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Omicron: l’allarme di Cittadinanzattiva Lazio

7 Gen

Alleggerire il lavoro del pronti soccorsi, in fortissima carenza di organico e sovraccaricati da due anni di Covid 19”, a scriverlo è il Segretario regionale di Cittadinanzattiva Lazio, Elio Rosati, (link) “per il personale del PS il concorso presso l’AO S. Giovanni è stato un bollettino di guerra, infatti, il bando prevedeva 153 posti e si sono presentati nemmeno 50 candidati.”

Si tratta del boarding, lo stazionamento in pronti soccorsi dei pazienti che devono essere ricoverati, con conseguente riduzione della qualità assistenziale. Infatti, il sovraffollamento in pronto soccorso (PS) provoca, oltre all’aumento dei tempi di attesa e dell’insoddisfazione dell’utenza, anche quello dei costi erariali, dei disguidi procedurali e del carico professionale.

Infatti, la Regione Lazio due anni fa ha istituito un proprio sistema di codici per i pronti soccorsi che non corrispondono a quelli standard internazionali e non sappiamo se questi codici innovativi aumentino o riducano il boarding (o comunque l’efficienza) nei pronti soccorsi.

Dai quattro chiari e semplici codici colorati (pericolo di vita e accesso immediato alle cure, potenziale pericolo di vita e prestazioni non differibili, poco critico e prestazioni differibili, non critico e non urgente), la Regione Lazio ha creato dei propri codici diversi, estendendo i criteri di differibilità (e di boarding): emergenza, urgenza, urgenza differibile, urgenza minore e non urgenza.

Questa situazione è aggravata dal fatto che, nel Lazio “oltre il 70% (circa 3.000) dei 4.400 medici di base erano over 60 anni” con un rilevante indirizzamento al pronto soccorso dei pazienti, con questi nuovi codici non sono tenuti al pagamento di un  ticket di € 25, come nelle altre regioni quando non sono urgenti.

Due disfunzioni che si alimentano l’un l’altra, combinandosi con la terza anomalia romana: la concentrazione dei siti di ricovero e la forte carenza nei rimanenti territori, spesso popolosi e mal collegati come il III Municipio, dove i tempi di raggiungimento dei pronti soccorsi vanno ben oltre i 15 minuti.
E senza denari non si cantano messe.

Cosa chiede Cittadinanzattiva Lazio?

Innanzitutto, l’utilizzo del personale specializzando per i codici 4-5 (quelli di minore entità) con affiancamento al triage infermieristico”, cosa che comporterebbe anche il benefico effetto di standardizzare codici e procedure differibili o non urgenti, ticket incluso.
Riguardo il boarding, l’appello di Cittadinanzattiva Lazio sollecita la fine di una storica disfunzione dei pronti soccorsi romani, chiedendo la tempestiva presa in carico dei pazienti in attesa di posto letto da parte del personale dei reparti di destinazione, attualmente surrogata dal personale del PS, alimentando il sovraffollamento.

Intanto, “la variante Omicron ha mandato in tilt tutto il sistema di tracciamento già da inizio dicembre 2021 delle ASL. … È evidente, che vi è bisogno di comportamenti responsabili da parte dei cittadini in primis aderendo al ciclo vaccinale e il rispetto in modo rigoroso di tutte le indicazioni relative all’isolamento e alla quarantena (in questo periodo secondo quanto segnalato dai cittadini, sono del tutto saltati), utilizzando il tampone in modo adeguato e non come “telepass” per fare quello che si vuole e l’accesso al PS solo in caso di urgenza.”


Secondo Elio Rosati (e secondo buon senso), servono “atti concreti e immediati: mandate personale sanitario nei PS, svuotate dalle stanze dei PS le persone che sono in boarding e che non devono stare in pronto soccorso. Queste sono le due priorità. Poi, va affrontato il nodo della medicina territoriale.”
Più chiaro di così.

Demata

Droga, decine di migliaia di detenzioni incostituzionali

13 Feb

Il 21 febbraio 2006 veniva introdotta la Legge Fini-Giovanardi,  che prevedeva l’inasprimento delle sanzioni relative a condotte di produzione e detenzione illecita  – anche solo a scopo personale – nonchè di uso di sostanze stupefacenti  e introduceva la contestuale abolizione di ogni distinzione tra droghe leggere, quali la cannabis, e droghe pesanti, quali eroina o cocaina.

Da allora sono trascorsi ben sette anni, durante i quali le patrie galere hanno accolto decine di migliaia di detenuti all’anno perchè in possesso di modiche quantità di droga.

“Nel 2012 gli ingressi per semplice detenzione sono stati oltre 19mila, mentre quelli colpiti dal ben più grave articolo 74 si sono limitati a 250.” (La Repubblica) “Solo 761 detenuti sul totale sono in galera per reati gravi quali l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.” (L’Espresso)

Ieri,  la Corte costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 73 (detenzione di sostanze stupefacenti) per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione.

Oggi, prendiamo atto che nei 2.5oo giorni trascorsi da quel febbraio 2006 sono stati indagate, sanzionate, condannate, detenute incostituzionalmente (ndr. illegalmente?) – nelle notorie condizioni disumane – decine e decine di migliaia di persone, incluso un bel tot di adoloscenti con lo spinello e di ultrasessantenni della beat-pop generation, tra cui qualcuno che in carcere c’è morto.

E domani, forse, scopriremo che lo Stato (ndr. cioè noi con le nostre tasse) dovrà pagare i danni ai diretti interessati, se vorranno e potranno far ricorso, dopo aver speso – questo è certo – un’ira di dio in carceri e sanzioni UE, distogliendo le forze dell’ordine da altri compiti e vedendo incrementare – anche grazie ad un proibizionismo ‘old style’ – il consumo di droghe e, specialmente, di cocaina.

Inutilmente ed incostituzionalmente.

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Carceri, il sovraffollamento uccide

24 Mag

Le indagini avviate dalla procura di Lecce hanno accertato che il detenuto romeno Popo Virgil Cristria, di 38 anni da Bucarest, è morto per malnutrizione dopo 54 giorni di sciopero della fame.

Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha avviato un’ispezione sul carcere di Lecce e sono 15 le persone indagate.

L’uomo era stato trasferito da pochi mesi  nel carcere di Lecce, proveniente da Benevento, dove aveva iniziato uno sciopero della fame per ottenere una revisione delle sue condanne.

Infatti, era stato condannato a 18 anni di reclusione per un cumulo di pene, correlati a reati minori, commessi soprattutto per assicurarsi la sopravvivenza in una vita misera, fatta di espedienti.

«Il magistrato mi deve ascoltare e lui mi deve liberare – ricorda Sandro Rima, dirigente sanitario della casa circondariale – Una volta, ha preso l’ago della flebo che gli era stata somministrata per tentare di dargli un pò di forze e se lo è strappato dal braccio. Rifiutava il cibo in maniera categorica, voleva parlare con il magistrato. Questa era la frase che ripeteva sempre. Abbiamo tentato tutti di dissuaderlo, ma inutilmente. Era intenzionato a continuare nella sua protesta fino in fondo».

Fino in fondo, per la sua libertà, Popo Virgil Cristria ci è andato. E che, prima o poi, un fatto del genere – un ‘suicidio’ – dovesse accadere era nei numeri che ci raccontano il sovraffolamento ed i noti studi sui topi messi in gabbia.

Quello che non è chiaro è perchè, con una condanna per cumulo di pene a 18 anni di reclusione, non gli sia stata comminata anche l’espulsione, in modo da far scattare l’Accordo italo-rumeno sul trasferimento delle persone condannate e permettergli di essere trasferito nel suo paese per la detenzione.

Un problema, quello della disapplicazione di un trattato, grazie al “cavillo dell’espulsione”. che non riguarda solo Popo Virgil Cristria e la sua triste fine.

Molti altri detenuti stranieri non dovrebbero trovarsi nelle nostre carceri in base alla Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate, del 1983, che ha “lo scopo principale – come recita un testo pubblicato dalla Camera dei Deputati – di favorire il reinserimento sociale dei condannati, permettendo a uno straniero detenuto di scontare la pena nel Paese d’origine”.

Ed a Lecce, nel carcere di Lecce, ci sono “30 o forse 40 detenuti in sciopero della fame: c’è chi protesta perchè vuole essere trasferito, chi si dichiara innocente, quasi tutti sono stranieri” come precisa Giuseppe Renna, vicedirettore dell’istituto di pena. “Aveva un passato pesante a livello detentivo- aggiunge – perché non si è mai adattato in nessun istituto. Qui dentro, come accade in tutti gli istituti d’Italia ci sono numerosi detenuti anche di carattere psichiatrico che andrebbero seguiti da strutture idonee”.

Cosa aspettiamo a far valere i trattati internazionali, adeguando anche codice e sentenze se serve, e svuotiamo le nostre carceri almeno di quei detenuti stanieri che non abbiano mai avuto un radicamento, legale ed operoso, nel nostro paese per cui aver diritto a permanere, seppur detenuti?

E cosa aspettiamo, inoltre, per cambiare qualcosa nella nostra informazione se accade che un letale sciopero della fame sia stato dimenticato per due mesi e che analoghi scioperi sembra siano all’ordine del giorno e nessuno ne parla?

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