In un curriculum del 2004 Matteo Renzi racconta che era “un dirigente d’azienda, nel 1994 ha fondato la Chil S.r.l., società di marketing diretto”, dove si occupava di “coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutta Italia“.
Collaboratori ‘occasionali’ per il nostro presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ma ‘coordinati e continuativi’ per il tribunale … come nel caso della Speedy, “rappresentata dal liquidatore Tiziano Renzi”, e la Chil, “nella persona dell’amministratore Laura Bovoli”, padre e madre di Matteo?
Infatti, le aziende della famiglia Renzi – attive nel settore “strillonaggio e ispezioni nelle edicole per i giornali ma anche di eventi e ideazione di campagne” – nel 1998 incappavano nei controlli dell’Inps, pervenendo a sentenza nell 2000: i collaboratori “sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia, ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi”.
Questione confermata e conclusa il 23 dicembre 2004 quando la Corte di Cassazione (sent. 23897) ha ravvisato gli elementi di ‘parasubordinazione’ nel lavoro di strillonaggio.
Come mai, allora, FirenzeToday raccontava ancora nel 2012 che “la vita degli ‘Strilloni’ ai tempi di internet: paghe da fame, a volte in nero. Sveglia all’alba, tanta fatica ma poco guadagno. Per di più, pagato a cottimo. Che piova o ci sia il sole, a 40 gradi come sotto la neve“?
A quali controlli sono sottoposte aziende di strillonaggio e volantinaggio?
Oggi, quindici anni dopo, ‘giustizia è fatta’: Matteo Renzi – ‘ope legis’ con il Jobs Act – trasforma milioni di lavoratori dipendenti in collaboratori occasionali che – si spera – potranno diventare continuativi per poi essere assunti – caso mai – come dipendenti, mentre non si sa bene chi provvede al loro sostentamento e alla loro contribuzione quando sono ‘flessibili’, cioè disoccupati. Ovviamente, di norma, un Jobs Act si occuparebbe proprio di questa ‘quisquilia’ come di quella dello stauts dei sindacati, ma in Italia no …
Ma trattandosi del lavoro di tutti e della moralità di un pesonaggio pubblico come lo è un premier, resta sempre da chiederci che responsabilità aveva Matteo nei casi in cui l’Inps notificò le infrazioni poi sentenziate, con un ‘sistema’ che ben conoscono i ‘collaboratori’ del settore marketing, call center inclus, se le aziende (e l’arricchimento) della famiglia Renzi si erano fondate anche sul lavoro di migliaia di persone mai assunte – per le quali non venivano pagati contributi neanche quando glielo imponeva l’Inps nè è certo che fossero sempre e comunque ‘in regola’.
Come non considerare che a ‘gestire oltre duemila collaboratori’ c’era dichiaratamente Matteo Renzi, che, ove cascasse il governo, quello ritornerebbe a fare?
Già, perchè il buon Matteo ha ancora un lavoro come dirigente che lo attende presso la Eventi 6 srl – rediviva fenice della fallimentare Chil – ed un salato Tfr – pagato con i nostri soldi, mica i loro – che lo attendono dal 2004 …
Come non ravvisare il pieno conflitto di interessi se, nell’emanare una norma che trasforma radicalmente i rapporti di lavoro, troviamo a capofila un uomo che è dirigente di un’azienda di strillonaggio e marketing già finita sotto i riflettori delle cronache per pratiche scorrette e sotto inchiesta per un paio di fallimenti?
Un vecchio curriculum di Matteo Renzi racconta che era “un dirigente d’azienda, nel 1994 ha fondato la Chil S.r.l., società di marketing diretto”, dove si occupava di “coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutta Italia“.
Tecnicamente parliamo di “strillonaggio e ispezioni nelle edicole per i giornali ma anche di eventi e ideazione di campagne”, ma, per chi non lo avesse capito, sono quei simpatici imprenditori che per anni ci hanno riempito le cassette postali, i parabrezza delle automobili e le tasche della giacca con volantini e giornalini, utilizzando per 4-500 euro al mese scarpinatori di condomini e parcheggi o strilloni tristi e silenti agli angoli di qualche alba di periferia .
Infatti, l’azienda di famiglia Speedy, creata nel luglio 1984 e poi liquidata nel 2005, venne multata dall’Inps il 25 maggio 1998 dall’Inps per 995mila lire e sempre l’Inps multava la Chil per quasi 35 milioni di lire, perché non erano stati pagati i contributi agli strilloni, come v’erano altre cause per ‘lavoro nero’, come riporta Panorama.
Ed a comandare c’era anche il futuro premier, come conferma “Giovanni Donzelli, all’epoca studente, oggi consigliere regionale in Toscana con Fratelli d’Italia: “Arrivava sul furgoncino bianco, da solo o con il padre, per consegnare i giornali e coordinare noi strilloni. Era come adesso: svelto, cordiale e brillante”. Peccato che il “verdetto spiega pure come venivano contrattualizzati i collaboratori: “Sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia” dettaglia il giudice Bronzini. “Ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi” … mica ‘occasionali’ come recita il curriculum del dirigente Matteo …
Era questa “l’Italia che vogliamo” di Romano Prodi, alla quale aderì Matteo proprio mentre ‘valorizzava’ i suoi volantinatori – strilloni – sherpa? Non lo sappiamo, ma fatto sta che è stato proprio Matteo Renzi ad attuare la deregulation del Jobs Act.
Se già così la vicenda sembra tratta da un film di … vampiri, ‘arrivati in città per succhiar sangue fresco’ con il solito cerchio magico di contorno, il resto della storia non fa altro che confermare il peggio.
Infatti, a fondare la Chil S.r.l. ci sono anche suo padre Tiziano Renzi e sua madre Laura Bovoli, mentre Matteo Renzi – otto mesi prima di entrare in politica – cede le sue quote trasformandosi in ‘dipendente’ e, in tal modo, finisce che le quote previdenziali quale dirigente vadano a carico della Provincia prima e del Comune di Firenze, dopo.
Intanto, c’è tutto un andirivieni di quote cedute in famiglia* e nel 2006 le ‘padrone’ sono Laura Bovoli (anche Amministratore Unico) con Benedetta Renzi e Matilde Renzi. Sempre loro, nel 2007, costituiscono la Chil Promozioni S.r.l., che ha identica attività e identica sede della prima società e che nel giro di tre anni assorbe gran parte del mercato della Chil/Chil Post, che a tal punto sembra già destinata a fallire come poi accadrà con un buco da un milione e 200 mila euro.
Fonte ilcappellopensatore.it
Entrambe le società erano detenute da Laura Bovoli (madre di Matteo), Benedetta e Matilde Renzi (sorelle di Matteo) e la “vecchia” Chil S.r.l., a mano a mano depauperata della sua clientela e del suo fatturato, chiede un prestito alla Banca Cooperativa di Pontassieve e, contestualmente, la garanzia che Fidi Toscana ha in programma di concedere alle imprese femminili.
Il tutto con Marco Carrai (l’ombra di Matteo Renzi) nel CDA della Cassa di Risparmio di cui la Fidi Toscana è una partecipata e con il presidente della Banca cooperativa di Pontassieve, Matteo Spanò, compagno di infanzia di Matteo e che non era certo una “garanzia di terzietà”, essendo già sotto i riflettori perchè in soli tre anni (dal 2006 al 2009) la Florence Multimedia finanziata dalla Provincia di Renzi pagò ben 9,2 milioni di euro alla Arteventi di Spanò, mentre era la “DotMedia” di Spanò e di Alessandro Conticini, cognato di Matilde Renzi, ad organizzare le “Leopolde” che hanno lanciato un oscuro politico di provincia alla ribalta politica nazionale.
In soldoni,
il 15 giugno 2009 viene concesso il finanziamento (80% del totale) – o meglio la concessione della garanzia di Fidi Toscana alla Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana. Ad erogarlo è la banca ma – in caso di insolvenza o fallimento – a garantire c’è Fidi Toscana, la finanziaria della Regione, ovvero soldi pubblici.
Il 29 Luglio 2009, però, viene redatto un unico atto notarile in cui Laura Bovoli, Benedetta Renzi e Matilde Renzi cedono le loro quote della Chil S.r.l. a Tiziano Renzi che diventa socio unico della (nuova denominazione) Chil Post S.r.l.
Il 13 Agosto 2009 la Banca Cooperativa di Pontassieve di Matteo Spanò delibera l’erogazione di 437mila euro, senza essere ufficialmente a conoscenza degli atti societari, che avevano trenta giorni utili per il deposito presso il Registro delle Imprese delle Camere di Commercio che avviene solo il 27 Agosto 2009.
L’8 Ottobre 2010 la Chil Post S.r.l. di Tiziano Renzi cede a Chil Promozioni S.r.l. di Laura Bovoli, Benedetta e Matilde Renzi quello che è considerato “il ramo sano” (auto, furgoni, muletti, capannoni e altri beni per 173mila euro complessivi e uno stato patrimoniale con 218.786 euro in attivo e 214.907 in passivo, i contratti in essere per la distribuzione dei giornali tra cui Il Messaggero e il gruppo L’Espresso), mentre i debiti restano tutti alla ‘vecchia’ azienda ad eccezione del TFR di Matteo Renzi per 28.326,91 Euro, che secondo il papà ‘non sa nulla’.
Il 14 Ottobre 2010 – solo sei giorni dopo – Tiziano Renzi trasferisce la Chil Post S.r.l. – ormai depauperata – a Genova e si dimette da Amministratore Unico. Dopo pochi giorni cede l’intera partecipazione sociale ad un venditore ambulante di «mercerie,chincaglierie, scampoli e tessuti» sessantacinquenne, Gianfranco Massone, che si ritiene sia un prestanome, almeno stando al suo avvocato Vincenzo Vittorio Zagami, secondo quanto riporta Libero.
Il 24 Agosto 2011 la Chil Promozioni S.r.l. cambia la denominazione sociale in “Eventi 6 S.r.l.” e si aggiunge un quarto socio, proprio quell’Alessandro Conticini cognato di Matilde Renzi e socio di Matteo Spanò in DotMedia. Proprio in quell’anno, la Chil Post S.r.l. cessa di onorare i ratei con regolarità.
Il 7 Febbraio 2013 per la Chil Post S.r.l. verrà poi emessa sentenza dichiarativa di fallimento, il 19 aprile del 2013 l’ultimo atto del sequestro dei beni della Chil Post ad Alessandria, ultima sede della società, che si rivolge a Fidi Toscana per coprire ben 263.114,70 euro a carico di fondi pubblici.
Il 18 settembre 2014, il Fatto Quotidiano annuncia l’iscrizione di Tiziano Renzi e altri, nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta. Secondo il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il pm Marco Airoldi lo snodo della vicenda è la vendita del ramo d’azienda sano della Chil alla Eventi 6, società della madre del premier Laura Bovoli, avvenuta l’8 di ottobre del 2010, per soli 3800 euro.
Il 30 ottobre 2014, nonostante l’ipotesi di reato in corso, il ministero dell’Economia restituisce a Fidi Toscana 236.803,23 euro attraverso il Fondo centrale di garanzia.
20 marzo 2015 – La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva coinvolto il padre del premier, Tiziano Renzi, accusato di bancarotta fraudolenta e ha chiesto l’archiviazione per il papà del Premier ed il Gip deciderà se accoglierla o meno.
Per gli inquirenti, Renzi negli anni in cui era amministratore avrebbe gestito correttamente la società madre e non avrebbe contribuito al fallimento, ma solo ceduto alla Eventi6, già Chil Promozioni S.r.l. di proprietà della moglie Laura Bovoli praticamente tutti i beni disponibili della Chil Post srl, nata perà Chil srl e finanziata come Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana.
Per gli altri due amministratori subentrati nella gestione societaria nel 2010, Antonello Gabelli e Mariano Massone, è stata viceversa confermata l’accusa.
A questo punto potremmo chiederci tantissime cose.
Ad esempio, se i rapporti tra l’azienda di famiglia ed il gruppo L’Espresso siano iniziati prima o dopo l’adesione di Matteo al progetto prodiano.
Oppure, come stiano i conti di Leopolda, di Dotcom e di tante altre operazioni ‘politiche’ di Matteo Spanò o … della Provincia e del Comune di Firenze … dato che – a tal punto della storia e ricordando anche i ‘fasti’ del berlusconiano Verdini o del democrat Della Valle – la Toscana non sembra essere meno omertosa della Sicilia.
“Nel 2008 Dotmedia fatturava 9 mila euro, nel 2009 con Renzi sindaco si sale a 137 mila euro. 215 mila euro fatturati dal 2009 (ndr al 2012) alle quattro partecipate del Comune: Firenze Parcheggi, Mukki, Publiacqua e Ataf. II Fatto ha scoperto che Dot Media ha un legame societario con la Eventi 6, la società dei Renzi (amministrata da Matilde Renzi, 28 anni, che ne controlla come l’altra sorella maggiore di Matteo, Benedetta il 36 per cento mentre la mamma, Laura, ne detiene solo l’8 per cento)”. (Fatto Quotidiano)
Era l’8 ottobre 2012 quando il nucleo di polizia tributaria di Firenze, Gruppo tutela spesa pubblica, sezione accertamento danni erariali raccoglieva la testimonianza di Alessandro Maiorano, dipendente comunale, riguardo spese della provincia e delle fatture menzionate da Luigi Lusi “nei confronti della Web and Press, società che era di Patrizio Donnini, persona – come ha scoperto Il Fatto Quotidiano – in rapporti di affari con un socio delle sorelle e della mamma di Matteo Renzi. Majorano avrebbe consegnato molte fatture dal 2004 al 2009 della Provincia e di Florence Multimedia”.
Appare impossibile che Renzi ‘non sapesse’, come era stato ‘impossibile non sapere i fatti di famiglia’ per Silvio Berlusconi e/o Gianfanco Fini. E non poteva non sapere dei “contributi non pagati, lavoro irregolare, licenziamenti illegittimi, danni materiali” di cui racconta Panorama ed avvenuti proprio quando lui era lì, alla Chil srl con il padre Tiziano ed il resto della famiglia.
Specialmente se – come ha scritto il Fatto Quotidiano – la Mail Service srl, una società di cui il padre del premier era socio di maggioranza con il 60% del capitale, nel 2011 è stata dichiarata fallita con un passivo di ben 37 milioni di euro, passata nell’ottobre 2006 dalle mani di Renzi senior a quelle di Mariano Massone, figlio dell’ambulante Gian Franco, e anche lui indagato nell’inchiesta genovese per bancarotta.
Dunque, visto da ‘dove’ arriva, non resta che chiedersi ‘come’ abbia fatto Matteo Renzi ad arrivare alla Presidenza del Consiglio senza essere eletto e ‘cosa’ intenda farsene degli italiani, specie se la capacità di mantenere i patti e gli impegni politici dovesse dimostrarsi del tutto evanescente come finora è stato.
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