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Il 25 settembre e gli effetti del Rosatellum

22 Lug

Sappiamo tutti come funziona il Rosatellum:

  1. 148 deputati dai collegi uninominali, 244 eletti con metodo proporzionale in 49 collegi plurinominali e 8 eletti all’estero
  2. 74 senatori dai collegi uninominali, 244 eletti con metodo proporzionale in 26 collegi plurinominali e 4 eletti all’estero.

Ma nessuno sa ancora quali conseguenze comporterà.

Ma trattandosi di numeri qualche proiezione è possibile: partiamo dall’unica cosa che interessa i partiti … c’è poco da dire:
– i Cinque Stelle potrebbero affratellarsi con comunisti e sindacato ‘contro l’Agenda Draghi’, cosa che andrebbe a sottrarre ulteriori voti al PD, da 20 anni in difficoltà perchè non riesce a liberarsi del voto di protesta ex PCI e populista ex DC, cioè ritrovarci con un discreto numero di parlamentari “di lotta e di governo”;
– il PD rischia di non avere abbastanza poltrone per l’enorme apparato ereditato dal DC e PCI, se questa volta non si attestasse definitivamente al Centro, cioè l’area moderata, dato che … oggi non ha più l’alibi dell’antiberlusconismo;
– la Destra (Lega+FdI) rischia di avere troppe poltrone per l’esiguo apparato che si ritrovano con la probabilità che molti eletti siano alle prime armi o portatori di meri interessi localistici (es. concessioni, partite iva, filiere regionali eccetera), cioè lo stallo parlamentare per default di Bilancio entro maggio 2023, non appena i dati Istat e dei rating fossero diffusi;
– il Centro di Renzi, Di Maio, Tosi e Carfagna + altri rischia di estinguersi senza una coalizione visto serve ben altro che superare la soglia del 3% per eleggere un singolo parlamentare.

E qui arriviamo all’aspetto meno considerato dalla Politica tanto quanto è essenziale per lavoro, affari, sicurezza e resilienza, cioè il consenso effettivo, anche detto ‘governabilità’ e ‘stabilità’.
Lo scenario non è lusinghiero, facciamo qualche esempio.

Nei collegi uninominali, i votanti sono di media 500mila ogni senatore eletto e 300mila ogni deputato.
Finchè l’astensione e la dispersione dei voti si mantengono entro un limite accettabile (80%) è possibile che l’eletto goda di un’effettiva maggioranza dei consensi.

Viceversa, se i voti persi o dispersi fossero oltre il 30% viene a crearsi una situazione bizzarra in cui si va in Parlamento con forse il 15% del quorum, cioè nulla in termini di consenso e tantissimo se guardiamo al dissenso.

Nei collegi plurinominali, apparentemente va un po’ meglio nei numeri e nella ‘formula’ (proporzionale), ma salvo sorprese locali non sembra esserci chance per i partiti minori, dato che serve almeno il 10% dei voti per eleggere un deputato e ben oltre per un senatore.

Questo significa che la Destra (Forza Italia non esiste più …) potrebbe fare anche il pieno di poltrone in Parlamento, ma con un Paese ostile e questo creerebbe delle premesse molto fosche per l’Italia, se già solo il defenestramento di Draghi ci sta costando (oggi) un 2-3% di inflazione extra che … i populisti vogliono affrontare con una … adeguata recessione.

Allo stesso modo il PD potrebbe escogitare l’ennesima ‘grosse koalition’ per mantenere le posizioni, ma poi sarebbe dilaniato all’interno come al solito con una maggioranza flebile sempre che non finisca nei banchi dell’opposizione a cui proprio non è avezzo, magari attorniato da cinquestelle e comunisti.

Dunque, il disastro del Rosatellum ‘ultramaggioritario’ e l’anomalia di un premier ‘nominato’ … a furor di popolo continueranno a far danni anche questa volta, sia ai partiti sia agli elettori?

In teoria si, i numeri dimostrano che il Rosatellum risponde solo ad esigenze maggioritarie dei partiti in Parlamento, come lo era il Mattarellum incostituzionale.
Ma ambedue non assicurano la governabilità per il semplice motivo che NON rappresentano adeguatamente né la proposta candidati verso i votanti né il consenso degli elettori verso gli eletti.

Demata

Riforme, stabilità e democrazia oggi in Italia

17 Dic

Venti anni fa circa, l’Italia era in coma: lo dimostravano l’illecito finanziamento dei partiti esteso ad una intera classe politica e amministrativa in Tangentopoli, gli elevati livelli di infiltrazione mafiosa nella politica e negli appalti fino alle stragi messe in atto da Cosa Nostra, gli elevati deficit e debito pubblici cui si aggiungevano – già allora – l’overflow della previdenza o della sanità e l’inadeguatezza delle nostre scuole e delle nostre università.

La stabilità al primo posto e, così, abbbiamo avuto i vari Prodi, Amato, Mattarella, Ciampi, Bertinotti, D’Alema eccetera fino all’odierno Giorgio Napolitano che hanno finora ritenuto che la stabilità del sistema Italia coincida con l’unità delle forze politiche si schierano ‘a sinistra’.

Stabilità, secondo loro, ed interessi di parte, secondo chi non vota PD o SEL oppure è iscritto alla CGIL, per la quale si arrivarono a concedere, tra 2009 e 2010, quasi quattro mesi di tempo a Silvio Berlusconi per ricomporre una maggioranza decaduta (e oggi sappiamo a prezzo di quali reati) ed evitare che il governo tecnico fosse diretto da Gianfranco Fini, per poi affidare il tutto – una dozzina di mesi dopo, forse meno – le sorti dell’Italia a Mario Monti nominato ipso facto senatore a vita.

Stabilità che ha permesso di commissariare il Lazio e la Campania affidandoli ai loro stessi governatori – Bassolino e Polverini – con i risultati (pessimi) di cui solo da poco (Terra dei Fuochi e Mafia Capitale) si contano i danni. Stabilità che vuole lasciare Ignazio Marino lì dov’è anche se in un anno e mezzo poco e nulla ha fatto ed anche se sta emergendo – vedi dichiarazioni di Goffredo Bettini – che ci furono ‘anomalie’ alle Primarie e come sembra che ci fu – vedi intercettazioni e registrazioni – ‘qualche’ voto di scambio alle elezioni vere e proprie.

Stabilità in nome della quale Giorgio Napolitano ha tenuto a precisare

  1. «Il Paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate: solo tempo e inchiostro che si sottrae all’esame dei problemi reali anche politici sul tappeto». Eppure eventuali defezioni o scissioni o anche ricomposizioni nei partiti sono prima nella esclusiva ed irriducibile libertà dei singoli parlamentari e poi nelle segreterie di partito.
  2. «Chi dissente dalle riforme istituzionali non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative». Anche in  questo caso la competenza non è del Presidente della Repubblica, ma dei rispettivi Presidenti delle Camere.
  3. «Tutto richiede continuità istituzionale. E a rappresentarla e garantirla mi ero personalmente impegnato ancora una volta per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea». Ma sono la legge elettorale a determinare gli automatismi che indicano la nascita di un governo e sono le singole Camere a conferire la fiducia a ministri e premier.

Quali ‘garanzie’ possa aver dato il nostro Presidente – per quanto gli è possibile per i diversi ruoli imposti dalla Costituzione – è facile da immaginarsi: l’assoluto e preventivo rifiuto sia a recepire dimissioni’ dal primo ministro sia a sciogliere una o due Camere. E’ nei suoi poteri, anche se non dovrebbe essere una formula ad escludendum, bensì ad hoc.

Il punto, però, è che Matteo Renzi non l’ha eletto nessuno e non si comprende davvero nè come si potrà superare il 2015 senza eventualmente riconfermarlo con nuove elezioni nè come evitare che il partito non si ritrovi con un pugno di mosche in mano, mentre insegue la CGIL che ha nostalgia del vecchio PCI, i Cinque Stelle a favore di tutto e del contrario di tutto, il Centro moderato e riformista a cui si rivolge anche la Destra.

E di tutto questo, in Italia come altrove, il Presidente della Repubblica potrebbe non occuparsene, specie se vuol essere ritenuto neutrale e, soprattutto se – mentre USA e URSS ricominciano a fronteggiarsi nel mondo, stessimo parlando della scissione del suo ex partito il PD, che riporta all’isolamento del PCI stalinista di cui egli ha chiaro ricordo, ritornando ad una situazione con popolari, liberali e socialisti da un lato e sindacati/ partiti ‘comunisti’ dall’altro.

Capiamo tutti, caro Presidente, che sia davvero uno scempio vedere l’Italia eternamente intrappolata in questo gioco di neri, bianchi e rossi, ma, se le madri (e le scuole) italiane continuano a tirar su tanti Peppone e Don Camillo,  vogliamo credere che in Europa non se ne siano accorti già da tempo?

Siamo sicuri che a tenere insieme fazioni che litigano di continuo tra loro, come litigarono di continuo fin dalle origini nel 1879 o nel 1917 e come fanno dal 1948 almeno, sia un elemento compatibile con il risanamento  e con la stabilità del Paese?

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L’Italia perde tempo

2 Apr

Si perde tempo, l’ha detto Angelino Alfano, in un dichiarazione che suona come una presa d’atto a nome di tutti gli italiani, piuttosto che un’opinione personale.

Si perde tempo e se ne perde tanto, tantissimo, se, ad esempio, la giunta PD-SEL-M5S della Regione Sicilia blocca i lavori nella base militare di contrada Ulmo, pilastro del nascente Mobile User Objective System, il sistema di difesa satellitare USA – proprio mentre Obama porta a casa un accordo tra Israele e Turchia, sostanziale per l’assetto del Mediterraneo.

Come ne stiamo perdendo davvero tanto, in Europa, se l’India pretende di processare soldati italiani e tedeschi, proprio mentre assolve largamente un contingente di propri militari, resosi colpevole di stupri, violenze ed omicidi in missione di peacekeeping in Africa.

Si perde tempo se, rifiutandosi di formare un governo (il Pd con il PdL ed il M5S con il PD), i nostri destini sono procastinati a luglio prossimo, con un governo dubbiamente prorogabile – quello di Mario Monti – che è limitato all’ordinaria amministrazione, ma dovrà far fronte ad una situazione eccezionale.

E nel Governo Monti sta la chiave di volta della strategia del Partito Democratico, obnubilato dai 200 parlamentari ‘che non sarebbero lì’ se non esistesse un premio di maggioranza spropositato, mentre tra gli altri almeno cento sono parte dell’apparato.

Andare al governo con il Popolo della Libertà comporterebbe diverse conseguenze ‘sgradite’, che sarebbe meglio lasciar fare ad un governo transitorio ed un presidente che accondiscenda a qualche strappo alle regole, visto che non si tratta di amministrazione ordinaria:

  1. una legge elettorale che recepisca sia il ballottaggio, sia il senato federale, sia il presidenzialismo, sancendo la fine del bipolarismo e del parlamentarismo;
  2. una riforma della Autonomie Locali, sopprimendo province e comuni sotto i 10.000 abitanti, azzerando un’infrastruttura partitica (ed una tradizione di polemisti da bar dello sport) che ci portiamo dietro dal Dopoguerra;
  3. la riforma della pubblica amministrazione, alla quale, per ovvi motivi, dovrebbe conicidere una serie di leggi sui sindacati, sulla separazione delle carriere, sull’introduzione di un sistema di bilancio ‘europeo’, sui servizi che il Servizo Sanitario Nazionale va a garantire ‘comunque’;
  4. una riduzione della leva fiscale e l’introduzione dei diritti di cittadinanza.

Tutte leggi che il Partito Democratico preferirebbe facesse qualcun altro, ma ponendo i suoi veti,  che il  Movimento Cinque Stelle sosterrebbe anche volentieri, ma che il protagonismo di Grillo impedisce, che il Popolo della Libertà voterebbe, se non fosse per i guai giudiziari di Silvio Berlusconi.

Nessuno che prenda nota del detto anglosassone per il quale se non si è un vincitore, allora non resta che prendere atto di essere un perdente.

Intanto, i dati congiunturali sconfessano la manovra elettorale del Partito Democratico, iniziata da mesi sotto la spinta di SEL e della CGIL, in nome dell’emergenza sociale: la disoccupazione registra, sddirittura, un lieve calo. Sono i giovani a preoccupare con un congruo numero di senza lavoro (37,8%), principalmente donne.

E, se parliamo di giovani e di occupazione, la soluzione non è certo prolungare l’età pensionabile, mantenere una pubblica amministrazione elefantiaca, senza investire in infrastrutture, formazione e produttività. Come il ‘modello’ non può essere di certo quello di Romano Prodi, additato -in Italia come all’estero – come uno dei padri del disastro Eurozona ed eternamente in batteria per un posto al Quirinale.

Siamo sicuri che i circa 200 deputati del Partito Democratico, che sono lì grazie al Porcellum, vogliano davvero tornare a casa con un flop del genere per sperare in una riconferma delle urne?
E cosa staranno pensando quelli del Movimento Cinque Stelle, che potrebbero non contare, alle prossime elezioni politiche, di quei 5-6 milioni di voti arrivati per protesta?
O, parlando di stabilità ed Europa, che qualcuno si sia accorto che, se PdL+Lega+Scelta Civica avessero corso coalizzati, non staremmo neanche a discutere di governi e governicchi?

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Basta liti, iniziamo a dialogare

30 Mar

Il Corsera di oggi scrive che “rigido si è rivelato il centrosinistra, con un Sel fermo a insistere su un mandato pieno a Bersani, per una sfida in Senato su una incertissima fiducia. Ma sulla stessa linea era anche il gran corpaccione del Partito democratico, con eccezioni ancora piuttosto timide”.

“Con tutti i partiti ostaggio di interdizioni reciproche, provocazioni, bluff, rimpalli di responsabilità e, insomma, prigionieri di quelle pregiudiziali e quei «troppi no»”, … se Napolitano “dovesse decidere di lasciare, fino a quando non sarà eletto e insediato il dodicesimo capo dello Stato”, i suoi poteri passeranno nelle mani del «supplente», il presidente del Senato Pietro Grasso.”

Ci presentiamo alla riapertura delle Borse con Pietro Grasso, presidente facente funzioni, e Mario Monti premier in proroga per l’ordinaria amministrazione? Con l’intenzione di restarci per mesi, mentre si litiga prima per chi sarà il futuro presidente della Repubblica e dopo per chi governerà, eventualmente, per un annetto e basta, in modo da riformare la politica ed andare a votare di nuovo?

Tra l’altro, le eventuali dimissioni di Giorgio Napolitano – dopo le sue esitazioni a sciogliere le Camere quando i Finiani tolsero la fiducia al Governo Berlusconi e lo smaccato errore nell’individuare Mario Monti come premier ‘salva Italia’ – rappresentano esattamente il ‘segnale che non va dato’ all’estero come in homeland: l’inizio di una crisi politica di lungo termine per una delle prime economie mondiali.

E per quale motivo i 7 miliardi e rotti di cittadini ‘esteri – con le loro banche, aziende, pubbliche amministrazioni, eccetera – dovrebbero star lì, gentimente, a guardare, aspettando che qualche nuovo trasformismo o qualche conduttore ripristinino le funzioni essenziali del sistema Italia, momentanemente affidate ad un ex magistrato ed un ‘banchiere’?

E’ finita l’epoca dei ‘ma anche’: è l’ora degli uomini di ‘buona volontà’. Questa la Via Crucis di Giorgio Napolitano.
C’è un Paese da rifondare, basta liti, iniziamo a dialogare.

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Bersani – PdL, un accordo (im)possibile?

28 Mar

In questo scorcio di XVII Legislatura – chi diceva che il numero 17 porta male? – sono tanti e troppi i dati, accertati o stimati, che ci raccontano un’Italia molto diversa da quello che ci era stato descritto da sondaggi, statistiche, slogan di partito, giornali e televisioni, chiacchiere da forum o da bar.

Ad esempio, il dato – sorprendente per gli elettori di sinistra – di un Partito Democratico, che vede tra gli eletti molti ex-democristiani e (molto) pochi ex comunisti, socialisti, verdi, radicali e tutto quanto abbia anche marginalmente aderito al modello socialdemocratico.
E’ ovvio che l’elettorato di sinistra, sempre più marginalizzato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Altra singolarità del PD è che almeno un terzo, forse la metà, dei sui eletti sono professionisti della politica.
Che essi debbano esistere è sano e fisologico, dato che ‘strateghi e logisti’ specializzati in regolamenti, bilanci e leggi son sempre necessari. E’ abnorme che siano così tanti – un centinaio almeno solo in Parlamento con tutto il codazzo di sub-professionisti della politica, ovvero sherpa, consulenti, portavoce eccetera.
E’ assurdo che un partito ‘popolare’ che fa le primarie, addirittura, si ritrovi con un apparato così invasivo ed onnipresente.

Dal lato opposto – o meglio, semplicemente complementare – c’è il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, che al turn over è sempre stato attento.
Purtroppo, il permanere di Silvio Berlusconi ha bloccato il ricambio, anche a causa degli interessi divergenti ‘di certi fedelissimi’, ormai fuori dai gioci per problemi giudiziari o migrati altrove nell’attuale parlamento.

Un Centrodestra che – ad averci un leader vero ed un programma verosimile – avrebbe dalla sua almeno il 35-40% dei consensi, se consideriamo anche i voti raccolti dai Montiani e da FARE.
Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato di destra o moderato, sempre più disorientato, oggi si comporti come una mandria impazzita o come un mulo impuntato, cercando altrove soluzioni che non esistono.

Ed ‘in mezzo’ c’è la Conferenza Episcopale Italiana, un alto clero che non sta mostrando nè sufficiente distacco dal potere e dalla finanza (Mammona) nè capacità di esistere nel sociale, al di là di un (proficuo) ruolo di sussidiarietà allo Stato. Vediamo troppi vescovi al fianco di pessimi politici nelle foto ufficiali, parliamo di una mafiosità e di una corruttela sulle quali non si sono sentiti i tonanti anatemi né gli appelli sociali.

Anche in questo caso, è ovvio che l’elettorato cattolico sia sempre più disorientato –  mentre si reclama il diritto alla vita ma non altrettanto quello alla giustizia, se non anche il dovere all’onestà ed all’equità – e vada cercando ondivago soluzioni che non trova.

Dunque, il problema è che la maggioranza del Paese non trova voce nell’attuale Parlamento, dato che il Movimento Cinque Stelle di proposte fattibili ed alternative a quella di Bersani premier non ne ha fatte.

Una situazione che difficilmente potrà essere risolta con una nuova legge elettorale e con la discesa in campo di Matteo Renzi, ma che neanche i cittadini del movimento di Beppe Grillo avranno grandi chances di gestire o risolvere.

Un governo di tecnici veri ed indipendenti – invece che sui forum, iniziamo a leggere i blog o la stampa estera – ed una maggioranza ‘giovane’ che in un anno e mezzo riformi per bene non solo i quattro spiccioli che Bersani ha messo sul tavolo, ma anche quello che è possibile per giustizia, sindacati, pensioni, sanità ed enti locali.

Beppe Grillo avrebbe dovuto riflettere di più su questa chance: ‘perdere’ qualcosa per vincere tutto e divenire una sorta di De Gaulle italiano. Infatti, molti, moltissimi voti sono arrivati al Movimento Cinque Stelle per il solo motivo che non c’era altro da votare e c’era una chance da dare a qualcuno che voleva ‘cambiare’.

E’ anche e soprattutto dal Movimento Cinque Stelle che gli italiani si attendono le ‘prove’ di una capacità di governo, di proposta e di concertazione, che finora non si è vista.
In attesa di un cambiamento che, per gli italiani, significa anche – forse soprattutto – che non se ne può più della Politica che litiga, mentre il Palazzo crolla.

Come anche, ci si aspetta(va) da un vero partito alternativo che guardasse sia a sinistra ma anche a destra con un occhio al centro: le buone idee e la brava gente non sono mai di un colore solo.

Finita la missione suicida di Pierluigi Bersani, al Partito Democratico non resta che cogovernare con il PdL – che, però, chiede prima la sua testa – oppure è arrivata l’ora che Il Movimento Cinque Stelle dica a chiare lettere quali siano gli elementi di programma vincolanti e quali i nomi o le poltrone. Oppure tutte e due …

Intanto, l’unica proposta sensata di queste due settimane, arriva dal Popolo della Libertà: Gianni Letta presidente della Repubblica, Pierluigi Bersani a Palazzo Chigi.
Il tutto con l’appoggio della Lega, dato che Maroni ha voluto sottolineare che “è verosimile che il Pdl e la Lega non si oppongono alla nascita del governo Bersani? E’ possibile, non so quanto probabile, ma è possibile. Lo abbiamo detto ieri, è possibile a determinate condizioni”.

Il paese deve uscire da questo stallo, che rischia di prolungarsi fino ad estate inoltrata: Bersani ed il Partito Democratico – avendo la maggioranza alla Camera – facciano quello che va fatto per dare un governo decente all’Italia.

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Bersani al Piano B

27 Mar

Il giorno dopo le elezioni, Pierluigi Bersani sapeva di avere il 22% dei consensi, il 33% dei voti, il 55% dei seggi alla Camera, il 33% di quelli del Senato.
Sapeva anche di non avere tempo, a causa della situazione economica, del forte malcontento popolare e del Presidente della Repubblica con il mandato agli sgoccioli.
Un paio di settimane dall’insediamento dei Presidenti delle due assemblee parlamentari, Camera e Senato, ed, eventualmente, la settimana di Pasqua a seguire, in cui le Borse sono assopite.

E Pierluigi Bersani sapeva molto bene – come ne erano ben consapevoli i suoi colleghi di partito – che si potesse andare al voto di nuovo solo e comunque con il Porcellum, ma, soprattutto, non prima del 25 giugno, a causa della necessità di eleggere il Presidente della Repubblica e del semestre bianco, mettendo i tempi necessari a scioglere le Camere e quelli dovuti alla campagna elettorale,
Chiaro a tutti che il mondo e l’Eurozona non possono attendere l’Italia che prova e riprova a formare un nuovo governo.
Meno evidente l’idea che, senza un governo, Mario Monti continuerà ad oltranza con la sua azione ‘recessiva’ e la Cassa Depositi e Prestiti arrivi al baratro, con l’Italia che segue Cipro, dopo la Grecia, nel downgrade dell’area mediterranea.

Dunque, non c’era davvero un motivo valido per giustificare la prova di forza imperniata da Bersani e la leadership del suo partito.
Se ci si arrocca, non si apre un dialogo in quattro e quattr’otto, ma soprattutto, se il tempo è poco, ci si mette da soli in una condizione di svantaggio.

Un arrocco che si poteva evitare, ad esempio, votando la presidenza della Camera (dove il PD ha maggioranza assoluta) dopo il voto al Senato e, garantitisi la presidenza di Pietro Grasso, lasciare il posto di Laura Boldrini alla candidata del M5S.
Od evitando di portare le bandiere dell’antiberlusconismo anche in Parlamento, a campagna elettorale finita, sbattendo la porta in faccia non solo a lui, Silvio Berlusconi, ma a tutto il PdL.
Un’opportunità che il PdL aveva calcolato, non presentando un proprio candidato e sperando che il PD imboccasse – come avvenuto – la via della forza e non quella del confronto.
Un arrocco, ma anche un doppio errore, visto che stiamo assistendo ad una regina (Bersani) isolata in mezzo alla scacchiera, mentre tutta la squadra sta intabarrata in difesa.

Una situazione disastrosa in cui si è ficcata l’intellighentzia del Partito Democratico (D’alema, Bindi, Marino, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera) non concedendo a  Pierluigi Bersani deleghe concrete e complete a trattare alcuni ‘temi caldi’: il finanziamento dei partiti, la legge elettorale, il conflitto di interessi negli enti locali, il taglio delle province e dei piccoli comuni, i costi della politica, la legge sui sindacati.
Urgenze alle quali andrebbero affiancate norme urgentissime per la finanza pubblica, su cui qualcuno doveva già iniziafe a tessere accordi, come quelle necessaria al rilancio di Cassa Depositi e Prestiti, la depenalizzazione per le sostanze stupefacenti e lo svuotamento delle carceri, i servizi pubblici esternalizzati ed il Terzo Settore, le pensioni d’annata ed i sussidi per chi non lavora, la Sanità e le responsabilità erariali connesse.

Purtroppo, Bersani, D’alema, Bindi, Fioroni, Letta, Franceschini, Epifani, eccetera sono riusciti anche a perdere l’ultimo treno prima del calar delle tenebre.

The last train – Evaldas

E così, da qualche giorno, in casa PD si sente parlare di «governo a bassa intensità politica» con un programma molto limitato: riforma elettorale, riforma del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu per determinate fasce di cittadini e approvazione della legge di stabilità.

Il tutto per evitare che il M5S di Grillo e Casaleggio vinca smaccatamente delle elezioni attuate con il sistema del Porcellum e per consentire a Matteo Renzi di candidarsi alle primarie nel tardo autunno, quando un po’ di ripresa e qualche pannicello caldo potrebbero aver rabbonito gli italiani, oltre a tante attese sentenze che riguardano Silvio Berlusconi e che metterebbero fuori gioco il temuto Giaguaro.

Ovviamente, il tutto funzionerà se gli avversari politici dovessero stare lì tutti ben fermi e/o prevedibili …
Intanto, mentre si svlgono le utime trattative febbrili e dopo un’arroventata riunione degli eletti, Roberta Lombardi, capogruppo M5S alla Camera, annuncia «Neanche se si butta ai miei piedi e mi implora di dargli un lavoro… Il gruppo è compatto e lo è anche al Senato».
Compatto lo vedremo … spaccare il Movimento Cinque Stelle era – ed è ancora – il Piano A di Bersani e del Partito Democratico.

Ovviamente chi divide impera, ma seminando vento raccoglie tempesta.

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Camera dei Deputati, quali prospettive?

25 Mar

Arrivano dal sistema sanitario ben cinque degli otto senatori che dal PdL si sono ‘resi disponibili’ fondando il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà.
Una coincidenza che, a vedere i pochi dati forniti da Camera e Senato, meriterebbe maggiori approfondimenti.
Fosse solo perchè è la Sanità uno dei luoghi critici del debito italiano, del malaffare pubblico, della riduzione in sudditi dei liberi cittadini, dove saranno da attuare dei tagli, del riordino e delle tutele che la Casta proprio non vuole, se non a patto di privatizzare.

Da quel poco che si evince dai dati della Camera, però, qualche riflessione è possibile.

Innanzitutto, più di un terzo dei deputati ha superato i cinquanta anni d’età (239), altri 159 sono tra i 40 ed i 49 anni, 184 va dai 30 ai 39,  solo 48 hanno meno di 30 anni.
Tutto normale con la curva che l’Italia si ritrova?
Mica tanto. Dei 398 deputati (2/3 del totale) ultra quarantenni, nessuno è del M5S, mentre lo sono ben 109 dei 232 under quarantenni, praticamente la metà.

Più scontro generazionale di così … con i cinquantenni – i ragazzi degli Anni ’80, estromessi ab origine dalle scelte decisionali – più attenti al futuro dei propri figli che ai benifit da incassare dilazionando il cambiamento, a differenza da chi li ha preceduti.

Riguardo le professioni, i dati, che la Camera dei Depuati fornisce, sono al momento incompleti, ma almeno 40 deputati rieletti nel Partito Democratico sono dirigenti, funzionari o impiegati di partito. Uno addirittura si dichiara amministratore locale ‘di professione’.
Quaranta e passa voti che tenderanno, prevedibilmente, a condizionare il voto sui tagli ai partiti ed alla Casta.

Inoltre, sempre riguardo le professioni rappresentate in Parlamento, sembra scarseggino gli ingegneri e gli economisti, che si contano sulla punta delle dita: un atto di gravissima irresponsabilità da parte dei partiti, che avrebbero dovuto e potuto inserire in lista persone capaci di comprendere a fondo e di gestire la crisi infrastrutturale e finanziaria del Paese.

Un altro dato interessante è quello dei rieletti che abbiano superato 50 anni. Ovvero, quanti eletti debbano attendere (e restare occupati) per un tot di anni ancora, prima dell’avito vitalizio.
Il Partito Democratico annovera ben 47 over50 e 13 over60, cioè ben 60 deputati che se dovessero votare ‘secondo coscienza’ certe norme urgenti su Pubblica Amministrazione e Sistema Pensionistico si ritroverebbero con un personalissimo ‘conflitto di interessi’. Per non parlare del finanziamento ai partiti …
Il PdL ne conta quaranta in tutto e tra i pochi montiani sono ben quattro gli ultrasessantenni rieletti.

Poi, ci sono i neo eletti. E tra questi sappiamo già che non è irrilevante il numero di amministratori di enti locali ‘promossi’ prima della cancellazione di comuni e province, che, in vista di una breve legislatura, difficilmente voterebbero tagli a prebende locali e di campanile.

Questi alcuni dei fattori, tra quelli resi noti dai dati, che condizioneranno la legislatura ‘old school’ che Pierluigi Bersani – con un Giorgio Napolitano palesemente scontento – si accinge a ‘tentare’. Considerati alcuni fattori (anagrafici e professionali) non è improbabile che anche al Senato esistano aggregabilità simili.

Probabilmente, un PD guidato da Matteo Renzi poteva dare la scossa a questo Parlamento. Possibilissimo che se Mario Monti non si fosse intestardito contro il PdL, staremmo discutendo di una Grosse Koalition con M5S e SEL, ben vigili – come di dovere – all’opposizione, pronti a sostenere leggi ‘difficili da digerire’.

E se Silvio Berlusconi non avesse dato seguito a Tremonti e Bossi, ma avesse seguito Brunetta e Cicchitto, forse sarebbe arrivato anche il turn over. Come era meglio un incarico di Napolitano, anzichè a Bersani, ad una figura non iperpolemica e più carismatica – interna alla politica (es. Anna Finocchiaro) o parallela ad essa (es. Massimo Rodotà, Gianni Letta).

Non è andata così.

Oggi, circolano i nomi di coloro che, secondo Pierluigi Bersani, dovrebbero affascinare Grillini, Liberali e Leghisti e, soprattutto, guidare il cambiamento: Franco Marini (ex CISL, ex DC, 80 anni), Sergio Mattarella (ex DC e giudice costituzionale, 72 anni) e Pierluigi Castagnetti (ex DC, 68 anni), Guglielmo Epifani (ex CGIL, 63 anni), Giampaolo Galli (ex Confindustria, 61 anni), Giuseppe De Rita (ex CENSIS, 80 anni).
Ed, intanto, a guardare due numeri, l’impressione è che, in questi ultimi 20 anni, il numero di ex democristiani candidati ed eletti nelle fila del Partito Democratico è enorme, praticamente maggioritario, mentre, guarda caso, il suo elettorato chiede – giusto appunto da 20 anni – ‘qualcosa di sinistra’.
Tenuto conto che nel PdL le cose non vanno molto meglio, ecco spiegato sia perchè l’Italia è allo stallo – da un ventennio – sia perchè i mali che la Seconda Repubblica doveva curare si sono, viceversa, incrementati.

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Il governo che non c’è

23 Mar

A quanto si legge, i senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi (Gruppo Misto) e Giulio Andreotti (Autonomie) sono in condizioni fisiche tali da non consentire loro di essere presenti al voto di fiducia, ammesso che si arriverà a questo. Allo stesso modo, non potrà votare la fiducia al nuovo governo il presidente Pietro Grasso, per prassi consolidata al Senato.

Iniziamo, così, col dire che Pierluigi Bersani inizia la sua ‘conta dei consensi’ con tre voti in meno rispetto a quanti si potesse prevedere, fermo restante che l’asticella resta a 160.

Senato seggi fiducia

Dunque, ammesso e non concesso che i Montiani aderiscano in toto ad un governo multipartizan con le urne in vista, a Pierluigi Bersani servono ancora quattro voti, oggi, e, prevedibilmente, altri sei dopodomani, visto che SEL in questa Grosse Koalition proprio non si capisce cosa starebbe a fare.

Da dove possono arrivare questi voti?
Dal PdL alla spicciolata, innanzitutto, visto che bastano forse solo quattro voti e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Dalla Lega, in toto o parte, vista l’eloquente allusione di Bersani (beato chi ci crede) ad ambiziose ‘riforme costituzionali’ e che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.
Da qualche costola del M5S, entusiastica e buonista, che, forse, non aspetta altro che esser fagocitata dalla Casta o, comunque, si sta solo ora rendendo conto che le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Da nessuna parte, visto che più che una mission impossible per Bersani, la formazione di un governo su tali basi appare come una ‘missione suicida’, tanti e tali saranno i balzelli e gli inciuci che una maggioranza così eterocomposita dovrebbe praticare: le mele avvelenate sono parte dello strumentario basic della politica.

Oppure, mentre si mostrano i muscoli in televisione, dato che per Bersani “non c’è altra strada” all’infuori del suo tentativo, il PD lavora sotto traccia, seguendo le chiarissime indicazioni del Presidente Giorgio Napolitano: «le difficoltà a procedere verso la grande coalizione sono apparse rilevanti a causa di profonde divisioni riesplose con la rottura di fine 2012. Insisto sulla necessità di larghe intese a complemento della formazione del governo, il quale potrebbe concludersi anche in ambiti più ristretti».

Un concetto, quello delle ‘larghe intese’, che viene chiarito da Silvio Berlusconi – ‘senza Pdl non c’è maggioranza’ – cui fa eco Maroni della Lega – riguardo gli ‘ambiti più ristretti’ – con “siamo in coalizione con il Pdl, ma serve un governo. Non faremo nulla che sia contro la coalizione, concorderemo tutto”.

Intanto, mentre dal centrodestra arrivano ampie disponibilità ad intese, la road map bersaniana  riparte da Beppe Grillo, forse nella speranza di incassare in un colpo solo i 30-40 senatori che mancano al PD+SEL per governare.

E così siamo al “governo civico”, con nomi tutti da scoprire, tra cui i più accreditati, secondo Repubblica, sarebbero Oscar Farinetti (Eataly), Milena Gabanelli (RAI),  Giampaolo Galli (Confindustria), Fabrizio Saccomani (Bankitalia).

Un ‘governo civico’ del tutto ‘scollato’ dai partiti e dai gruppi parlamentari, ovvero in balia di essi …

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Bersani al governo con il Giaguaro?

21 Mar

Beppe ha cercato di spiegare a Napolitano la rivoluzione che sta accadendo, il cambiamento del mondo, gli ha detto che i paradigmi a cui siamo abituati non vanno più bene. Gli abbiamo spiegato che gli italiani hanno deciso che questi partiti non li vogliono più.
Gli abbiamo spiegato che il vero vincitore di queste elezioni, la maggioranza assoluta degli italiani, è rappresentato dal M5S e dagli astenuti. Questo è il primo partito in Italia: è il partito che dice che non vuole più la vecchia politica“.
Questo è, in breve, quanto ha riferito Vito Crimi ai colleghi senatori del Movimento 5 Stelle sulle consultazioni al Quirinale con Giorgio Napolitano.

Una giornata davvero triste ed opaca per la Repubblica Italiana, se dovessimo prendere atto, domattina, che il presidente degli italiani, Giorgio Napolitano, proprio non è riuscito ad accorgersene – durante i sette anni di mandato – che l’Italia 2.0 c’è, non è solo grillina e proprio non sa che farsene dei robivecchi e trasformisti.

Ancor più triste, come giorno, se dobbiamo assistere ad un intervento di Nichi Vendola, autoproclamato difensore di oppressi e diseredati, che dimentica in un sol colpo ‘da quale lato della storia’ dovrebbe stare e rivendica per il PD+SEL un’egemonia parlamentare che non corrisponde al volto reale del paese.

E’ grazie al Porcellum – ed affatto in base alle volontà degli italiani – che alla Camera Partito Democratico e SEL abbiano conseguito la maggioranza assoluta, come l’essere in pole position nell’elezione del Capo dello Stato, con l’apporto dei Montiani.

Una Sinistra Ecologia e Libertà che parla come se non fosse arcinoto che “il M5S non accorderà alcuna fiducia a governi politici o pseudo tecnici con l’ausilio delle ormai familiari ‘foglie di fico’ come Grasso. Il M5S voterà invece ogni proposta di legge se parte del suo programma” e che “come forza di opposizione, chiederà la presidenza delle Commissioni del Copasir e della Vigilanza RAI”.

Una storia triste – quella di una solita sinistra che vince ma non vince – che non manca di attori a destra, dove PdL e Lega inutilmente si prodigano ad offrire – da 4 mesi a dire il vero – la stampella che serve per uscire da questo cul de sac.

Dunque, mentre Grillo spiega al Quirinale chi siano gli italiani e cosa non vogliano assolutamente, mentre Berlusconi offre larghe intese per un governo d’alto profilo, potrebbe verificarsi che il nostro presidente della Repubblica decida di giocarsi l’aut aut al Parlamento: o nominare premier chi sarà incaricato da lui oppure tenersi Mario Monti per altri 3-4 mesi, mentre si elegge il presidente e si va a nuove elezioni.

In questo disastro incombente, spiegano fonti del Quirinale, «il presidente ha più volte ripetuto che resterà al suo posto fino all’ultimo giorno. A meno di situazioni imprevedibili e, soprattutto, ingestibili».
Ad esempio, come quella – prefigurata su La Stampa da Federico Geremicca che di ‘partito’ se ne intende – che verrebbe a crearsi dinanzi al flop di un premier incaricato da Napolitano che però non ottenga la fiducia del Parlamento.

Una mossa suicida per l’Italia attuata dalla solita gerontocrazia che – vale la pena di iniziare a dirlo – probabilmente non era al passo con i tempi già nel lontano 1956. Gente convinta che esiste un solo mondo ‘giusto’, una sola gente ‘giusta’ – loro stessi, na klar – un solo modo giusto. Gente che, però, non ci sta ad assumersi le tragiche responsabilità di un disastro ultraventennale.

Che si tratti di Bersani – navigato politico – o di Grasso – professionista dell’antimafia – sarebbe inevitabilmente un flop: è troppa e tanta la diffidenza verso di loro da parte degli elettori.
Come ha correttamente detto qualcuno dei M5S, se PD, SEL e PDL vogliono credibilità, che facciano un governissimo e producano loro le riforme che attendiamo da decenni, ma è davvero difficile che un governo di Pietro Grasso sostenuto dal PdL e dal PD possa far meno danni di quello uscente presieduto da Mario Monti.

In questi minuti, un accigliato Partito Democratico annuncia, dopo essersi lungamente e, forse, affannosamente consultato con il Presidente Napolitano, di “mettersi al servizo dell’esigenza di cambiamento e governabilità” del Paese, come partito di maggioranza parlamentare, offrendo diverse riflessioni al Capo dello Stato. Riflessioni, non proposte od ipotesi: le esigenze di cambiamento e governabilità possono aspettare.
Intanto, solo grazie a La7 – che ha posto la domanda giusta – scopriamo che Bersani non ha nè un piano B nè, soprattutto, un piano A, ma anche che vuole la premiership e che il Partito Democratico si rivolgerà a tutto il Parlamento e, dunque, anche alla Lega ed, più o meno esplicitamente, il PdL del giaguaro Berlusconi.

Di tutto un po’ e nulla di tutto.

Intanto, caso mai Partitocrazia e Quirinale non avessero capito come vanno le cose e chi sono gli italiani, ci pensa l’ambasciatore americano David Thorne, che spiegava giorni fa al Liceo Visconti di Roma, come “voi giovani siete il futuro dell’Italia. Voi potete prendere in mano il vostro Paese e agire. Tocca a voi ora agire per vostro Paese, un Paese importantissimo nel mondo. So che ci sono problemi e sfide in questo momento, problemi con la meritocrazia, ma voi potete prendere in mano il vostro Paese e agire, come il Movimento 5 Stelle, per le riforme e il cambiamento. Spero che molti di voi daranno un contributo positivo in questo senso per il vostro Paese”.

Giorgio Napolitano ha una sola notte per decidere, speriamo solo che non si sbagli di nuovo, come gli accadde in gioventù riguardo i fatti d’Ungheria.
Se la sentirà di incaricare Pietro Grasso confidando in un governo PD-PdL-Lega, maggioritario nelle Camere, ma minoritario se rapportato all’intero corpo elettorale, consegnando RAI e Servizi all’opposizione M5S?

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