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USA, cosa non ci raccontano sulle armi?

18 Gen

E’ corretto non spiegare agli italiani che in USA nessuno ha intenzione di mettere al bando le armi automatiche, bensì le ‘assault firearms’, cioè quelle che da noi si chiamano armi da guerra?
Magari aggiungendo che l’unica di queste armi d’assalto, che sia stata utilizzata nelle recenti stragi, è un particolare modello di pistola Glock, che spara a raffica ed usa caricatori ad elevata capacità?

Era così difficile raccontare che quasi sempre gli autori degli eccidi avevano pistole e fucili da caccia, cioè armi delle quali si può entrare in  possesso in qualunque nazione del mondo? Oppure che di ‘armi d’assalto’ (dalle mitragliette ai kalashnikov) sono ben attrezzate anche le varie mafie che operano sul territorio europeo? O, ancor peggio, che la percentuale di cittadini che possiedono armi o ne hanno accesso in casa propria tramite un parente è di gran lunga maggiore in Svizzera che in USA?

Si è spiegato perchè le autorità di polizia locali di  Wyoming, Alabama, Missouri, Montana, Texas, Carolina del Sud hanno annunciato che ignoreranno qualsiasi legge per limitare l’accesso alle armi imposta dalla Casa Bianca, dato che da quelle parti – essendo territori ex confederati od ex indiani –  ritengono che il governo federale (Washington ed il Congresso) non abbia titolo a legiferare in materia? Oppure che anche i manifestanti più radical chiedono solo il bando delle armi d’assalto e poco più?

Oppure qualcuno si è accorto che Obama chiede l’impossibile, in termini costituzionali e di diritti civili,  quando precisa che ‘nessuna legge federale limita i sanitari dal diritto di avvertire le autorità riguardo potenziali rischi di  comportamento violento’? O che sta chiedendo ‘passi più determinati verso i gruppi di studenti che mostrano comportamenti a rischio e l’invio ai servizi per gli studenti che continuano a mostrare un comportamento inquietante’?

Quando lo racconteremo agli italiani che Mr. President chiede di ‘fornire incentivi alle scuole per assumere vigilanti’ addestrati dalla polizia? E che, viceversa, sono i ‘cattivi’ della National Firearms Association a chiedere, da tempo, di ‘garantire la sicurezza nelle scuole, di strutturare un sistema di salute mentale che funzioni e di perseguire i criminali violenti con la massima severità’? (link)

Che dire dell’idea di Obama di poter monitorare tutta la filiera delle armi esistenti, ovvero tutti i possessori di armi, e di poterlo fare con successo su un territorio maggiore del continente europeo,  dove finora se ne sono vendute a bizeffe? Propaganda o provocazione?
Come quelle che aleggiano sui media italiani, che non informano del fatto che se, negli Stati Uniti, il possesso di armi nella propria proprietà è diffusamente libero, è anche vero che nella maggior parte degli stati è necessario un permesso per portarle in giro, come anche Wikipedia largamente riporta (link)?

O del dato diffuso (90 armi da fuoco ogni 100 cittadini) che rappresenta solo una media del numero delle armi esistenti e non di quanti cittadini le posseggano, che non sono il 90% degli statunitensi, ma molto meno della metà? Oppure che in Svizzera ci sono almeno 5 milioni di armi da fuoco su 7 milioni di abitanti tra cui ben 600.000 fucili d’assalto e che, fino a pochi anni fa, in molti cantoni non occorreva la licenza di porto d’armi? Oppure che solo nell’europea Ulster si contano oltre 150.000 armi?

Infatti, a leggere i numeri scopriamo che gli stati ‘più armati’ sono, come prevedibile, tra quelli più ‘selvaggi’ e meno urbanizzati, ovvero Wyoming (59,7%), Alaska (57,8%), Montana (57,7%), South Dakota (56,6%,, West Virginia (55,4%), Mississippi (55,3%), Idaho (55,3%), Arkansas (55,3%), Alabama (51,7%), North Dakota (50,7%, A contraltare, si registra che, anche senza nessun bando sulle armi, gli stati più popolosi ed urbanizzati mostrano medie piuttosto basse, come Florida (24,5%), California (21,3%), Maryland (21,3%), Illinois (20,2%), New York (18%), Connecticut (16,7%), Rhode Island (12,8%), Massachusetts (12,6%), New Jersey (12,3%).

Non era affatto difficile raccogliere queste informazioni, dato che in USA la politica usa chiedere e promettere in modo chiaro ed esteso, mica si accontentano di un programma d’intenti o di un’agenda come da noi: Obama ha predisposto e pubblicato un compendioso report di 15 pagine per convincere cittadini, media e Congresso e che è scaricabile qui (link).

Inoltre, a proposito di report e ricerche, tra i tanti ricordiamo anche gli studi dell’Università di Chicago del 1996 (J.R.Lott e B. Mustard) che dimostrarono l’esistenza di luoghi comuni sulle armi da fuoco ed il porto libero, come l’aumento della possibilità di incidenti e di atti criminali.
Addirittura, si era rilevato un minor trend dell’8% per omicidi e violenze carnali, in analogia con gli studi sviluppati a partire dagli Anni ’80, dopo l’affermarsi di teorie che collegavano il numero di armi con il numero di omicidi, come quelli pioneristici dei criminologi Wright e Rossi (National Institute of Justice), del prof. Kleck (National Academy of Sciences) e dei criminologi europei Franz Csàszàr ed Ernst Doblers. Agli stessi risultati portano le statistiche dell’autorevole Centers for Disease Control and Prevention, compilate nel 2004, al termine di un bando decennale delle armi d’assalto, decretato nel 1994 dal Congresso. Tutti gli studi confermano che non ci sono evidenze che correlano la diffusione delle armi ad un incremento dei crimini, anzi, sembra che li riducano.

L’unico dato contrario è quello relativo ai ‘mass shootings’, che sono notevolmente incrementati da quando è cessato il bando per le armi d’assalto.

Un dato anomalo, dato che, in realtà, l’incremento (impressionate) è avvenuto a partire da settembre 2011, con ben 159 tra morti e feriti in soli 13 mesi. Inoltre, gran parte dei morti nelle stragi sono stati uccisi con armi semiautomatiche e ‘solo’ 35 persone sono state uccise con armi d’assalto in mass shootings su un arco di 30 anni, dal 1982 ad oggi.

Dunque, alcune richieste di Barak Obama sembrano prevalentemente ispirate dal desiderio di incrementare il controllo federale sui cittadini statunitensi, oltre che a cogliere il momento mediatico favorevole per attaccare nel Congresso ‘quei bifolks’ del Middle West, del Sud e delle Montagne Rocciose, dato che sono otto anni che il partito democratico ripropone di vietare le armi d’assalto, senza risultati, visti gli studi scientifici che ne inficiano le motivazioni.

Riguardo l’imporre il porto d’armi, che finora è stato prerogativa dei singoli stati, è difficile non prevedere una futura sentenza di incostituzionalità, oltre ad un sensibile incremento della diffidenza popolare verso le elite metropolitane: parliamo di una nazione dove addirittura tutti i tentativi di creare una carta d’identità si sono infranti dinanzi al diritto dei cittadini a non essere schedati dal governo federale.

Figurarsi, poi, se esiste un apposito ed esplicito emendamento alla costituzione statunitense – voluto proprio da Thomas Jefferson, presidente e padre fondatore degli Stati Uniti – che sancisce che ‘non può essere infranto il diritto dei cittadini a possedere e portare armi, essendo una ben organizzata milizia indispensabile per la sicurezza di uno stato libero”.
Un emendamento, il Secondo, che venne introdotto nel 1791, ben otto anni dopo l’indipendenza dall’Inghilterra e due anni dopo l’insediamento come presidente di George Washington, cioè quando divenne chiaro a molti deputati che stava nascendo un impero e non una repubblica.

“La principale ragione per volere che la gente abbia il diritto a possedere e portare armi è quella di proteggere se stessa, come ultima risorsa, da una tirannide al governo”. (Thomas Jefferson Papers p. 334, 1950)

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Trattativa Stato-mafia: fu alto tradimento?

17 Lug

Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.

Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).

Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.

Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.

Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.

In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.

In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.

Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.

Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.

Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.

Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».

Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.

Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.

Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.

Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».

Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?

E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?

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