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25 aprile: la Liberazione, gli Alleati, i partigiani e … la grande rapina dell’oro di Dongo

24 Apr

Domani in Italia si festeggia la Liberazione dal Nazifascismo. Fu scelta questa data, perché fu il 25 aprile 1945 che l’esecutivo del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, alle 8 del mattino via radio, proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti.

In realtà, gran parte dell’Italia era già ‘libera’: l’11 agosto 1943 la Sicilia era stata conquistata dagli Alleati con l’appoggio dei picciotti di Lucky Luciano, il 4 settembre 1943 a Napoli erano iniziate le rivolte culminate nelle Quattro Giornate del 27-30 settembre, mentre Calabria, Puglia e Basilicata furono sostanzialmente evacuate dai Nazisti prima dell’Armistizio e mentre buona parte delle Venezie finivano sotto il comando diretto della Wehrmacht.
Alla fine dell’ottobre 1943, i territori delle Due Sicilie erano liberi – spesso motu propriu – mentre Roma e i territori del preesistente Stato della Chiesa si apprestavano a divenire ‘zona di guerra’ (Linea Gotica) a protezione delle città di Bologna, Milano e Torino dove il Fascismo aveva visto le proprie origini e dove si continuava a produrre per la macchina bellica tedesca.

Italy 1943 1944 map Italia Mappa

Non fu un caso che l’insurrezione generale non fu proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale neanche un anno dopo circa, quando tra il 4 e il 5 giugno 1944 gli Alleati conquistarono Roma, superando le ultime difese tedesche.
E neanche che l’ordine ad insorgere e la condanna a morte per i gerarchi dovettero attendere la presa di Bologna da parte del 2° Corpo Polacco dell’VIII Armata, al comando del generale Anders e della 91a e 34a divisione USA, avvenuta il 21 aprile, e della insurrezione spontanea di Genova del 23 e 24 aprile.
Si stima che solo dopo la liberazione di Roma, cioè nell’estate del 1944,  si arrivò, nei movimenti di resistenza sulle montagne della Toscana e dell’Emilia-Romagna, a circa 70-.000 partigiani attivi  mentre gli Alleati aggredivano la Linea Gotica.

Perchè l’ordine di insurrezione generale venne dato solo a ‘cose fatte’, solo quando Milano era ormai circondata da esorbitanti forze alleate?

Innanzitutto, perchè nelle regioni della ‘rivoluzione fascista’ (Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna) le formazioni partigiane ammontarono inizialmente ad un numero molto limitato di effettivi: Lombardia (9.000), Veneto (12.000), Emilia (12.000). Quale fosse il livello di adesione ed organizzazione del CLN è ben chiarito da Giorgio Bocca: alla metà di settembre 1943 in Italia settentrionale c’erano circa 1.000 uomini, di cui 500 in Piemonte, mentre nell’Italia centrale erano presenti circa 500 combattenti, raggruppati nei settori montuosi di Marche e Abruzzo.
Molto attiva fu invece la Marina, con i reparti Mariassalto, effettuando varie azioni di sabotaggio dietro le linee. Da notare che il primo reparto ad entrare a Venezia, impedendo alcuni atti di sabotaggio tedesco, fu proprio un reparto di Nuotatori Paracadutisti di Mariassalto, mentre il gruppo di combattimento “Folgore” partecipò alle operazioni terrestri della campagna d’Italia nel corso del 1945.

miracolo_anna_2Come è evidente che i partigiani non erano considerati affidabili dagli Alleati,  quando il generale Alexander, comandante supremo dell’esercito alleato in Italia, il 13 novembre 1944 dall’emittente “Italia combatte”, ordinò ai ‘patrioti’ di “cessare la loro attività precedente e le operazioni organizzate su larga scala”.
In buona parte, parliamo dei circa 60.000 patrioti che si erano ‘distinti’ in soli tre mesi di operazioni, da giugno all’autunno, mentre gli Alleati – combattendo dure battaglie come ad Ancona e Casola Valsenio – sfondavano la Linea Gustav e poi Gotica.
La scarsa affidabilità di queste ‘milizie’ fu confermata dagli eccidi verificatisi ad Italia ormai liberata, ovvero nel 1945, anche tra i partigiani stessi, come a Porzus dove furono trucidati diciassette partigiani (tra cui una donna) della Brigata Osoppo  da parte di un  gruppo di partigiani comunisti. I ‘fascisti’ che morirono linciati o per esecuzioni sommarie furono migliaia e, anche se la verità storica fa fatica ad emergere, sono state accertate almeno le stragi di Torino, di Oleggio, di Mignagola, di Oderzo.
Il film-scandalo di Spike Lee, Miracolo a Sant’Anna, ha fornito una ricostruzione sceneggiata, ma abbastanza fedele, di come andarono tante e troppe cose.

E se questi erano i problemi dati da qualunque milizia di patrioti, ma anche di sbandati e di criminali comuni, vale la pena di ricordare la storia del così detto ‘oro di Dongo’, un tesoro che secondo gli americani  valeva 610 miliardi di lire e comprendeva, tra l’altro, 42 chili di lingotti, 66 chili di gioielli d’oro, duemila sterline d’oro, 21mila marenghi d’oro, 35 chili di argenteria, persino due damigiane colme di “fedi” d’ oro donate alla Patria.

Parliamo documenti e dei beni, in gran parte di proprietà dello Stato italiano, che avevano con sé Benito Mussolini e i gerarchi fascisti in fuga verso la Svizzera, quando, il 27 aprile del 1945 a Dongo, furono catturati dai partigiani.
Dei documenti che Mussolini aveva raccolto in un apposito camion blindato – sui quali contava per difendersi un giorno, davanti al tribunale che lo avrebbe giudicato – non si seppe mai più nulla, ma sull’oro, anch’esso sparito, le diverse versioni sono tutte convergenti.

L’oro dei fascisti era stato portato quella stessa mattina del 27 aprile ’45 dentro l’acciaieria e fuso nel piccolo forno lontano da occhi indiscreti. Trasformato in migliaia di piccoli lingotti, facilmente occultabili e trasportabili, fu distribuito agli operai, agli abitanti affidabili e amici, ai partigiani anche a quelli venuti da Milano su ordine del Comitato nazionale di liberazione. Per questo il tesoro non fu mai trovato. Semplicemente, perchè in poche ore non esisteva più come tale.”  (Alessandro Sallusti – Essere Liberi – 2004)

“E’ facile immaginare, nella confusione di quei momenti e con tanti che entravano e uscivano e mettevano le mani per rendersi conto delle belle cose che portavano con se’ i gerarchi, quanto sia sparito. Di certo si sa che Mussolini aveva il fondo riservato della Repubblica sociale italiana, affidato al prefetto Gatti, consistente in oltre un miliardo in banconote italiane ed estere e in una quantita’ imprecisata di lingotti e monete d’ oro. C’ erano poi i valori personali dei componenti la colonna, quelli dei tedeschi di Fallmeyer, quelli di tali capitano Kummel e tenente Hess (trentadue milioni), quelli dei ministeri della Rsi, oltre a pacchi di documenti.
Sul tavolo del municipio di Dongo si trovavano sicuramente 1.045.880.000 lire, 169mila franchi svizzeri, 2700 sterline di carta, 63mila dollari, 4.043 monete d’ oro, 102.880 chili d’ oro e poi argenteria, collane, braccialetti, pellicce e (dice l’ inventario) “due barche nuove”, quasi che i fuggiaschi avessero preventivato di potersene servire per scappare attraverso il lago. C’ era poi un camioncino a cui Mussolini teneva moltissimo. Trasportava il suo archivio personale e, presumibilmente, le sue personali sostanze (non aveva appena venduto il giorno innanzi la sede del “Popolo d’ Italia)”.
“In un rapporto segreto del questore di Como, Grassi, al presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, e’ detto chiaramente che il grosso del tesoro di Dongo e dell’ oro dei gerarchi era finito al Partito comunista, ma che era pericoloso parlarne “… tanto piu’ col permanere nel governo, nei posti piu’ delicati, di esponenti di quel partito che, ove si facesse piena luce non soltanto sull’ oro del Duce, ma su tutta l’ attivita’ sotterranea a esso connessa, verrebbe irrimediabilmente colpito con conseguenti reazioni che oggi e’ assai difficile prevedere”. (Silvio Bertoldi – Corsera – 1993)

Difficile anche capire come mai una colonna corazzata e munita persino di artiglieri antiarea si sia lasciata fermare senza opporre alcuna resistenza dal uno sparuto gruppo di partigiani male armati, con un tale carico di beni e a così poca distanza dal confine svizzero.

autoblinda Mussolini Dongo

“Il 17 gennaio 1949, la rivista americana Life pubblica un’inchiesta del giornalista John Kobler dal titolo: «The great Dongo’s robbery». Kobler è uno che di tesori e manipolazioni se ne intende: ha fatto parte infatti del’Oss, il servizio segreto statunitense durante la campagna d’Italia. La sua tesi è che il tesoro sia finito nelle casse del Pci e utilizzato per sostenere le due campagne elettorali del 1946 e del 1948, per acquistare il palazzo di via delle Botteghe Oscure e per finanziare le forze militari clandestine e l’apparato di sezioni e cellule in tutta Italia.
Anni dopo Massimo Caprara, segretario di Palmiro Togliatti, testimonierà che quei beni razziati sulla strada tra Musso e Dongo sono finiti nelle casse del Partito comunista. ( Renzo Martinelli – Il Giornale -2007)

E, tra le tante, c’è la testimonianza di Renato Morandi, classe 1923, all’epoca dei fatti comandante partigiano della Brigata Garibaldi nel comasco, che racconta come il Capitano Neri, capo di stato maggiore della 52^ brigata partigiana di Como, che si occupò inizialmente di censire tutto l’oro di Dongo e che tentò di consegnarlo alle autorità, ritenendolo di proprietà dello stato italiano, «il 4 maggio del 1945  va a trovare il segretario del partito comunista di Como, chiedendo ragione della fine dell’oro di Dongo. Dei valori sequestrati erano stati stilati da lui stesso tre elenchi, ma nulla di quell’enormità era finito all’erario, cioè allo Stato. Neri venne ucciso dopo quella visita». (Varese Oggi – 2003)

“In realtà, i comunisti hanno incamerato soltanto una piccola parte di quell’immenso forziere semovente bloccato dai partigiani lungo le sponde del Lario. Non perché si siano ritratti di fronte a quella che i giornali americani, al tempo, definirono come «the great Dongo’s robbery» , il grande furto. Semplicemente, i comunisti, i quali controllavano le formazioni partigiane che arrestarono il Duce e i suoi fedelissimi, non fecero in tempo a impedire l’emorragia miliardaria che, in poche ore, aveva dissanguato l’intera colonna.
Quando, ormai quindici anni fa, chiesi al professor Gianfranco Bianchi dove, a suo avviso, fosse finito l’oro di Dongo, il grande storico, che è stato anche mio maestro, replicò con la sua consueta vivacità: «Se lo sono preso gli abitanti del lago!». Le cose stanno effettivamente così: la popolazione locale depredò letteralmente i fascisti e i tedeschi che, in cambio di protezione per sé o per i propri famigliari, non esitarono a regalare valigie piene di banconote. Durante il fermo della colonna, molti gerarchi avevano anche provvisoriamente affidato carichi di preziosi alla gente del posto, depositandoli nelle loro abitazioni nella speranza di passare poi a ritirarli. Non immaginavano certo che sarebbero stati fucilati di lì a poco. Anche dal municipio di Dongo, dove poi si svolse la contabilizzazione del tesoro sequestrato, sparirono somme ingenti, sottratte da partigiani o da loro amici.” (L’oro di Dongo – La Grande Storia – Rai3)

Un  documento agghiacciante, quello di Rai3.

E, mentre a Dongo e non solo era questa la fine che facevano le ricchezze d’Italia e degli italiani, “erano i giorni della «peste» di Napoli. … Eravamo puliti, lavati, ben nutriti, Jack ed io, in mezzo alla terribile folla napoletana squallida, sporca, affamata, vestita di stracci, che torme di soldati degli eserciti liberatori, composti di tutte le razze della terra, urtavano e ingiuriavano in tutte le lingue e in tutti i dialetti del mondo”, racconta Curzio Malaparte in La Pelle.

Sarà per questo che l’insurrezione venne proclamata il 25 aprile ‘a cose fatte’ e che ancora oggi i nostri libri di scuola dimenticano che Roma, Bologna, Milano furono prese dagli Alleati, che Torino e Genova insorsero mentre i tedeschi già smobilitavano, che solo Napoli – tra le grandi città industriali – insorse spontaneamente, stremata da centinaia di bombardamenti alleati sulla popolazione civile?

Certamente è anche per questo che l’Italia  festeggia la Liberazione … resta da chiedersi come sarebbe andata se a ‘liberarci’ invece degli Alleati, ci fossero stati i partigiani. Anzi … siamo sicuri che da Firenze a salire sarebbe accaduto quel che accadde, incluso l’orrido spettacolo del cadavere di Claretta Petacci appeso in piazza a Milano, senza gli Alleati che avanzavano, vittoriosi e vincenti, distribuendo cioccolato, sigarette e calze?

25 aprile, quello che non vi hanno mai detto

Liberazione, una festa da riscrivere

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Debito pubblico, ancora peggio del 2010

13 Dic

Secondo quanto reso noto dalla Banca d’Italia a ottobre 2013 il debito pubblico italiano ha raggiunto quota 2.085.321 milioni di euro, rispetto ai 2.016.042 milioni di ottobre 2012. Un aumento che Bankitalia in agosto scorso imputava principalmente al crescente fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (57,8 miliardi).
Nel primo trimestre 2013, inoltre, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche é stato pari al 7,3% del Pil. Nello stesso trimestre del 2012 era stato pari al 6,6%. (fonte Il Sole 24 Ore)

Intanto, nonostante tutte le tasse che paghiamo, nei primi dieci mesi del 2013, il gettito gennaio-ottobre 2013 si è attestato a 307,8 (dati Bankitalia) miliardi, mentre nel  periodo gennaio-ottobre 2012 le entrate tributarie si erano attestate a 322,8 (dati MEF) miliardi di euro, rispetto (dati MEF) ai 310,5 dell’Anno Horribilis – il 2011 – ed i 253.5 (dati MEF) milioni di euro del 2010.

Ad ottobre del 2010, allorchè iniziava la Crisi, il debito pubblico era di 1.867,4 (dati Bankitalia) miliardi di euro a fronte di un PIL di 1.548,8 (dati ISTAT) miliardi di euro, che oggi calato a soli 1506,9 (dati FMI) miliardi di euro in valuta corrente.

Dunque, in questi tre anni, nonostante l’Austerity imposta da Mario Monti il debito pubblico italiano è aumentato di 217,9 miliardi di euro (+ 11,5%), le entrate fiscali sono calate di almeno due punti in percentuale, nonostante la pressione fiscale effettiva (dati Confcommercio)  è stata calcolata equivalente al 54-55% del Pil emerso sia nel 2012 sia nel 2013, mentre nel 2010 era al 44,3%.

Proprio ieri la BCE avvisava che l’Italia non e’ riuscira’ a centrare gli obiettivi stabiliti a suo tempo di un rapporto deficit/Pil al 2,9% per il 2013 a causa “principalmente a un peggioramento delle condizioni economiche”, mentre il risanamento strutturale varato “e’ inferiore allo sforzo richiesto”.  Il rapporto BCE preavvisa che che l’Italia difficilamente potrà raggiungere per il 2014 un rapporto disavanzo/Pil entro quell’1,8 per cento fissato nell’aggiornamento del programma di stabilità.
Anzi, vista la serie storica di questi ultimi tre anni, il rapporto disavanzo/Pil potremmo tranquillamente (si fa per dire) ritrovarcelo al doppio del limite concordato, cioè intorno al 3,2%.

Male, malissimo. Peggio.

E dire che, stando al Regional Economic Outlook 2010, il Fondo Monetario Mondiale prevedeva che “il Pil (Prodotto interno lordo) italiano crescerà sia nel 2010 sia nel 2011 dell’1%, con il deficit che quest’anno si attesterà al 5,1% per poi scendere al 4,3% il prossimo.” (fonte Il Sole 24 Ore)

In poche parole ci troviamo con una pressione fiscale abnorme, un PIL che arranca contro ogni previsione ed una spesa pubblica insostenibile, visto che con le autonomie e deregolazioni in realtà abbiamo quasi raddoppiato spese e tempi di lavorazione della pubblica amministrazione, demandando la lotta agli sprechi e alla corruzione a future e improbabili sentenze, visto lo smantellamento dei ispettorati interni alle PA.

Più che di ribellismo, iniziarei a parlare – riguardo M5S o i così detti Forconi – di una popolazione che non sa più a che santo rivolgersi, mentre anche dai sondaggi di La Repubblica viene fuori uno spaccato italiano che quasi sembra non accorgersi della gravità della situazione, non sanabile da una mera legge elettorale o da un tot di cultura in più, dopo il collasso dei pensionamenti e dei turn over, mentre i servizi pubblici ci costano sempre di più.

Qui ormai siamo a questioni di ‘massa effettivamente circolante’ di denaro e di gente stremata perchè senza lavoro o perchè obbligata, anziana e malata, al lavoro oppure perchè sempre in bilico di perderlo. I giovani? Che attendano o emigrino, as usual.

Almeno lor signori ammettessero che si sono ‘incartati’ e, in nome della stabilità, sgombrassero il campo …

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Evasori: chi sono dove sono

10 Gen

Nel 1999, secondo le stime di Bernardi e Bernasconi, il volume di evasione fiscale relativa all’IRPERF dei “lavoratori autonomi, imprese individuali, società di persone” era pari al 68,5% della base imponibile, mentre l’IVA presumibilmente evasa era al 38%.

Il dato era confermato dallo studio di Bordignon e Zanardi che fissava all’84% l’entità degli evasori tra i lavoratori autonomi e, nel 2002, anche uno studio dell’Agenzia delle Entrate confermava indirettamente i dati di Bernardi e Bernasconi, stimando al 41% l’evasione derivante da “servizi alle imprese”, nel 27,7% quello del “commercio” e nel 17,3% quella del settore “servizi alle famiglie”.
In termini di localizzazione geografica, nel 1998, uno studio dell’Agenzia delle Entrate fissava una “graduatoria dell’evasione IRAP a livello regionale in termini assoluti (diffusione)” che poneva al primo posto la Lombardia ed al secondo il Lazio.

Questo il dato quantitativo della diffusione del fenomeno per categorie e territori, ma ancora più interessante, però, è quello per “intensità” del fenomeno.

Infatti, gli esiti delle verifiche su un campione rappresentativo di circa 500 società di capitali, per l’anno d’imposta 1997, dimostrò che il 94% dei soggetti avevano ricevuto contestazioni per evasioni fiscali entro i 5 milioni di Euro ed, addirittura, il 6% mostrava irregolarità per somme superiori ai 5 miliardi di Euro; allo stesso modo l’elusione fiscale.
Secondo uno studio di Secit del 2000, l’evasione contestata raggiunge il 6,5% della produzione nel Centro Italia, mentre nel Nord Ovest, Sud ed Isole si attesta intorno al 4% (con la Calabria e la Sicilia ben oltre tale valore), mentre nel Nord Est la linea d’ombra fu tale che lo studio riportava valori negativi.

Venendo ad oggi, secondo i dati di Contribuenti Italiani, nel 2011 l’evasione nel nostro paese ha raggiunto la vetta di 180 miliardi di euro l’anno (8,6% del PIL) sottratti all’erario. Il dato è confermato da Tax Justice Network, che stima in 238 miliardi di dollari USA l’evasione nel nostro paese.

Una cifra pesante, anzi pesantissima, se consideriamo che l’evasione fiscale nella Federazione Russa (143.474.000 abitanti) arriva a 221 miliardi di dollari.
Come dire che abbiamo un volume medio di evasione procapite pari ad una volta e mezza quello russo. Ed è tutto dire.

Ma dove sono gli evasori nostrani? Non a Cortina, non a Portofino, non ad Abano Terme e neanche tra i commercianti, salvo il settore “turismo”, ovvero alberghi, ristorazione e spiagge, che da soli evadono per 36 miliardi di Euro l’anno. (fonte La Stampa)

E’ nella falsa fatturazione e/o tra le prestazioni occasionali (professionisti, servizi, artigiani e nel lavoro nero degli immigrati e non) che va ricercata l’evasione, oltre che, come ovvio, nelle attività delle mafie e nei fondi neri della corruttela politica.

Intanto, c’è ancora chi se la prende con il piccolo “negoziante distratto” (ditemi voi quanto può evadere un gelataio …) e con i quattro turisti “finto VIP” che ancora frequentano qualche località turistica.

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Interesse pubblico, privacy violata

30 Apr

In diverse occasioni, durante le trasmissioni televisive di “mi manda RAI3” ho avuto modo di notare come sia spesso raccomandato di non fornire con facilità informazioni “banali”, come nome-cognome, indirizzo, telefono fisso, codice fiscale, conto corrente.
Peggio che andar di notte, se parliamo del numero della carta di credito o di bancoposta oppure del dare tutte queste informazioni tutte insieme ed a persone non qualificate.

Tutti gli esperti ci consigliano cautele non perchè fossimo ricchi o poveri, furbi o sprovveduti, ma solo per evitare che qualcuno usasse la nostra identità per truffe e traffici, che sottoscrivesse crediti o conti a nostro nome.
Sono passati tanti cittadini davanti alle telecamere di RAI3: sempre le stesse raccomandazioni.

Ma quello che è accaduto oggi è molto di più.
Sono usciti, pubblicati, scaricati i database completi, proprio quelle cose che i programmatori stipano gelosamente perchè è POTERE, economico, politico, sociale.
Con quei dati le organizzazioni criminali (quale Mafia internazionale preferite) possono fare “miracoli”. Con un database così ampio si possono costruire simulazioni per investimenti e speculazioni, scenari per tarare il pizzo sui territori, sviluppare proiezioni socioeconomiche e di sviluppo.

Dunque, quest’ultima vicenda del Ministero dell’Economia e Finanze è seria.
Vedremo se ci saranno indagini rapide, processi chiari, condanne esemplari e se i media si comporteranno come hanno fatto i loro colleghi stranieri nei casi analoghi di casa loro.

Il fatto grave, a mio avviso, è che qualcuno” ha confuso la lista degli evasori (che portano i soldi all’estero) con quella dei contribuenti (in gran parte onesti cittadini, anche relativamente o poco abbienti).
E’ la prima che è stata pubblicata in mezza Europa, violando dei segreti in un paese “minore” e commettendo, cosa non da poco, anche dei reati. La seconda no.

Un’ultima cosa: secondo la logica dei ministri TPS, Visco e Romano, se è di interesse pubblico rendere noti i redditi delle persone, lo dovrebbe essere ancor di più pubblicare le foto dei criminali (ladri, pedofili, spacciatori, truffatori, rapinatori, stupratori . mafiosi eccetera) nelle zone dove vivono.
O no?

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