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Malati? No, meglio consumatori

1 Ago

“Secondo l’Aiba, l’Associazione italiana dei broker di assicurazioni e riassicurazioni, il costo dei risarcimenti per malasanità oscilla tra 850 e 1400 milioni di euro”.
Un miliardo di euro l’anno di danni causati e risarciti o risarcibili per danni alla salute causati da medici o dalla gestione sanitaria sono davvero un’enormità.
“Risarcimenti che “pesano” una media di 25-40 mila euro ciascuno” e che, facendo due conti della serva, riguardano almeno 20.000 malati che sono stati danneggiati anzichè curati.

Eppure, “secondo un’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, è difficile che un professionista debba affrontare una condanna penale: il 98,8% dei procedimenti per casi di lesione colposa e il 99,1% di quelli per omicidio colposo si concludono con l’archiviazione, mentre su 357 procedimenti le condanne sono state solo due.”
Se le condanne penali rappresentano lo 0,5% dei casi denunciati, possiamo immaginare, dunque, che i risarciti dalle compagnie assicurative – per un miliardo di euro anni di media, ricordiamolo – siano solo la parte più vistosa del problema

Un ‘dato’ indirettamente confermato da Francesca Moccia, responsabile del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva  che ammette che “noi scoraggiamo le cause inutili, che fanno perdere tempo e denaro, con un sistema di giustizia lento come il nostro. Puntiamo invece a sostenere i cittadini nelle azioni di autotutela e mettendo in mora le strutture sanitarie inadempienti oppure segnaliamo le violazioni dei diritti dei malati come, ad esempio, nel caso di infezioni contratte in ospedale”, che, viceversa, esigerebbero risarcimento del danno.

Una conferma che ci viene data anche da quegli “otto chirurghi su 10 ammettono infatti di evitare interventi, andando oltre la normale prudenza, per paura di una causa, secondo un indagine dell’Ordine dei medici di Roma e dell’Università Federico II di Napoli” … così negando o ritardando ‘de facto’ l’accesso alle cure ai malati che necessitavano di quell’intervento?

Tutte le frasi tra virgolette sono tratte da un recente articolo di La Repubblica Dossier.

La soluzione suggerita dal noto quotidiano romano?

Farsi aiutare dal Tribunale del Malato e dalle numerose associazioni che difendono i diritti dei pazienti … proprio quella di cui sopra che “scoraggia le cause inutili”, invece di pretendere un sistema di controlli, giudizi e sanzioni degno di un paese europeo, come anche “segnala le violazioni dei diritti”, invece di offrire supporto e patrocinio legale ai malati danneggiati.

La Repubblica non si smentisce mai …

Piuttosto, se invece di esser considerati malati – e per giunta anche molto pazienti – accettassimo la mercificazione vigente e generalizzata ed iniziassimo a considerarci consumatori?
Siamo sicuri che ci tratterebbero ancora così?

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Spending review? No, manovra correttiva agostana …

3 Lug

Mario Monti rassicura i partiti: ‘è una spending review, non una manovra correttiva’. Eppure, se si trattasse di questo parleremmo di oltre 200 miliardi di Euro, come ha precisato pochi giorni fa proprio uno dei superconsulenti voluti da Mario Monti.
Qui parliamo – molto più prosaicamente – di un taglio delle spese di personale e di fornitura per ‘raccogliere’ quei 5,3 miliardi di euro che servono con urgenza, dato che i conti del decreto Salvaitalia si sono rivelati fin troppo ottimistici: i ‘professori’ avevano sottovalutato gli effetti negativi della ‘mancanza di speranza’, ovvero recessione, stagnazione, evasione fiscale, speculazione finanziaria.

Una ‘realtà’ che sembra non essere percepita nè dai media nè dal Partito Democratico, attestato dietro Bersani e D’Alema, che sembrano non aver imparato la ‘lezione della Seconda Repubblica’, ovvero che essere il maggior partito o la ‘fazione’ più coesa non comporta ‘ipso facto’ che si sia in condizione di governare e che, senza un pensiero economico, un programma economico, anche il maggior conglomerato di voti è in balia delle ‘correnti’. L’arroganza con cui è stato ‘censurato’ il buon Fassina ne è un eccezionale esempio e ci conferma che il ‘metodo’ non è cambiato da 50 anni a questa parte.

Uno scenario che si racchiude in quattro dichiarazioni, ben rappresentative ed inequivocabili.

«Se per decenni si indulge ad assecondare un superficiale ‘tiriamo a campare’ oppure si indulge nell’iniettare nei cittadini la sensazione che tanto il Paese può, per le sue risorse, non affrontare problemi seri che le altre nazioni affrontano, forse deve venire il momento in cui, anche a scapito di una temporanea perdita di speranza, bisogna affrontare i problemi seri» – Mario Monti a Palazzo Madama per la presentazione del libro del ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi.

«È evidente che se il governo pensa di procedere al taglio degli organici e alla riduzione dei servizi getta benzina su una situazione molto difficile» – Susanna Camusso, segretario della Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori.

«Mentre Sagunto brucia, a Roma si succedono riunioni di congiurati per decidere come buttare giù il governo prima dell’estate e provocare così le elezioni anticipate a ottobre.La voglia di far saltare tutto, si sa, serpeggia da tempo in entrambi i maggiori partiti. Ma se nel Pd Bersani ha l’autorità per zittire un Fassina, nel Pdl pare che Alfano non ne abbia abbastanza per mettere a tacere una folta schiera di sediziosi, ex ministri berlusconiani ed ex colonnelli finiani» – Massimo Polito, editoriale del Corriere della Sera del 16 giugno 2012.

«A questa maggioranza dico da parte di tutti i giovani che avete rotto i coglioni!» – Franco Barbato (IdV), mentre stava illustrando un proprio emendamento alla spending review nell’dall’Aula di Montecitorio.

Intanto, l’unico ministro che sembra aver firmato la proposta di tagli delle piante organiche del 20% per i dirigenti e del 10% per gli altri dipendenti è l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, il cui ministero, la Difesa, ha già decurtato di un quinto il proprio personale, con un piano decennale di prepensionamenti e mobilità che ridurrà di circa 30.000 unità il numero dei dipendenti militari e civili.

Dunque, non sono solo il popolo bue, l’antipolitica che avanza od i congiurati romani a complottare contro il governo di Mario Monti. A quanto pare sono gli stessi ministri a non credere in questo spending review, “anzi, più di un ministero ha chiesto di lasciare quella regola fuori dai propri uffici” ci ricorda il Corriere della Sera.

E, d’altra parte, chi mai potrebbe crederci, se prendiamo atto che Monti ed i suoi superconsulenti vorrebbero fare a luglio ed agosto quello che non hanno fatto in sette mesi di ‘governo tecnico’ e non s’è fatto in 18 anni di Seconda Repubblica.

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Tagli alla Sanità: niente trucchi

2 Lug

Arriva, finalmente, un primo, timido colpo d’accetta alla mala pianta della Sanità italiana. Un Sistema, quello Sanitario Nazionale, che ‘vantava’, nel 2004, ben 95.000 morti per cause gestionali (leggasi ‘malasanità’) e che vede, oggi e domani, un ‘bel’ 30% dei malati rari rinuciare alle cure (almeno 300.000 persone) a causa degli ostacoli che gli vengono frapposti.

I tagli ‘alla Salute’, dunque sono effimeri – 8 miliardi di euro di economie nel triennio su 116 di spesa complessiva – dato che il timore generale è che il SSN gestito dalle Regioni tagli ancor più i servizi già limitati per i malati, piuttosto che ridurre prebende, sprechi ed appalti.

Infatti,  le economie richieste dalla spendig rewiev non tocano gli oltre 200 miliardi che potrebbero essere ricavati dal ripristino di una certa correttezza nei bilanci, dela necessaria oculatezza nei preventivi,  della opportuna deotonlogia medica non solo verso i malati ma anche i colleghi. Non è un caso che le associazioni dei malati parlino di ‘incapacità di ascolto del malato’ ed il Wall Street Journal indichi il nepotism come il male che impedisce all’Italia di recuperare efficienza e competitività.

Otto miliardi d euro su centosedici in tre anni sono meno del 5% della spesa sanitaria ed equivalgono ad un aggiustamento – in basso – di circa 1,5% annuo. Tecnicamente non li si dovrebbe chamare neanche ‘tagli’ bensì ‘ottimizzazioni’.
Ottimizzazioni che dovrebbero toccare esclusivamente tre settori: forniture, servizi esternalizzati, premialità del personale.

Ottimizzazioni che, in quanto tali, non dovrebbero ‘colpire’ i malati, riducendone i servizi o le accessibilità ed incrementandone la contribuzione (ticket), ma, purtroppo, accadrà il contrario.

Quello che c’è da aspettarsi da questa ‘ottimizzazione’ del Sistema Sanitario Nazionale è un futuro piuttosto cupo, se parliamo del Lazio e delle altre regioni centromeridionali.
Infatti, si parte dalle famose ‘cattedrali nel deserto’ degli Anni ’60 e ’70, ovvero da quei siti ospedalieri dislocati in aree poco popolate del paese, per arrivare alle ‘assunzioni facili’ degli Ann’ ’80 e ’90, con situazioni dove il personale è ‘da sempre’ in esubero, ma inamovibile e privilegiato, ed agli ‘appalti d’oro’ dell’ultimo quindicennio, quando il Decentramento si trasformò in un flusso inesauribile di commesse, trasferimenti, enti strumentali, servizi esternalizzati.

Accadrà, dunque, che le Regioni più indebitate e che meno hanno migliorato od adeguato il proprio Sistema Sanitario saranno costrette – pur di non scomodare le ‘lobbies di riferimento’ – a scaricare le ‘giuste’ economie sui malati, trasformandole in ‘odiosi’ tagli. Le elezioni politiche ed amministrative sono alle porte per scadenza naturale dei mandati.

Certo, i nostri media potrebbero dare il loro contributo, confrontando costi e servizi da una regione all’altra o pubblicando le tante lettere che ricevono, ma nperchè dovrebbero farlo se finora non l’hanno fatto?

Fatto sta che, se dovesse arrivare un altro salasso per gli italiani al posto della necessaria ‘ottimizzazione’, non sarà solo il Wall Street Journal a prendere atto che in Italia esiste un problema ‘etnico’: il nepotismo.

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Curriculum che parlano

8 Feb

Non pensavo che un banale post, dove si andava a ricostruire criticamente un curriculum “esemplare” link, potesse contribuire a scatenare un “caso” e mi sembra utile aggiungere qualcosa, dato che non è stato affatto un “attacco strumentale e gratuito a una studiosa”.

Iniziamo, innazitutto, col ribadire che “riguardo le qualità culturali e scientifiche della persona in questione nulla è messo in dubbio nel post, che non a caso precisa “una nomina, di sicuro, non immeritata, se PubMed mostra in review ben 93 pubblicazioni della dottoressa Silvia Deaglio.”
Come anche, nulla di quanto scritto nel post fa riferimento a cumulo di borse, doppi lavori et similia, ripostati in rete. Anzi, a leggere il curriculum c’è solo da prender atto della sua bravura nel campo della ricerca e nella fortuna che l’ha assistita nell’economicamente oneroso cursus studiorum.

Però, se andiamo a chiederci “quali sono le eccellenze, curriculum alla mano, dei “giovani” che dovrebbero avvicendare gli attuali gerontocrati, bypassando le generazioni intermedie”, sorge un preciso quesito quesito, anche tenendo conto delle doti scientifiche dell’oncologa: “Ma con un curriculum così, quanta esperienza clinica, magari proprio in reparto tra i malati che combattono quotidianamente con il cancro, può aver effettivamente maturato, a 14 anni dalla laurea, il medico Silvia Deaglio, che ha “sempre” fatto ricerca e docenza?”.

Ma non solo, le domande che pone, indirettamente, il post – le domande che io mi pongo, per l’esattezza – sono diverse dall’aspetto scandalistico o personalistico e riguardano la nostra società italiana.

Il post si titola “Fornero, una figlia in carriera”: è la storia quella che conta, perchè è esemplare, sia nel successo (non messo in discussione) dell’oncologa, sia, soprattutto, dalla rapidità con cui tutti i gradini necessari per diventare un professore di seconda fascia siano andati a posto con un sincronismo da record, anche tenendo conto del ceto sociale, elevatissimo, della ragazza.
Silvia Deaglio è certamente la persona tra le più fortunate del paese, almeno per quanto riguarda il lavoro, è il suo curriculum a raccontarlo.

E, visto che Elsa Fornero è il ministro del Welfare, dobbiamo necessariamente chiederci se, leggendone il curriculum, la nostra oncologa avrebbe avuto la medesima “rapidità di carriera”, ovvero di accumulare riconoscimenti e finanziamenti, nel caso fosse stata una persona qualunque con una famiglia alle spalle del ceto medio o, peggio, della cosiddetta worker class.

Purtroppo, la risposta è no, basta consultare le statistiche per saperlo: l’improbabilità del dato è estrema ed, a dirla tutta, i figli della worker class di iscriversi a medicina non ci pensano neanche. Troppi anni e niente soldi per avviare uno studio di periferia.

Ovviamente la questione non è rivolta a Silvia – cosa farci se il destino le è benevolo – ma alla madre Elsa, che sembra, in quello che dice ed in quello che fa, di non ricordare che si occupa di Welfare, ovvero di politica e di pari opportunità di accesso a diritti e servizi.
Anche nelle banlieu nascono dei geni, perchè nessuno oggi si fa strada legalmente, mentre 30 anni fa era ancora possibile? E di cos’altro dovrebbe occuparsi un ministro del Welfare, congiuntamente ai suoi colleghi, se si vuole essere un governo giusto?

Oppure, parliamo sempre del curriculum, andrebbe chiarito – esiste anche una deontologia “dei docenti” ed un’altra “degli scienziati” – se sia del tutto “limpida”, per un docente di un’università pubblica e non privata,  l’esser prima diventata “head” della Immunogenetics Research Unit finanziata da un ente privato afferente alla Compagnia ove mamma è il “number two” e, solo poi, professore associato, direttamente in seconda fascia.

Troppo facile poter addiritura “avere” un centro di ricerca indirettamente finanziato dalla Compagnia di mammà e poi partecipare ad un concorso pubblico per titoli: è una questione di stile.

O, ancora, cosa ce ne si fa ed a chi vanno a beneficiare le tante borse di studio di fondazioni private e non, tra cui leggiamo Telethon nel curriculum in questione, che arrivano dai fondi raccolti – per le stelle di Natale o con gli sms, ad esempio – proprio tra le fasce più bisognose della popolazione. Silvia Fornero Biagi aveva certamente una disponibilità di mezzi “molto importante”, in famiglia, la borsa poteva andare al secondo classificato.

Utile precisare che Telethon ha intrapreso un rapporto di collaborazione con le fondazioni di origine bancaria, tra cui spicca il nome della Compagnia di San Paolo.

E, dunque, facendo riferimento, ai fondi che arrivano dai grandi enti della finanza e dell’industria, andrebbe fugato il dubbio che, in casi deprecabili, questo possa rivelarsi un modo “impeccabile” per finanziare gli studi di giovani “eccellenti”, inserirli in gruppi di lavoro importanti, dotarli di un vistoso “blasone” su cui impiantare il curriculum vincente.

Non è certo il caso di Silvia Deaglio, meritevole di suo a quanto pare, ma la “linea fortunata”, che possiamo evincere dal suo curriculum, dovrebbe renderci cauti quando, in Italia, ma forse in tutta Europa, si parla di “professori” e di “giovani eccellenti”.

Dubbi che dovremmo fugare per il bene del paese, visto che non “il caso”, ma statistiche decennali, ci raccontano di sedi/organici eccessivi e del notorio nepotismo degli ambienti accademici.

Come anche ci ritroviamo troppo spesso a leggere delle onlus e delle fondazioni che poco, troppo poco, offrono ai malati, a fronte di un gettito rilevante, che, a quanto pare, si volatilizza in spese di gestione, borse per “eccellenze” e fondi per la “giovani ricercatori”.

Come, infine, dovremmo affrontare il problema dei finanziamenti privati alla ricerca pubblica, che presenta potenziali problemi di conflitto di interessi, che potrebbero danneggiare la ricerca effettivamente innovativa, e diversi “buchi nel recinto”, attraverso i quali, avendo i soldi, è possibile “costruire una carriera” in breve tempo.

Non è certo il caso di Silvia Deaglio, studiosa seria come del resto la madre, ma dalla sua “linea fortunata” possiamo evincere un “percorso” facilmente perseguibile da giovani molto meno dotati e “soltanto fortunati”.

Tanti quesiti, tra cui quello che conta.
Elsa Fornero da due mesi si occupa di politica e sembra non essersene del tutto accorta, come del resto tutto il governo Monti. Certe scelte o cert’altre affermazioni nessun politico, italiano e non, si sognerebbe mai di dirle o metterle in atto.

Quanto impiegheranno i “professori” per capire che si stanno occupando, da premier e da ministri, della “politica di una nazione”, che non è un modello teorico a cui applicare formulette anglosassoni e, soprattutto, tagliando dove “si può”, che è ancor peggio che fare tagli lineari, o delegando le riforme strutturali del sistema di amministrazione pubblica alla politica dei partiti, che, prendiamo atto, non c’è.

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Fornero, una figlia in carriera

6 Feb

Da qualche giorno, la Rete ci sta informando che Silvia Deaglio è ricercatrice in genetica medica, professore associato alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino e responsabile unità di ricerca.

Per l’esattezza, Silvia Deaglio è nata nel 1974, a soli 24 anni era laureata in medicina, specializzazione in oncologia nel 2002, dottorato in genetica umana nel 2006.
Le “particolarità” che hanno scatenato l’attenzione dei media iniziano nel 2005, quando, appena conseguito il Master e mentre svolgeva un dottorato in Italia, si ritrova Instructor in Medicine e Visiting Assistant Professor presso il Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School di Boston, nel Massachussests.

Per l’esattezza, in quel periodo, Silvia Deaglio era ricercatore non confermato a Torino, mentre era dottoranda nella stessa Università e mentre lavorava nel Massachussets come Instructor.
Ma non solo. Dal 2005, teneva anche il corso di Genetica Medica per la Laurea in Scienze Infermieristiche (sedi di Torino e Ivrea), oltre ad essere Board presso la Scuola di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, sempre dell’Università degli Studi di Torino.

Dov’è il problema?
Le borse di dottorato non possono essere cumulate con assegni di ricerca. Le attività lavorative esterne sono autorizzate dal Consiglio della Scuola e non devono in alcun modo identificarsi con l’attività svolta dal dottorando per il conseguimento del titolo.
Le borse di dottorato non possono essere cumulate con altre borse di studio o forme di sussidio a carico del bilancio universitario e/o dello Stato, fatta eccezione per quelle previste per integrare, con soggiorni all’estero, le attività di ricerca del dottorando.” (regolamenti universitari standard)

Altra “anomalia” nel 2010, allorchè, ancora ricercatrice, viene messa a capo della Immunogenetics Research Unit finanziata dalla Human Genetics Foundation presso l’Università di Torino.

Un “notevole scatto di carriera”, specialmente se si considera che solo un anno dopo (2011) arriva la nomina a professore associato. Una nomina, di sicuro, non immeritata, se PubMed mostra in review ben 93 pubblicazioni della dottoressa Silvia Deaglio.

Ma, d’altra parte, come non pensare di trovarsi dinanzi ad una “predestinata”, se Silvia Deaglio quasi neanche s’era laureata che già vinceva premi scientifici.

  • 1996: PBI international Prize per la migliore ricerca al congresso “Immunology Cooperation Group (GCI)” L’Aquila,
  • 1998: Premio Telethon Foundation per la ricerca scientifica, Roma,
  • 1999: Premio per il miglior studente, Associazione Industriali di Torino,
  • 2002: Premio Cecilia Cioffrese per la ricerca sul cancro, Milano.

Ricerche condotte a patto di trovare un gruppo di ricerca “vincente” che ti accolga e che, soprattutto, ti lasci firmare una pubblicazione  … (Curriculum link)

Alcuni “quid in carriera” che, però, da novembre scorso sono diventati fin troppo vistosi, specialmente in un paese, dove, da un lato, la Costituzione impegna lo Stato a fornire pari opportunità ai cittadini e, dall’altro, ci si ritrova fermi al palo, mentre è ministro del Welfare  Elsa Fornero, proprio la madre della “nostra” giovane oncologa.

Infatti, Silvia Deaglio ha svolto tutta la sua carriera, fin dai primi passi di matricola, nella stessa università dove i suoi genitori, Elsa Fornero e Mario Deaglio, sono dei rispettati e noti docenti.
E, soprattutto, è bene ricordare che la Immunogenetics Research Unit, a cui è capo la figlia di Elsa Fornero, è finanziata dalla Human Genetics Foundation, a sua volta un’istituzione creata e finanziata dalla Compagnia di San Paolo, di cui l’attuale ministro del Welfare è stata vicepresidente dal 2008 al 2010.

La storia di Silvia Deaglio non smentisce, anzi sembra confermare, la tradizione italica per la quale nelle università pubbliche restano solo coloro che hanno già un parente “nel sistema”.
Del resto, come non notarlo, se, a parte l’inserimento “ottimale” nel mondo accademico e la possibilità di accesso ad ingenti finanziamenti “fiduciari”, Silvia Fornero Deaglio, a trentacinque anni, oltre tutta l’attività di ricerca che sottoscrive, di cattedre riesce a tenerne davvero tante: Problemi di salute V e Genetica medica per il Corso di Laurea in Infermieristica ad Ivrea, più Basi Biologiche e Genetica Umana, Biologia Generale e Genetica, Genetica Umana per la Laurea Magistrale/Specialistica in Medicina e Chirurgia – sede di Torino. (Dettaglio Corsi pdf)

E’ questo che intendono i ministri di Mario Monti, quando affermano “il posto fisso è un’illusione” (Fornero) oppure che bisogna “staccarsi da mamma e papà” (Cancellieri) …ed ecco quali sono, curriculum alla mano, i “giovani” che dovrebbero avvicendare gli attuali gerontocrati, bypassando le generazioni intermedie.

E io pago.

Aggiornamento dell’8 febbraio:
Rispondo a chi, in un commento, ipotizza che questo post sia un “attacco strumentale e gratuito a una studiosa”.

Iniziamo col precisare che “riguardo le qualità culturali e scientifiche della persona in questione nulla è messo in dubbio nel post, che non a caso precisa “Una nomina, di sicuro, non immeritata, se PubMed mostra in review ben 93 pubblicazioni della dottoressa Silvia Deaglio.”
Come anche, nulla di quanto scritto nel post fa riferimento a cumulo di borse, doppi lavori et similia. Anzi, a leggere il curriculum c’è solo da prender atto della sua bravura nel campo della ricerca.

Però, se andiamo a chiederci “quali sono le eccellenze, curriculum alla mano, dei “giovani” che dovrebbero avvicendare gli attuali gerontocrati, bypassando le generazioni intermedie”, sorge un preciso quesito quesito, anche tenendo conto delle doti scientifiche dell’oncologa: “Ma con un curriculum così, quanta esperienza clinica, in reparto, ha maturato il medico Silvia Deaglio?”.

Ma non solo, le domande che pone, indirettamente, il post – le domande che io mi pongo, per l’esattezza – sono diverse dall’aspetto scandalistico o personalistico e riguardano la nostra società italiana.
Il titolo dato al post sia “Fornero, una figlia in carriera”: è la storia quella che conta, perchè è esemplare, sia nel successo (non messo in discussione) della studiosa sia dalla rapidità con cui tutti i gradini necessari per diventare un professore di seconda fascia siano andati a posto con un sincronismo da record.
Silvia Deaglio è certamente la persona tra le più fortunate del paese, almeno per quanto riguarda il lavoro, e la sua storia andava raccontata, da qualcuno certamente.

E, visto che Elsa Fornero è il ministro del Welfare, dobbiamo necessariamente chiederci se, leggendone il curriculum, la nostra oncologa avrebbe avuto la medesima “rapidità di carriera”, ovvero di accumulare riconoscimenti e finanziamenti, nel caso fosse stata una persona qualunque con una famiglia alle spalle del ceto medio o, peggio, della cosiddetta worker class. Purtroppo, la risposta è no, basta consultare le statistiche per saperlo: l’improbabilità del dato è estrema ed, a dirla tutta, i figli della worker class di iscriversi a medicina non ci pensano neanche. Troppi anni e niente soldi per avviare uno studio di periferia.
Ovviamente la questione non è rivolta a lei – cosa farci se il destino le è benevolo – ma alla madre Elsa, che sembra, in quello che dice ed in quello che fa, di non ricordare che si occupa di Welfare, ovvero di politica e di pari opportunità di accesso a diritti e servizi.
Anche nelle banlieu nascono dei geni, perchè nessuno oggi si fa strada legalmente, mentre 30 anni fa era ancora possibile?

Oppure, parliamo sempre del curriculum, andrebbe chiarito – esiste anche una deontologia “dei docenti” – se sia del tutto “limpida”, per un docente di un’università pubblica e non privata,  l’esser prima diventata “head” della Immunogenetics Research Unit finanziata da un ente privato afferente alla Compagnia ove mamma è il “number two” e, solo poi, professore associato, direttamente in seconda fascia. E’ una questione di stile.

O, peggio ancora, cosa ce ne si fa ed a chi vanno a beneficiare le tante borse di studio di fondazioni private e non, tra cui leggiamo Telethon nel curriculum in questione, che arrivano dai fondi raccolti – per le stelle di Natale o con gli sms, ad esempio – proprio tra le fasce più bisognose della popolazione. Come anche, facendo riferimento, ai fondi che arrivano dai grandi enti della finanza e dell’industria, andrebbe fugato il dubbio che, in casi deprecabili, questo possa rivelarsi un modo “impeccabile” per finanziare gli studi di giovani “eccellenti”, inserirli in gruppi di lavoro importanti, dotarli di un vistoso “blasone” su cui impiantare il curriculum vincente.

Dubbi che dovremmo fugare per il bene del paese, visto che non “il caso”, ma statistiche decennali, ci raccontano di sedi/organici eccessivi e del notorio nepotismo degli ambienti accademici. Come anche ci ritroviamo troppo spesso a leggere delle onlus e delle fondazioni che poco, troppo poco, offrono ai malati, a fronte di un gettito rilevante, che, a quanto pare, si volatilizza in spese di gestione, borse per “eccellenze” e fondi per la “giovani ricercatori”.
Come, infine, dovremmo affrontare il problema dei finanziamenti privati alla ricerca pubblica, che presenta potenziali problemi di conflitto di interessi, che potrebbero danneggiare la ricerca effettivamente innovativa, e diversi “buchi nel recinto”, attraverso i quali, avendo i soldi, è possibile “costruire una carriera” in breve tempo.

Silvia Deaglio in tutto questo c’entra poco o nulla se non per il successo che le arriva dall’essere, oltre che brava, anche fortunata.
La questione di cui si tratta in questo post sono le pari opportunità che dovrebbero almeno essere dovute a coloro che son bravi ma non fortunati.

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