Tag Archives: Stato Minimo

Welfare e Stato Minimo: la soluzione di Piero Gobetti nel 1922

8 Giu

Lo Stato Minimo non consiste affatto nell’eludere la questione dello Stato Sociale, bensì di ricomprenderlo con metodo e criterio, non a caso alla Politica compete innanzitutto di far funzionare la Pubblica Amministrazione con metodo e criterio, facendo fronte alle esigenze dei cittadini.

Scriveva Piero Gobetti nel 1922: «Se lo Stato deve pensare alle assicurazioni (sociali) nessun dubbio che “sia da preferirsi (ad ogni altro sistema) un’imposta generale sulle assicurazioni sociali, che permetterebbe di estendere le assicurazioni ad ogni categoria di lavoratori e semplificherebbe enormemente la gestione delle assicurazioni sociali, poiché lo Stato non avrebbe che da servirsi della macchina burocratica già esistente per la riscossione delle imposte.

Tre pilastri pensioni

Nel caso di chi non sia invalido od indigente, “viceversa per noi si tratta di un bisogno individuale che devono soddisfare gli uomini o le categorie che lo sentono per mezzo di contratti, di convenzioni, di associazioni; e non c’è nessuna necessità di estenderlo a tutti.
Solo muovendo dalla nostra concezione è possibile moralizzare un poco l’istituto introducendo un concetto di responsabilità e una misura adeguata a ragioni specifiche. Una tassa sugli abbienti a favore dei non abbienti accrescerebbe la degenerazione utilitarista della legislazione vigente; confermerebbe una concezione dello Stato come schiavo di clientele turbolente e di audaci intriganti, desiderosi di coprire le loro rapine all’ombra di una consacrata legalità.

Infortuni, malattie, disoccupazione, vecchiaia entrano nel calcolo e nella previsione individuale: si accetta che la previdenza debba essere, magari per opera dello Stato, stimolata, ma sarebbe curioso davvero abolirla, o privarla di responsabilità per renderla universale.

Non si vede perché, una volta accettata un’imposta generale per le assicurazioni sociali  non si debba promuovere successivamente un’imposta per garantire a ogni cittadino mediatore anche qui lo Stato il vitto e gli abiti e il cinematografo, ecc. ecc., che son bisogni della stessa natura!  (ndr. il salario minimo?)

 

Tre pilastri sanità

Questi sono residui della concezione patriarcale e autocratica dello Stato paterno, rimessa a nuovo da un riformismo che avverte la separazione tra governo e masse e corre al riparo cercando di corrompere le masse con lusinghe e benefici materiali: ma bisogna avere il coraggio di liquidare anche qui il pericolo utilitarista, combattendolo alla radice.

Il sistema tecnico ossia un’organizzazione dei servizi di assicurazione adeguata alle esigenze individuali si otterrà solo con la libera iniziativa privata. Questa, quando sia fondata su basi di serietà pubblicamente garantita, nel modo che lo Stato potrà fissare legislativamente, agirà secondo specifici interessi e responsabilità; non perseguendo un vano ideale di solidarietà umana, che concretandosi diventerebbe nuovo oggetto, nascosto, di speculazione ma regolando veri e proprii contratti, nei quali le due parti ritroveranno reciproci vantaggi.

Fuori di questa via prevarrà sempre l’antica tradizione per la quale “promettere e non mantenere, o mantenere a metà, dopo molto tempri, nominare commissioni su commissioni, avviare studi su studi, far stampare soffietti sui ministri che “audacemente” si avviano ad “ardite riforme”, è la saggia politica dei nostri uomini di governo .. “.
(Legislazione sociale / Antiguelfo, La Rivoluzione Liberale – A. 1, n. 8 (9-4-1922), p. 32 – 1922)

welfare-state

Infatti, il problema dato dallo Stato Sociale non è certo nei Diritti che concede, bensì nei Doveri ‘collettivi’ che esige e che sono il collante della Coesione Sociale in una Nazione composta da diversi ceti.  Il gap dello Stato Sociale – come fece notare Foucault nel 1975 – è nella carenza di metodo e senza porsi un limite di sostenibilità sia finanziaria sia coesiva si finisce per essere altrettanto iniqui quanto per la sua carenza.

Dicevamo del Liberismo e del problema contingente che – tra corsi di Economia Politica, seminari sul Marketing e ricerche Euro-finanziate che da 20 anni vanno a senso unico – la Politica ha dimenticato che ‘divenuti lo Stato’ c’è da sapere come far funzionare lo Stato, non solo come smontarlo … mentre Sindacati e Banche delegano ad apparati pubblici elefantiaci quel che sarebbe lo scopo originario per cui nacquero.

Tra l’altro, avremmo già oggi il diritto di apprendere dall’Inps e dallo Stato quanto dei nostri contributi e delle nostre tasse va per la copertura pensionistica e sanitaria personale e quanto per il sociale.

In questi giorni gli analisti stanno comprendendo che in un Paese dove le persone iniziano a contribuire spesso dopo i 30 anni, la Quota 100 non risolve assolutamente nulla: avranno il requisito anagrafico, ma mancherà quello contributivo ed andranno comunque in pensione dopo i 65 anni.

L’unica è quella di ripristinare il dettame costituzionale che i partiti aggirarono nel 1974, piuttosto che intervenire sulla mostruosa corruttela e gli errori contabili che causarono il crollo di Mutue e Casse, oltre ad Inps ed Inam, alla base del Debito italiano.

Questo nel III Millennio significa:

– una sorta di ‘bad bank’ per smaltire il retributivo e le pensioni d’annata
– un sistema di Enti assicurativi (sanità, previdenza, assistenza, vita) per tutti i lavoratori, con investimenti di capitale privato e vigilato (ergo garantito) dallo Stato
– un Inps che torna alle origini e bada alla previdenza pubblica sociale, in base a parametri internazionali, ma anche per scelte politiche sociali temporanee può far leva sulla tassazione (apposita).

Non piacerà a chi è nostalgico del Bengodi, ma se si vuole qualcosa che funzioni e non si vuole promettere parole al vento, non c’è altro da fare. Quota 100 e Ape Sociale sono dei palliativi a breve termine, che spostano solo di qualche anno in avanti il vero problema: una società di anziani poveri e malati, con pochi consumi per alimentare l’occupazione e la crescita per le generazioni future.

Demata

 

 

Gobetti e la legislazione sociale liberale

15 Feb

Qualcuno potrà credere Piero Gobetti appartenga al passato, che il mondo è cambiato e che oggi o domani il modo di far politica, di scegliere le alleanze, di selezionare i candidati, “di cosa chiede la gente”, eccetera eccetera.
Forse.

welfare-state

Quel che è certo è che oggi vige la nostra Costituzione, di cui riparleremo alla fine.

Vediamo, piuttosto cosa Piero Gobetti scriveva nel 1922: «Andreani crede che le assicurazioni sociali vadano riguardate come attuazione tecnica d’un programma democratico. … Se lo Stato deve pensare alle assicurazioni nessun dubbio che “sia da preferirsi (ad ogni altro sistema) un’imposta generale sulle assicurazioni sociali, che permetterebbe di estendere le assicurazioni ad ogni categoria di lavoratori e semplificherebbe enormemente la gestione delle assicurazioni sociali, poiché lo Stato non avrebbe che da servirsi della macchina burocratica già esistente per la riscossione delle imposte”.

Viceversa per noi si tratta di un bisogno individuale che devono soddisfare gli uomini o le categorie che lo sentono per mezzo di contratti, di convenzioni, di associazioni; e non c’è nessuna necessità di estenderlo a tutti.
Solo muovendo dalla nostra concezione è possibile moralizzare un poco l’istituto introducendo un concetto di responsabilità e una misura adeguata a ragioni specifiche. Una tassa sugli abbienti a favore dei non abbienti accrescerebbe la degenerazione utilitarista della legislazione vigente; confermerebbe una concezione dello Stato come schiavo di clientele turbolente e di audaci intriganti, desiderosi di coprire le loro rapine all’ombra di una consacrata legalità.

Infortuni, malattie, disoccupazione, vecchiaia entrano nel calcolo e nella previsione individuale: si accetta che la previdenza debba essere, magari per opera dello Stato, stimolata, ma sarebbe curioso davvero abolirla, o privarla di responsabilità per renderla universale.

Non si vede perché, una volta accettata un’imposta generale per le assicurazioni sociali  non si debba promuovere successivamente un’imposta per garantire a ogni cittadino mediatore anche qui lo Stato il vitto e gli abiti e il cinematografo, ecc. ecc., che son bisogni della stessa natura! (ndr. come propone Fausto Andreani, in “Saggi critici sulla legislazione sociale in Italia con prefazione di G. Salvemini, Roma, La Voce, 1920)

Questi sono residui della concezione patriarcale e autocratica dello Stato paterno, rimessa a nuovo da un riformismo che avverte la separazione tra governo e masse e corre al riparo cercando di corrompere le masse con lusinghe e benefici materiali: ma bisogna avere il coraggio di liquidare anche qui il pericolo utilitarista, combattendolo alla radice.

Il sistema tecnico ossia un’organizzazione dei servizi di assicurazione adeguata alle esigenze individuali si otterrà solo con la libera iniziativa privata. Questa, quando sia fondata su basi di serietà pubblicamente garantita, nel modo che lo Stato potrà fissare legislativamente, agirà secondo specifici interessi e responsabilità; non perseguendo un vano ideale di solidarietà umana, che concretandosi diventerebbe nuovo oggetto, nascosto, di speculazione ma regolando veri e proprii contratti, nei quali le due parti ritroveranno reciproci vantaggi.

Fuori di questa via prevarrà sempre l’antica tradizione per la quale “promettere e non mantenere, o mantenere a metà, dopo molto tempri, nominare commissioni su commissioni, avviare studi su studi, far stampare soffietti sui ministri che “audacemente” si avviano ad “ardite riforme”, è la saggia politica dei nostri uomini di governo .. “.

E anche pensare che “un monopolio ideale” non può attuarsi che in forme superiori e più perfette di solidarietà, quando si saranno inventati mezzi nuovi di intervento statale e la burocrazia, con i suoi fasti, o il parlamentarismo, con le sue inframmettenze, saranno passati alla storia o è pericolosa illusione perché i monopoli non sono mai ideali; essi operano e opereranno sempre necessariamente come ogni organismo umano, secondo individuali interessi e utilitarie aspirazioni, ossia saranno sempre asserviti ai politicanti ».

(Legislazione sociale / Antiguelfo, La Rivoluzione Liberale – A. 1, n. 8 (9-4-1922), p. 32 – 1922)

Ebbene, la nostra Costituzione, all’articolo 38, ordina che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.”

Vi sembra sia stata applicata dai partiti ‘democratici’ (cristiani o di sinistra) che hanno governato dal 1948 ad oggi? Oppure siamo piombati proprio in quello che Piero Gobetti paventava?
E la concezione dello Stato (e della Politica) di Piero Gobetti vi sembra cosa passata o questione attuale e futura?

Piero Gobetti morì 91 anni fa, alla mezzanotte del 15 febbraio 1926, esule, in una clinica di Neuilly-sur-Seine, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino del Père Lachaise.
E morì per l’aggravamento dei problemi cardiaci causati dalle aggressioni squadriste, inviate da chi preferiva strillare e/o corrompere, piuttosto che governare ed amministrare.

Da che parte sono, in Italia, i Liberali?

Demata

Leggi anche Gobetti e Nitti: testi a confronto

Liberali: meno tasse, più diritti

30 Gen

Scriveva Sergio Patti (La notizia) – il 10 ottobre 2015, allorchè rinasceva il Partito Liberale Italiano – che “i grandi temi liberali, nonostante i proclami di ogni parte politica, restano infatti da anni in secondo piano.
I diritti civili … e l’abbattimento del debito pubblico attraverso una vendita del patrimonio dello Stato e delle attività economiche pubbliche, sono manifesti che restano lettera morta.”

Non lasciamoli lettera morta, specie se a star diventando lettera morta non sono i diritti civili, ma quelli fondamentali al decoro, alla legalità, alla sicurezza, al lavoro, all’impresa, alla copertura assicurativa, alla pubblica amministrazione.

Che i Liberali non restino lettera morta, lasciando che li si confonda con chi non condivide i principi e il metodo liberali, che si tratti di diritti civili (come dignità, legittimità, sessualità, privacy, opinione, scelta, trasparenza, eccetera) o di ‘statalismo’ (da cui burocrazia, monopolio, iperfiscalità, debito e disservizi endemici).

Demata