Siamo in molti oggi in Italia, credo, ad avvertire dentro di noi e intorno a noi sempre più spesso pensieri e pulsioni che in altri tempi avremmo giudicato tipici di una mentalità conservatrice (e che in un certo senso lo sono davvero).
La cosa è tanto più significativa in quanto riguarda persone che spesso sono state di sinistra e dicono di esserlo ancora.
Forse più che conservatori siamo nostalgici. Nostalgici ad esempio dello Stato. …
Nostalgici di quello Stato che non si era ancora rassegnato all’inefficienza dei suoi uffici e alla abituale protervia dei suoi dipendenti, che nei ministeri e altrove non aveva dato tutto il potere alle lobby interne e ai sindacati. … Nostalgici dello Stato, della Banca d’Italia, delle Sovrintendenze, dei Provveditorati, del Genio Civile, dell’Ufficio Geologico Nazionale, delle Prefetture (sì certo, delle Prefetture!): dello Stato insomma rappresentato da quelle amministrazioni che per un secolo e mezzo ci hanno consentito una convivenza in fin dei conti decente, riuscendo bene o male a disciplinare il nostro anarchico frazionismo e il nostro scarso rispetto delle leggi.
Ad esempio conservare una scuola capace di tenere a bada le famiglie e di mantenere la disciplina; con insegnanti bravi, consci del proprio ruolo e capaci di farsi ubbidire; con regole non destinate a mutare ogni tre anni … Una scuola ideale che forse non è mai esistita: ma la cui immagine, di fronte alla rovina presente, si rafforza ogni giorno di più come un irrinunciabile dover essere.
O ancora, conservare le nostre città: libere dalle movide, dai pub, dalle troppe pizzerie al taglio e dai troppi negozi alla moda che chiudono dopo appena un paio d’anni … un’insofferenza crescente verso gli atteggiamenti più conclamati di autoreferenzialità, di ribellismo, di edonismo vacuo ..
Prima di ogni altra cosa, che la Seconda Repubblica è stato un fallimento totale: con tutti i suoi D’Alema, i suoi Berlusconi, i suoi Bossi, i suoi Prodi e compagnia bella, con tutti i suoi partiti e con tutte le sue scelte politiche che volevano essere di rottura, o comunque «diverse» rispetto al passato, e che invece non hanno portato a nulla. E poi – e soprattutto – che
Dalla Seconda Repubblica non si esce né a destra né a sinistra, per adoperare un lessico antico … È ciò di cui si è accorto grazie alla sua età e al suo fiuto Matteo Renzi: ed è per questo che egli sta riportando una vittoria dopo l’altra, mentre i suoi avversari interni balbettano sul nulla e dalle altre parti si agitano solo dei fantasmi o degli inutili masanielli.
I dati dell’Organizzazione Mondiale per la Salute per il 2012 segnalano che a livello globale si consumano 6,2 litri annui di alcol puro a persona.
Considerato che il 38,3 per cento della popolazione mondiale non consuma alcolici e aggiungendo un altro 40% che beve poco o pochissimo, arriviamo a non meno di 15-20 litri annui di alcool puro a testa di media per i così detti bevitori abituali, moderati o esagerati che siano.
La media italiana (6,7 lt) e bielorussa (17,5 lt) sono una conferma esemplare del dato, anche se, forse, c’è qualcosa che non torna nei dati italiani: se un comune vino italiano, in bottiglia da 0,75 litri, contiene l’11 %Vol di alcool, mezza bottiglia (o quattro bicchieri colmi) al giorno e siamo già arrivati a 15 litri annui di alcool consumato …
A dispetto di un consume medio di alcol in Italia relativamente rassicurante, l’8% dei maschi italiani si è ubriacato pesantemente (consumando oltre 30 grammi di alcol puro) almeno una volta nell’ultimo mese. I dati dell’ISTAT indicano che il 75% degli italiani consuma alcool (l’87% degli uomini e il 63% delle donne). Il primo bicchiere viene consumato a 11-12 anni; l’età più bassa dell’intera Unione Europea (media UE 14,5 anni).
Esempio di pubblicità di alcolici con bambini testimonial
In condizioni simili, i dati spagnoli fissano l’inizio del consumo di alcol tra i minorenni a soli 13,9 anni di media, il che significa che molti iniziano ben prima, e, infatti, l’82% degli adolescenti ha bevuto alcol nell’ultimo anno e il 74% nell’ultimo mese. Sei su 10 ragazzi tra i 14 e 18 anni si sono ubriacati più di una volta, e di questi uno su cinque afferma di averlo fatto negli ultimi trenta giorni.
I bevitori a rischio in Italia sono oltre 3 milioni (> 5% popolazione, almeno il 10% dei maschi adulti), che vanno ad aggiungersi ad un milione di alcolisti classificati.
Nel 2000 817.000 giovani di età inferiore ai 17 anni hanno consumato bevande alcoliche e circa 400.000 bevono in modo problematico. Nel 2012, il 7% dei giovani dichiara di ubriacarsi almeno tre volte alla settimana ed è in costante crescita il numero di adolescenti che consuma alcool fuori dai pasti (+ 103% nel periodo 1995-200 tra le 14-17enni).
Anche i dati sul Binge Drinking sono in crescita come nel resto dei Paesi europei e, presumibilmente, sottostimati, specialmente per gli adolescenti, dato che consiste nel restare alticci per ore e ore, bevendo almeno 5 drinks per i maschi e 4 per le femmine in un breve lasso di tempo.
Danni dell’alcol
Un ‘bravo’ binge drinker evita di passare da brillo a ubriaco, ma il binge drinking – nonostante quanto credano i bevitori che lo praticano – è comunque associato a tutti i problemi cognitivi e comportamentali, anche a lungo termine, di tutti gli etilisti, oltre a quelli connessi con la gravidanza.
L’etilismo durante la gravidanza è associato alla sindrome alcolica fetale, complicazioni alla nascita e disturbi di tipo neurologico del nascituro. Scompensi nella memoria e nei modelli cognitivi possono riscontrarsi in tutti gli etilisti critici, così come l’incapacità a controllare gli impulsi, specialmente nelle ragazze. In aggiunta, la percezione delle informazioni per via orale o visuale risulta ritardata. Gli studi compiuti sugli adolescenti dimostrano che il consumo etilico critico continuato può causare scompensi cognitivi a lungo termine.
In Italia, il 10% dei ricoveri totali è attribuibile all’alcool. Nel 2000 si stimava fossero 326.000, di cui 100.000 con diagnosi totalmente attribuibile all’alcool (relazione al Parlamento del Ministro della Salute) e, ogni anno, sono circa 40.000 le persone muoiono a causa dell’alcool per cirrosi epatica, tumori, infarto del miocardio, suicidi, omicidi, incidenti stradali e domestici e per incidenti in ambienti lavorativi. Nel mondo la stima è di un morto ogni dieci secondi per cause derivanti o correlate all’alcol, praticamente un decesso ogni 20 è dovuto a consumo di alcol: più vittime di Aids, tubercolosi e omicidi messi insieme.
In Inghilterra, l’etilismo costa al Welfare circa 20 miliardi di sterline l’anno, pari a 17 milioni di giorni di lavoro perduti dovuti alle patologie alcol-correlate, con un costo annuale sul sistema sanitario nazionale di circa 3 miliardi di sterline l’anno. Nel 2013, uno studio pubblicato dal British Medical Journal, The Lancet, e finanziato dal Centre for Crime and Justice Studies (UK) ha certificato l’alcol come la droga più dannosa di una lista di 20 sostanze diverse. Contrariamente alla percezione popolare, l’alcol è stato posizionato come più distruttivo rispetto sostanze di “classe A” come l’eroina e crack. Lo studio, condotto da un gruppo di esperti del Comitato scientifico indipendente sulle droghe, considera gli effetti nocivi di ciascuna sostanza in base ad una serie di criteri per ricaduta fisica, impatto psicologico e sociale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda la totale astensione dal consumo di alcol fino ai 15 anni. Per questo motivo, per i minori di 11-15 anni viene considerato come comportamento a rischio già il consumo di una sola bevanda alcolica durante l’anno.
La stessa OMS stima che i costi annuali sociali e sanitari, sostenuti a causa di problemi collegati all’alcool sono pari al 2-5% del Prodotto Interno Lordo (PIL), il che significa che in Italia staremmo parlando di 30-100 miliardi di euro annui per i costi sociali e sanitari, derivanti dal consumo critico di alcol.
Andando all’industria del vino, La Repubblica racconta come “l’Italia si conferma anche nel 2013 il principale produttore di vino al mondo con 44,9 milioni di ettolitri contro i 44,1 milioni della Francia e i 40 della Spagna”.
Il valore della produzione italiana di vini nel 2012 “è stimabile in 9,1 miliardi di euro e quello del consumo apparente in 4,7 miliardi, assorbiti principalmente da alberghi e ristoranti con oltre sei decimi del totale”. CANTINE RIUNITE & CIV (Campegine – Re) sono il primo produttore di vini con 204,3 milioni di bottiglie. (fonte Mediobanca del 2014)
Un’industria del vino ‘primaria’, che tiene nonostante gli italiani negli ultimi 10 anni abbiano quasi dimezzato il consumo di vino e che da lavvoro ad oltre 200.000 addetti, ma che ci costa anche molto se Agrinotizie ci spiega anche che, oltre alle normali misure di ‘aiuto’ all’agricoltura, per l’industria del vino italiano è previsto un Programma Nazionale di Sostegno (PNS) abbastanza provvido ed esteso:
Ristrutturazione e riconversione dei vigneti – 110 milioni di euro
Promozione dei vini sui mercati extra-Ue – 82,4 milioni di euro per il 2011-2012 e di 102 milioni per il 2012-2013
Investimenti – fondo di 15 milioni di euro per il 2010-2011 e di 40 milioni per il 2011-2012
Vendemmia verde – 30 milioni di euro all’anno
Assicurazione del raccolto – fondo di 20 milioni di euro
Distillazione dei sottoprodotti – 1,1 euro/grado/hL per le vinacce e in 0,5 euro/grado/hL per le fecce, senza dover pagare un prezzo minimo di acquisto a favore dei produttori, come invece era in passato
Distillazione di vino per la produzione di alcol alimentare – 400 euro/ha per il 2010/2011 e a 350 euro/ha per il 2011/2012, per un volume minimo di vino di 25 hL e massimo di 30 per ogni ettaro richiesto
Aiuto all’utilizzo di mosti – 1699 euro/grado ettolitro per l’uso di mosto concentrato, e a 2206 euro/grado ettolitro per il mosto rettificato ai produttori della zona mediterranea
Consulenza aziendale – rimborso dell’80% delle spese sostenute per i servizi di consulenza aziendale atti a migliorare il rendimento dell’impresa agricola (con un limite massimo di 1500 euro)
Politiche per il ricambio generazionale – contributi massimi di 70 mila euro per gli imprenditori new entry con età minore di 40 anni
Politiche strutturali – contributo dal 40 al 60% agli investimenti che migliorano il rendimento globale dell’azienda agricola in conformità con le norme comunitarie in materia, tra cui l’acquisto di terreni per un costo non superiore al 10% del totale delle spese ammissibili
Accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli – 40 al 50% sugli investimenti atti a migliorare il rendimento globale dell’impresa agricola
Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie – contributi, che possono toccare il 100% dei costi ammissibili
Politiche per la qualità – contributo annuale per cinque anni di 10,000 euro all’anno per azienda
Sostegno alla partecipazione a sistemi di qualità – contributo massimo di 3000 euro per azienda agricola
Sostegno all’attività di informazione dei consumatori e di promozione dei prodotti alimentari di qualità- cofinanziamento al 70% le attività di informazione dei consumatori e quelle di promozione dei prodotti agroalimentari di qualità che si tengono sul mercato interno europeo (eventi fieristici inclusi)
Politiche agroambientali – indennità a favore degli agricoltori che producono nelle zone montane, nelle aree svantaggiate o in altre aree con vincoli ambientali e naturalistici, con un limite massimo di 250 euro/ha
Contratti di filiera e di distretto – investimenti (dai 5 ai 50 milioni di euro, senza alcuna percentuale massima per regione) senza parametri minimi per gli investimenti di filiera e del rapporto minimo tra investimenti e produzione agricola
Contratti di sviluppo – finanziamento dai 7,5 milioni di euro (per programmi riguardanti solo le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli) ai 30 (per programmi di sviluppo industriale o commerciale)
Agevolazioni Invitalia (in qualsiasi settore) – lavoro autonomo (fino a 25.823 euro iva esclusa per chi vuole avviare una ditta individuale, microimpresa (fino a 129.114 euro per chi vuole avviare una piccola attività imprenditoriale in forma di società di persone
Agevolazioni Ismea – fino a un milione di euro per progetto ai giovani imprenditori agricoli che vogliono subentrare nella conduzione di un’azienda
Promozione dei prodotti agricoli – finanziamento fino al 90% dellle spese ammissibili di chi promuove e valorizza le caratteristiche qualitative dei prodotti agroalimentari italiani
Ecco perchè un litro di vino qualunque in tetrapack, al supermercato, costa meno di 2 euro e vini decenti si trovano anche a meno di cinque euro: praticamente li paghiamo noi con le nostre tasse.
Ed, a fronte degli oltre 200.000 addetti e un valore 4,7 miliardi di euro in consumi interni, c’è da considerare – quando si esulta per la crescita dell’industria del vino – che gli alcolisti sono un milione, gli etilisti critici arrivano a tre e che i costi sociali e sanitari dell’alcol in Italia sarebbero di diverse decine di miliardi di euro, mentre gli under40 alticci (e i ragazzini ubriachi) aumentano.
Quello che mancava a noi italiani era di ritrovarsi, un anno dopo la colata a picco del ‘sistema Italia’, con Giulio Tremonti in prima fila, forse candidato a premier, di un centrodestra allo sbando e privo di riferimenti.
L’uomo della crisi ‘che non c’è’, dell’Italia ‘che non sta messa così male’, dell’Europa ‘che crede in noi’, della spesa pubblica che, invece di calare, saliva e saliva. Tutte questioni che sono state ‘scaricate’ su Berlusconi e su una imprecisata casta fatta di politicanti, medici e notabili, a causa di un sistema mediatico che rinuncia ad approfondire e va avanti, di giorno in giorno, a colpi di veline (quelle di redazione, non quelle seminude).
Eppure, ci sono cose che non andrebbero dimenticate o, peggio ancora, confuse.
Ad esempio, la situazione della Cassa Depositi e Prestiti, svuotata nel corso della gestione del Ministro Tremonti, per la quale Mario Monti (ministro ad interim) ha evidentemente imposto il ‘segreto di Stato’, con la diretta conseguenza che Elsa Fornero dovette praticamente bloccare tutti i nuovi pensionamenti pochi mesi or sono.
Un disastro per il quale buon senso e norma giuridica avrebbero previsto il deferimento alla Corte dei Conti ed al Tribunale dei Ministri. Ed invece … rieccoci qui a discutere del nulla applicato al nulla.
Un ennesimo tassello di una diffusa disfunzione pubblica (cane non morde cane?) che trova adito anche negli inquietanti silenzi e nelle discutibili discrezionalità che il vertice del nostro sistema giudiziario, il presidente Giorgio Napolitano, ha ampiamente mostrato nei casi giudiziari che hanno coinvolto gli ex ministri Bassolino e Mannino e che ha manifesta conferma dell’ostracismo dei partiti e dei media verso Di Pietro e De Magistris che ebbero il coraggio di denunciare il ‘Sistema’.
Purtroppo, però, tra un anno o dieci staremo punto e accapo, se alcuni di noi continueranno a saccheggiare (più per ambizione che per avidità) od a dilapidare (più per incapacità che per malafede) il patrimonio italiano.
Basterebbe denunciarli come previsto dalla legge, confidando in una Giustizia in grado di evitare che i reati vadano prescritti e che i danni restino da quantificare …
Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.
Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).
Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.
Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.
Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.
In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.
In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.
Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.
Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.
Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.
Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».
Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.
Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.
Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.
Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».
Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?
E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?
La buriana sembra essere passata e la neve passa loscettro del disastro al ghiaccio ed al gelo.
Intanto, nei centri abitati riaprono le scuole, dopo sette o dieci giorni di sospensione della didattica.
Il sistema scolastico italiano prevede, come tutti sanno, che le classi ed i singoli alunni svolgano un determinato numero di ore, affinchè l’anno scolastico sia “valido” e si possa essere promossi od amemssi agli esami.
Parliamo di 1056 ore annue per gran parte degli istituti, di 990 per medie, elementari e buona parte dei licei, fino al minimo di 891 ore, previsto per i classici. Ore che vengono distribuite, quasi esclusivamente, su 33 settimane annue, con frequenze che vanno dai cinque ai sei giorni alla settimana e con una durata quotidiana delle lezioni di 5-6 ore.
La norma, così come voluta dal ministro Gelmini, non prevede deroghe al numero minimo di ore svolte dalla classe e consente ai singoli alunni un massimo di una 50 di assenze annue, salvo casi eccezionali e documentati.
D’altra parte, la norma non è altro che il recepimento delle direttive e dei trattati europei: nulla da fare, dunque, se vogliamo emettere dei titoli riconosciuti all’estero.
In due parole, se il Calendario scolastico della Regione Lazio, per il 2011-12, prevedeva 210 giorni di lezione, sabati inclusi, ne restano solo 200-202 per le scuole di Roma, ad esempio, ed ancor meno per tutte quelle località dove stamane le lezioni sono rimaste sospese.
Così andando le cose, va capito cosa accadrà, nel futuro prossimo venturo, allorchè verrà a porsi il problema che, in molti comuni del Centroitalia tra cui la Capitale, la durata dell’anno scolastico potrebbe non poter contare su un numero di giorni congruo, a fronte di un diritto costituzionalmente garantito. Dieci, quindici giorni di sospensione delle lezioni sono tanti, tantissimi, se, poi, c’è da recuperarli.
Le scuole di pensiero a riguardo sono tante e tutte affette da una qualche “difficoltà”.
Dall’ipotesi che le ore vengano svolte “in aggiunta” all’orario “normale”, per iniziativa dei dirigenti e degli organi collegiali delle scuole, senza intaccare il calendario regionale, ma stravolgendoi trasporti e obbligando i docenti ad orari eccedenti.
A quella che le singole Regioni adottino modifiche ai rispettivi calendari scolastici, azzerando le vacanze pasquali, ipotesi impraticabile per gli esiti di forte impopolarità, mentre riforme ed elezioni incombono.
Per finire alla prevedibilissima “deroga” ministeriale, magari a mezzo circolare, anzichè decreto, sollevando tutti dall’obbligo di recupero delle ore di lezione mancanti e lanciando al paese un chiaro – e pericoloso – segno di populismo … e di “benevolenza”. Il tutto – ancor più pericolosamente – in barba all’europeismo vantato da Mario Monti in tante sedi internazionali.
Riferendosi sia alle lobby del tabacco sia, indirettamente, a quelle dell’alcool, Sirchia, ex ministro della salute ed autorevole medico, ha anche precisato che “fa piu’ male un pacchetto di sigarette che uno spinello”.
Figuriamoci una bottiglia di vodka a digiuno …
Da notare che la vodka la vendono nei supermercati a chiunque, controllare è impossibile, per uno spinello o poco più si finisce in galera, a marcire in mezzo a criminali professionisti, mentre le sigarette le venderanno, da domani, anche i benzinai, grazie alle liberalizzazioni di Mario Monti.
Eppure, la salute è la prima cosa …
Perchè un cotal governo di “tecnici” non legifera anche in materia di salute pubblica e, soprattutto, non lo fa seguendo dei criteri scientifici e le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità?
“Monti ha lasciato gli intoccabili potentati appena sfiorati dai provvedimenti.
Ad esempio, sul versante delle sigarette, se lei porta i tabacchi ai distributori di benzina va contro la convenzione dell’Oms per il tabacco che e’ per restringere il numero dei punti vendita. In fondo, ha fatto un favore alle multinazionali del tabacco: con questo provvedimento ha ampliato il numero dei punti vendita favorendo le lobby del tabacco”.
Ad affermarlo è Girolamo Sirchia (Alleanza di Centro per l’Italia), ex ministro della Salute, ed il reclamo, stavolta, è davvero inoppugnabile, come per lo meno inquietanti sono sia gli “interventi fiscali” sia le “liberalizzazioni” molto blande, che questo governo ha finora riservato agli “intoccabili potentati”.
La questione fa venire alla mente quel Mario Monti che, gongolante, dichiarava, pochi giorni fa, “siamo stati apprezzati”.
Apprezzati da chi?
A quali “apprezzamenti” faceva riferimento Mario Monti, momentaneamente capo del governo italiano, ex presidente europeo della Commissione Trilaterale, nonchè membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg?
Demos pubblica oggi il Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, realizzato su incarico del Gruppo L’Espresso.
La prima cosa che balza all’attenzione di chi voglia consultarlo, è che il quadro che emerge dalle statistiche del gruppo di lavoro di Ilvo Diamanti è meno allarmante di quanto si percepisca “stando tra la gente”. Perchè?
Iniziamo con il grafico relativo alla “fiducia dei cittadini”, che permette di raffrontare i dati del 2011 con quelli del 2010 e del 2001, ma dei quali Demos pubblica solo il differenziale con lo scorso anno. Ecco come sarebbe la tabella se, viceversa, raffrontassimo il 2011 con il 2001: un disastro.
Si passa alla “soddisfazione dei servizi” da parte degli italiani (link) e viene fuori che dal 2001 al 2011 la soddisfazione degli italiani verso l’assistenza sanitaria pubblica (+1,7%) è addirittura aumentata … come anche resta da chiedersi quale valore possa avere monitorare la soddisfazione delle scuole private (-22,5%), se gli intervistati non le abbiano mai frequentate …
A seguire troviamo la partecipazione politica dei cittadini con un panorama abbastanza piatto e desolante, se addirittura i cittadini che svolgono attività ricreative e sportive o culturali sono meno del 50%, in calo, e la partecipazione “politica” è sotto il 15%. Non si comprende perchè Demos abbia usato degli indici che, ai non addetti ai lavori, possano dare un’impressione diversa, visto che magnificano l’entità. Come anche resta da capire come mai i cittadini che discutano di politica on line (praticamente tutti almeno una volta all’anno) siano solo l’11% secondo le interviste raccolte per conto del Gruppo l’Espresso.
Morale della favola? Secondo i dati di Ilvo Diamanti ed i suoi collaboratori il numero di cittadini che ritiene che si possa fare politica senza partiti è ormai alla pari con quello di coloro che credono nella politica degli schieramenti.
Non è più semplice “antipolitica”, non può esserlo se il 47% degli italiani è convinto che “la democrazia può funzionare anche senza partiti politici”.
Dove sarà arrivata questa percentuale tra un anno, quando, completatasi la legislatura, finalmente ci lasceranno votare? Siamo sicuri che il Governo Monti possa arrivare a fine corsa senza causare danni irreparabili al sentire popolare ed alla percezione del potere da parte degli italiani?
Sarà per questo che Ilvo Diamanti titola: “E’ ora di restituire lo Stato ai cittadini”?
Molti anni fa, ormai, nel settore industriale si fece un salto avanti epocale per quanto relativo il “controllo di qualità”. Parliamo delle macchine a controllo automatico e della rivoluzione “italiana” degli Anni ’80 che cambiò tutto. Il problema era che l’intersezione tra meccanica ed elettronica iniziava a farsi sentire, la complessità s’impennava ed i sistemi di controllo della qualità “pezzo per pezzo” perdevano colpi. Era l’epoca in cui qualunque “prima serie” era ormai affetta da difetti. Noi italiani scoprimmo che applicando un controllo minuzioso alle macchine di produzione anzichè ai prodotti finiti, i risultati erano notevolmente superiori.
Macchine e uomini non sono la stessa cosa, mi direte voi … e su questo concordo. Ma i processi logici e le contestualizzazioni dei saperi/dati hanno le stesse regole negli uomini e nelle macchine che altri uomini hanno creato.
Intendo dire che i monitoraggi come INVALSI sono utili, ma lo sono quasi esclusivamente per le macro-organizzazioni come ONU, WTO, Repubblica Italiana, UE od OCSE. Non forniscono sufficienti informazioni agli operatori su come variare il modello/modulo d’insegnamento e non le forniscono in tempo reale.
Inoltre, i dati INVALSI non vengono aggregati (almeno nella forma resa al pubblico) con i dati socioeconomici e familiari ISTAT della “foglia” monitorata, nè riportano indicazioni sui modelli organizzativi adottati. Di conseguenza, i dati non ci permettono di fare valutazioni sulle cause del gap o del successo e, diciamocelo, sulla finanziabilità di chi o di cosa. Dunque, l’attuale stato dell’arte dei test INVALSI è il monitoraggio OCSE e servono a testare le “intelligenze”.
Bene, anzi benissimo, facciamolo. Però, poi, forse, vediamo di realizzare un sistema di valutazione che necessiti di potenze di calcolo molto minori, che coinvolga i docenti come protagonisti e come responsabili del successo didattico, che ci fornisca dati per contrastare il disagio, la dispersione, l’insuccesso.
Questo significherebbe, però, destatalizzare la scuola pur mantenendola pubblica, obbligando (come?) gli enti locali fare il proprio dovere come negli altri paesi, gestendo scuole, aiutando famiglie, creando servizi gratuti.
E significherebbe anche intervenire sui contratti di lavoro dei docenti, ovvero stabilire il principio, ereticale, che un pubblico impiegato possa essere licenziato o possa essere “precario” a vita. … meglio INVALSI, così mandiamo due numeri in Europa ed, intanto, restiamo con i comitati per la valutazione delle scuole, di tribunizia (e plebea) memoria.
In una situazione di indebitamento endemico, “fisiologico”, diffuso, i governi degli stati sovrani, come ogni debitore incallito, non possono evitare, a lungo andare, il ricorso a comportamenti scorretti, elusivi, procastinanti, volti a scaricare le responsabilità di oggi sui cittadini di dopodomani.
Nel 2009, in base ai dati della CIA, la Grecia “vantava” un PIL procapite di circa 30.000 Euro, quasi quanto Francia (>32.000) ed Italia (>31.000). Cifre possibili solo mettendo in conto un turismo ben più florido ed organizzato di quello greco, in un mondo occidentale non vessato dalla Crisi.
Cifre reali, quelle greche, che ci danno un’idea di quanto da quelle parti un intero sistema nazionale vivesse sugli allori. Cifre impossibili, se non fosse accaduto che l’indebitamento pubblico verso banche private non fosse cresciuto a furor di popolo con il sostegno di clientele e populismi.
Non solo la Grecia fa traballare la giovane Europa, c’è anche la Spagna con uno spaventoso 20% di disoccupazione che supera il 40%, se parliamo di giovani. Od il Portogallo, che vede aziende e famiglie sull’orlo del fallimento o della bancarotta, per non parlare dell’Irlanda dove le aziende sono praticamente insolventi.
Non dovrebbe preoccupare, secondo i dati di Standard & Poor’s, la situazione della Gran Bretagna e dell’Olanda, dove il debito delle imprese, molto elevato, è sostanzialmente fisiologico al basso costo del denaro e alla presenza delle Borse Valori.
Si delinea, dunque, quanto prefigurato da Mario Monti, tanti anni fa ormai, allorchè ipotizzò un’Europa a due velocità”, che vedeva Spagna, Grecia e Portogallo con Romania, Bulgaria, Polonia, ex-Yugoslavia eccetera.
E l’Italia?
Alla pari della Grecia (115% del PIL) abbiamo lo stato più indebitato ed il nostro deficit (>10% del PIL) si sta allineando con quello di Grecia, Irlanda e Portogallo, l’indebitamento delle aziende non è ancora al di sotto del livello di guardia (>70% del PIL). Le nostre famiglie, però, “contraggono” pochi debiti (33% del PIL), probabilmente a causa dei redditi resi bassi sia per la povertà incalzante sia per l’elevata pressione fiscale, che a sua volta è indispensabile a mantenere un sistema di sprechi e disinvestimenti.
Nell’attuale sistema dell’Euro, una governance come il nostra, finchè è bloccata, non può crollare ed è difficile credere che possa implodere.
Meglio passare il testimone ai posteri … caso mai l’Europa che conta dovesse aspettarci.
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