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Il Mantra? Non è induista … e fa moda in Thailandia

9 Ago

A proposito di ‘mantra’, tra Calenda e Bettini, sarebbe davvero il caso che i nostri media approfondissero meglio, non per la politica, ma per il bene della cultura italiana.

La vicenda è che il big boss del PD accusa l’emergente leader di Azione di non aver “capito che il mantra è una pratica induista che non c’entra niente con la Thailandia”.

Ma è davvero così? No, affatto.

In Thailandia il Buddismo è quello chiamato col nome sanscrito di ‘Theravada’, cioè di diretta origine indiana, che recita mantra dalla mattina alla sera, talvolta anche di notte.

Ma non solo.
I tatuaggi thailandesi sono noti in tutto il mondo e si tratta di frasi che proteggono la persona dal male fisico o spirituale, come il Hah taew di Angelina Jolie che ‘recita’ cinque mantra di protezione del buddismo.

Insomma, il ‘mantra’ lo recitano anche (e soprattutto) in Thailandia tanto che fa moda, ma non più granchè … in India, dove ci pensano i Bramini … e c’è solo da prendere atto che Goffredo Bettini è da anni amante della Thailandia, dove si reca spesso da molti anni, ma ancora non ne ha approfondito le credenze, le tradizioni e gli insegnamenti.

Ma, a proposito di politica e di elezioni, quel che conta è altro.
Il termine ‘mantra’ in senso figurato moderno sta per “ripetizione costante e monotona di una idea o una serie di idee”: è a questo che si riferiva Carlo Calenda rivolgendosi a Goffredo Bettini e al PD?

Demata

Approfondimento:

I mantra sono una pratica religiosa introdotta dagli Indoeuropei in India circa 2.000 anni prima di Cristo, dando origine ad una religione ultramillenaria (Vedismo) con forme analoghe in Iran (Zoroastrismo). Da questa tradizione millenaria e dalle sue pratiche hanno origine gran parte delle religioni moderne.

L’Induismo? E’ solo la forma semplificata, degradata e popolare del Vedismo, affermatasi solo 800 anni fa, dopo che l’India fu invasa dall’Islam e ad uno ad uno i regni buddisti vennero eradicati, eccetto che in Nepal e Tibet.

Infatti, dal 700 a.C. l’India si divise praticamente in due quando i i bramini iniziarono a definirsi come l’unica casta collegabile al sacro e con il diritto di celebrare i sacrifici: si affermarono il Gianismo e il Buddismo, da cui ha origine al monachesimo e all’attivismo sociale odierni, in reazione al sacerdozio elitario conformato in religione ufficiale.
In particolare, il Buddismo soppiantò le culture vediche per quasi 1.500 anni, eccetto negli regni più interni e primitivi del subcontinente indiano, dove la popolazione – ridotta in caste – restò fedele ai bramini per poi divenire il fattore delle ‘reconquista’ anti-islamica dell’India.

Covid nazione per nazione, cosa possiamo imparare?

13 Ago

Visa List è un portale mondiale che fornisce informazioni ai viaggiatori, dai requisiti per il visto alle condizioni sanitarie eccetera.

Dunque, Visa List riporta una mappa accurata del Covid nazione per nazione, sia per le restrizioni di viaggio e/o quarantene per chi entra sia per il trend locale dei contagi ed eventuali blocchi per chi dovesse ritornare a casa. 

Partiamo delle nazioni a noi vicine, quelle che si sono dovute riaprire al turismo internazionale e all’intrattenimento che alimentano le loro economie: i risultati si vedono.

GR ES Covid 12 agosto

Andiamo, poi, alle nazioni i cui presidenti negavano la pericolosità del Covid e vediamo come stanno messe oggi: dopo che se ne son convinti i risultati si vedono.

BR - US Covid 12 agosto

Ecco cosa accade in due nazioni con mentalità, governance e sistemi sanitari diametralmente opposti: anche se la prima è intervenuta tardivamente, i risultati si vedono.

UK FR Covid 12 agosto

Arrivati all’Italia il confronto è con la Germania, che ha simili problemi di governance sanitaria ‘regionale’ e che è anch’essa abbastanza rigida su ‘mascherine’, ‘assembramenti’ e ‘locali aperti al pubblico’, come è tempestiva verso i focolai: anche in questo caso i risultati si vedono.

DE IT Covid 12 agosto

Cosa possiamo imparare da questi numeri?

  1. l’uso diffuso delle mascherine, l’abitudine al distanziamento e le minori presenze in ambienti chiusi fanno la differenza
  2. fa anche la differenza mettere in quarantena chi arriva da aree a rischio ed isolare tempestivamente i focolai di casa nostra
  3. mentre arriverà il vaccino a tutti nei paesi ‘avanzati’ passerà quasi un anno, nel resto del mondo anche di più
  4. noi e le nostre economie dovremo convivere anni con il Covid e le sue ‘reprise’

Demata

Liberalizzare con meno tasse: bello, ma come?

7 Mar

Rimarcando gli slogan dei conservatori statunitensi e britannici, che a casa loro hanno tutt’altro sistema, ogni tanto capita di sentir parlare del “carrozzone statale”.

‘Carrozzone’ che è in larga parte composto da insegnanti, soldati, agenti, pompieri, università, giustizia (e carceri).
La così detta burocrazia ne è una minima parte (eccetto Roma dove ci sono i ministeri, ovviamente).

Difficile che queste infrastrutture nazionali di cui ogni nazione è dotata ‘servano solo a chi ci lavora dentro‘: ogni giorno sono tra la gente per la gente.
Funzionano male, spesso o talvolta, ma polizia, pompieri e giustizia languono di risorse. I militari pure.

Potremmo discutere se 1 milione e passa di docenti debbano dipendere dai comuni e dalle regioni, anzichè dal ministero, ma questo significa – poi – tributi locali e spesa privata.

Mantenere le scuole costa e comunque il costo ‘voucher’ per alunno non è che può andare fuori dagli standard Ocse, cioè quelli attuali del nostro Stato.
La transizione durerebbe 3-5 anni tra ‘smonta e rimonta’, cosa che ha un bel costo suo proprio.

Altro aspetto per la detassazione ‘statale’ può essere il rivedere i finanziamenti alle università, ma sarebbe un serpente che si morde la cosa, dato che parliamo di redditi da ‘libera professione’: l’antitesi del liberismo che vuole ridurre le tasse.

Ma allora come si fa?
Ricordiamo che le entrate non andrebbe così male senza interessi sul buco che ci hanno lasciato nel 1994 e senza misure di spesa ‘occupazionale’ come la Buona Scuola, il Reddito di Cittadinanza, la Quota 100, come senza … le mille proroghe che messe insieme diventano miliardi.

Il ‘buco’ del bilancio statale nasce nel 1974 con l’assorbimento delle Casse e delle Mutue, convinti che quelle attive perchè più contribuite potessero sanare quelle passive meno contribuite: così nacquero INPS e SSR odierni. Sappiamo come è finita.

La verità è semplice: tra debito e interessi sul debito siamo ingessati e il gap di investimenti istituzionali tra l’Italia e le altre nazioni europee (inclusa Romania, Estonia eccetera) è del 3% del GDP sulla media e di circa il 5% sulle nazioni di punta (Ungheria inclusa).

Investimenti pubblici Italia vs UE

Il GDP italiano del 2018 era di 2074 mld €: dunque ai nostri “investimenti per l’economia totale, il governo, le imprese e i settori domestici” mancano una 60ina di miliardi di euro l’anno da diversi anni.

Dunque, un’istanza condivisa di minore pressione fiscale e soprattutto di stabilità e semplificazione procedurale va a raccogliersi in un solo settore del valore forse di poco inferiore ai 500 miliardi annui (tra pubblico e privato, pensioni e salute): quello assicurativo previdenziale e assistenziale.

L’unica soluzione sono 500 miliardi annui che almeno per metà potrebbero divenire fluidità dalle assicurazioni alle banche e alle imprese, cioè per investimenti e innovazione: competitività.

Nessuno crede che i liberisti, conservatori e leghisti come del resto tutti gli altri partiti vogliano promuovere una patrimoniale da 100 miliardi (… da versarsi a rate vista la situazione, salvo attingere dai concessionari di Stato.
Ma anche tante partite iva dell’edilizia o della ristorazione o del turismo  sarebbero quelle maggiormente da riconvertirsi tra i privati con l’innovazione tecnologica, tra cui la sicurezza sul lavoro e le norme tecniche.

Se vogliamo promettere realisticamente meno tasse (a Destra) o più occupazione (a Sinistra) o più reddito per tutti (insomma), non c’è altra via che la privatizzazione del settore assicurativo, ‘cedendo’ l’Inps, ripristinando il sistema di convenzioni mutuate, garantendo il SSR come era l’Inam prima, mettendo in circolo fluidità finanziaria e … vinca il più bravo, se si controlla anche che nessuno rubi o sperperi.

Quanto al “popolo delle partite iva”, dipende … basterebbe la volontà (e i soldi) per ripristinare il degrado degli edifici e dei luoghi pubblici, magari ammodernarli, e l’economia ‘basic’ respirerebbe e con lei il resto. 

Demata

Miliardi sottratti al fisco … per darli al malaffare

17 Lug

I Radicali Italiani stimano che in Italia vengano consumate circa 120 tonnellate all’anno di marjuana o hashish, con un valore al consumo di circa 10 miliardi di euro (costo medio 10 euro per grammo, (dati Huffington Post) ed una percentuale di consumatori in Italia (14,6%) pressochè identica a quella olandese e statunitense.
Se lo Stato applicasse, banalmente, un’Iva del 21%, incasserebbe 2 miliardi di euro l’anno, con minori spese per la sicurezza, le carceri ed i servizi sociali che oggi derivano dall’illegalità delle così dette ‘droghe leggere’.
Inoltre, i dati agroalimentari USA confermano che “la California è lo stato che produce la maggiore quantità assoluta di piantina da fumare, per un guadagno (illegale) che supera persino quella del grano e del frumento messi insieme” e, soprattutto, che i raccolti, nonostante la crisi, non hanno subito grosse variazioni di prezzo come invece è accaduto per i cereali.”

In poche parole, tra uso legale in Italia e possibilità di esportare marjuana a scopo medico nei tanti stati USA e nordeuropei che stanno legalizzando il settore, lo Stato italiano potrebbe beneficiare di diversi miliardi di euro annui tra tasse e proventi di monopolio, senza incrementare particolarmente il numero di consumatori, che è già uno dei più alti del pianeta, e sottraendo alle narcomafie un mercato miliardario ed un notevole fattore di attrazione verso droghe più lucrative e micidiali.

Ma c’è dell’altro.

In Italia, secondo La Repubblica, ‘lavorano’ 50-70.000 prostitute/i, che rendono mensilmente ai loro sfruttatori tra i 5.000 ed i 7.000 euro mensili: un volume di ‘affari’ superiore ai 5 miliardi di euro annui. Stando ai numeri di Spagna (300.0000) e Germania (400.000), dovrebbero essere molte di più, almeno il doppio (150.000), specialmente se volessimo tenere conto di probabili sottostime del fenomeno, come nella cattolicissima e gauchista Francia, dove le fonti ufficiali (OCRTEH) vorrebbero farci credere che in Allemagne vi sarebbero oggi solo 18-20.000 prostitute.

Sempre applicando un’Iva al 21% (ma dovremmo forse parlare di Irperf e tassa comunale?), su una base realistica di 100.000 prostitute/i, ci ritroviamo un altro paio di miliardi di  euro di minore gettito fiscale annuo, oltre a mancati contributi previdenziali per oltre 300 milioni annui.
Senza dimenticare che legalizzare la prostituzione è l’unico modo per evitare che aumentino ancora quei 10-15.000 minorenni che si prostituiscono  in Italia e per rallentare il contagio del virus dell’AIDS, che è cresciuto addirittura del 10% nel solo 2012, arrivando a 4000 nuovi casi annui, secondo fonti del Ministero della Salute.

Solo applicando l’Iva alla marjuana e alla prostituzione lo Stato italiano ricaverebbe un benefit fiscale e dei minori costi per la sicurezza e la giustizia ben superiore ai tre miliardi annui. Figuriamoci se mettessimo in conto quelli derivanti dall’occupazione nei settori agricolo, commerciale, ristorazione e intrattenimento, impiantistica ed edilizia.

A proposito, non dimentichiamo che il PIL di Las Vegas è di 90 miliardi di dollari annui con soli due milioni di abitanti ed un flusso di 40 milioni di turisti all’anno provenienti da tutto il mondo, e che, al netto dei contributi che i singoli casinò devono versare ai propri comuni, a San Remo l’utile 2012 tocca i 13 milioni, a Venezia tra i 25 e i 28 e a Saint Vincent gli undici. Più tutto quanto deriva dai prelievi fiscali sulle vincite dei songoli giocatori e dalle tasse che arrivano dal’indotto e dalle migliaia di lavoratori occupati.
Parliamo del gioco d’azzardo vero, quello che attira turismo e capitali internazionali, non quello che raschia pensioni e stipendi di tanti italiani e sul quale lo Stato lucra direttamente, come accaduto nel 2011 con oltre 13 miliardi di ‘utili’, sottratti alla produzione ed al commercio per alimentare la spesa pubblica.

In poche parole, liberalizzando prostituzione, gioco e droghe leggere, le casse pubbliche si ritroverebbero con non pochi miliardi di euro annui in maggiori entrate, mentre l’Italia guadagnerebbe non meno di 200.000 occupati e tanto spazio in meno per l’illegalità e lo sfruttamento.
Ovviamente, per realizzare almeno una sola Las Vegas da 50 miliardi di PIL annui, non basta solo liberalizzare quello che già esiste agli angoli delle nostre strade: servirebbe anche una giustizia semplice e snella (Common Law) e dei contratti di lavoro nazionali che possano essere ampiamente integrati in sede locale.

Dunque, se qualcuno fosse ancora del parere di mantenere le leggi attuali che almeno ci spiegasse il perchè, visto che parliamo di ‘costi a perdere’ e che, molto probabilmente, il volume di affari, l’occupazione e la leva fiscale potrebbero rivelarsi di gran lunga superiori alle stime di questo post.

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Napoli: chi non vuole le ZTL … a Roma?

2 Mag

Nonostante a Firenze si siano rivelate linfa vitale per il turismo, il commercio e l’artigianato, sebbene a Milano si siano rivelate la bacchetta magica per il capoluogo di una regione di 10 milioni di abitanti, sono forti le polemiche sulle ZTL a Napoli.

Come al solito, quando si legge delle disgrazie di Napoli bisogna diffidare, anche perchè – grazie alla tradizione inagurata da Scarfoglio e Serao – spesso si tratta di ‘chiacchiere e distintivi’ che hanno interessi altrove.

Un’interessante lettera pubblicata da Iustitia, settimanale di informazione on line, chiarisce i termini della questione a Napoli, precisando che “da giorni e giorni su Repubblica Napoli e Corriere del Mezzogiorno si susseguono articoli contro le ZTL, zone a traffico limitato, si riportano in dettaglio le posizioni di commercianti e si intervistano persone che sono contrarie”, nonostante “due sondaggi online promossi proprio da Repubblica Napoli hanno dato una netta maggioranza a favore delle ZTL (Centro Antico e Mare). I risultati di questi sondaggi, però, non sono stati riportati negli articoli pubblicati in questi ultimi mesi.”
Allo stesso modo, “WWF, Italia Nostra, Legambiente, Marco Mascagna, Cicloverdi, Mamme antismog, Associazione Culturale Pediatri, Pediatri per un Mondo Possibile hanno inviato comunicati sulla ztl l’8 aprile, il 10 aprile e l’11 aprile. Su Repubblica Napoli e sul Corriere del Mezzogiorno non è uscito neanche un rigo.”

Secondo l’autore della lettera, il ben documentato Pio Russo Krauss dell’Associazione Marco Mascagna, “chi legge Repubblica Napoli  e Corriere del Mezzogiorno (diretto da Marco Demarco, ndr) crede che sia un dato di fatto che le ZTL hanno aumentato il traffico, hanno messo in ginocchio il commercio, hanno determinato la chiusura di negozi.”

Viceversa, il TomTom Congestion Index 2013 riporta che Napoli è migliorata di 6 posizioni nella classifica della congestione del traffico, la Confcommercio evidenzia che la crisi colpisce soprattutto Roma e Torino e poi Napoli, che la  Confesercenti-Anama non considera allarmante a Napoli la percentuale di negozi chiusi (sfitti)  nei centri storici, a differenza di Cagliari, Rovigo, Catania, Palermo, e che, secondo l’Associazione italiana Confindustria Alberghi ed Il Sole 24 Ore, Napoli è la città italiana che ha registrato l’incremento maggiore di presenze alberghiere (10,5%) tra gennaio 2012 e 2013.

Tra l’altro, Firenze ha il 50% di ZTL in più rispetto a Napoli (3 kmq) e Monaco di Baviera è riuscita alimitare il traffico in ben 44 kmq del proprio territorio.


Dunque, oltre alle eterne faide della sinistra italiana (in tal caso verso il sindaco senza partito Luigi De Magistris) è possibile, visto l’attegiamento delle testate nazionali, l’origine di tante chiacchiere potrebbe risiedere nel fatto che affermare le ZTL a Napoli, dopo Firenze e Milano, funzionano, costringerà anche Roma ad una politica seria di mobilità e di dislocazione delle centralità.
Infatti, Roma destina oggi solo 4,2 kmq alle Zone a traffico limitato, che, però, sono straaffollate ed assediate dalle autovetture di quasi milione di di residenti, dalle decine di migliaia di auto blu e di padroncini e corrieri che svolgono commissioni, l’enorme frammentazione delle sedi istituzionali e l’irrazionalità logistica del Piano regolatore che costringono milioni di romani a trascorrere nel traffico il 10% della loro giornata.

Una città, la nostra capitale, che tra le tante improduttività annovera quella turistica, visto che il Colosseo e i Musei Vaticani raggiungono i 5 milioni di visitatori ciscuno, mentre a Londra ha quattro musei sopra la soglia dei cinque milioni, il Louvre di Parigi stacca 8,5 milioni di biglietti l’anno, Disney Paris raggiunge i 15 milioni di visitatori.
Un centro storico capitolino che, essendo ambito a tanti VIP in cerca di acquisti immobiliari a prezzo ‘politico’, non può derto fare spazio a bed & breakfast, turisti in sandalo ed American Express Oro, grandi investimenti ‘industriali’ nel turismo e nel Made in Italy.
Una città, che fu raccontata da Sordi e Pasolini, dove il mercato immobiliare è talmente anomalo, al punto che, a differenza di qualunque altra città, gran parte dei romani de Roma può permettersi di vivere ancora nei quartieri dei loro nonni, ma a condizione di mantenere le antiche ripartizioni urbanistiche e d’uso degli immobili con un traffico ed una logistica disastrosi.


Una Roma, dove l’Auditorium conta un milione di ingressi l’anno quasi quanti ne conta Rainbow MagicLand, il parco a tema di Valmontone, mentre buona parte del litorale spiaggioso non è assolutamente valorizzato. Una metropoli che rinuncia a creare un passante tranviario lungofiume – come dovunque – per creare piste ciclabili semi-deserte e terrazze per l’elio terapia degne del miglior Ballard. Un sistema locale che non riesce a rendere più appetibili i negozi del centro ai turisti che ormai trovano tutto anche a Shangai od Hong kong a prezzi scontati da balzelli fiscali, tributi e pizzo.

Una follia collettiva, che, in Italia, si traduce in un calo del settore alberghiero-turistico, che “è dovuto ai «prezzi fermi ormai da 3 anni» e ad «accorte politiche tariffarie difficili da sostenere a lungo». Inevitabile un riflesso anche sul mercato dei lavoratori, con un -2,6% di occupati (-2,8% a tempo indeterminato e del -2,5% a tempo determinato)”, come spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, sul Corsera.

Una discrasia che rende, probabilmente, indigeribile che il fatto che Napoli – la città dei cugini disgraziati, caotici e vituperati (non la ‘piccola Firenze’, non la ‘maniacale’ Milano) – si (ri)doti di un’organizzazione industriale e di una qualità turistica invidiabili, lasciando la Capitale sola a ‘combattere la modernità’?

E’ questo il vero problema ZTL a Napoli, di cui i media, anche nazionali, parlano in un modo ingiusto?
E cosa intendono fare, nel dettaglio, gli attuali candidati a sindaco di Roma in fatto di accrescimento dei flussi turistici e ‘solvibilità’ della città, mobilità e trasporti, inquinamento e vivibilità?
Come intendono fare Napoli e Roma intraprendere una strada di crescita, se il loro Medioevo, il loro Barocco, il loro Rinascimento ed il loro primo industrialesimo non diventino un valore aggiunto, sfruttato industrialmente? QUanti edifici pubblici potrebbero essere riconvertiti per la ricettività alberghiera?
Cosa farcene dell’enorme numero di teatri, musei e cinema di cui sono dotate queste città, senza i flussi turistici (e pedonali) che possono essere attratti, visto che Amburgo, per continuare ad attrarre il turismo interno, ha costruito una piccola fortuna, in soli venti anni, nel settore delle Operetten Haus?

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Firenze, non povera ma non bella?

12 Ott

Firenze è un comune italiano di circa  370.000 abitanti, che secondo il Sole24Ore ha un reddito medio per abitante di 16.468 euro e di 33.989 euro per famiglia (dati 2007).

Che sia una città piccola, come sostiene Marchionne, è inoppugnabile, ma definirla povera, con i redditi medi degli italiani, è difficile, specie se il reddito medio pro capite a Pomigliano d’arco, dove c’è la FIAT, è di 8.575 euro pro capite (dati 2010).

Il punto, però, secondo i fiorentini – tra cui certamente il sindaco Matteo Renzi – è che la città, povera o piccola che sia, è oltremodo bella. Purtroppo, con tutto il rispetto e la simpatia per gli amici fiorentini, c’è solo da constatare che le cose non stanno esattamente così.

Firenze ‘era’ bella, ma oggi sembra essere diventata un luna park per turisti ‘usa e getta’ ed un bivacco per desperados che alimentano – al ribasso – commercio ed occupazione locali.

Una situazione ‘esemplarmente’ alimentata dal Comune di Firenze, che applica lo ZTL in modo da avere un flusso di turisti-pedoni fino alle 19,30 ed un rombate afflusso di movidari nel corso  della notte, evitando con gli opportuni balzelli che qualche vero amante di Firenze resti per più di 3-4 giorni, occupando per troppo tempo la camera d’albergo ed intasando il ricambio dei festanti giostranti finto-cult. In caso di bisogna, son ben accetti convegnisti e congressisti, sempre di 3-4 giorni si tratta.

Una cannibalizzazione della ‘bella e colta Firenze’ che emerge quà e là dalle cronache fiorentine.

Ad esempio, la situazione di Piazza Brunelleschi, denunciata da alcuni giovani fiorentini allo stesso Renzi, che, ricordiamolo, su LA7, giorni fa, ha annunciato testualmente di voler “rivoluzionare la scuola”.

Oppure La Repubblica (vedi foto sotto) quando parla di “Cibo andato a male, lattine e bottiglie, flaconi di Metadone, siringhe, spacciatori e drogati, disperati da marciapiede che dormono nei cartoni. Persino escrementi e un odore terribile”.

Il Corriere della Sera scrive, ancora, di “combattere il degrado e la sporcizia che derivano dalla movida notturna e che affliggono la aree intorno alle basiliche fiorentine”.

Il prefetto Varratta – dopo che l’arcivescovo ha raccolto il grido di aiuto di alcune chiese fiorentine – parla «di comportamenti incivili e di mancanza di attenzione verso i luoghi e di considerazione per le persone. Il nostro obiettivo è di contenere questi fenomeni per evitare che degenerino in fatti più gravi».

L’Espresso denunciava (pochi giorni fa) la storia di “Michelle D. che passa le sue giornate tra i monumenti di Firenze che tutto il mondo ci ammira. Ha cominciato a consumare eroina a 13 anni, quando ancora frequentava la scuola media. Così come sua sorella, Camilla, 20 anni, e i loro amici”.

E sempre L’Espresso raccontava di “Saverio L., 24 anni, finito al pronto soccorso per un arresto cardiaco dopo un malore. Ed è morto. Secondo la polizia, l’ha ucciso una nottata passata con amici. A sniffare eroina e cocaina. Il giorno del funerale, le pagine di cronaca locale descrivono un ragazzo appassionato di moto, cresciuto tra il catechismo e l’oratorio dei salesiani”.

Il quadro di uno sfascio sociale,  che si rende necessario perchè riportare la città al ‘turismo colto’ (e spesso facoltoso) implica – evidentemente – qualcosa che non è nelle corde del Partito Democratico, visto cosa sono diventati Perugia, Rimini e Bologna, diversamente da Montecarlo o Venezia.
Un disastro culturale, che si rende possibile perchè la ‘Firenze che conta’ abita più a Fiesole e molto meno in città (dati ISTAT sul PIL).

Una contraddizione politica, se nella ‘democratica’ Firenze circa il 20% dei residenti dichiara un reddito superiore ai 33.500 euro, pari al 50% circa del totale dei redditi ‘prodotti’, mentre ‘nell’elitaria Venezia’ più o meno la stessa percentuale di ‘benestanti’ rappresenta – come volume finanziario ‘prodotto’ – all’incirca il 40% del totale. Una Firenze ‘che arriva alla fine del mese’ per tanti e ‘diffusamente benestante’ per altri.

«Firenze non può vivere con il coprifuoco, ma non è possibile usare le strade come propaggini dei locali», dice Matteo Renzi, dinanzi alle “rimostranze dei gestori dei locali, all’indomani del sequestro preventivo di alcuni esercizi in via dei Benci, ma anche di residenti e comitati” (metronews.it).
Praticamente tutti contro tutti, my compliments.

Al di là di come vadano effettivamente le cose nella città del Savonarola, però, certo è che Firenze è molto meno bella di quello che potrebbe essere, come è probabile che vada sempre peggio, visto che genere di turismo si predilige attrarre e quanto sia difficile arrivare in città senza prendere una TAV,  che ormai è quasi l’unico modo per entrarvi, aereoporto o limousine esclusi.

Mi dispiace per i fiorentini, che meriterebbero di meglio, come lo meriterebbero tutti i residenti dei centri storici italiani, ormai invasi da oggetti sintetici, devoluzioni culturali ed esistenze anonime.
L’opposto di quello che storia, racconti e cinema di testimoniano della città sull’Arno e della nostra civilizzazione italica.

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Sarebbe ora di cambiare e di ritornare un po’, solo un po’, se stessi.

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Evasori: chi sono dove sono

10 Gen

Nel 1999, secondo le stime di Bernardi e Bernasconi, il volume di evasione fiscale relativa all’IRPERF dei “lavoratori autonomi, imprese individuali, società di persone” era pari al 68,5% della base imponibile, mentre l’IVA presumibilmente evasa era al 38%.

Il dato era confermato dallo studio di Bordignon e Zanardi che fissava all’84% l’entità degli evasori tra i lavoratori autonomi e, nel 2002, anche uno studio dell’Agenzia delle Entrate confermava indirettamente i dati di Bernardi e Bernasconi, stimando al 41% l’evasione derivante da “servizi alle imprese”, nel 27,7% quello del “commercio” e nel 17,3% quella del settore “servizi alle famiglie”.
In termini di localizzazione geografica, nel 1998, uno studio dell’Agenzia delle Entrate fissava una “graduatoria dell’evasione IRAP a livello regionale in termini assoluti (diffusione)” che poneva al primo posto la Lombardia ed al secondo il Lazio.

Questo il dato quantitativo della diffusione del fenomeno per categorie e territori, ma ancora più interessante, però, è quello per “intensità” del fenomeno.

Infatti, gli esiti delle verifiche su un campione rappresentativo di circa 500 società di capitali, per l’anno d’imposta 1997, dimostrò che il 94% dei soggetti avevano ricevuto contestazioni per evasioni fiscali entro i 5 milioni di Euro ed, addirittura, il 6% mostrava irregolarità per somme superiori ai 5 miliardi di Euro; allo stesso modo l’elusione fiscale.
Secondo uno studio di Secit del 2000, l’evasione contestata raggiunge il 6,5% della produzione nel Centro Italia, mentre nel Nord Ovest, Sud ed Isole si attesta intorno al 4% (con la Calabria e la Sicilia ben oltre tale valore), mentre nel Nord Est la linea d’ombra fu tale che lo studio riportava valori negativi.

Venendo ad oggi, secondo i dati di Contribuenti Italiani, nel 2011 l’evasione nel nostro paese ha raggiunto la vetta di 180 miliardi di euro l’anno (8,6% del PIL) sottratti all’erario. Il dato è confermato da Tax Justice Network, che stima in 238 miliardi di dollari USA l’evasione nel nostro paese.

Una cifra pesante, anzi pesantissima, se consideriamo che l’evasione fiscale nella Federazione Russa (143.474.000 abitanti) arriva a 221 miliardi di dollari.
Come dire che abbiamo un volume medio di evasione procapite pari ad una volta e mezza quello russo. Ed è tutto dire.

Ma dove sono gli evasori nostrani? Non a Cortina, non a Portofino, non ad Abano Terme e neanche tra i commercianti, salvo il settore “turismo”, ovvero alberghi, ristorazione e spiagge, che da soli evadono per 36 miliardi di Euro l’anno. (fonte La Stampa)

E’ nella falsa fatturazione e/o tra le prestazioni occasionali (professionisti, servizi, artigiani e nel lavoro nero degli immigrati e non) che va ricercata l’evasione, oltre che, come ovvio, nelle attività delle mafie e nei fondi neri della corruttela politica.

Intanto, c’è ancora chi se la prende con il piccolo “negoziante distratto” (ditemi voi quanto può evadere un gelataio …) e con i quattro turisti “finto VIP” che ancora frequentano qualche località turistica.

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FIOM, tanto rumore per cosa?

11 Gen

La FIOM, nel 2009, totalizzava 363.507 iscritti tra i lavoratori attivi del settore metalmeccanico ed informatico. La confederazione “rossa” dei metalmeccanici non rappresenta, dunque, le “masse”, i “lavoratori”, il “proletariato”, ma è solo un’associazione di una categoria.
Del resto, sono trascorsi almeno 40 anni da quando il mondo del lavoro ha iniziato a mutare dalla “grande fabbrica” al “terziario flessibile”: gli operai sono diventati una ristretta minoranza della popolazione.

Oggi, ad esempio, va registrato che la CGIL è il sindacato del pubblico impiego e dei servizi, se annoverava (nel 2009) 407.716 iscritti nella Pubblica Amministrazione, 372.268 nel commercio, turismo e servizi, 367.768 tra gli edili, 188.127 nella scuola e 152.953 nei trasporti.

In assoluto, i lavoratori attivi iscritti alla CGIL sono solo 2.751.964 a fronte di 2.994.203 pensionati, spesso provenienti dalla FIOM e dalla FILT.

Cosa significa tutto questo?
Molte e poche cose allo stesso tempo.

La CGIL ha 5.746.167 iscritti, ovvero i suoi iscritti rappresentano un terzo di tutto l’elettorato di centrosinistra, e, anche se la relazione non è così diretta, sono pari alla metà degli elettori del Partito Democratico.
Considerato che è un “sindacato di sinistra” e non un “sindacato e basta”, questo rappresenta un vincolo (ed un limite) politico per il nostro Parlamento ed il nostro sistema elettorale, oltre che per i partiti e per l’editoria di sinistra. Tra l’altro, se ragionassimo in termini sessisti, considerato che la gran parte degli iscritti sono maschi, potremmo azzardare che buona parte degli elettori di sinistra di questo sesso sono anche aderenti alla CGIL.

C’è, poi, la FIOM che raccoglie circa il 10% degli iscritti attivi di tutta la CGIL, meno del 2% dei lavoratori italiani attivi (24 milioni) e meno dell’1% dell’elettorato (~ 45 milioni).
Come dire che poche noci nel sacco riescono sempre a fare tanto rumore? Probabilmente si, ma a condizione che i media scambino le lucciole per lanterne …