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Referendum pensioni respinto: in arrivo danni elettorali inestimabili per il PD e altri guasti per l’Italia

22 Gen

La Corte Costituzionale ha bocciato la proposta di referendum abrogativo delle norme introdotte sulle pensioni da Elsa Fornero come ministro del Welfare.

Molti attendono le motivazioni della sentenza della Corte che verranno depositate solo tra qualche settimana e tanti prevedono che ci sarà riferimento all’articolo 75 della Costituzione che non ammette il referendum per leggi tributarie e di bilancio, ma potrebbe non essere così.

Infatti, sarebbe davvero molto difficile spiegare ai cittadini  come sia possibile in termini costituzionali che i risparmi dei lavoratori possano entrare a far parte del bilancio dello Stato. E come sia possibile – se la Corte motivasse così – dovrannno spiegarlo i nostri politici affamati di voti ai 18enni pre crisi, oggi venticinquenni senza lavoro e con i genitori cinquantenni allo stremo.
Specialmente se dall’altro lato ci fosse la generazione pre-1952 con le pensioni d’oro e i loro figli pre-1980 che almeno la casa di proprietà ed una da affittare spesso e volentieri ce l’hanno.

lavoratori anziani senior

Probabile che i serbatoi elettorali di alcuni territori e strati sociali alzeranno, nel segreto dell’urna, l’asso di picche al Partito Democratico, fosse solo in ragione delle note posizioni di Giuliano Amato, oggi giudice costituzionale, ieri autore della riforma – poi ripresa da Dini e Maroni – che allungò oltre ogni aspettativa il sistema retributivo che ci dissangua, e delle poco note posizioni di Camusso e CGIL, che tacciono, invece di sostenere il referendum, come tacciono sul reddito di cittadinanza.
E, probabilmente, andranno altrove tanti elettori ‘moderati’ di un eventuale Partito del Nazareno, che – guarda caso – coinciderebbe più o meno con le forze poltiche che sostennero Monti, in quanto i ‘segati’ della Fornero, figli disoccupati inclusi, rappresentano almeno 4 milioni di voti, forse sette, già nell’immediato.

Intanto, annotiamo che anche mia suocera ottantenne e ‘de sinistra’ ormai afferma che ‘Salvini è razzista, ma ha ragione’ e che è facile immaginare cosa pensino in blocco gli statali il cui padrone si è appropriato dei loro sacrosanti risparmi per la vecchiaia.

Andrà a finire molto male questa storia delle pensioni procastinate ad libitum … anche perchè lasciare questa Inps al palo, senza riformarla e/o senza ri-finanziarla, è davvero contro tendenza: il sistema previdenziale pubblico, da un decennio, si è sostituito a Banca d’Italia nel ‘prestare’ soldi allo Stato. L’Inps per certi versi è (era) una banca, o meglio una ‘cassa’ – ma è l’unica che non ha beneficiato finora di ampie trasfusioni …

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Pensioni: tutto quello che Tito Boeri (non) farà

30 Dic

Arriva il ‘compagno’ Boeri al timone dell’Inps e il primo ‘fatto’ è che a partire dal 2016 saranno necessari 4 mesi in più per andare in pensione.
Non che sia ‘colpa’ sua, dipende tutto da automatismi determinati da Elsa Fornero anni fa: secondo le statistiche Istat sono aumentate le probabilità che un uomo e una donna di 65 anni d’età hanno di continuare a vivere.

Una formula ‘geniale’ che verte sulla stramba idea che un sessantenne, sapendo di poter vivere fino a 85 anni anzichè fino a 78, diventi automaticamente longevo e resti efficiente, resistente e ‘innovabile’ sul lavoro come se ne avesse cinquanta.
Il tutto senza considerare un grave errore di metodo, visto che chi ha sottoposto l’atto ai ministri di competenza, non sembra aver segnalato che … almeno un terzo dei lavoratori over55 attuali risulta essere, per la stessa Istat, in condizioni di salute non buone e – specie se protrarranno l’atteso pensionamento – di sicuro hanno una aspettativa in vita inferiore alla media … oltre a costare di più per il nostro sistema sanitario.

Dunque, la prima mission di Tito Boeri dovrebbe essere quella di arrestare un meccanismo così palesemente errato, iniquo e pregiudiziale, oltre che prima causa di recessione, disoccupazione giovanile eccetera eccetera.
Dove trovare le risorse è compito del governo e non dell’Inps, dato che fu un altro governo (e parlamento) a cominare un tale pasticcio.

Se i denari deve metterli in governo, è viceversa di Tito Boeri l’onere e il privilegio di abrogare quanto prima possibile una norma Inps particolarmente iniqua: quella che – dal 2010 – limita gli scivoli pensionistici SOLO a partire dalla data di riconoscimento da parte dell’Inps, che spesso avviene dopo anni ed anni e solo a seguito di lunghi preregrinare e dure battaglie legali – e non a partire dalla effettiva sintomaticità /diagnosi – per i malati rari cui sia riconosciuta la gravità e l’invalifità superiore al 74%, mentre per altre malattie congenite più diffuse resta la opzione automatica per il pieno diritto alla pensione anticipata di cinaue anni.
Una bella carognata a danno di malati rari (che in totale sono però milioni) dei quali le statistiche raccontano sia gli anni di ritardo nel pervenimento a diagnosi sia le difficoltà diffuse – specie a sud della Toscana – nel ottenere l’accesso alle cure.

Dunque, sarà facile capire se Tito Boeri è l’uomo giusto al posto giusto.

La mossa successiva?
Battere cassa al governo per il ‘rientro’ di almeno parte dei 45 miliardi e passa di euro di cui l’ex Inpdap si è esposto a copertura delle pensioni d’oro delle casse delle alte dirigenze (2008), ad ‘anticipazione’ della spesa sanitaria delle Regioni (2009-2011), oltre a quanto carente come contribuzione del datore di lavoro (sic!).
Sbloccare alcuni diritti essenziali dei lavoratori gravemente malati e … almeno collocare le pensioni d’oro in un fondo apposito, gestito dai sindacati e del tutto scorporato dall’Inps … con tanta fortuna per tutti, amen.

Solo così ci saranno le risorse per un reddito di cittadinanza da 900 euro lordi (6-700 netti a seconda dei tributi locali), che è la via giusta per combattere lavoro nero, mafie e declino e per sostenere la microeconomia, la flessibilità occupazionale, la formazione permanente, la crescita e i consumi, le fasce sociali più esposte (famiglie monogenitoriali, anziani, invalidi).
Solo così ci saranno i denari per introdurre norme pensionistiche analoghe a quelle che garantiscono il turn over generazionale, ovvero l’innovazione e la crescita nei consumi, nelle infrastrutture, negli stili di vita e nel benessere.
Damiano aveva ragione, Fornero no: gli esperti e i lobbisti europei potranno dire quel che vogliono, qui da noi tra un po’ lo insegneremo anche alle elementari.

La questione non è se Tito Boeri sia un galantuomo, tutto lascia credere che lo sia, ma se avrà la forza di ottenere dal governo e dal parlamento un centinaio di miliardi di euro per risanare, riformare e sbloccare l’Istituto nazionale di previdenza sociale, che sarebbero comunque spiccioli rispetto ai quattrini che con Mario Monti e Enrico Letta abbiamo profuso per salvare banche, casse e compagnie aeree.

Per ora Matteo Renzi ha posto il veto a tutto questo nel discorso di fine anno, perchè convinto che il suo governo durerà fino al 2018 se riuscirà ad evitare la scissione del Partito Democratico.

Ma per capire da che parte vanno gli italiani, CGIL e UIL o i ‘dissidenti del Pd’ che continuassero ad opporsi a qualunque intervento sul ‘lavoro’ (e sulle pensioni o il welfare), come i Cinque Stelle che continuano dopo due anni a non star nè di qua nè di là, potrebbero prendere atto che gli scioperanti ‘generali’ di due settimane fa erano in totale meno della metà degli elettori di Salvini e Meloni … che messi insieme non sono ormai troppo lontani dai numeri che contano.

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Paolo Ferrero, un comunista evangelico e consumista

3 Giu

Secondo Paolo Ferrero, a proposito di licenziabilità degli statali, ‘se un dirigente vuole licenziare un impiegato, può farlo’, ‘lo dice la legge’ e, mentre su La7 gli sottolineavano che si tratta non dei ‘precari’, ma dei ‘contratti a tempo indeterminato’ ha aggiunto anche che  ‘bisogna smetterla di rompere le scatole’.

In realtà, anche se uno degli ultimi atti del governo di Mario Monti è stato l’introduzione del Codice di comportamento per i dipendenti pubblici, solo «violazioni gravi o reiterate del codice comportano l’applicazione della sanzione del licenziamento con preavviso».

Ferrero è un politico italiano, ex Ministro della Solidarietà Sociale del Governo Prodi II, segretario di Rifondazione Comunista.
Un comunista che chiede ‘interventi per aumentare i consumi’ e che chiede “un uso produttivo” del patrimonio immobiliare pubblico, ‘valorizzandolo’ e destinandolo all’ediliza popolare.

Ferrero, ex segretario della Federazione Giovanile Evangelica Italiana, inizia a lavorare come operaio, nel 1979, ma pochi mesi dopo inizia il servizio civile come obiettore, dal maggio 1980 al novembre 1981, e poco dopo, nel gennaio 1982 viene messo in cassa integrazione a zero ore ed, in seguito, la fabbrica viene chiusa.

Da allora son trascorsi oltre 30 anni, ma  … dalla fabbrica (o dal lavoro dipendente) c’è rimasto ben lontano. Nel 1982 entra nel Coordinamento dei cassaintegrati FIAT, nel 1987 comincia a far politica a tempo pieno in Democrazia Proletaria con l’incarico di responsabile nazionale per la FIAT, dal 1995 al 2006 fa parte della Segreteria nazionale di Rifondazione, dal 2006a al 2008 è parlamentare e ministro del Governo Prodi II.

Paolo Ferrero, da quanto racconta il suo curriculum, ha svolto poco più o poco meno di un anno solare come lavoratore dipendente in fabbrica.

Come fa ad occuparsi di lavoro? Quale esperienza personale ha a riguardo?

E che garanzie dovrebbero dare i comunisti se la stessa Cina Popolare stima che sono stati,”in 12 anni, arrestati e puniti 18.400 dirigenti, che avevano rubato circa 54 miliardi di yuan. Ma almeno altri 20mila sono riusciti a fuggire all’estero con mille miliardi”?

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Lavoratori pubblici (di sinistra) online

16 Giu

L’onorevole del Pdl Stracquadanio attacca: “Bisogna punire gli statali che vanno sul web”.

Era ora, bisogna dirlo, anche se lo scopo dello spin doctor berlusconiano è decisamente di parte.
“Il blocco sociale dei quattro milioni di dipendenti pubblici è più forte di noi: certo che la sinistra vince sul web, non fanno un cazzo. Se proprio lavorano, alle due del pomeriggio sono fuori”. (La Repubblica)

D’altra parte è sotto gli occhi di tutti come è andata la campagna referendaria: oscurata sui media ma massiva su internet.
Chiunque avesse un account Facebook, durante il mese scorso è stato inondato di propaganda per il SI e guai a commentare non entusiasticamente l’abrogazione di tutto su tutto.

Chi erano questi epigoni della partecipazione democratica? Dipendenti pubblici e docenti.
E se i primi sono sospetti di aver usato il tempo pagato con le nostre tasse per dedicarsi a faccende personali (ci sono IP e orari …), per i docenti la faccenda è decisamente più complessa.

Infatti, negli altri paesi, se un docente ha rapporti amicali con gli allievi, viene licenziato.
Dalle nostre parti,  si tollera … con il risultato che non pochi usano il Social Network per fare propaganda politica tra i propri studenti.
La riprova, caso mai ce ne fosse bisogno, è nel dato che la maggior parte degli scioperi studenteschi “spontanei” sono in coincidenza  di quelli dichiarati dal personale della scuola “contro il governo”.

Ma è davvero consentito? E, soprattutto, che razza di deontologia hanno i nostri prof e i nostri dirigenti scolastici?