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Furti e rapine in casa: arrivano leggi più severe?

3 Ago

Secondo l’XI Diario della Transizione del Censis, negli ultimi dieci anni i furti in casa a Roma sono più che raddoppiati (+120,6%) e nel 2014 i furti denunciati nella Capitale sono stati ben 15.779.

Parliamo di 43 furti in casa al giorno, quasi uno ogni mezz’ora e … in dieci anni saranno state almeno 100.000 le famiglie romane che hanno visto le proprie case ‘visitate’ dai ladri
Furti avvenuti anche in zone (teoricamente) a massima vigilanza e degenerati anche in sequestri, stupri e aggressioni, come raccontano le cronache romane.

In Italia, nel 2014, i furti nelle abitazioni denunciati sono stati quasi 250.000. Ogni giorno 689 effrazioni, in pratica 29 ogni ora: ogni due minuti un ladro penetra in un’abitazione.

Poi ci sono le rapine in casa e sono diverse migliaia con un incremento del 30% nel solo biennnio 2010-2012.

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Nel 2013 gli arresti per furto in abitazione sono stati 6.628 (62% stranieri) e le denunce a piede libero 15.263 (54% stranieri).
Dunque, se le indagini sono svolte con efficacia ed i ladri vengono identificati, com’è che ci troviamo che i detenuti sono solo 3.530 (42,3% stranieri)?

E’ presto detto: la norma attuale prevede una detenzione da uno a sei anni. Dunque, se sei anni toccano a chi ruba un quadro al museo, molto molto inferiore va ad essere la condanna per chi ruba pochi euro.

Questo significa che tanti dei denunciati a piede libero per furtarelli (ndr. tenuità del reato) finiranno per ricevere una condanna di un annetto, di cui due terzi scontati agli arresti domiciliari ed un altro terzo in libertà condizionata.
Inoltre, per il furto vige la prescrizione e, dunque, basta un ottimo avvocato per rallentare l’iter già farraginoso fino all’agognato quinquennio.
Dunque, accade che spesso si tratta di ladri abituali che – alla meglio – entrano ed escono dal carcere per brevi periodi, per non parlare delle migliaia di stranieri che si volatilizzano evitando la detenzione.

Riguardo i furti, basterebbe – come prevede il disegno di legge predisposto dal ministro degli Interni Alfano – incrementare le pene a due anni di minimo ed otto di massimo per ovviare a questi problemi, ma – soprattutto – servirebbe prevedere sempre e comunque il processo per direttissima ed appesantire l’aggravante di ladro abituale.

Per le rapine in casa, la questione è più complessa, ma allo stesso tempo molto semplice: non siamo al Far West, ma nell’ultimo decennio molte migliaia di bambini si sono trovate sequestrate e minacciate nella propria casa, con i propri genitori impotenti, spesso assistendo a pestaggi e scene drammatiche, per non parlare delle donne e degli anziani.

Rapina in casa Montale ModenaNon siamo più dinanzi alla sproporzione tra vita umana e difesa della proprietà, ma … se il fenomeno cresce e i criminali latitano, qual’è in Italia il limite di una legittima difesa se si è minacciati nella propria abitazione con un’arma letale, coltello o pistola o spranga che sia?

Demata

Collegno, Grugliasco ed il profondo Nord

16 Set

Silvana Accossato (ex PCI) è il sindaco del Comune di Collegno (50.137 residenti), eletta la prima volta nel 2004 con oltre il 70% dei voti. Ha fatto parte del Comitato Promotore di Torino 2006 e, in seguito, del CdA del Comitato Organizzatore di XX Giochi Olimpici Invernali (Toroc), è esponente capolista della Lista “A Sinistra per Veltroni” all’Assemblea Costituente Nazionale del Partito Democratico, membro del Direttivo e del Consiglio Nazionale ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani).
Esistono, dunque, tutti i presupposti per pensare che Silvana Accossato, docente di Scienze Agrarie presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura di Carmagnola, sia un esempio abbastanza credibile di cosa potrebbe essere il PD del futuro e di come è concepita da loro la finanza pubblica.

Il paese adiacente a Collegno è Grugliasco (37.870 residenti), guidato dal Sindaco Marcello Mazzù (ex Margherita), un medico di famiglia, consigliere comunale dal lontano 1994, docente della Scuola di Medicina Generale della Regione Piemonte e presidente del Comitato dei Sindaci del Distretto 1 ASL TO3, eletto con quasi il 70% da una coalizione che vedeva ben 8 liste collegate: Ulivo, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Sdi, Moderati, Verdi per la pace, Udeur e Italia dei Valori.
Un potenziale caso di conflitto di interessi, se consideriamo che una base di 1500 assistiti sono un serbatoio di voti enorme, specie in una piccola località, ai quali si vanno ad aggiungere i pazienti di attività specialistica di medicina del lavoro, che il Comitato dei Sindaci influisce sulla politica sanitaria della stessa ASL dove esercita e che la docenza è presso una scuola regionale e non statale.

I due comuni sono l’uno adiacente all’altro. Il primo, Collegno, è attraversato da Corso Francia, un ampio viale con tre corsie per senso di marcia che serve agli abitanti della Provincia per entrare in Torino e sul quale vanno a confluire sia la Tangenziale Sud sia la Tangenziale Nord. Il secondo, Grugliasco, ha Corso Allamano, che costeggia a sud il comune senza attraversare il centro abitato.

Considerato il volume di traffico e le esigenze dell’Area Metropolitana di Torino, la ragione e la sicurezza dei cittadini avrebbero voluto che Collegno intersecasse Corso Francia solo con un paio di grandi incroci e che si costruissero dei sottopassi adeguati.
Invece no, l’ampio viale è tecnicamente inglobato nel sistema viario comunale e ci sono anche gli attraversamenti pedonali, sia sulle striscie apposite sia “spontanei”, come se stessimo ancora negli Anni ’60.

Grugliasco, invece,ha trasformato in una trincea gli 8 chilometri che vanno da Rivoli alla Tangenziale Sud attraversando quel poco che resta di area industriale in paese.

Situazione nel 2008 – fonte La Stampa

Inoltre, scandalo nello scandalo, i due comuni hanno trovato il modo per attuare un congruo salasso a danno degli automobilisti di passaggio, piazzando una ridda di autovelox.
Il primo autovelox di Collegno, installato a luglio del 2007, dopo due anni aveva collezionato oltre 31 mila multe, a Grugliasco, nel solo novembre 2008 furono 5000.

Le delibere comunali fanno riferimento agli incidenti mortali avvenuti, ma le statistiche dimostrano che anche senza autovelox fossero di gran lunga inferiori all’atteso per una strada così.
Le dichiarazioni dei sindaci raccontano di lotta ai “ferraristi”, peccato che i limiti di velocità fissati dalle loro giunte siano spesso di 40 kmh.

Un vero business, come confermano Marco Scolaro, assessore al Bilancio di Collegno, «Dei 5 milioni incassati con le multe, 3,5 milioni sono dovuti ai velox», e Roberto Montà, assessore di Grugliasco, «Noi incassiamo circa 2 milioni». (fonte La Stampa)

Introiti enormi per due piccoli comuni, che non sembra siano stati utilizzati per mettere in sicurezza il viale, ad esempio costruendo dei sottopassaggi, e che garantiranno per lungo tempo la maggioranza a chi amministra questi fondi tutti da finalizzare.

Un’economia di rapina, come descrivono i trattati di economia, per gli aspetti generali, ed i libri di storia, per quello che riguarda il Piemonte preunitario.

Ed anche un’ennesima dimostrazione dell’inutilità delle Provincie, visto che nessuno interviene, e del forte decadimento dei diritti civili nel nostro Paese, visto che si impongono limiti esasperati e, pur avendone le risorse, non si provvede agli interventi risolutivi.

Un’altra prova, caso mai ne sentissimo il bisogno, dell’enorme spreco che consumiamo in infrastrutture politico-amministrative che non badano all’interesse generale ma solo a quello, forse, dei propri diretti elettori, e che, soprattutto, non riescono ad attuare forme di finanziamento pubblico diverse dalla bassa macelleria.

Viene solo un dubbio: rientrerebbero le proteste in Val di Susa se i valligiani potessero mettere l’autovelox ai treni delle TAV, riducendone la velocità a 40 all’ora?

Ipsos MORI, default USA, indignados europei: specchi diversi di un tempo che cambia

14 Lug

Ipsos MORI, eminente ente di ricerca del Regno Unito, ha pubblicato uno studio  molto accurato sulla globalizzazione, che analizza nel dettaglio alcuni aspetti relativi alla soddisfazione dei cittadini ed ai relativi aspetti etici (link).

Innanzitutto, emerge che quasi nessuno “è contento della globalizzazione”: pressoche nessuno tra gli europei (ad eccezione dei polacchi), gli statunitensi e giapponensi è favorevole, mentre tra i paesi “entusiasti” solo l’India e la Cina Popolare raggiungono o superano il 30%.

La maggiore preoccupazione, che la globalizzazione induce nei cittadini, è la “disoccupazione” (50% delle persone), seguita dall’incubo della “povertà” (40%) e da una significativa attenzione a “crimini” e “corruzione” (oltre il 30%).

Nella sostanza, potremmo affermare che esiste una diffusa percezione di vivere in una società ingiusta e, probabilmente, illegale.

Non a caso oltre la metà degli intervistati, ad eccezione di Francia, Belgio ed Ungheria, è convinta che “lo Stato debba esercitare un controllo verso le Big Companies, pubbliche o private che siano”. Si va da un’adesione del 50% (USA e Italia) ad un exploit anche superiore all’80% per i paesi emergenti come India, Brasile e Cina Popolare.

La percentuale rasenta il plebiscito  se la domanda diventa “se il governo dovrebbe diventare più aggressivo nel regolamentare l’attività delle Big Companies nazionali o multinazionali“, con il 75% dei favorevoli in Europa, USA e G8.

Piuttosto ambiguo l’esito di un’altra coppia di indicatori, visto che tantissimi sembrano consapevoli che “gli investimenti delle Big Companies sono essenziali per lo sviluppo del paese”, oltre l’80%, ma le percentuali crollano al 42% nel Nordamerica ed al 31% in Europa, se gli si chiede se temono “eventuali ricadute occupazionali in conseguenza di restrizioni per le grandi aziende”.

Probabilmente, i cittadini dei “paesi avanzati”, europei e americani, vedono nelle “proprie” Big Companies un valore aggiunto di egemonia internazionale, ma, a differenza dei paesi emergenti, sono disposti a modificare il proprio stile di vita o le relazioni sociali, in cambio di maggiori garanzie verso corrotti e speculatori.

La battaglia del default statunitense, tra Obama ed i Reps del Congresso, è una delle tappe di questa istanza che dai cittadini si rivolge alla politica, alla finanza, al clero, all’impresa. L’impasse dell’euro-moneta, la fragilità dell’euro-politica, la coincidenza tra lobbies e partiti saranno un’altra tappa di questa lunga partita.

L’unica cosa certa è che adesso abbiamo una pietra miliare per indirizzare il rapporto tra politica, aziende e cittadini e questa è proprio  il documento dell’Ipsos MORI, che esce quasi in simultanea con l’emergere di “indignados liberali”, un po’ in tutta Europa, e con la “svolta” che, entro venti giorni, dovrà necessariamente imboccare l’America con tutto quello che ne conseguirà per l’area Euro e non solo.

Ipsos MORI, fede e globalizzazione

14 Lug

Ipsos MORI, eminente ente di ricerca del Regno Unito, ha pubblicato uno studio  molto accurato sul rapporto tra fede/religione e globalizzazione (link).

A riguardo, Tony Blair, ex primo ministro inglese convertitosi recentemente al cattolicesimo, ha tenuto a dichiarare che: «questo sondaggio dimostra quanto conti, ancora oggi, la religione e come nessuna visione del mondo contemporaneo, politica o sociale, possa ritenenrsi completa senza la comprensione del rapporto tra fede e globalizzazione»

Ho letto il documento britannico e riporta cose molto diverse da quelle di cui Tony Blair parla.

Innanzitutto, alla domanda se la religione contribuisce a creare dei valori comuni e dei fondamenti etici necessari ad affrontare il 21esimo secolo, i paesi cristiani rispondono sostanzialmente NO, con una media di “credenti” intorno al 30%, che Messico e Italia raggiungono un risicato 50% mentre in Turchia non superano il 44%. Solo in USA e Brasile i “favorevoli” si attestano al 65%.

A contraltare, salta fuori che solo il 15% dei cristiani europei ed il 30% degli statunitensi crede che la fede sia l’unica via che porta alla “salvezza”.
Il 66% dei cristiani considera sì importante la fede, ma in Europa, ad eccezione dell’Italia, la media è inferiore al 45%.

E’ impressionante il dato per cui solo il 52%, a prescindere dalla religione, considera l’impegno sociale, la Charity, come un fatto personale. La percentuale crolla sotto il 25% se parliamo di paesi cristiani a fronte del 61% dei mussulmani.
I cristiani, inoltre, hanno amici o conoscenti di religione diversa nella misura del 5%, gli islamici del 10% (sic!).

Il quadro che emerge dallo studio di Ipsos MORI è piuttosto chiaro: la religiosità è recessiva in Europa (Turchia inclusa), la Charity (solidarietà sociale) non è un aspetto etico prettamente religioso, l’Islam mostra, per ora, una maggiore adattabilità e tenuta verso la cultura sincretica e materialista che avanza con la globalizzazione.

OCSE Better Life Index, i dati italiani

25 Mag

L’Italia si colloca nella media OCSE in diversi indicatori del Better Life Index.

In Italia, la famiglia media ha guadagnato, nel 2008, 24,383 dollari a fronte di una media OCSE del 22,284 dollari. (ndr. che include paesi come Cile, Messico, Slovacchia, Corea eccetera)

In termini di occupazione, il dato è al di sotto della media OCSE del 65% e quasi il 57% delle persone dai 15 ai 64 in Italia ha un lavoro retribuito. (ndr. in Messico, Irlanda o Cile era  del 60%)
La gente in Italia lavora 1.773 ore l’anno, contro media OCSE di 1.739 ore. Solo il 49% delle madri con figli in età scolare sono occupate, dato di molto inferiore alla media OCSE del 66%. (ndr. in Germania le ore annue sono 1390)

Avere una buona istruzione è un importante requisito per trovare un lavoro.
In Italia, però, solo il 53% degli adulti tra i 25 ei 64 anni ha conseguito l’equivalente di un diploma di scuola superiore, a fronte di una media OCSE del 73%. (ndr. in Giappone e Germania è oltre l’80%)
Per quanto riguarda la qualità del suo sistema educativo, la media degli studenti mostra una capacità di lettura leggermente inferiore (486) alla media PISA di 493 punti su 600 (ndr. ma nel centrosud è molto più bassa).
In termini di salute, l’aspettativa di vita alla nascita in Italia è 81,5 anni, più di due anni superiore alla media OCSE, ma il livello di PM10 nell’aria (minuscole particelle di inquinanti atmosferici) è di 23 microgrammi per metro cubo, leggermente superiore rispetto alla maggior parte dei paesi OCSE (22 ug/m3).

Per quanto riguarda la sfera pubblica, secondo l’OCSE vi è un forte senso di comunità e alti livelli di partecipazione civica in Italia, anche se solo l’86% delle persone conosce qualcuno su cui potrebbe contare in un momento di bisogno, rispetto alla media OCSE del 91%.

L’affluenza alle urne, un indice della fiducia nel governo e della partecipazione dei cittadini nella politica (ndr. secondo l’OCSE, ma è evidente che non sia così), era all’81% nel corso delle elezioni del 2007 , cifra è superiore alla media OCSE del 72%.  Solo il 54% di persone in Italia, però, si è detto soddisfatto della propria vita, appena sotto la media OCSE del 59%.

liberamente tradotto da Your Better Life Index: Country Notes © OECD 2011

I dati OCSE, la solita Italia e gli scenari per l’Europa

25 Mag

Era tempo che Giulio Tremonti insisteva sul fatto che il PIL nazionale “di per se” non fosse più ‘unico indicatore da considerare per valutare il “benessere” di uno stato. Ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia, sia in termini personali sia a difesa della sconcertante situazione italiana, ed era riuscito a convincere i guru della finanza mondiale.

Così andando, eccolo accontentato dopo qualche annetto ed oggi possiamo leggere i dati OCSE del “Better Life Index”, che rappresentano un primo approdo sulla via indicata dal nostro ministro dell’economia.

Una triste riconferma per l’Italia ed un chiaro segnale per l’Europa.

Infatti, l’Italia risulta generalmente nella media (aurea mediocritas?), ma i dati  relativi alla situazione infrastrutturale italiana (occupazione, ambiente, donne, giovani, investimenti, soddisfazione) erano nel 2008 vistosamente al di sotto della media OCSE  e sappiamo tutti che sono ulteriormente peggiorati.

Tra l’altro, questi dati italiani si avvicinano a quelli di stati (Slovenia, Slovacchia eccetera) che non hanno nè il PIL nè la tradizione industriale nè il potenziale umano dell’Italia e sono un chiaro segno di cattiva governance del paese, che ha un potenziale di benessere (e di civilizzazione) notevolmente superiore.

Dunque, poiché un sistema di dati accurato fornisce sempre indicazioni e soluzioni, l’Europa inizia ad avere alcuni elementi su cui discernere le exit strategies dall’attuale situazione: Italia, Ungheria, Grecia, Portogallo, Irlanda, Estonia, Slovacchia, Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca (Romania e Turchia) il livello di benessere è più o meno lo stesso.

Un’Europa a due velocità, come quella che prefigurava Mario Monti nella sua visione di unificazione europea.

cliccare qui per la scheda OCSE  BLI sull’Italia, tradotta e commentata

Baby pensioni? Meglio se privilegiate

27 Apr

Antonio Di Pietro, sessantenne ex magistrato fondatore dell’IdV, è in pensione dall’età di 44 anni e percepisce 2.644 euro lordi al mese. (Mario Giordano – “Sanguisughe”, Ed. Mondadori)

Manuela Marrone, cinquattottenne moglie di Umberto Bossi fondatore della Lega, è un’insegnante in pensione dall’età di 39 anni con 766 euro lordi al mese. (fonte Corsera)

Rainer Stefano Masera, ex ministro del Bilancio nel governo Dini, è un docente universitario in pensione dall’età di 44 anni con  18.413 eu­ro lordi al mese. (fonte Corsera)

Fabio Granata, esponente cinquantunenne di Futuro e Libertà, e Leonluca Orlando, cofondatore dell’Idv, percepiscono da diversi anni 8.000 euro al mese di pensione come ex consiglieri regionali. (fonte Il Giornale)

Piero Marrazzo, cinquantaduenne attualmente giornalista RAI, è un ex consigliere regionale che ha presentato alla Regione Lazio apposita domanda di pensione per 2.000 euro al mese.  (fonte Il Giornale)

Sandro Frisullo, plurindagato cinquantacinquenne ed vicepresidente della Regione Puglia, è andato in pensione con 10.071 euro lordi al mese come ex consigliere regionale. (fonte Il Giornale)

Pier Carmelo Russo, quarantasettenne plurindagato ed assessore della Giunta regionale siciliana, è un ex funzionario della Regione Sicilia in pensione dall’età di 44 anni con 10.980 euro lordi al mese. (fonte Il Giornale)

Non è esattamente un problema di Baby pensioni, ma di pensionamenti “privilegiati” o “d’annata”.

Era la prima cosa da azzerare, nel 1994 quando si intervenne sulle pensioni, ma, lo raccontano i fatti, è rimasta lì come se nulla fosse: molte migliaia di “onesti” italiani hanno beneficiato, vent’anni fa, delle stesse “condizioni favorevoli” pur non essendo anziani od invalidi. Tra loro sindacalisti, magistrati, funzionari, docenti universitari: la casta.

D’altra parte, poteva mai la riforma delle pensioni essere equa, se coloro che la concordarono erano tutti in età pensionabile?
Fu un caso che Giuliano Amato, esponente di rilievo del PD che volle l’innalzamento dell’età pensionabile, sia andato subito dopo in pensione, a 60 anni, con 22.048 euro lordi al mese (fonte Il Giornale) … giusto il tempo di varare la riforma ed andar via con tutte le salvaguardie?

(cliccando qui trovi i numeri ed i grafici delle Baby pensioni)

Baby pensioni? In buona parte al Nord

27 Apr

Il Corriere della Sera del 26 aprile scorso pubblicava (link) un compendioso articolo di Enrico Marro sulla disastrosa situazione delle “Baby pensioni”, ancor più accentuata dal vergognoso fenomeno delle pensioni privilegiate o d’annata, di cui si parla in un altro post di questo blog.

Per capirci qualcosa di più, ho messo in tabella  i numeri pubblicati dal Corsera che connotano l’iniquità della situazione venuta a crearsi.

Infatti, a sorprendere non è tanto l’esistenza (residuale) di baby pensionati, che per altro diverse categorie di lavoratori “producono” in ogni paese, vedi docenti, militari, poliziotti eccetera.

Piuttosto, a sorprendere è l’evidente situazione di privilegio accumulatasi nel Settentrione, che dimostra come tante contrattazioni sindacali e tante leggine fossero funzionali sono ad una parte dei lavoratori e solo in determinati territori.

Chi l’avrebbe mai detto che in Friuli Venezia Giulia, come in Liguria ed in Trentino, un abitante su settanta è un baby pensionato da un ventennio ormai, mentre in Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia ve ne è uno ogni 90-100?

E come farsi una ragione dei 5 miliardi e mezzo di Euro che da quasi due decenni prendono la via del Settentrione e dei suoi “fortunati”, mentre al Sud si sopravvive ancora con la pensione della nonna?