Tag Archives: terrore

Tripoli è caduta: ministoria di un’insurrezione

23 Ago

Tutto iniziava il 17 febbraio 2011, il Giorno dell’Ira.

Migliaia di manifestanti scendevano in strada nelle città della Cirenaica, il regime uccide 6 persone e ferisce decine di manifestanti.

Dopo giorni di manifestazioni e dure repressioni, Bengasi e la Cirenaica insorgono il 23 febbraio . Migliaia di morti e massicce defezioni dei soldati del despota. Inizia la rivolta.

23 febbraio 2011 Un aereo con Aisha Gheddafi a bordo chiede di atterrare a Malta, ma il permesso viene negato. I media avanzano sospetti che il Colonnello stia trasferendo ed occultando capitali all’estero.

19 marzo Dopo un mese di stragi e pulizie etniche del regime, l’Aereonautica francese attacca le forze di Gheddafi in applicazione del mandato ONU.

20 marzo Alla missione si uniscono, progressivamente, gli USA, la Gran Bretagna, la Germania ed alcuni paesi della Lega Araba. L’Italia resta ai margini delle operazioni a causa dell’ambiguità delle sue relazioni con il tiranno.

26 marzo I ribelli riconquistano Brega e Ajdabija, puntando verso Ras Lanuf: inizia la ritirata dei lealisti.

11 aprile Inizia a formarsi un governo provvisorio libico e vengono fornite ampie rassicurazioni riguardo i contratti petroliferi siglati dal regime.

23 aprile Viene liberata Misurata, dopo oltre due mesi di assedi e di bombardamenti da parte dei lealisti di Gheddafi. Viene anche liberato il rimorchiatore italiano, Asso 22, rimasto bloccato lì.

30 aprile Iniziano gli attacchi missilistici al bunker del tiranno e muoiono uno dei figli dei tiranni ed alcuni nipoti. Gheddafi chiede, senza successo, di fermare i bombardamenti USA.

16 maggio Il procuratore Luis Moreno-Ocampo chiede l’emissione di mandati di cattura internazionali contro Gheddafi, il figlio Seif al Islam e il direttore dei servizi segreti libici Abdallah al Senussi.

26 giugno La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja emette mandato d’arresto contro il Colonnello Gheddafi per crimini contro l’umanità insieme al figlio primogenito ed al capo dei servizi di intelligence.

22 agosto 2011 Gli insorti entrano a Tripoli ed inizia l’assedio al bunker del tiranno.

Questi i post passati che si sono occupati del Colonnello Gheddafi:

04-mar-10 Lo stile inconfondibile della Famiglia Gheddafi
04-mar-10 Gheddafi e l’embargo alla Svizzera: dopo il petrolio tocca ai datteri
16-giu-10 Il denaro che puzza
31-ago-10 Gheddafi, dall’Europa un silenzio di tomba
21-feb-11 Gheddafi e l’amico Berlusconi
23-feb-11 Libia, scoperti corpi bruciati (video)
24-feb-11 Massacri libici, affari italiani
23-mar-11 Libia, petrolio e guerra
04-apr-11 Non solo Libia
26-apr-11 Italia in guerra senza Bossi e Bersani?
11-apr-11 Libia, chi sono gli insorti
30-mag-11 Perché Al Qaeda attacca l’Italia?

Dalai Lama: compassione per Bin Laden

9 Mag

In un intervento presso la University of Southern California di Los Angeles, Tenzin Gyatso, il Dalai Lama vivente, ha risposto ad alcune domande riguardo il “point of view” buddista, riguardo la morte di Osama Bin Laden.
“Perdonare non vuol dire dimenticare cosa è successo.
Se accade qualcosa di grave che richiede delle contromisure, bisogna prendere quelle contromisure“.

La sua morte, “in una prospettiva buddista, ovvero quella di considerare il nostro nemico cone il nostro più grande maestro, è un fatto triste. Come ogni essere umano, Osama Bin Laden ha diritto alla nostra compassione e comunque perdono.”
“Naturalmente, per coloro che credono che un nemico sia un nemico assoluto, il punto di vista porta ad una prospettiva differente”.

Un concetto accettabile, se non ovvio, per noi europei figli di tante guerre fratricide, che, però, ha destato diversi interrogativi sui media statunitensi, che in questi giorni avevano cavalcato l’onda della “vendetta”, nel raccontate l’attacco di Abbottabad e la morte di Bin Laden.

Questo il comunicato ufficiale del Dalai Lama sul suo sito in risposta.

C’è bisogno di distinguere tra l’azione e l’attore. L’azione di Bin Laden è stata certamente distruttiva e i fatti accaduti (e scaturiti dal) l’11 settembre hanno ucciso migliaia di persone. Questa azione deve essere ricondotta a giustizia.”
“Ma, verso l’attore, dobbiamo avere compassione e discernimento, come anche che le contromisure, a prescindere dalla forma che abbiano, devono essere compassionevoli.”
Il leader spirituale dei buddisti di culto tibetano ha anche sottolineato che “la pratica del perdono non implica che si debba dimenticare cosa è stato fatto“.

A quanto pare, un uomo da solo, Tenzin Gyatso il Dalai Lama vivente, ha avuto il coraggio (o l’onestà intellettuale) di dire agli USA dinanzi a telecamere statunitensi ciò che ONU, Vaticano, Associated Press, governi alleati e non alleati stanno flebilmente bisbigliando da giorni, chiedendo foto o precisazioni da parte di Obama.

Flebilmente perchè tutti temiamo che si venga ad acclarare che Osama Bin Laden si è consegnato e che, successivamente, è stato giustiziato sommariamente e con brutalità.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Hamza bin Laden, l’erede

5 Mag

Hamza bin Laden (Hamza bin Osama bin Muhammad bin ‘Awad bin Laden) è il 22enne figlio di Osama e di Khairiah Sabar, una saudita di Gedda con un PhD in legge (islamica) ed insegnante per sordomuti.
Molti esperti ritengono probabile che Khairiah sia morta sotto i bombardamenti in Afganistan, ma è anche possibile che sia detenuta in Iran.
E’ importante sapere che Khairiah Sabar dicende dal profeta Maometto per linea diretta e, dunque, suo figlio può, in teoria, ambire alla corona saudita come a quella di qualunque stato islamico.

Hamza inizia presto a sua carriera di erede del “principe del terrore”, praticamente cresce accanto ad un padre che trascorre le sue giornate a pianificare attentati ed incontrare compagni d’armi: sono i tempi della repubblica islamica dell’Afganistan e dei complotti sudanesi.
Dopo l’11 settembre fugge in Iran con il grosso della famiglia ed alcuni fedelissimi di Osama, ma lì deve confrontarsi con il governo iraniano che li sottopone ad un lungo “soggiorno obbligato”, col pretesto di proteggerli.

A 16 anni, diviene (tristemente) famoso in Gran Bretagna per un poemetto pubblicato on line che inneggia agli attentati di Londra ed al massacro degli infedeli.
Sempre in quel periodo (2007) viene segnalata la sua presenza in Afganistan e Benazir Bhutto dichiara di temere Hamza, in relazione ad un suo possibile omicidio, come puntualmente avvenuto.

Attualmente, vista la smentita della CIA sulla sua morte ad Abbottabad, Hamza è già un senior member di al-Qaeda in Afghanistan e, vista l’investitura paterna,  è possibile che prenda il controllo di almeno una parte delle cellule terroristiche e dei conti bancari di famiglia. E’ anche possibile che per la giovane età possa esercitare un certo carisma sui giovani integralisti che vivono in Europa, come anche che proprio questa sua ascesa abbia indotto qualcuno a tradire suo padre.

Intanto, sua madre è morta sotto le bombe americane, suo padre è stato ucciso, inerme, da un Navy Seal e ad Hamza non resta altro che la resa o la vendetta …

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Bin Laden, dal mistero il mito

5 Mag

Già nelle prime 24 ore dopo l’assalto dei Navy seals ad Abbottabad, questo blog avanzava delle perplessità sulle informazioni diffuse dal governo USA e, più precisamente sull’assenza di prove, su dove e come fosse morto Osama Bin Laden e sul ruolo avuto dai pakistani.
Riflessioni della prima ora, che stonavano con l’esultanza generale e che trovano, già dopo pochi giorni dai fatti, ampio fondamento.

Quali sono gli elementi critici della versione fornita dalla Casa Bianca?

  1. Innanzitutto, le modalità di attacco. Secondo le dichiarazioni USA, il “covo” sarebbe stato trovato grazie alle ammissioni di un detenuto di Guantanamo, per giunta estorte sotto tortura (Waterboarding). Secondo i militari afgani e pakistani, l’abitazione era stata segnalata da tempo.
  2. Ingannare l’ISI (ndr. i servizi segreti) è difficile come lo è far atterrare 2-3 grossi elicotteri a poche centinaia di metri dai comandi d’elite dell’esercito pakistano, dopo aver sorvolato buona parte del paese. Non  a caso Islamabad protesta vivamente per la violazione dello spazio aereo e per la conduzione di azioni militari sul suo territorio.
  3. La villetta dove viveva Bin Laden da tempo è sita in un quartiere abitato da militari, dove nessuno è accorso (neanche la polizia locale) durante una sparatoria di 40 minuti preceduta da una forte esplosione. E’ evidente che c’è stato un supporto da parte dei pakistani.
  4. Alcuni video amatoriali mostrebbero un elicottero diverso dal Black Hawk, che la Casa Bianca afferma essere stati utilizzati per l’operazione.
  5. Sono stati necessari oltre 70 Navy Seals e 40 minuti di combattimento per abbattere gli uomini della guardia del corpo, che la Casa Bianca quantifica, però, in sole cinque unità, incluso il figlio diciottenne di Bin Laden.
  6. Nel flusso di informazioni tra i Navy Seals e la Casa Bianca c’è stato un black out di 20 minuti, proprio nella fase cruciale dell’attacco, come rivelato dal direttore della Cia, Leon Panetta,
  7. Non viene ancora diffusa alcuna immagine che comprovi la morte di Osama o la cattura dei suoi familiari. Gli USA si rifiutano dire prove, giustificandosi col fatto che sono troppo cruente.
  8. Bin Laden è stato riconosciuto in base ad un test del DNA, affidabile al 99% secondo la Casa Bianca, senza considerare che in assenza di fratelli (come per Osama) l’affidabilità dei test crolla sotto il 90%.
  9. Una delle mogli sarebbe stata usata come scudo umano, questa una delle prime notizie, poi cambiata in un più credibile ferita da una raffica mentre assaliva (a mani nude?) un Navy Seal.
  10. Nel “covo” c’erano altre mogli di Osama e numerosi bambini, che sono stati legati e portati via dai militari americani in una località sconosciuta, dopo aver assistito all’esecuzione del padre: un’azione fermamente vietata dalla Carta per i diritti dell’infanzia.
  11. Dulcis in fundo, “Osama Bin Laden è stato catturato vivo e poi ucciso”, cosa in contrasto con la Convenzione di Ginevra, se parliamo di un combattente, e col diritto ad un giusto processo, come sancito da qualunque costituzione democratica, se parlassimo di un criminale.

Fermo restante che il “principe del terrore” è certamente morto, quanto contribuiranno al suo mito la sete di vendetta statunitense e l’ansia di manipolazione dei servizi segreti USA?

leggi anche Hamza bin Laden, l’erede

Bin Laden ucciso: è tutta la verità?

2 Mag

Nel corso di un blitz dei Navy Seals ad Abbottabad, Bin Laden è morto colpito da una pallottola alla testa e sono state uccise 5 persone, tra cui uno dei figli.

Non v’è ragione di dubitare delle dichiarazioni di Barak Obama,  ma la foto diffusa dalle tv è risultata essere un montaggio e il corpo è sparito, “plausibilmente sepolto in mare” come riporta Associated Press news.
Certo, il “mostro delle Twin Towers” non è più tra noi: nessuno rischierebbe una bufala così eclatante, ma … Bin Laden è morto ad Abbottabad o altrove?

Una piccola unità d’elite sotto copertura, la Navy Seal Team Six, avrebbe sferrato un attacco durato circa 40 minuti ad una villetta, trasformata in un piccolo fortino  ed il tutto accade in una piccola cittadina aereoportuale come Abbottabad, sede di tre divisioni dell’esercito, con decine di caserme e diverse migliaia di soldati.
Possibile che l’esercito pakistano si sia accorto di cosa accadeva, intervenendo a recintare il compound (sic!), solo dopo che la salma di Bin Laden era stata portata via dai Navy Seals? Possibile che nessuno sia accorso?

Infine, secondo il corrispondente della BBC da Islamabad, Aleem Maqbool, il compound dove ha trovato la morte Osama Bin Laden è a 500 metri dalla Pakistan Military Academy. Molti pakistani trovano improbabile che la presenza di Bin Laden fosse ignota, visto che la cittadina dista meno di cento chilometri dalla capitale Islamabad ed è, come detto, un enorme (e ben sorvegliato) agglomerato di scuole ed accademie militari con relative caserme, tribunali, moschee ed ospedali.

Sembra incredibile, ma, mentre il mondo esulta, non circolano foto veritiere del cadavere, che per altro sarebbe scomparso, ed i militari pakistani sarebbero del tutto estranei alla cosa, sia per le coperture avute dall’Emiro del Terrore sia per l’assistenza data agli americani. Incredibile, non c’è che dire.

Per Franco Frattini, Bin Laden è il «mito del male assoluto», un simbolo la cui uccisione «indebolisce la coesione del terrorismo internazionale».

Vero, ma, se non saltano fuori foto e cadaveri, “l’icona di Bin Laden” rischia ugualmente di trasformarsi in un boomerang, come quella di Hitler e di Che Guevara, anch’essi morti ma non immortalati.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

e   Hamza bin Laden, l’erede

Non solo Libia

4 Apr

Ho scritto della crisi libica mentre accadevano i primi eventi e l’impressione è che il fenomeno in atto sia molto più ampio della sola Libia o del Nordafrica.

Come non notare che, dopo la Siria,  solo Palestina-Israele manca all’appello del “Day of rage” e che, se non avverrà, potrebbe solo significare che Hamas è ovunque e che la repressione israeliana soffoca anche i laici palestinesi.

Oppure, come non rendersi conto che il disastro nucleare di Fukushima e l’intensità di certi eventi naturali mettono in crisi sia una certa visione dello sviluppo futuro delle nostre infrastrutture ed attivano un’ancor più spietata ricerca di risorse energetiche e minerarie.

Tornando ai crucci italiani sulla Libia, esistono dei “quid” che sono del tutto disattesi dall’informazione italiana, vuoi per interessi di bottega, vuoi per formazione risorgimentale, vuoi per appartenenza militante.

Questioni, tutte squisitamente politiche ed economiche, che sottendono ai quesiti ondivaghi con cui la pubblica opinione sta lentamente e confusamente apprendendo riguardo gli eventi molto variegati e le (poco) diverse posizioni.

Ad esempio, in uno scenario di superamento degli accordi coloniali del 1884, quale può essere mai il ruolo e le garanzie dell’Italia verso i paesi emergenti se lo stesso Meridione viene tenuto nel degrado con l’aiuto delle mafie?

Oppure, quale politica possiamo mai sostenere nel Mediterraneo, se tutto è deciso a Roma (che ha ormai accettato i “patti di Yalta” tra Saladino e Federico ai tempi delle Crociate) ed a Milano, che è più svizzera che penisola? Sarà un caso che il comando NATO sta proprio a Napoli?

Come rispettare la convenzione di Ginevra per i profughi, se negammo l’asilo persino ai fiumani, oppure garantire la firma delle Carte dei diritti ONU, se 4 milioni di italiani devono ricorrere ai banchi alimentari con la spesa pubblica che abbiamo?

E’ anche da quesiti come questi, che gli altri si pongono e noi no, che nasce la marginalità italiana nel contesto africano e mediorientale.

leggi anche Libia petrolio e guerra

con le mappe petrolifere

e Massacri libici, affari italiani

con i dettagli sulle nostre aziende

Massacri libici, affari italiani

24 Feb

La legge 185 del 1990 sulle esportazioni di armamenti chiede di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
“Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante: si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 112 milioni di euro del 2009 (+746%). (Giorgio Beretta, presidente Unimondo)

Secondo i rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari, nel biennio 2008-2009, l’Italia avrebbe autorizzato forniture italiane di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro, pari ad un terzo (34,5%) di tutte le spedizioni di armi dall’Ue (circa 595 milioni di euro).
Va chiarito che, mentre l’Unione Europea, sotto la spinta dell’iniziativa unilaterale di Berlusconi, riconosceva alla Libia una certa “democraticità”, gli Stati Uniti e le ONG indipendenti riportavano l’uso della tortura, gli arresti indiscriminati, le sparizioni.
Come va chiarito che “le autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiani nel 2008 hanno superato i 3 miliardi di euro con un incremento che sfiora il 29% rispetto al 2007 mentre le consegne effettuate raggiungono gli 1,8 miliardi di euro. A cui vanno aggiunti i quasi 2,7 miliardi di euro di autorizzazioni relative a Programmi Intergovernativi”. (fonte: Presidenza del Consiglio – Unimondo)
Il traffico legale di armi a favore di Gheddafi si è incrementato notevolmente con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e da Muhammar Gheddafi.
Il trattato prevede “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari” e “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”.
Una norma sciagurata: ricordiamo tutti il caso del motopeschereccio inseguito e mitragliato da una unità libica con a bordo personale italiano.

Secondo Unimondo, l’Italia non avrebbe ancora revocato la fornitura di armi alla Libia, a a causa dell’esposizione di industrie militari italiane, “a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”, come Agusta Westland, Alenia Aermacchi e Mbda.
Esattamente gli strumenti di morte con cui Gheddafi si tiene aggrappato al suo miserrimo trono bombardando interi quartieri e cittadine.

Secondo la rivista Popoli, mensile dei Gesuiti, “Finmeccanica, la holding pubblica italiana che vanta tra le sue società alcuni dei principali produttori di armamenti al mondo, è stata una delle prime aziende a sfruttare quest’occasione. Il primo colpo l’ha messo a segno già nel 2006 firmando la vendita di dieci elicotteri A-109E Power per un ammontare di 80 milioni di euro.” e le controllate di Finmeccanica in Libia avrebbero venduto, negli ultimi tre anni, “elicotteri militari, aerei, dispositivi per l’ammodernamento di aeromobili, ricambi, servizi di addestramento e missili.”

Finmeccanica è partecipata al 32,5% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ovvero da Tremonti, mentre la Lybian Investment Authority ne detiene una quota il 2,01%, “quota che permetterebbe a Gheddafi di eleggere fino a quattro delegati” nel CdA.

Come dimenticare il benefattore (dalle mani che grondano sangue) che in questi 3 anni ha riversato miliardi di euro nelle casse pubbliche e private italiane (fonte Sole24ore), attenuando la percezione di una crisi , di un’inerzia e di un declino, che potebbero rivelarsi ancor più gravi, se cesserà, come sembra,  il flusso di denaro libico?

Perchè annunciare la sospensione o, meglio, l’annullamento dei rifornimenti di armi a Gheddafi, se questo poi andrebbe a provocare “ipso facto” perdite aziendali, che per Finmeccanica e non solo significano minori entrate e maggiori spese per lo Stato Italiano?
Meglio attendere qualche mese, mentre il mercato si riassesta ed iscrivere le cifre in rosso nei bilanci dopo la vendita dei BOT, dopo le Amministrative, dopo i rating di primavera, dopo il referendum sulle risorse naturali e, con un pizzico di fortuna, dopo l’estate, perchè no.

Anche questa è “politica del fare”.