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Trattato del Quirinale: che impegni comporta?

6 Dic

(tempo di lettura 3-4 minuti)

Dal 26 novembre 2021, con il “Trattato per la cooperazione bilaterale rafforzata” (link), sembrerebbe che noi italiani diventeremo tutti un po’ più francesi.

Innanzitutto, lo diventeremo nel Mediterraneo che Francia e Italia definiscono “ambiente comune”, prevedendo

  1. “iniziative comuni per promuovere la democrazia, lo sviluppo sostenibile, la stabilità e la sicurezza nel continente africano”, con il “potenziamento della base industriale e tecnologica della difesa europea per “sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ogni qual volta i loro interessi strategici coincidano”
  2. il “coordinamento su tutte le questioni che influiscono sulla sicurezza, sullo sviluppo socio-economico, sull’integrazione, sulla pace e sulla tutela dei diritti umani nella regione, e sul contrasto dello sfruttamento della migrazione irregolare”;

Parole di pace, che – però – metteremo in atto fuori dai nostri confini con strategie per la difesa e per la sicurezza nazionale, oltre che con la cooperazione e gli aiuti internazionali, che vanno dalla “cooperazione transfrontaliera tra le loro forze dell’ordine” fino alla “collaborazione nel settore spaziale … ai fini di sicurezza e di difesa”.

La saldatura di reciproci interessi e lo sviluppo di un unico sistema italo-francese (o franco-italiano) è anche nell’economia e non solo nei rapporti con Russia e Cina, visto che Italia e Francia “sostengono il ruolo trainante dell’Unione Europea nel rafforzamento del multilateralismo commerciale, cosa che non è esattamente quel che vorrebbero i paesi anglosassoni.

Il coordinamento franco-italiano riguarda direttamente i vari ministeri coinvolti per “la strategia economica e di bilancio, l’industria, l’energia, i trasporti, la concorrenza e gli aiuti di Stato, il lavoro, il contrasto delle diseguaglianze, la transizione verde e digitale e la programmazione finanziaria“.

E si prevedono, “in un contesto di bilanciamento dei rispettivi interessi, progetti congiunti per lo sviluppo di startup, piccole e medie imprese (PMI) o grandi imprese dei due Paesi”, come anche che Italia e Francia “agiscono di concerto a livello europeo per favorire la resilienza, la sostenibilità e la transizione del sistema agricolo e agroalimentare e per la “realizzazione della doppia transizione digitale ed ecologica dell’economia europea”.

Naturalmente, il Trattato prevede anche la “cooperazione bilaterale tra le rispettive amministrazioni pubbliche … su temi d’interesse comune, in particolare la formazione, la digitalizzazione, l’attrattività della pubblica amministrazione, la parità di genere, l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e la conciliazione tra vita personale e vita professionale”.

Oltre a quello di unificare i sistemi militari, amministrativi e produttivi, l’altro degli obiettivi essenziali è la diffusione e il reciproco apprendimento delle rispettive lingue.
Anzi, avremo una “cooperazione sempre più stretta tra i loro rispettivi sistemi di istruzione” e per “la mobilità giovanile, in particolare per l’istruzione e la formazione professionale, come anche si intensificherà “la collaborazione nell’ambito dell’industria culturale e creativa”.

Un’evoluzione che non dispiace affatto, vista la complessa situazione internazionale creatasi con il ritiro delle truppe USA dall’Afganistan e le opportunità che si stanno già dimostrando con l’assetto FCA-Peugeot e con il reattore a fusione di Enea in Francia.
Ma che ruolo avrà l’italiano medio in questo assemblaggio sovranazionale che doveva avvenire 200 anni fa?

E’ presto detto:

  • in Francia il 45% dei giovani (età 25-34 anni) ha una laurea, in Italia poco più del 20%
  • il Pil francese è di quasi 2.500 miliardi di euro, quello italiano raggiunge i 1.700 miliardi di euro
  • la spesa militare transalpina supera i 40 miliardi di euro annui, la nostra è di poco oltre i 22 miliardi
  • la Francia ha il Debito pubblico oltre il 110%, l’Italia (ben) oltre il 150%.

Demata