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Fantasmi di un Centrodestra che fu

6 Set

Quello che mancava a noi italiani era di ritrovarsi, un anno dopo la colata a picco del ‘sistema Italia’, con Giulio Tremonti in prima fila, forse candidato a premier, di un centrodestra allo sbando e privo di riferimenti.

L’uomo della crisi ‘che non c’è’, dell’Italia ‘che non sta messa così male’, dell’Europa ‘che crede in noi’, della spesa pubblica che, invece di calare, saliva e saliva. Tutte questioni che sono state ‘scaricate’ su Berlusconi e su una imprecisata casta fatta di politicanti, medici e notabili, a causa di un sistema mediatico che rinuncia ad approfondire e va avanti, di giorno in giorno, a colpi di veline (quelle di redazione, non quelle seminude).
Eppure, ci sono cose che non andrebbero dimenticate o, peggio ancora, confuse.

Ad esempio, la situazione della Cassa Depositi e Prestiti, svuotata nel corso della gestione del Ministro Tremonti, per la quale Mario Monti (ministro ad interim) ha evidentemente imposto il ‘segreto di Stato’, con la diretta conseguenza che Elsa Fornero dovette praticamente bloccare tutti i nuovi pensionamenti pochi mesi or sono.

Un disastro per il quale buon senso e norma giuridica avrebbero previsto il deferimento alla Corte dei Conti ed al Tribunale dei Ministri. Ed invece … rieccoci qui a discutere del nulla applicato al nulla.

Un ennesimo tassello di una diffusa disfunzione pubblica (cane non morde cane?) che trova adito anche negli inquietanti silenzi e nelle discutibili discrezionalità che il vertice del nostro sistema giudiziario, il presidente Giorgio Napolitano, ha ampiamente mostrato nei casi giudiziari che hanno coinvolto gli ex ministri Bassolino e Mannino e che ha manifesta conferma dell’ostracismo dei partiti e dei media verso Di Pietro e De Magistris che ebbero il coraggio di denunciare il ‘Sistema’.

Purtroppo, però, tra un anno o dieci staremo punto e accapo, se alcuni di noi continueranno a saccheggiare (più per ambizione che per avidità) od a dilapidare (più per incapacità che per malafede) il patrimonio italiano.

Basterebbe denunciarli come previsto dalla legge, confidando in una Giustizia in grado di evitare che i reati vadano prescritti e che i danni restino da quantificare …

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Trattativa Stato-mafia: fu alto tradimento?

17 Lug

Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.

Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).

Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.

Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.

Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.

In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.

In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.

Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.

Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.

Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.

Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».

Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.

Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.

Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.

Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».

Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?

E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?

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Trattativa Stato-Mafia, la madre delle cospirazioni

22 Giu

Dopo tante dichiarazioni di pentiti e non pochi riscontri, arrivano le telefonate di questi giorni – mentre i giudici incalzano – tra l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino e il consigliere giuridico del Presidente Giorgio Napolitano.

Parole chiare, inequivocabili, quelle trascritte nei verbali in possesso dei magistrati, come quelle del consigliere giuridico del Quirinale, il dott. Loris D’Ambrosio, che risponde all’ex ministro indagato.

Adesso probabilmente il Presidente parlerà con Grasso nuovamente… eh… vediamo un attimo anche di vedere con Esposito… (il procuratore generale della Cassazione, ndr)… qualche cosa“.

Dopo aver parlato col Presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po’… lo vedrò nei prossimi giorni. Però, lui, lui proprio oggi dopo avergli parlato, mi ha detto: ma sai, io non posso intervenire“.

Certo, ma io comunque riparlerò con Grasso, perché il Presidente mi ha detto di risentirlo. Però io non lo so… francamente… lui è ancora orientato a non fare niente, questa è la verità“.

Dunque, ecco una ‘bella’ trama che coinvolge il Quirinale – di oggi e di venti anni fa – che va ad aggiungersi a quella della procura di Trani, che procederà per ‘cospirazione’ contro alcune agenzie di rating per il crollo dei titoli italiani e le speculazioni successive.

Cose simili forse stupiranno il Presidente della Repubblica, ma – diciamolo – noi italiani ce l’aspettavamo, anzi ci aspettiamo di scoprire, prima o poi, molto molto peggio di quanto già pessimanente viene a galla.

Quello che stupisce è che una persona posta ai vertici dello Stato, consulente del Presidente e, si spera buon conoscitore dalla storia patria, possa dire “io l’oggetto della trattativa mica l’ho capito, no… mi sfugge proprio completamente“.

Infatti, se La Repubblica scrive di “un patto lungo vent’anni (che) fa tremare ancora oggi molti potenti“, sarebbe opportuno parlare di un patto lungo 150 anni.

Di cosa si trattava tra Stato e Cosa Nostra?

Del solito ‘tramezzino’: voi ci alleggerite la galera e ci fate fare i fatti nostri nel Meridione, evitando che arrivi ai media l’enorme messe di gravi notizie che leggiamo sui quotidiani del Sud ma non sulle ‘grandi testate’, e noi vi garantiamo, dal Garigliano a scendere, pace sociale e vi promettiamo che, dal Garigliano a salire, eviteremo di mettere autobomba, omicidi eccetera, oltra al fatto che vi faremo vivere nel benessere con l’enorme massa di denaro che abbiamo da riciclare.

Per conoscere ‘l’oggetto della trattativa’, bastava che il dott. D’Ambrosio frequentasse qualche cinema. Della ‘trattativa’ – ormai secolare – ne raccontano film come ‘I Guappi’ di Pasquale Squitieri, ‘Il Camorrista’ di Giuseppe Tornatore, ‘Salvatore Giuliano’ e ‘Le mani sulla città’ di Francesco Rosi, ‘Bronte: cronaca di un massacro’ di Florestano Vancini, ‘Gomorra’ di Matteo Garrone, ‘I banchieri di Dio’ di Giuseppe Ferrara.

Ovviamente, preso atto che il Gotha del cinema italiano ha raccontato ‘la trattativa’, non resta che chiedersi se i giornalisti italiani trovino mai il tempo per andare a cinema.

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