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Quote Rosa: perchè no?

7 Mar

In Italia la tutela dalle discriminazioni è sancita, dall’articolo 3 della Costituzione, primo comma: « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ».

Dunque, introdurre una distinzione di sesso addirittura in sede di eleggibilità è incostituzionale.

Questo il principale ostacolo giurisprudenziale all’introduzione delle Quote Rosa ed il ricorso ad artifici come quello del voto ‘doppio’ o ‘parallelo’, indicando sia un candidato maschio sia una candidata donna.

Artifici perchè a nessun elettore può essere imposto di apporre due preferenze anzichè una sola.

L’introduzione delle Quote Rosa si profila come una innovazione di dubbia costituzionalità, comunque vada, e – soprattutto – una forzatura palese, visto che di donne candidate ne abbiamo avute tante e tante in quasi 70 di repubblica, ma non altrettanto si può dire se si parla delle elette.

gender_gap_posterQuale sia la causa di tutto questo nessuno è riuscito a chiarirlo, ma è evidente che viene a mancare un ‘mutuo riconoscimento’ tra elettori e candidate, come è evidente che sono pochissime le donne che occupano posizioni apicali nella Sanità, nella Giustizia, nei Partiti e nei Sindacati, settori da cui proviene larga parte dei nostri parlamentari.

A cosa servono le Quote Rose se nei salotti buoni italiani saranno sempre i maschi a dominare la scena?

E a cosa serve una presenza femminile d’elite ope legis, se poi dovesse andare a finire come le vicende francesi di Sarkozy e Hollande ci hanno dimostrato?

Quello di cui ha bisogno l’Italia è un ruolo diverso nella società delle donne voluto dalle donne. Non un maquillage elettorale in base a sondaggi che raccontano a qualche partito una maggiore attrattività ‘al femminile’ …

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PD al 40%? Un’altra barzelletta di Renzi …

22 Ott

Matteo Renzi, al PalaOlimpico di Torino annuncia «con me Pd al 40 per cento, con loro al 25». Numeri che non hanno il conforto dell’ufficialità e che, più che verificati, andrebbero interpretati.

Infatti, è del tutto impossibile che il Partito Democratico raggiunga il 40% dei voti, specialmente se i sondaggi SWG ormai declinano un ‘testa a testa’ con il Movimento Cinque Stelle per maggior numero di voti.

Dato che altri sondaggi ci dicono che il 60% degli italiani si asterrà o voterà M5S, l’unico modo per il quale il PD possa raggiungere un iperbolico 40% dei voti è quello di raccogliere – magari con un’apposita legge elettorale – il corpus post-democristiano del PdL che scalpita per arrivare ad una Grosse Koalition, per governare anche durante la prossima legislatura.

Un’idea che appare vecchia, nei tempi, e rabberciata, nei numeri, come quella di una premiership di Mario Monti futuro leader di coalizione, e che non tiene conto che nessun governo potrebbe sopravvivere in Parlamento sotto il fuoco incrociato di Lega, SEL, IdV, M5S e, forse, Autonomie e/o Forza Nuova.

Un’idea – quella di una III Repubblica fortemente consociativa – che Nicki Vendola stronca sul nascere, dai tipi dell’Unità: “a me sembra che coccolare i potenti che hanno fatto il bello e cattivo tempo, quelli che hanno cavalcato il puledro del berlusconismo, e che ora cercano nuovi puledri per continuare a vincere, descrive una prospettiva di trasformismo“.

Inoltre, le proposte che arrivano da Cofferati e Damiano sul salario minimo, almeno alle famiglie, e sullo svecchiamento della P.A. con pensionamento dopo 35 anni, sono gli strumenti di cui ci dovremo dotare, nel SudEuropa, per superare la Crisi nei prossimi anni.
Proposte, che sarebbero forse anche recepibile dal Terzo Polo, se non a Destra, se contenute entro il 50% dei salari reali, riformando il sistema ei contratti nazionali e potenziando la lotta al lavoro nero.

Ipotesi, tutte da verificare, che Renzi non menziona e non affronta. Eppure, non dimentichiamo che, negli Stati Uniti, per una decina di anni furono necessari aiuti, sussidi e persino gli ‘unemployed camp’, per chi non aveva più nulla, e travagliata da continui ed anche violenti scioperi. Come Mario Monti ben sa, gli aiuti sociali scaturiti dalla Grande Crisi ebbe effettiva fine in USA solo con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e la nascita del ‘compesso industrial-militare’, ma questa è un’altra storia.

Che saranno ‘lacrime e sangue’ è cosa certa. Non a caso, Matteo Renzi, già fiero sostenitore di Mario Monti e delle misure adottate dal suo governo, si ricorda che «chi vi dice che la crisi è finita vi prende in giro. La crisi non ha una fine, è un cambiamento. Ed è anche una opportunità. Noi siamo di sinistra perché non abbiamo paura del futuro».

Beato Renzi e chi gli crede.

Fatto sta che Vendola gli ricorda che i “tuoi sponsor sono il vecchio che si ricicla” e la Camusso, ad ogni buon fine, sottolinea “voterò chi parla di lavoro“.

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C’è un intero welfare da rottamare

22 Ott

Sono diversi anni, ormai molti, che sostengo l’utilità per il ‘sistema Italia’ di prepensionare la Pubblica Amministrazione e di introdurre un salario minimo. Ben prima che Bankitalia-MEF, nel 2007, avviassero i primi monitoraggi per quantificare spese, margini e benefici e, diversamente da loro, prevedendo ampi margini di negozialità contrattuale.

Non molti sanno che che, negli Stati Uniti, a partire dalla Grande Depressione – e per una decina di anni successivi – furono necessari aiuti, sussidi e persino gli ‘unemployed camp’, per chi non aveva più nulla, e travagliata da continui ed anche violenti scioperi.
Come pochi ricordano che il diritto di cittadinanza, così perfetto nelle società mitteleuropee, nasce dal diritto ad un salario minimo,  in una società industriale, dove accade che il lavoratore dipendente o ‘esterno’ si trovi senza occupazione a prescindere dal proprio merito od impegno, ma solo per una congiuntura generale o per il malgoverno dell’azienda oppure, peggio, per il prevalere della speculazione finanziaria sulla produttività industriale.


Alla scadenza del Governo Monti ci ritroviamo con un arcano apparentemente indistricabile, che, viceversa, con dei buoni mediatori potrebbe rappresentare una gran soluzione:

  1. la riforma Amato delle pensioni è stata troppo ‘volenterosa’ verso i coetanei di chi la scrisse ed oggi esiste un’enorme perequazione tra pensionati ed, addirittura, è possibile che per alcuni lavori/professioni i dismissed percepiscano un reddito superiore a chi al lavoro;
  2. la riforma Fornero del Welfare richiederà anni per diventare qualcosa di organico e, soprattutto, equo: tanto vale abrogarla e riscriverla non appena si avvierà la prossima legislatura;
  3. la proposta dell’ex ministro Damiano di pensionare tutti a 35 anni di servizio  è irrealizzabile, senza  incidere sui TFR e senza cambiare contratti di lavoro e liberalizzare il sistema previdenziale;
  4. l’ipotesi, sviluppata da un gruppo di esperti e formulata dall’ex ministro Veltroni, si arena ‘di per se’ a causa dei vincoli ‘populisti’ imposti durante i lavori.

Infatti, nel caso del salario minimo, uno dei vincoli ‘culturali’, che la Sinistra sembrerebbe richiedere, è che sia un reddito tassabile sia dallo Stto sia come IRPERF e che vengano detratti in contributi previdenziali, invece che chiamarsi ‘sussidio’ e basta. Con questa formula accade che servano ben 1.100 euro al mese per far arrivare ad un disoccupato forse 800, forse meno.
Tra l’altro, assegnare un salario/contributo di 800 euro significa erogare somme equivalenti o superiori agli stipendi minimi, specialmente se parliamo di Meridione, di part time, di ex Co.Co.Co o, molto peggio, se andassimo a fare un bilancio del settore dei lavoraori rurali già sussidiati.

Allo stesso tempo, nel fare i conti, non va dimenticato che mantenere al lavoro degli over50enni, che siano affetti da serie patologie croniche e/o degenerative, ha un suo costo (rilevante) sul sistema sanitario derivante dall’aggravio e dal conseguente aggravamento7recidività: potrebbe essere più vantaggioso, limatura più limatura meno, lasciarli in pace a casa e/o flessibilizzare il loro lavoro.

Recenti studi statunitensi parlano chiaro.

E non dimentichiamo – in un’ottica di mercato – che, secondo Moody’s, ‘Mps non è stata in grado di aumentare la propria base di capitale ai livelli richiesti’ e che, in Italia, il mercato assicurativo e gli enormi capitali che vi circolano servono solo ad arricchire una statica finanza pubblica, governata, non di rado, da enti e commissioni espresse dal sottobosco politico-amministrativo che conosciamo.

Ovviamente, se esistesse una ‘responsabile voglia di negozialità’ da parte di tutti, gli anatemi dei ‘tecnici’ di Mario Monti si scioglierebbero come neve al sole, le perplessita del Terzo Polo verso le proposte della Sinistra decadrebbero e, finalmente, ci si potrebbe mettere al lavoro per trovare un modo in cui i conti possano ‘tornare’, garantendo il futuro dell’Italia e di chi indistintamente giovane, anziano, lavoratore, malato, disoccupato, bambino, casalinga.

Infatti, se è, correttamente, troppo tardi per introdurre certi ammortizzatori sociali, è anche il tempo di riconcepire costoso ed inefficiente sistema welfare-sanità italiano, prima che arrivi l’impennata di costi e di malati, che tutti gli indicatori prevendono nel corso del decennio, mentre i tassi effettivi di disoccupazione ritornano a due cifre.

Infatti, una Grosse Koalition, che badi al futuro, potrebbe porre trovare i fondi necessari ad una ‘riforma del welfare’, equa e lungimirante, attingendo da risorse interne come:

  1. revisione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, eliminazione delle casse integrazioni e degli aiuti per ristrutturazione aziendale;
  2. razionalizzazione del sistema pensionistico con eliminazione di pensioni d’annata, privilegiate e qualsiasi altro benefit che sia stato introdotto nel sistema assicurativo da norme oggi abrogate o modificate;
  3. compensazione del TFR come titoli di Stato e possibilità di negoziabilità (parametrata) a partire dal 30esimo anno di contribuzione
  4. liberalizzazione del comparto assicurativo (modello tedesco), scivoli per lavoratori seriamente malati che nel triennio abbiano comportato un elevato costo delle gestione sanitaria, riforma del sistema pensionistico e delle indennità per i disabili a seguito del salario minimo;
  5. avviare – con l’introduzione delle coppie di fatto – un’effettiva politica per le famiglie, che probabilmente ci costerebbe molto meno della miriade di interventi causati da coppie disastrate e minori incontrollabili.

Inoltre, comunque andasse, lo Stato determinando ‘di per se’ l’esistenza di ‘redditi’ garantiti andrebbe a deformare il mercato del costo del lavoro e ciò implicherebbe che si rivedano le norme sui contratti collettivi nazionali.

Una mission impossible che il governo futuro dovrà intraprendere comunque, per dare speranze agli italiani, che, ricordiamolo, sono stanchi di interventi scollegati, iniqui, spreconi ed estemporanei.
E non è credibile continuare a non prevedere dei costi, nei prossimi anni, per dare delle risposte a chi, colpito da un 2012 ‘persino retroattivo’, dal 2013 non vedrà alcuna prospettiva o certezza, neanche l’anno in cui andrà in pensione o come arrivare a fine mese con un figlio a carico od a quale istituzione voltarsi per ottenere quell di cui ha bisogno.

Servono riforme, proposte negoziabili di riforme; non i ‘post it’ o le bozze di partito.

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Rottamazione PD: una tragica comica

18 Ott

Mentre Mario Monti salva la finanza italiana, ma non gli italiani, e mentre l’Italia inizia a rendersi conto che ci vorranno anni per trasformare in qualcosa di organico e funzionante il patchwork di leggine e laccioli che questo governo chiama leggi, nel Partito Democratico si litiga.

«Se perdo io, l’ho già detto e lo ripeto, mi faccio da parte e al massimo posso dare una mano, ma continuo a fare il sindaco. Una cosa è certa se io vinco D’Alema può considerare la sua carriera parlamentare finita». (Matteo Renzi)
«Ho cambiato radicalmente idea: se vince Bersani non chiederò deroghe». Ma se le primarie del Pd le vincerà Renzi «sarà scontro, sarà scontro politico». (Massimo D’Alema)

Intanto, il Corriere della Sera titola: “La scure di Moody’s si abbatte su Mps, tagliato il rating a livello spazzatura. Insufficiente l’iniezione di capitale di 1,5 miliardi di euro da parte del governo italiano”.

Ma come, non abbiamo occhi per piangere, si negano diritti elementari ai malati e poi abbiamo un miliardo e mezzo da gettare per risanare una banca, Monte Paschi di Siena, che, tra l’altro, è ‘governata’ da una Provincia, quella di Siena, che tra 75 giorni non esisterà più?

Se Mario Monti non avesse salvato Unicredit ed, in parte, MPS, avremmo ancora un Partito Democratico?

Probabilmente, no.
Infatti, ci vuole poco a notare che la comunicazione di Matteo Renzi è molto, molto simile a quelle pubblicità televisive che consigliano servizi on line a quegli sprovveduti che non sanno andare su internet da soli per cercarsi un mutuo od una assicurazione. Come basta poco per ricordare che Massimo D’alema fece parte di quelle delegazioni del PCI che, tra il 1968 ed il 1972, andarono in Russia ad imparare dei ‘compagni sovietici’ come è giusto che funzioni il mondo.
Ancor meno tempo serve a ricordare che i rubli sovietici continuarono adarrivare anche dopo il 1969 – dopo il coraggioso discorso di Enrico Berlinguer a Mosca – e che costituirono la base finanziaria per la creazione di una finanza di partito e l’arricchimento delle regioni rosse.

Solide realtà che scompaiono, finiti i rubli, finito l’arricchimento, finita la finanza, finite le prodigiose regioni rosse … iniziato il saccheggio dei Fondi UE (leggasi capannoni e quote latte), partorita l’idea di ‘partito, infrastruttura per l’Italia’ e di una politica ‘professionale’, esternalizzati servizi e prebende come le inchieste dimostrano.

Una tragica comica, insomma. Due mondi di ‘serie B’ a confronto, mentre l’Italia che lavora e che produce è tutt’altra.

Anzi una tragedia che vogliono far passare per comica. Non a caso la Federazione Lavoratori della Conoscenza (CGIL Scuola) organizza convention annunciando Dandini e Vergassola come ‘partecipanti’, mentre sappiamo tutti che la Sinistra farebbe il pienone se candidasse Crozza o Zingaretti (l’attore) e Guzzanti (figlio) … o Beppe Grillo.

Questa è l’Italia del Partito Democratico, quella di ‘basta un click’, del ‘si può fare’, del ‘prima il Partito’, di ‘la Storia siamo noi’ il futuro si vedrà, dei ‘programmi di contenuti’ solo enunciati, eccetera.

L’Italia del PD, ma non degli elettori del PD si spera.

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D’Alema, il rinnovatore?

17 Ott

Bersani, come riporta La Stampa, ha chiarito che “non chiederà di candidarsi” a Massimo D’Alema, ma anche che “D’Alema lo conosco bene, e dico che contro il concetto di rottamazione combatterà fino alla morte. Per quel che riguarda il concetto di rinnovamento, ci lavoreremo tutti assieme.”

Un colpo al cerchio ed uno alla botte, mentre la gerontocrazia di sinistra trema al pensiero che ‘si consegni il partito a Renzi’ e mentre decine tra ex ministri e veterani d’aula non sanno se saranno in lista, dato che le poltrone ‘blindate’ dalla cosiddetta lista di partito non saranno tutte, come col Porcellum, ma solo una quarantina.

Questa sì che è crisi della politica e dei partiti: meno sedie di quanti sono i fondoschiena, visto che si devono anche accorpare comuni e province.

Una titubanza del Partito Democratico che è leggibile anche nel Programma, che è un contenitore di contenuti solo enunciati, e nella reazione verso una Legge di Stabilità che così malferma e così ‘peggiore’ eravamo tutti bravi a farla: qualunque circolo del golf o del bridge ne avrebbe potuto produrre una simile.

E, come al solito, quando è l’ora di ‘avanzare’, quella di raccogliere i frutti del pessimo lavoro altrui, il Partito Democratico traballa e rinuncia a mettere in campo l’innovazione, il coraggio, l’imprenditorialità, l’equità, la tradizione mitteleuropea di cui si ammanta, evidentemente impropriamente.

Inoltre, il ‘fenomeno Renzi’ non esprime altro che un contesto socioculturale ben radicato nel Partito Democratico, seppure avulso alla sua tradizione, e non v’ altro da dire che ‘il partito’ farebbe bene ad interrogarsi su cosa è diventato, piuttosto che lanciare anatemi contro il futuro che è cresciuto al suo interno, in 20 anni di egemonia dalemiana e veltroniana. Il vuoto arriva da lontano.

Ed, in tutto questo, se i big sono Bersani, Renzi e Vendola, gli elettori – sinistri, destri e centristi – non possono altro che chiedersi quali tecnici e quali soluzioni ci aspettano, visto che non basta il buon Fassina a riformare l’Italia intera e visto che di errori dramamtici se ne son fatti, dalle riforme del lavoro di Bassolino e del compianto Biagi al caos del Titolo V della Costituzione, riformato da D’Alema ed Amato, al disastro pansioni-welfare di Amato e Damiano od alla voragine Sanità di Bindi-Balduzzi, per finire al famigerato Capitolone di Fioroni, dopo il quale le scuole non hanno visto più un soldo.

E qui ritorniamo al dunque: i candidati del Pd.
Veltroni, il sindaco delle buche stradali e della sovraesposizione finanziaria, ha fatto il beau geste, si spera riconoscendo qualche suo errore.
Perchè dovrebbero candidarsi od essere candidati personaggi come D’Alema, Amato, Bindi, Damiano, Ferrero, Turco, Fioroni e quant’altri che siano stati promotori di leggi dimostratesi disastrose o scellerate?

Per quale motivo un partito si dovrebbe avventurare alle elezioni con una tale caduta di immagine?

A proposito, notavo che Bersani ha parlato di “concetto di rinnovamento”, non di ‘rinnovamento’ in se e per se …

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Rimborsi ai partiti: l’articolo della vergogna

23 Mag

Alla Camera è stato approvato l’articolo che stabilisce un contributo pubblico di 50 centesimi per ogni per ogni euro ricevuto dai partiti da persone fisiche o enti.

I sì sono stati 410, 100 i no e 111 gli astenuti; la Lega, l’IdV e poco più, come al solito. Il voto è stato ‘turbato’ dalle proteste del deputato radicale Maurizio Turco, che è stato fatto allontanare da Gianfranco Fini, per il poco tempo concesso per l’esame degli emendamenti. 

Ieri era stato approvato l’articolo di legge che ha dimezzato l’entità dei rimborsi elettorali, oggi li “reintegriamo” in modo diseguale tra partiti maggiori e minori.

Infatti, mentre “prima” ogni partito otteneva rimborsi in base ai voti, adesso li otterrà sia in base ai voti sia in base a quanto i suoi finanziatori intendano ‘donare’.

Dunque, un partito con meno voti, ma con un fund rising “importante”, può ottenere più rimborsi di un altro che abbia ampio consenso e non voglia ricorrere più di tanto ai finanziamenti privati.

L’antitesi della democrazia ed il fondamento dell’oligarchia.

Siamo sicuri che una siffatta norma sia compatibile con una Costituzione che, all’articolo 49, prevede che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”?

Concorrere? Con metodo democratico?

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Maurizio Turco