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Scioperi selvaggi: i privilegi dei dipendenti pubblici e i rischi per la salute dei cittadini

19 Apr

Si parla tanto del ‘solito’ blocco selvaggio di Roma in caso di agitazione da parte di dipendenti pubblici od affini.
‘Solito’ perchè accade sempre, solo che stavolta la gente ha reagito, qualcuno ha dovuto far qualcosa e, incredibile a Roma, si parla di licenziamenti.

Vi è mai capitato di trovarvi semiesangui in un’ambulanza bloccata nel traffico causato da qualche corteo che ‘devia dal percorso’?
Oppure di stare bloccati in auto o nella metro mentre andate a fare una terapia salva vita, dato che neanche i servizi minimi garantiscono?
O peggio di vivere da invalidi gravi e dovervi confrontare con strutture che – dnanzi a marchiani disservizi – non riescono ad applicare una sanzione, fosse solo un richiamo scritto, per non parlare di orari di lavoro e compensi privilegiati, grazie ai contratti che i loro sindacati tutelano?

Vi mai capitato di vivere in una città dove un Municipio da un milione di abitanti (III) è privo di pronti soccorsi e dove il Sindaco, un famoso medico, non ha nulla da chiedere al Commissario regionale per la Sanità, neanche una postazione mobile come a Milano, e continua ad autorizzare cortei e manifestazioni che puntualmente bloccano mezza città e il suddetto municipio (tutto al di là del fiume Aniene) si trova puntualmente semi-isolato?

Bene, se amate l’avventura, Roma può offrirvi questo ed altro.

Qui nella Città Eterna è ‘bello’ e ‘trionfale’ sfilare in corteo tra i palazzi del potere e le archittetture storiche, ma nessuno sembra essersi chiesto a chi devono rivolgersi i parenti del morto, se un’ambulanza rimane bloccata.
Agli organizzatori del corteo ed a chi l’ha autorizzato … chi mai sennò?

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

Perchè Renzi snobba il sindacato

8 Set

Ilvo Diamanti – statistico e politologo – oggi, su La Repubblica, rivela che il sindacato è “stimato da circa 2 italiani su 10. E, di conseguenza, guardato con diffidenza dagli altri 8. Anzitutto e soprattutto, dai lavoratori dipendenti. D’altronde, la componente più ampia degli iscritti è costituita dai pensionati.”

E proprio su questi iscritti pensionati la Confsal-Università (Confederazione Sindacati Autonomi Lavoratori, un sindacato dunque) ci racconta che quelli certificati dall’Inps al 1° gennaio 2012, erano 7.694.048, di cui 4.907.363 iscritti alle 5 confederazioni, e che i pensionati Inpdap, quelli del pubblico impiego, erano 2.785.800 di cui 427.517 iscritti.

Secondo la Confsal in totale i pensionati iscritti a qualche sindacato erano 5.682.075 nel 2012, ma il numero dichiarato dalle 5 confederazioni ammonterebbe a 6.957.126, con una differenza tra il dichiarato e il reale di 1.275.051 unità.

Lo stesso report della Confsal conferma un altro dato impressionante: con un tasso di sindacalizzazione in Italia del 33,8% (fonte “Corriere della Sera” articolo di Sergio Romano, maggio 2011, con dati Cnel) “il valore massimo di lavoratori del privato iscritti al sindacato” non può essere maggiore di 6.641.700, “ma gli iscritti del privato dichiarati dalle sole 5 confederazioni risultano essere 8.623.585”.

S.I.B. Sindacato Italiano Balneari che rappresenta migliaia di imprese balneari diffuse

S.I.B. Sindacato Italiano Balneari che rappresenta migliaia di imprese balneari

Praticamente, 1.965.000 lavoratori in più rispetto alle statistiche che comporterebbero – se fossero reali – che quasi la metà dei lavoratori del privato sia iscritta ad un sindacato, mentre con i pensionati si supererebbe ampiamente il 50% degli italiani, cosa che non è.

“Sono numeri che interrogano e chiedono una spiegazione logica, perché o c’è stato un aumento improvviso e assai consistente delle iscrizioni ai sindacati, e quindi il tasso di sindacalizzazione va decisamente aggiornato verso l’alto, o c’è qualche sindacato che arrotonda parecchio”, scrive Confasl.

E, tenuto conto della percentuale abissale (20%) della fiducia degli italiani nei sindacati, la questione dei veri numeri e del reale peso dei sindacati, come anche di chi e cosa rappresentino, diventa rilevante per il governo, per i cittadini e per i lavoratori.

renzi-supermanInfatti, oltre a chi si ‘regala’ un 20% di iscritti in più – per propaganda fidae e per gelosie tra confederazioni o altro – c’è la questione esiziale di quante tessere effettive ma non reali riescano a raccogliere i sindacati in alcune operatività che lo Stato ha loro molto benevolmente devoluto.

In due parole quanti lavoratori si sono iscritti per ottenere coperture assicurative sul rischio professionale o previdenza integrativa oppure fidelizzati grazie ai 740 dei CAF, le pratiche Inps, i corsi degli Enti Certificati, per non parlare del volontariato e degli immigrati, del così detto Terzo Settore? Spese esternalizzate a favore dell’associazionismo che la Pubblica Amministrazione – se ha gli esuberi che racconta – potrebbe riportare a casa in un battibaleno.

Per non parlare del Fondo Espero di cui quasi nessuno ha più memoria (… ma c’è) e dei sindacati nei CdA degli enti previdenziali di cui non sembra ce ne sia uno che non abbia sbancato. Niente di ‘grave’ e niente di ‘nuovo’ … ne sanno qualcosa i lavoratori francesi che affidarono ingenuamente risparmi e sacrifici ad enti di previdenza sociale, alla fine dell’1800, o quelli statunitensi che videro crollare le pensioni affidate ai propri sindacati prima che arrivasse Marchionne a salvare loro e … Chrysler in cui avevano incautamente investito.

Inoltre, dal punto di vista delle scelte politiche è sorprendente scoprire che solo un elettore su 4 è sindacalizzato (12 milioni su circa 40), ma che questo rapporto arriva ad 1 ogni due circa per i pensionati ed uno ogni 5-6 per gli under-40: se i numeri sono questi, portare un milione di persone in piazza non ha un peso effettivo alle spalle …

Arrivati a questo punto è chiaro a tutti perchè Matteo Renzi non sia andato a Cernobio e perchè non consideri i sindacati un interlocutore ‘politico’ e comunque utile al rinnovamento che intende portare avanti.

Conflitti di interessi per le attività esternalizzate che la P.A. in esubero potrebbe riprendersi, la presenza nei CdA degli enti previdenziali senza trasparenza sulle nomine sindacali, il rappresentare prevalentemente una generazione di troppi pensionati d’oro, l’essere stati i protagonisti di tanti errori disastrosi che dagli Anni ’70 ad oggi hanno messo in ginocchio il nostro Paese, l’ atavico ostracismo verso la separazione tra previdenza sociale e sistema pensionistico, l’aver preteso il mantenimento di aziende in disastrosa perdita (vedi Alitalia) per anni e decenni a carico delle casse pubbliche con buona pace di meritocrazia, crescita, innovazione e turn over.

Un sindacato di nicchia, se non si vuole crescere alla stregua dei tedeschi snellendo di gran lunga le fasi e le applicazioni contrattuali in sede nazionale. Un sindacato ingiusto, se non si fa paladino contro il lavoro nero e la sicurezza come fa quello statunitense che in questo ha un ruolo addirittura istituzionalizzato. Un sindacato inutile, se difende i diritti – acquisiti mica naturali – degli ultrasettantenni e le casse della previdenza pubblica e dell’associazionismo, ovvero datore  e volontariato, mica lavoro.

Dunque, se nei mesi venturi vedrete – come al solito – Roma in assedio e scuole okkupate, niente paura: quando votano salta fuori che sono molti di meno … poche noci nel sacco fanno tanto rumore.
E Renzi lo sa.

Originally posted on Demata

Polverini, i disoccupati e la sfiga … degli italiani

8 Ago

Renata Polverini (foto da Today.it)

Renata Polverini ha ricoperto dal 1999 al 2005 l’incarico di vice Segretario Generale dell’Unione Generale del Lavoro (ex CISNAL), occupandosi, fra l’altro, delle principali vertenze unitarie degli ultimi anni, dall’Alitalia alla Fiat di Melfi, dalla ThyssenKrupp di Terni al rinnovo del contratto per il pubblico impiego.

Fu eletta Segretario Generale dell’UGL nel Congresso del febbraio 2006, il 30 marzo 2010 viene eletta Presidente della Regione Lazio. Per la sua attività sindacale ricevette la stima di Veltroni che, fin dal 2008, la voleva come candidata nel PD. (fonte Affari Italiani e L’Occidentale)

Bene, anzi male: Renata Polverini, ieri durante la riunione del Comitato dei Nove, avrebbe definito gli italiani disoccupati come degli “sfigati che aspettano i soldi”. Lo riferiva quasi in diretta, su Facebook, il deputato Salvatore Micillo di M5S, che, poco dopo, precisa di non aver sentito di persona la frase, ma che erano presenti Alessio Villarosa e Mimmo Pisano e di riportare loro affermazioni.

micillo polverini disoccupati facebook

Il ‘gravissimo episodio’ veniva confermato dallo stesso On, Mimmo Pisano in serata, intervenendo alla Camera dei Deputati a fine seduta, che raccontava anche di come Renata Polverini si fosse anche rivolta all’altro parlamentare del M5S presente, Alessio Mattia Villarosa, “dicendo «Tu hai scocciato, te ne devi andare fuori » e facendo con i gesti della mano così: « Vai, vai, vai ». Al che il nostro collega, in maniera molto signorile, si è semplicemente accomodato fuori, dicendo che se ne stava andando, e lei ha detto: « Devi chiedere il permesso ». Dopodiché, si è presa la briga e anche l’arroganza di decidere che in quel momento il Comitato dei Nove dovesse essere fatto a porte chiuse, dicendo a tutti quelli che erano presenti che non fossero stati membri di uscire fuori e di chiudere le porte.”

Dopo le ‘battute’ di Calderoli sugli oranghi, mancava Renata Polverini con le sue ‘note uscite’ (ndr ed il ‘gergo popolare’) che hanno deliziato i cittadini del Lazio per un quinquennio. Ed, a quanto pare, anche questo è il livello delle nostre sedute parlamentari e commissioni/comitati connessi.

Certo, personaggi del genere sono potenzialmente candidabili, ma la responsabilità della loro candidatura – Porcellum o non Porcellum –  che inizi a ricadere sui partiti che li rendono eleggibili.
C’è alle porte la questione ‘presentabilità dei candidati’ per le prossime elezioni e … sarebbe il caso che qualche analista facesse due conti su quanti voti portino ‘certi Big della politica’ e su quanti ne facciano perdere …

P.S. La risposta di Polverini è arrivata poco fa: «Ho dato immediatamente mandato ai miei legali a presentare una querela nei confronti dei deputati Villarosa e Micillo. Non ho utilizzato nessuna espressione di ingiurio e, in realtà, è avvenuto esattamente l’opposto di quanto dichiarano i due deputati: il M5S aveva intenzione di bloccare il provvedimento ormai in votazione e di rinviarlo alle commissioni con il chiaro intento di farlo decadere e impedendo di fatto la messa a disposizione di strumenti normativi ed economici che danno più opportunità ai disoccupati ‘sfigati’ inteso come sfortunati in gergo popolare».

Sfigati e/o disoccupati che siano, probabilmente aspettano non solo ‘i soldi’ – combustibili in sussidi e clientele come da storia patria – ma anche e soprattutto lavoro e dignità, formazione e opportunità, on. Polverini. Lei che è stata sindacalista non dovrebbe dimenticarlo …

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Produttività, un accordo monco

22 Nov

Firmato l’accordo tra governo e parti sociali sulla produttività. Camusso (Cgil): «si determina una riduzione dei salari reali dei lavoratori». Centrella (Ugl): «l’intesa porterà più posti di lavoro e salari più alti». Monti: «è un passo importante per il rilancio delle imprese e la tutela dei lavoratori».

Chi ha ragione? Tutti e nessuno.

Infatti, Palazzo Chigi ha precisato che «il governo ritiene che sussistano le condizioni per … (l’) implementazione degli atti normativi necessari a definire i criteri di operatività dei meccanismi di defiscalizzazione necessari a sostenere in una logica di incentivazione della contrattazione di secondo livello, i salari e la produttività».

In due parole, le contrattazioni nazionali definiranno dei minimi salariali e delle parametrazioni generali, la restante parte verrà definita in sede aziendale o di categoria in base alla produttività, ovvero come ‘premialità’.

E’, dunque, probabile che, nel tempo, i salari minimi perdano potere d’acquisto, che nei territori dove l’imprenditoria è sana e produttiva i redditi dei lavoratori s’incrementeranno, che avverrà un rilancio delle imprese, ma non necessariamente in tutti i settori e/o con sensibili benefici per i lavoratori.

Inoltre, la defiscalizzazione del lavoro dipendente, se non controbilanciata da una maggiore leva fiscale su altri settori della società, comporta una minore finziabilità dei servizi pubblici ‘alla persona’ (scuole, ospedali, assistenza, salario minimo), che sono indispensabili per questi ceti con minore potere d’acquisto e minore disponibilità finanziaria.

Per come stanno le cose oggi in Italia, le norme contrattuali sulla produttività potranno avere probabili benefici sull’evasione fiscale (fuori busta e lavoro nero), ma, per il resto, è difficile che i benefici per i lavoratori verranno diffusamente percepiti nelle regioni a sud di Firenze.

Il bilancio delle misure sulla produttività concordate tra lo Stato e le organizzazioni dei lavoratori dipendenti (eccetto la CGIL) non è, dunque, di per se positivo. E’ un intervento necessario che attendeva di divenire norma da diversi decenni, se non ‘ab origine’, ma proprio a causa del ritardo con cui avviene, necessiterebbe di essere accompagnato dalle altre misure – sul welfare – che lo rendono benefico non solo per le aziende, ma anche per la società in termini complessivi.

Ad esempio, la liberalizzazione del comparto assicurativo e la negoziabilità da parte dei singoli lavoratori di esodo anticipato entro determinati parametri, come in USA, e/o l’introduzione del salario minimo e la liberalizzazione del sistema sanitario, come in Europa, e/o l’esistenza di un corpo ispettivo sui servizi esternalizzati e sulle amministrazioni pubbliche che erogano servizi di assistenza od un sistema giudiziario rapido ed efficace, come dovunque.

Un intervento di ‘blando ultraliberismo’, insomma. Come del resto è stata finora tutta l’azione politica di Mario Monti.

Qualcosa per cui nessun elettore aveva dato mandato a questo Parlamento e che dovrebbe far riflettere chi, dopo un anno così, vagheggia ancora un governo di programma – un quinquennio – sotto l’egida di Mario Monti o, pejus, propone una sua elezione al Quirinale.

Certo, c’è qualcuno che è convinto che si possa governare anche con il solo 30% dei consensi espressi ed il 15% di quelli effettivi.
Ma c’è da chiedersi se questo sia possibile al di fuori degli USA – dove accade ma con un establishment che concede ‘in cambio’ grandi libertà individuali a tutti i cittadini – e c’è da chiedersi, soprattutto, per quanto tempo possa durare una siffatta leadership, quale sia il prezzo da pagare per mantenere il potere in tali condizioni minoritarie e cosa accadrebbe, primo o poi, quando la legge del corsi e dei ricorsi dovesse fare il suo effetto.

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Riformare il catasto … a Roma?

29 Feb

Il governo conferma, nell’Atto di indirizzo firmato dal premier Mario Monti, la volontà di riformare – fiscalmente e non solo – il settore immobiliare e il sistema estimativo del catasto per il “riequilibrio del sistema impositivo” ed il “graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”.

Una bella idea? Forse, ma, …

Apparentemente, l’idea di mettere ordine al settore immobiliare non è errata, anzi. Il problema, però, è che possa essere troppo “ambiziosa”, ovvero che si finisca per avallare e legittimare deformazioni del mercato impressionanti.
Come esempio potremmo considerare Roma Nord, dove decine di migliaia di persone ha comprato appartementi nel nulla ad un prezzo pressochè doppio rispetto a tante abitazioni preesistenti, di pari livello e con parcheggi, viciniori a scuole, supermercati, farmacie e stazioni della metro o capolinea dei bus, che, viceversa, hanno visto crollare del 30% il proprio valore.

Come la mettiamo con il valore catastale? Qualcuno è disposto a rivalutare al ribasso l’enorme periferia capitolina, edificata dai palazzinari di turno e pressochè “nel nulla”?

E, parlando di catasto e di Roma, teniamo conto anche che gran parte del “popolo romano” vive ancora “entro le mura” in edifici spesso splendidi, non potrà di sicuro pagare le tasse ed i tributi per edifici fortemente rivalutati.

Come sarà impensabile che abitazioni di (extra)lusso possano andare in fitto o comodato d’uso per quattro spiccioli ad un assegnatario o restare con lo sfratto bloccato da decenni “per esigenze abitative”. Ed altrettanto andrà valutato per l’enorme messe di villette e palazzetti abusivi e poi condonati, che oggi rappresentano ormai un bene di lusso, specie se sono solo a pochi  chilometri dal Colosseo, e comunque hanno un certo valore, se sono a pochi passi da un ospedale, una sede consolare, un centro studi universitario.

Tutta gente che dovrà andare ad abitare altrove, sempre più in periferia, dove dovranno essere costruite nuove case, nonostante la popolazione non sia affatto in aumento, con i relativi servizi ed il solito degrado.

Sarebbe auspicabile che Mario Monti garantisca l’impossibilità di “cambi di finale” – ci sono i precedenti delle pensioni e degli F35, oltre che delle liberalizzazioni – e dia al Paese ed al Presidente Napolitano, la cui firma avalla tutte le leggi, opportune garanzie che tra Governo proponente e Parlamento emendante  non ci troviamo di fronte ai prodomi di un nuovo bagno di cemento per la nostra povera Italia ed al definitivo smantellamento del contesto sociale metropolitano.

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Spostare il carico fiscale … verso il basso

29 Feb

Non tutti sanno che il 50% del gettito fiscale italiano è dato dalle tasse che 4-5 milioni di contribuenti pagano. Un 10% circa di italiani, quelli che dichiarano redditi superiori agli 80-100.000 Euro, sostiene circa metà del carico fiscale.

Essendo a conoscenza di questo dato, non resta che chiedersi cosa possa intendere il professor Mario Monti, persona insigne per la quale “parla il curriculum”, con l’espressione “sposteremo il carico fiscale”.

Più tasse ai disoccupati, agli invalidi ed ai precari?

Dopo quello che hanno combinato con le pensioni, forse, c’è da preoccuparsi.

 

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Qui ci vuole Napolitano

28 Feb

E’ un po’ di tempo che non si sente la voce del Presidente Napolitano, l’uomo che “ci ha messo la faccia” con i cittadini, a Bologna od in Sardegna, mentre Mario Monti raccoglieva elogi stranieri ed il Governo era comodamente assiso a Roma.

Un presidente recentemente fischiato per colpe non sue, ma di altri.

A partire dai media, che quattro mesi fa seppellivano l’Italia sotto una coltre di “cattive notizie”, in parte rivelatesi troppo frettolose o pessimistiche, in altra parte palesemente “speculative”, e che oggi annunciano che i titoli italiani sono andati benissimo, mentre i dati confermati segnalano che l’Italia sta peggio e non meglio.

Mai chiedersi un perchè o un per come, mai.

Per passare ai partiti o meglio il Parlamento, che dovrebbe essere per lo meno il luogo dove appetiti e monopoli trovano una composizione di utilità generale e che – almeno per la sensazione che se ne riceve dall’esterno – sembra una sorta di bazar dove voti, prebende, incarichi ed appalti sono gli argomenti oggetto dell’interesse generale.

Dove tutto ha da cambiare purchè nulla cambi.

Arrivando alle “amate banche italiane”, che oggi rappresentano il non plus ultra della stratificazione finanziaria – di poteri e di risorse – avvenuta duranti i primi 30 anni dell’Unificazione Italiana e che vede i cosiddetti “poteri forti” – sempre toscani, romani, piemontesi, veneti – impossessarsi del prodotto degli italiani, tramite il controllo della valuta: Banca d’Italia e Lira prima, Euro e Bond di Stato oggi.

E così accade che nessuno avrebbe pensato che Unicredit si salvasse acquistando titoli di Stato italiani, ricavando un interesse del 7% vista la situazione di fibrillazione politica e mediatica italiana. Eppure, è accaduto.

E arriviamo ai Sindacati, la cui grande colpa è nel non mettere in luce – causa i soliti affarucci di bottega – quanto le “liberalizzazioni” potrebbero e dovrebbero fare nel campo dell’istruzione, della formazione, dell’editoria, dei servizi sanitari, del sistema consortile, del sistema pensionistico, eliminando prebende e privilegi, esenzioni e sprechi, sussidi e compensazioni.

Basti vedere come è andata per le pensioni e cosa hanno ricevuto in cambio di una tessera sindacale, pagata per 30 anni, i lavoratori cinquantenni.

Non è, dunque, di Giorgio Napolitano la responsabilità politica del Governo Monti, ambizioso e, talvolta, arrogante, ma delle defezioni – politiche, mediatiche, imprenditoriali, sindacali – che hanno permesso la composizione di un governo “ad alto rischio di conflitto di interessi”, il procastinarsi della manovra “Salva Italia”, arrivata con un tale ritardo da dover essere votata a forza, l’esultanza per una decretazione d’urgenza che, salvo gli F-35, non conteneva particolari misure a ricaduta “di cassa” immediata, l’esitazione dei sindacati dinanzi ad una legge abnorme come l’elevamento dell’età pensionabile, “fulmine a ciel sereno”.

Presidente, riprenda a bacchettare “gli italiani”, che il governo, ormai, non riesce a votare due liberalizzazioni due ed i partiti di legge elettorale sembra proprio che non se ne vogliano occupare.

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Un governo “chiaro ed inequivoco”

27 Feb

 Il presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenendo in Commissione Industria al Senato, ha annunciato che l’Imu non sarà applicato alle scuole cattoliche che «svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali».

Una risposta «chiara e inequivoca», sottolinea il Primo Ministro italiano, che, viceversa, chiara non è e di “dubbi” ne solleva molti.

Infatti, non è possibile che un “singor professore” come Monti non sappia che, in Italia,  non esistono e non possono esistere scuole che operino con modalità/finalità prettamente commerciali: la vendita dei diplomi e delle certificazioni di studio è vietata.

Dunque, “modalità non commerciali” non significa praticamente nulla, se usiamo un linguaggio colloquiale, e non definisce assolutamente nulla, se volessimo riferirci a concetti e categorie contenuti nelle norme. L’unico concetto applicabile è che attualmente esistano scuole cattoliche gestite da società commerciali “italiane” (srl o spa che siano), cosa che “di per se” non rientra nelle esenzioni concordatarie.

Le scuole, infatti, sono statali, comunali, regionali, provinciali, clericali, serali, paritarie, paritetiche, parificate, aziendali: equità, giustizia e buon senso vorrebbero che tutte fossero sottoposte alle stesse regole ed alla stessa tassazione, ricevendo gli stessi finanziamenti.

E, per dirla tutta, se è “assurdo” che lo Stato tassi le “caritatevoli” scuole cattoliche, quanto allora è maggiormente “assurdo” che lo Stato tassi le proprie di scuole, riprendendosi con la mano sinistra almeno un quarto di quello che la destra dichiara di spendere … ?

Dicevamo dei “dubbi”, non nell’applicazione della norma che “abbiamo già capito” come andrà a finire, quanto sulla “chiarezza ed inequivocabilità” del Governo Monti, che, riguardo all’istruzione, fa seguito alle “chiare ed inequivocabli” disposizioni del ministro Profumo, che ha convocato gli Esami di Stato a mezzo circolare e che, nella nota relativa alle scuole chiuse per neve”, parla di giorni di scuola eventualmente riducibili, quando la norma di riferimento precisa che trattasi di “monte ore annuale” …

Una “inequivocabile chiarezza”, visto che, quasi in contemporanea, Elsa Fornero rispondeva, a chi evidenziava i bassi stipendi degli italiani, con un “aumentate la produttività”, mentre è notorio che nel Settentrione la produttività è pari o superiore alla Germania, il Centroitalia è “di per se” improduttivo, il Meridione, oltre a “pagare il pizzo” e le tasse, vede la propria produzione ortofrutticola soffocata dalle liberalizzazioni UE pro Marocco e Tunisia, volute dalla Merkel e appoggiate da Monti.

Nessun equivoco, ahimè: l’unica cosa che avevano bene in testa, i “professori” era di salvare le banche italiane colpendo le pensioni degli attuali cinquantenni, come l’unica che vorrebbero, per salvare le imprese italiane, è colpire l’occupazione degli attuali cinquantenni – gli ultimi con un “posto fisso” – senza, però, dar loro gli ammortizzatori sociali che gli spetterebbero, dopo aver pagato i contributi per 30 anni e passa.

Per il resto, di questo “governo d’inverno” rileviamo solo idee confuse, inattuabili, “ambiziose”, se non pericolose come la parola “recessione”, mentre il Parlamento “di questo governo” – sennò erano già tutti a casa – non ha ancora approvato una norma qualunque che serva a ridurre l’elefantiaco costo dell’apparato pubblico, a partire da partiti, sindacati, ordini professionali, sistema delle dirigenze, finanziamenti all’editoria, previdenza, sistema sanitario.

Chiaro ed inequivocabile: l’acqua è poca e la papera non riesce a galleggiare.

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Cento giorni per Monti

24 Feb

Il tempo scorre sempre in avanti e, di questo passo, siamo arrivati al centesimo giorno di governo da parte di Mario Monti ed il suo Esecutivo: è tempo di un rendiconto.

Innanzitutto, va annotato che l’ISTAT ci ha rivelato – ex post – che, al momento della nomina di Monti, il governo Berlusconi aveva recuperato l’1% del debito pubblico, che spread, titoli e mercati sono andati malissimo anche dopo l’annuncio delle misure “Salva Italia”, che questo Consiglio dei Ministri si è rivelato un esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza di governo senza un programma annunciato o definito.

Male, molto male.

Poi, ci sono le misure adottate, poche, nei fatti, e pessime, nei risultati.

Infatti, di tutto quello di cui si fa annuncio o si espone in Parlamento, è legge “eseguita ed applicata” solo pochi provvedimenti, tra cui ne spicca uno solo di qualche rilievo: l’innalzamento dell’età pensionabile e l’azzeramento dei diritti dei lavoratori malati e precoci.

E, andando a vedere cosa è accaduto dopo le vendite di titoli di Stato “a tutti i costi” mentre stretta fiscale e previdenziale crescevano, il risultato è recessione, insicurezza sociale, sfiducia nei mercati e nelle banche.

Ecco i risultati di uno spread calato solo perchè abbiamo accettato di (s)vendere a tassi di interesse esagerati, invece di ricorrere ad una patrimoniale.

Intanto, le misere liberalizzazioni previste si sono arenate in Parlamento, proprio mentre Corrado Passera annuncia “un decreto al mese” e mentre Elsa Fornero chiede un accordo sindacale senza avere (o voler) nulla da offrire.

Dulcis in fundo, a 4 mesi dalla caduta di Berlusconi, niente legge elettorale, niente tagli alla politica, niente lotta agli sprechi, poca Antimafia, zero antiTrust, zero Sud, troppi cacciabombardieri e, per ora, solo annunci.

My compliments, Mr. Monti.

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Salario minimo, quanto costa?

21 Feb

Proviamo ad immaginare di voler quantificare i costi di un atto di dignità nazionale, ovvero garantire un salario minimo a chi, pur cercandolo, non trova lavoro e chi non lo cerca perchè invalido o perchè resta a casa a sostenere la propria famiglia.

Giusto per avere un’idea di quante siano queste persone, mettiamo in conto di dover considerare:

  • 2.033.653 casalinghe/i italiani (dati INAIL 2009)
  • ~ 1 milione di NEET minori di 21 anni (dati ISTAT 2010 >2.000.000 NEET dai 15 ai 24 anni)
  • 2.243.000 disoccupati (dati ISTAT 2011)
  • 420.000 cassaintegrati (dati Inps e stima UIL 2011 > 60,8 milioni ore)
  • 2.137.078 invalidi inabili al lavoro con assegno medio di sostentamento di 449,57 euro (rapporto MEF 2008)

In totale parliamo di poco meno di 8 milioni di italiani.

Prevedendo un salario minimo di 10.000 Euro l’anno di media – giusto per fare un conto facile – si parte da una base di 80 miliardi di euro annui.

Tanti, tantissimi, ma, in realtà, molto meno, a partire dal fatto che il 25% circa (20 miliardi) rientrerebbero pressochè subito come fiscalità.

Ad ogni modo, premesso che una bella somma arriva dal Fondo Sociale Europeo, il primo miliardo di “economie” deriva direttamente, come minor spesa, dai “sostentamenti” degli inabili al lavoro. Poi, ci sono i circa 6 miliardi che, secondo la stampa nazionale, spendiamo attualmente per i cassaintegrati ed altrettanti (almeno si spera) che l’INPS sta già spendendo in indennità di disoccupazione (dati Ocse nel 2007).

A proposito di dati Ocse, nel 2007 la spesa pubblica in Italia per la disoccupazione ammontava allo 0,4% del pil ( 1.351 miliardi di euro), mentre in Francia e Germania la spesa e’ dell’1,4% sul pil, in Belgio raggiunge il 3,1%,in Spagna il 2,2%, in Danimarca e Austria è all’1% e in Olanda arriva al’1,9%.
Dunque, nel 2007, l’Italia avrebbe dovuto spendere almeno 15 miliardi di euro (anzichè circa sei), sempre ammesso che le condizioni del paese siano paragonabili a quelle della Mitteleuropa …

Ritornando al nostro quesito – quantificare i costi del “salario minimo” – abbiamo visto come da circa 80 miliardi di euro (per 10.000 euro pro capite), siamo arrivati a 67 miliardi di euro di spesa “ulteriore”.

Ma non solo …
Questi soldi verranno spesi e l’espansione commerciale – specie se la smettessimo con gli enormi ipermercati – e produttiva – specie se mettessimo un freno al gioco elettronico – darebbe immediatamente frutto, ovvero posti di lavoro e resa fiscale. Almeno 2 miliardi di euro in gettito fiscale, più le economie date dalla maggiore occupazione.

Un’occupazione che andrebbe ad alleggerire ulteriormente “l’ulteriore onere” se considerassimo di abbinare formazione, riqualificazione, rieducazione, bonifiche, ripristini, manutenzione ordinaria … minore microcriminalità e meno povertà diffusa, meno razzismo grazie alla maggior tutela, minor spesa sanitaria per invalidi che vivono meglio … minori spese di carburante per i pattugliamenti. Per non parlare delle casalinghe “libere” di affrancarsi da un “padrone”, alle donne occupate in nero per 6-800 euro al mese, a tanti “bamboccioni” (NB si chiamano NEET) che non avrebbero più scuse per recarsi a scuola od al lavoro, e, “dulcis in fundo”, la potenziale incisività di un salario minimo in terre di mafia.

A quante centinaia di miliardi di euro equivarrebbe tutto questo? E quale rating verrebbe assegnato al sistema Italia, se un tal genere di intervento avesse successo anche solo per la metà?

E, d’altra parte, come non consinderare che – dopo l’ultraliberismo dei Chicago Boys – un po’ di Keynesismo, lo dicono tutti, è necessario? Se così fosse, non c’è altro che prender atto che lo Stato, la comunità, deve spendere, sostenere, investire e che sono altre le spese desute, inutili e famigerate. A partire dalle “auto blu”, ad esempio.

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Dimenticavo … i NEET sono i giovani dai 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. “Not in Education, Employment or Training”.