Ad una settimana dal voto, il quadro politico italiano non manca di promettere (cattive) sorprese.
occhiello tratto da una homepage di La Stampa
A partire da Barak Obama che si consulta sul futuro dell’Italia con l’unico di noi che futuro non ha: l’ottuagenario Giorgio Napolitano, di cui a breve si voterà l’avvicendamento. Misteri del sistema mediatico estero, che tira la volata gli antiberlusconiani? Forse. Intanto il Presidente della Repubblica, bontà sua, precisa “nessuna ingerenza sul voto, comportamento sempre impeccabile.”
Passando ad Oscar Giannino, che potrebbe superare il quorum tra le amiche mura lombarde, e portare, finalmente, un po’ di buon senso e cosmopolitismo tra le asfittiche mura delle nostre Camere, con una messe di parlamentari sufficiente a costruire un fare ed un futuro per l’Italia, quando ‘lorsignori’ ci lasceranno, finalmente, con le nostre macerie da ricostruire.
Od il Movimento Cinque Stelle che, ormai, sembra completamente fuori dal controllo del vate Beppe Grillo e che – molto prevedibilmente e con grande onta per i suoi elettori – si frammenterà e/o confluirà altrove, come tutti gli altri partiti ‘autoconvocati’ della Storia, alla prima bozza di programma di governo. Ipotesi alternativa: trovarsi con un sostanzioso aggregato di estrema sinistra (superiore al 20%) al Parlamento, con una ‘balena’ centrista al 40%. Praticamente, come ai tempi della Guerra Fredda, che, però, è finita da tempo, mentre nè Castro e nè Chavez godono di buona salute.
Del PdL c’è poco da dire, trascinato non si sa dove da un Silvio Berlusconi, che cura troppi interessi suoi per garantire anche quelli nostri. E dell’Alleanza Nazionale dei tempi che furono c’è ancor meno da dire, con Storace solitario a destra, La Russa, Gasparri e Meloni affratellati, mentre Gianfranco Fini è quasi all’estinzione. Quanto alla Lega, vedremo Maroni cosa riuscirà a portare a casa, non tanto per lo scandalo di Bossi, quanto per la concorrenza di Tremonti a Sondrio e di Gelmini a Bergamo.
Dicevamo di Oscar Giannino e del suo piacere nelle metropoli e tra i ceti acculturati post-sessantottini, finamo a parlare di Mario Monti, dei bei tempi che furono con i Beatles e la Humanae Gentium e del modesto contributo che darà ad una Scelta Civica per l’Italia che si presenta come montiana, ma in realtà sarà l’UDC e solo l’UDC, più un tot di volenterosi parrocci e qualche Club, con l’aggiunta di Fini, Baldassarri, Buongiorno e Della Vedova.
Se al Centro piove, andando a Sinistra grandina e nevica. Infatti, il quadro osservabile mostra una propaganda elettorale di sinistra, una proposta politica centro-populista, un effettivo apporto di voti ‘per Bersani’ dall’estrema sinistra, un consistente numero di eletti blindati (alla Camera) che arriveranno dalla fascia appenninica, demitiana e postcomunista. Si aggiunge un’inquietante visibilità per Rosy Bindi ed Ignazio Marino, proprio quando c’è da smontare e rimontare un sistema sanitario assurdo. Il tutto mentre D’Alema non si candida ma esiste, Renzi c’è ma è sparito dai media, Fassina con Monti sarà baruffa quotidiana e la CGIL che incombe sul futuro con il peso di un partito-ombra.
In due parole: stabilità e governabilità a rischio, mentre la Cleptocrazia guadagna mesi ed anni di linfa e vita e gli investimenti stranieri vengono – come da tradizione – gioco forza dirottati altrove.
Da un lato la vecchia Democrazia Cristiana, dall’altro il nuovo PCI, ormai ‘gruppettaro’ ad oltranza, in un Paese dove la Pubblica Amministrazione è ripiombata nel trasformismo e nell’opportunismo, grazie alla lentenzza dei processi, alla derubricazione dei falsi in bilancio e dei conflitti d’interessi, al monopolio politico-sindacale sulla previdenza sociale, allo strapotere della lobby dei ‘baroni’ universitari?
Sembra proprio di si.
Fini, Monti, Meloni, Chicchitto e Tabacci avrebbero potuto fare di meglio, riunendo in un solo ‘polo’ le anime liberali del Paese. Tanto, l’essere in minoranza era comunque assicurato e, comunque, era questo quello che chiedevano ‘i mercati’: essere l’ago della bilancia.
Se Obama cerca conferme da Giorgio Napolitano – ben sapendo che potrà solo nominare il futuro governo e poi pensionarsi – vuol dire che siamo messi male: non è solo il ritorno di Berlusconi, ma anche (e soprattutto?) il mantenimento di un centosinistra di ‘soliti noti con i soliti intenti effimeri e spreconi’ e l’affermarsi delle estreme fazioni come in Grecia, che solleva una densa (e cupa?) nebbia sul Paese del Sole.
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