greggio verso depositi e raffinerie locali come anche la A. Michel degli Emirati, mentre la norvegese Andrea Victory  rifornisce Sudafrica e Americhe.

Ieri, due altre petroliere sono state colpite da siluri o forse da mine o da razzi, si tratta della Altair e la Kokuka Corageous, ambedue destinate al mercato energetico giapponese, proprio mentre  il primo ministro nipponico Shinzo Abe si trova in visita in Iran.

Dunque, c’è di che allarmarsi, dato che il prezzo del greggio ha un triste nesso con il declino italiano: nel 2001 non siamo solo passati all’Euro, è anche l’anno che il prezzo del petrolio greggio ha ripreso a crescere, sfondando in pochi mesi il tetto medio annuo dei 30$ a barile, dopo due anni quello dei 40$ (2003), dopo quattro i 60$ (2005) e poi anche quello dei 90$ (2010), cosa che durò fino al 2013.

Da allora, il prezzo del greggio si è tenuto più o meno sotto i 50$ al barile, grazie ai cambiamenti politici in Qatar, Venezuela e Siria, che hanno calmierato il mercato … con tendenze al rialzo.

E domani, cosa succederebbe in Italia con il greggio a 100 dollari al barile?

Daremmo la colpa all’Eurozona, se ci sarà da ‘aggiustare il Bilancio di qualche percento o ci ricorderemo dei soldi per le infrastrutture energetiche ‘alternative’ al petrolio, andati dispersi per decenni, come per i tanti scandali dell’eolico, del fotovoltaico, dei rifiuti?
E con i tassi di interesse al rialzo, quanto ancor di più sono da evitare tanto le sanzioni europee quanto le sub-valute o altre forme di dissanguamento?

Demata

Autunno: arriva il Fiscal Cliff

4 Lug

La sorte che toccherà agli italiani e all’Italia, nel prossimo autunno, è oscura e inquietante: questa è la diretta conseguenza dell’aver rinviato a settembre pressoché tutti i nodi rimasti impigliati dall’estate scorsa, quando il Governo di Mario Monti dovette arrendersi dinanzi alla situazione recessiva, innescata dalle sue scelte.

Una conseguenza, non meno diretta, di alcune decisioni della nostra magistratura, che nell’ultimo mese ha dichiarato illegittime sia il maggior prelievo fiscale sulle pensioni d’oro sia l’accorpamento delle Province, con 10-20 miliardi di economie in meno.

Il tutto, con l’urgenza di provvedere alle elezioni dei consigli provinciali di tutta fretta, con altri costi ed altra casta da foraggiare, mentre la Confidustria scalpita perchè per ripresa e crescita non si vedo nè denari nè intenti e menttre i nostri scellerati sindacati continuano a fare da tappo, se si tratta di privilegi e inefficienze dei pubblici impiegati, come si parla solo di sussidi per chi non lavora e mai di sgravi per le aziende che assumono o premi per chi li merita.
Addirittura, si riesce a sostenere da anni che il disastro istruzione (confermato da un decennio di dati OCSE) sia tutto dovuto ad una spesa per l’istruzione carente, senza porsi il dubbio che il ‘problema’ siano anche gli insegnanti, se anche da paesi poverissimi, ormai, arrivano in Italia giovani più formati dei nostri. Un disastro che è all’origine dei nostri guai, visto che senza istruzione non c’è nè voto consapevole nè professionalità adeguate.

Demata - Fiscal Cliff More Efficiency

Dunque, quello che ci aspetta – al ritorno dalle vacanze che tanti non faranno – è un ‘nuovo’ buco da almeno 10 miliardi di euro, oltre quello che deriva dalla sospensione dell’IMU e IVA e dal costante incremento della spesa pubblica.
Specialmente se i media, molto irresponsabilmente, continuassero a raccontare come successi le elemosine raccattate in Europa dal Governo Letta e continuassero a NON raccontare l’escalation di sfiducia verso l’Italia, che è ormai ben palpabile negli ambienti finanziari, visto che continuiamo a ragionare come se il nostro PIL fosse da 2 miliardi e passa e non di soli 1,6, visto che siamo regrediti al 1977 e che continuano ad incrementare debito e interessi.

Un grosso guaio finanziario, causato da rinvii e sentenze, al quale si assommerà – in fase di rinnovo del credito – il buco da 12 miliardi lasciato al Comune di Roma dalla Giunta Veltroni, i cui asset andranno ricollocati aul mercato mobiuliare, mentre il salasso dell’anticipo Irperf/Ires andrà a ridurre ulteriomente la massa di cash circolante e la propensione al business.
Il tutto mentre il 40% dei mutui immobiliari è  acceso a Roma, una città alla quale potrebbe essere fatale anche il taglio di un mero 10% delle pensioni pubbliche over 3000 euro, con i suoi circa 100.000 ex dipendenti che risiedono in città, come lo sarebbe anche un momentaneo taglio della spesa pubblica, figuriamoci a parlare del 20%, come dovrebbe accadere per rimetterci in sesto. Figuriamoci, poi, a tagliare quel sottobosco di migliaia di politicanti e portaborse che viene alimentato da centinaia di posti in Parlamento superflui, da decine di migliaia di ‘eletti’ nelle province e nei piccoli comuni, da un esercito di ‘nominati’ in enti ed aziende pubbliche.

Una Roma Capitale dove vengono prese tante decisioni, ma soprattutto dove hanno sede tutti gli organismi che fissano le regole del gioco: magistratura, sindacati, ordini professionali, Santa Sede, pubblica opinione.

Difficile ipotizzare che proprio a Roma vengano fissate leggi, regole e tagli che equivarrebbero ad annunciare a 1-200.000 romani la diaspora dell’emigrazione, visto che sarà necessario un decennio per riconvertire mentalità, competenze e distribuzione dei poteri.
Come è difficile credere, ma i miracoli son sempre graditi, che Papa Francesco riesca a bonificare in tempi brevi Curia, IOR e sanità cattolica, con tutti i rapporti inconfessabili che stanno emergendo e che allignano in Italia, dalla Calabria alla Lombardia, non solo in Oltretevere.

D’altra parte, con intere regioni con tassi di disoccupazione giovanile al 40-50%, mentre chiunque sia nato dopo il 1950 è a rischio ‘esodati’, risulta davvero difficile dubitare che solo catastrofi o miracoli saranno l’esito della situazione attuale.

Intanto, gli italiani si stanno convincendo che, oltre ai soliti ladri ed alle schiere di corrotti, il vero problema della governance italiana – non solo della Politica – è che, a furia di far andare avanti raccomandati ed apparentati, sempre compiacenti verso il clero e verso i prepotenti di turno, qui ci ritroviamo con una massa di incompetenti e ‘pervenuti’ ormai dannosi alla sicurezza nazionale e destabilizzanti del sistema occidentale.
La frase, che sempre più spesso si sente nei talk show, “sennò le democrazie europee non tengono”, proprio questo sta a significare.

Dunque, non ne verremo fuori; non seguendo queste vie. Servono scelte coraggiose, servono scelte impopolari, servono scelte eque e sincere. Intanto, l’autunno s’avvicina.

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Province in rivolta, Italia sotto ricatto?

8 Nov

Nel 2011 le spese sostenute dalle Province sono state pari a circa 11,6 miliardi di euro (fonte Siope, 2011).
Queste le singole voci di spesa:

  1. trasporto pubblico extraurbano; gestione di circa 125 mila chilometri di strade nazionali extraurbane: 1 miliardo 430milioni di euro.
  2. difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche; smaltimento dei rifiuti: 3 miliardi e 200 milioni di euro.
  3. gestione di oltre 5000 gli edifici scolastici: 2 miliardi 210 milioni di euro.
  4. gestione di 854 Centri per l’impiego; sostegno all’imprenditoria, all’agricoltura, alla pesca; promozione delle energie alternative e delle fonti rinnovabili: 1 miliardo 100 milioni di euro
  5. promozione della cultura: 190 milioni di euro
  6. promozione del turismo e dello sport: 210 milioni di euro
  7. servizi sociali: 180 milioni di euro
  8. costo del personale (61.000 unità): 2 miliardi 300 milioni.
  9. amministrazione e manutenzione del patrimonio: 750 milioni di euro
  10. indennità degli amministratori: 111 milioni di euro

E’ di questi giorni la notizia che la spending review tagli 500 milioni di spese alle Province e che i loro presidenti non ci stanno, anzi, propongono cose come “la chiusura dei riscaldamenti nelle scuole (superiori, ndr) e conseguentemente l’aumento delle vacanze per gli studenti”.
Oppure precisa il neo presidente dell’Unione Province Italiane, Antonio Saitta, “siamo pronti anche  ad interrompere i lavori di manutenzione nelle scuole. E quando qualche procuratore della Repubblica, come accade nella provincia di Torino con il bravo Guariniello, ci dirà che i lavori debbono essere terminati, noi opporremo un netto rifiuto, visto che le risorse non ci sono più”.

Ma le risorse ci sono o, meglio ci sarebbero, visto che la gestione degli edifici scolastici rappresenta solo un quarto dell’intero volume finanziario provinciale e che per i costi di personale si spende altrettanto, mentre per amministrazione e manutenzione del patrimonio vanno via ben 750 milioni di euro.

Ebbene si, le nostre indispensabili province per gestire poco più di 8 miliardi di servizi ne spendono circa tre per funzionare tra personale e patrimonio.
Ed, ovviamente, i loro consiglieri e presidenti non sono neanche sfiorati dall’idea che il taglio da 500 milioni che la Repubblica Italiana gli chiede sia da destinarsi principalmente a quel 25% di spese che le Province mettono a bilancio come ‘costi interni’.

Un anno fa, l’abolizione delle Province era sulla bocca di tutti e non c’era nessun ostacolo a trasformarle in distretti amministrativi, con costi sensibilmente inferiori. Mario Monti non ha voluto in alcun modo scontentare la Casta e, seppur con qualche taglio, tante Province sono rimaste in piedi.
Errore grave se non diabolico, visto che lor signori, avuta salva la poltrona, vogliono (come al solito?) scaricare i tagli sui servizi e non sulle prebende.

Vi sembra un esempio di senso civico e di responsabilità istituzionale minacciare di non mettere in sicurezza le scuole o lasciare gli studenti senza riscaldamento?

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Spending review? No, manovra correttiva agostana …

3 Lug

Mario Monti rassicura i partiti: ‘è una spending review, non una manovra correttiva’. Eppure, se si trattasse di questo parleremmo di oltre 200 miliardi di Euro, come ha precisato pochi giorni fa proprio uno dei superconsulenti voluti da Mario Monti.
Qui parliamo – molto più prosaicamente – di un taglio delle spese di personale e di fornitura per ‘raccogliere’ quei 5,3 miliardi di euro che servono con urgenza, dato che i conti del decreto Salvaitalia si sono rivelati fin troppo ottimistici: i ‘professori’ avevano sottovalutato gli effetti negativi della ‘mancanza di speranza’, ovvero recessione, stagnazione, evasione fiscale, speculazione finanziaria.

Una ‘realtà’ che sembra non essere percepita nè dai media nè dal Partito Democratico, attestato dietro Bersani e D’Alema, che sembrano non aver imparato la ‘lezione della Seconda Repubblica’, ovvero che essere il maggior partito o la ‘fazione’ più coesa non comporta ‘ipso facto’ che si sia in condizione di governare e che, senza un pensiero economico, un programma economico, anche il maggior conglomerato di voti è in balia delle ‘correnti’. L’arroganza con cui è stato ‘censurato’ il buon Fassina ne è un eccezionale esempio e ci conferma che il ‘metodo’ non è cambiato da 50 anni a questa parte.

Uno scenario che si racchiude in quattro dichiarazioni, ben rappresentative ed inequivocabili.

«Se per decenni si indulge ad assecondare un superficiale ‘tiriamo a campare’ oppure si indulge nell’iniettare nei cittadini la sensazione che tanto il Paese può, per le sue risorse, non affrontare problemi seri che le altre nazioni affrontano, forse deve venire il momento in cui, anche a scapito di una temporanea perdita di speranza, bisogna affrontare i problemi seri» – Mario Monti a Palazzo Madama per la presentazione del libro del ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi.

«È evidente che se il governo pensa di procedere al taglio degli organici e alla riduzione dei servizi getta benzina su una situazione molto difficile» – Susanna Camusso, segretario della Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori.

«Mentre Sagunto brucia, a Roma si succedono riunioni di congiurati per decidere come buttare giù il governo prima dell’estate e provocare così le elezioni anticipate a ottobre.La voglia di far saltare tutto, si sa, serpeggia da tempo in entrambi i maggiori partiti. Ma se nel Pd Bersani ha l’autorità per zittire un Fassina, nel Pdl pare che Alfano non ne abbia abbastanza per mettere a tacere una folta schiera di sediziosi, ex ministri berlusconiani ed ex colonnelli finiani» – Massimo Polito, editoriale del Corriere della Sera del 16 giugno 2012.

«A questa maggioranza dico da parte di tutti i giovani che avete rotto i coglioni!» – Franco Barbato (IdV), mentre stava illustrando un proprio emendamento alla spending review nell’dall’Aula di Montecitorio.

Intanto, l’unico ministro che sembra aver firmato la proposta di tagli delle piante organiche del 20% per i dirigenti e del 10% per gli altri dipendenti è l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, il cui ministero, la Difesa, ha già decurtato di un quinto il proprio personale, con un piano decennale di prepensionamenti e mobilità che ridurrà di circa 30.000 unità il numero dei dipendenti militari e civili.

Dunque, non sono solo il popolo bue, l’antipolitica che avanza od i congiurati romani a complottare contro il governo di Mario Monti. A quanto pare sono gli stessi ministri a non credere in questo spending review, “anzi, più di un ministero ha chiesto di lasciare quella regola fuori dai propri uffici” ci ricorda il Corriere della Sera.

E, d’altra parte, chi mai potrebbe crederci, se prendiamo atto che Monti ed i suoi superconsulenti vorrebbero fare a luglio ed agosto quello che non hanno fatto in sette mesi di ‘governo tecnico’ e non s’è fatto in 18 anni di Seconda Repubblica.

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Spesa pubblica: due conti in croce

29 Giu

I dati forniti da SIOPE e diffusi mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) descrivono la distribuzione della Spesa Pubblica italiana e forniscono – nell’estremo tentativo di salvare gli enti politici provinciali – un quadro alquanto desolante, per quanto relativo alla situazione generale, e fin troppo deludente per quanto inerente l’azione di governo esercitata da Mario Monti ed i suoi prescelti.

Infatti, mettendo in tabella i dati SIOPE-UPI sul 2011 insieme ai dati forniti dal Ministero dell’Interno e dal MIUR – riguardo le proprie spese (2010) – e dalle Regioni e Province – relativamente al numero dei consiglieri – ecco cosa ne viene fuori.

Dati che vanno letti considerando che un consigliere comunale del Comune di Sassari ci costa solo 13.338 Euro all’anno, trasferte e rimborsi inclusi. (leggi anche sui CdA, Lo scandalo degli Enti Strumentali)

Se questo è il costo dei cosiddetti ‘apparati’, ovvero dei consiglieri-parlamentari e dei rispettivi gruppi consiliari, non è che con la sommatoria – incompleta- della spesa pubblica si vada meglio.

Fatti salvi circa 11 miliardi di Euro spesi per il Ministero dell’Interno e palesemente insufficienti, non è chiaro per quali motivi l’Italia abbia una spesa per l’Amministrazione Centrale di quasi 200 miliardi a fronte di una spesa complessiva delle Amministrazioni locali di ‘soli’ 135 miliardi, in cui rientrano strade, porti, reti locali, ambiente eccetera.

Quanto ai due soli servizi (istruzione e sanità) dove Stato e Regioni hanno competenze condivise, i dati raccontano che per la scuola si spende troppo poco, mentre per la salute si spenda troppo e male.

Male non solo per i servizi scarsi o inutili che arrivano ai cittadini, ma soprattutto perchè, se le Regioni spendono tre volte tanto per ASL e ospedali di quanto spendano per tutto il resto, è presto spiegato il disastro italiano.

Infatti, con una sproporzione tale – in termini di volume finanziario e di bisogni dei cittadini da soddisfare – non è improbabile che non pochi consigli regionali siano ‘dominati’ da lobbies afferenti al settore sanitario, come non pochi scandali dimostrano, dalla Regione Puglia agli ospedali cattolici romani o milanesi.

D’altra parte, 116 miliardi di spesa sanitaria annui sono una cifra enorme che richiederebbe ben altro che una spending review, in questi tempi di crisi. Infatti, non saranno i 246.691 infermieri (10 mld di spesa annua?), i 46.510 medici di base ed 7.649 pediatri (altri 5-6 miliardi) coloro che inabissano la spesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Dei restanti 100 miliardi va cercata e chiesta ragione ai medici ospedalieri ed ai consigli di amministrazione delle ASL, non ad altri.

Sarebbe interessante sapere anche perchè quei 300 miliardi di previdenza siano congelati nelle casse dello Stato, anzichè diventare denaro circolante, con un sistema di previdenza privata sotto controllo pubblico come in Germania.

Come anche, ritornando alle ‘spese dell’Amministrazione Centrale’ per 182 sonanti miliardi di euro, sarebbe bello sapere in cosa consistano, visto che i beni monumentali languono e le infrastrutture attendono.

Sarebbe importante sapere, anche e soprattutto nell’interesse di Roma Capitale, quanta parte di questi miliardi siano andati a costituire lo strabiliante PIL che per anni fu vanto di Walter Veltroni e delle sue giunte e di cui, da che c’è crisi, non sembra esserci più l’ombra. Ma questa è un’altra storia.

Leggi anche Tutti i numeri delle Province

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Lo scandalo degli Enti Strumentali

29 Giu

Sfogliando un breve documento curato da SIOPE e diffuso mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) ci si imbatte in una pagina semi-vuota (la sette) contenente solo un breve, quanto eloquente, testo.

In questo momento esistono oltre 7000 enti strumentali (Consorzi, Aziende, Società) che occupano circa 24 mila persone nei Consigli di Amministrazione.  Il costo dei compensi, le spese di rappresentanza, il funzionamento dei consigli di amministrazione, organi collegiali, delle Società pubbliche o partecipate nel 2010 è pari a 2,5 miliardi.

Dati eclatanti, specialmente se vengono aggregati in tabella con altri dati forniti dalla UIL nel 2008, ovvero nella stessa legislatura.

  • Totale spese (Reg, Prov, Com)    7.026.105.352 €
  • di cui spese a carico Regioni    5.217.319.061 €
  • Spesa Enti e Agenzie Regionali    3.684.447.564 €
  • Totale enti strumentali    7.000
  • CdA (n° membri)    24000
  • Compensi e spese CdA    2.500.000.000 €

.

A far due conti della serva, scopriamo l’esistenza di un piccolo esercito di fortunati (i 24mila consiglieri di CdA) che riscuotono in media 100.000 euro pro capite annui e che fanno il bello ed il cattivo tempo negli Enti Strumentali, ma, in particolare, in quegli Enti e Agenzie Regionali che spendono spandono in un anno 3.684.447.564 € di fondi regionali.

A questi vanno ad aggiungersi le spese per altri – e noti – Enti Strumentali, come le ARPA (Agenzie regionali per l’Ambiente)   che spendono in un anno   532.225.966 euro, le Comunità Montane che costano 565.402.035 euro e le Unioni di Comuni (perchè non farne uno solo?) che gravano di altri 243.289.662 euro.

Gli stessi Enti e Agenzie Regionali di cui spesso ci chiediamo come assumano, a cosa servano, eccetera. Specialmente nel Meridione e nelle Isole, visto che il ‘lauto banchetto’ non tocca le Autorità Portuali (42.735.459 euro di spese) e le Aziende di promozione turistica (57.999.451 euro).

Forse, visto che parliamo di 2-3 miliardi di euro di compensi dei CdA degli Enti Territoriali, sarebbe stato equo congelarli invece che bastonare lavoratori senior a due  metri dalla pensione o giovani in cerca di esperienza e futuro, facendo precipitare il paese nella recessione.

Fortunatamente, c’è ancora tempo per farlo e, non dimentichiamolo, dovrebbe essere un ‘atto dovuto’ se i bilanci dell’azienda o delle regioni fossero in deficit.

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Tutti i numeri delle Province

29 Giu

Un documento dell’Unione Province Italiane – presentato il 20 gennaio 2012 (link) – descrive per linee generali come e quanto spendano i nostri enti provinciali, permettendoci di comprendere nel dettaglio a cosa servano, in cosa siano indispensabili, per quali motivi vadano abrogate.

Partendo dal ‘costo della politica’, dobbiamo annotare che i 1774  consiglieri e presidenti provinciali costano 111.000.000   di euro annui, ovvero 62.570 euro a testa.
Sembra poco, se pensiamo che il costo pro capite di un parlamentare si aggira intorno al mezzo milione di euro. E’ davvero troppo, se consideriamo di quanto poco si occupino le Province e che un consigliere comunale a Sassari costa circa 13.350 euro annui.

Infatti, venendo alle ‘competenze attribuite’, i bilanci provinciali dimostrano come le funzioni effettive – quelle che vanno necessariamente delocalizzate e per le quali si spende circa metà dei bilanci provinciali, 5,5 mld di euro – si esplichino principalmente in:

  1. gestione trasporto pubblico extraurbano
  2. gestione 125.000 km chilometri di strade nazionali extraurbane
  3. edilizia scolastica dei 5000 edifici destinati agli istituti superiori
  4. istruzione e formazione professionale
  5. centri per l’impiego (854)

Dunque, basterebbero un amministratore dei lavori pubblici ed uno per il lavoro e la formazione professionale – senza scomodare un intero consiglio provinciale – come basterebbe un terzo delle province esistenti, visto che, ad esempio, Milano con 45 consiglieri riesce a gestire un territorio ad elevatissima complessità e centralità a fronte dei ben 56 consiglieri che sono indispensabili, a quanto pare, per gestire le Province di Lecco e Sondrio.

Dulcis in fundo, ‘l’efficacia e l’efficienza’ delle amministrazioni provinciali, riguardo le quali il dato è desolante anche non tenendo conto delle tante denunce e dei troppi scandali che hanno segnato i consigli provinciali in questi anni.

Infatti, come sorvolare su quei 3 miliardi e passa di ‘entrate da accensione prestiti ‘ iscritte nei bilanci 2008-2011, proprio mentre la Crisi era sempre più palese, la tregenda del debito pubblico greco era arcinota e l’allarme ‘prodotti finanziari’ era stato lanciato da Bankitalia? Specialmente se leggiamo che la spesa per interessi nel 2011 assomma a ben 624.214.126 euro.

E come commentare – dinanzi al regressivo quadro nazionale – quei 4 miliardi spesi in cultura, turismo e sport, che troppo spesso, evidentemente, sono consistiti in ‘festa, farina e forca’, ‘panem et circenses’, velleità provinciali e gigantismi metropolitani o, meglio, consenso e clientela?

O come non sapere per diretta esperienza in che condizioni sono gli edifici scolastici ed in quale caos è la tutela ambientale e la raccolta rifiuti in certe aree del paese.

Certo, quello che emerge dal documento dell’Unione Province Italiane è che non sono loro il male maggiore, ma di questo se ne parla altrove (Lo scandalo degli Enti Strumentali).

Quel che conta – e che non vogliono capire – è che ‘mal comune’ non equivale a ‘mezzo gaudio’ se ci si mette dal lato degli elettori: mal comune, mal-contento generale.

Saremmo all’A B C della politca, a dire il vero …

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